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Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Writer Officina
Autore: Roberta De Polo
Titolo: Via da lei
Genere Letteratura contemporanea
Lettori 3482 29 54
Via da lei
- Dove diavolo ti sei cacciata - , strillò Isabel.

- Stai certa che prima o poi ti troverò e allora rimpiangerai di essere nata! - .

La piccola se ne stava rannicchiata nel sottoscala nascosta dietro una pila di vecchie riviste ammuffite e mai lette. Era lì, nell'oscurità, già da un po', aveva tanta paura del buio, ma non osava uscire allo scoperto.

Aveva troppo timore di lei. Del resto non era la prima volta che era costretta a sparire per non essere punita.

Avrebbe atteso la notte, immobile, a stomaco vuoto e respirando appena. Forse, se avesse lasciato che Isabel si calmasse, se la sarebbe cavata con qualche ceffone; sempre meglio di quando prendeva la sua tenera carne per stringerla in una morsa infernale che le avrebbe lasciato dolorosi lividi che nessuno avrebbe visto, perché lei, sapeva scegliere bene dove farle male.

Nessuno doveva sapere.

Astrid era una bambina minuta che dimostrava meno della sua età, aveva i capelli rossi, lunghi e sempre arruffati, bellissime ciglia chiare incorniciavano i grandi occhi verdi. Il viso, lentigginoso, aveva un'espressione triste. Assomigliava al padre, Alan, di origini irlandesi, deceduto un anno prima. Era stato trovato esanime in fondo alla scala che portava al seminterrato. Non ci fu un'autopsia, il medico legale aveva stabilito che era stato un incidente. L'uomo era spesso ubriaco e sicuramente lo era anche quella notte.

Astrid aveva un handicap: era claudicante, una malattia congenita all'anca.

La madre, Isabel, sembrò fin da subito indifferen­te alla sorte della piccola che aveva appe­na dato alla luce.

Non era stata una gravidanza cercata, semplicemente era capitata.

Il marito l'aveva convinta a non abortire, lui voleva un figlio e sperava che, con il tempo, anche sua moglie avrebbe amato la loro creatura.

Con il trascorrere degli anni, invece, la donna era diventata sempre più ostile verso la figlia, la puniva spesso senza motivo e la mortificava continua­mente rimarcando la sua menomazione. A nulla valsero gli sforzi del marito per cercare di tamponare quella drammatica situazione; alla fine lui si arrese e trovò conforto nell'alcol.

Con la scomparsa del padre, la piccola aveva perduto l'unico suo scudo protettivo; da quel momento nessuno si sarebbe più messo tra lei e la madre; avrebbe dovuto cavarsela da sola.

Nonostante la tenera età, Astrid era una bambina forte e coraggiosa; non potendo fare affidamento su una madre affettuosa, aveva presto compreso come badare a se stessa.















































II







Madre e figlia vivevano di sussidio in una fatiscente villetta sperduta nella campagna sconfinata a parecchi chilometri dalla città.

Anni prima, il padre, Alan, era stato assunto come tuttofare in una grossa tenuta della zona. Lo stipendio sicuro gli aveva consentito l'acquisto di quella vecchia casa abbandonata da anni che l'uomo, con sudore e amore, aveva sistemato e reso accogliente. Non era un granché, ma per lui e la giovane e bella moglie Isabel, era perfetta. La donna si era ben inserita nella comunità, frequentava regolarmente la chiesa e partecipava con entusiasmo a tutte le attività che le venivano proposte. Aveva una grande passione che, con il tempo, era diventata la sua attività principale: la pittura su tela; prediligeva raffigurare paesaggi e fiori, i suoi quadri rivelavano un vero talento e una grande sensibilità d'animo.

Era, a detta di tutti, una moglie amorevole e devota, dedita alla casa e alla cucina, altro suo hobby.

La coppia condusse una vita semplice e tranquilla per alcuni anni, fino a quando quella scoperta sconvolse la vita di lei.

- Non capisco come possa essere capitato, dopo tutto questo tempo, ormai ero sicura che non sarebbe mai successo, non volevo figli e tu lo sapevi.

Dobbiamo liberarcene al più presto prima che sia troppo tardi, hai capito? - , disse Isabel disperata.

- Tesoro, calmati, riflettiamoci. Se Dio ci ha mandato questo bambino ci sarà un motivo, un giorno potresti pentirti della scelta che vuoi fare. Io non sono d'accordo e non ti appoggerò.

Un figlio completa una famiglia e a me, ti confesso, è sempre mancato. Ho rispettato il tuo volere, ma, alla luce dei fatti, ora lo desidero più che mai - , rispose l'uomo cercando di essere convincente.

- Non puoi decidere tu della mia vita, sono io che lo dovrò tenere dentro di me per nove mesi e sono sempre io che lo dovrò partorire e poi allattare, accudire, consola­re, crescere, io non posso, non posso, non ne sono capace, lo capisci? - , ribadì Isabel tra le lacrime.

- Come puoi esserne sicura, potresti scoprirti una madre meravigliosa, pensaci - , disse Alan cercando di calmarla. Non l'aveva mai vista in quello stato. Era sempre stata equilibrata e serena.

La donna che aveva davanti era tutt'altro, ma, forse, era solo questione di tempo, si sarebbe abituata all'idea della gravidanza e l'avrebbe accettata.

- Isabel, non sarai sola in questa avventura, io ti starò vicino, ti aiuterò e insieme cresceremo il nostro bambino con amore e ne faremo una brava persona - , le disse stringendola a sé.

- Tu non ti rendi conto di quello che vuoi farmi fare, le cose non andranno come speri, io non sarò mai una buona madre, ti supplico, credimi - .

- Tesoro, sei spaventata e questo lo posso comprendere, anch'io lo sono, avere un figlio è una grande responsabilità, ma sarà anche una bellissima esperienza che ci renderà una famiglia.

In questi anni mi hai dimostrato di essere una persona forte e piena di risorse, sei stata sempre al mio fianco nei momenti difficili, ci siamo supportati a vicenda e lo faremo anche questa volta.

Vedrai, andrà tutto bene - , la rassicurò.

Isabel si lasciò convincere e portò avanti la gestazione.

I nove mesi che seguirono furono per lei un incubo.

La donna, costretta a letto per diverso tempo, aveva continue contrazioni che facevano temere un parto prematuro.

Nausea, vomito, non le avevano dato tregua causandole una grave inappetenza e una notevole perdita di peso.

Non sembrava una donna incinta, sembrava una donna malata e sofferente.

Era diventata sempre più irascibile e aveva messo alla porta persino le amiche che andavano a trovarla.

Alan lavorava e al suo rientro si occupava di tutto il resto.

L'atmosfera familiare era decisa­mente tesa, tuttavia lui continuava a sperare e a pregare.

Le doglie arrivarono in piena notte, seguì un lungo e doloroso travaglio. Isabel era ormai allo stremo delle forze, con la poca energia rimastale, urlò: - Basta! Basta! Non ce la faccio più, tiratela fuori subito, liberatemi di lei, vi prego! - .

- Si calmi, non può arrendersi proprio ora, avanti, spinga, spinga ancora una volta - , la esortò l'ostetrica scambiando un'occhiata preoccupata con il giovane medico che, alla fine, decise per un parto cesareo.

La neonata smise di piangere non appena fu adagiata sul grembo materno.

- Isabel, mi hai reso un padre felice, è una bambina bellissima, guardala, ti prego - , disse Alan, con gli occhi gonfi di felicità.

La donna volse lo sguardo dalla parte opposta e chiese all'infermiera di portare via la piccola.

- Sono stanca e voglio riposare, lasciatemi sola - .

- Ma certo è normale che si senta debole, non si preoccupi, le riporterò la bambina più tardi - , rispose l'infermiera, cercando di rassicurare il marito.

- Tesoro hai già pensato al nome? Hai qualche preferenza? - chiese Alan con tono sommesso.

- Avevo ben altro a cui dedicarmi. Nel caso non te ne fossi accorto, sono stata parecchio impegnata nelle ultime ore.

Pensaci tu al nome, a me non interessa, uno qualunque andrà bene - , rispose cinica, senza guardarlo in faccia.

L'uomo, per nulla sorpreso da quella risposta, le si avvicinò, la baciò sulla fronte e le sussurrò all'orecchio: - Astrid, la chiameremo Astrid come mia madre, lei ne sarà contenta, ovunque ora si trovi - .

- Sì, sì, va bene, ora lasciami sola, avverti di non disturbarmi e non voglio visite; desidero solo starmene in pace e dormire un po', magari quando mi sveglierò scoprirò con piacere che tutto questo è stato solo un brutto, bruttissimo sogno e che non c'è nessuna Astrid tra di noi. Tutto tornerà come sempre e noi saremo di nuovo felici - , aggiunse Isabel, allontanando con la mano il marito incredulo per quelle parole che, certamente, non lasciavano presagire nulla di buono.

Isabel decise di non allattare, quello proprio non poteva sopportarlo.

Tornati a casa, fu Alan a occuparsi di tutto.

Aveva preso qualche giorno di ferie per aiutare la moglie e non farla sentire sola in quella fase così delicata della sua esistenza.

- Alan, ti prego falla smettere di piangere, mi sta scoppiando la testa. Non ne posso più! - .

- Tranquilla, ci penso io, è l'ora del biberon e la nostra piccola deve essere affamata - , rispose mettendo a scaldare il latte.

- Ecco bravo, ma fai in fretta così tornerà il silenzio.

Non riesco a dipingere e questo quadro me lo hanno già prenotato.

Lo sai che ci servono i soldi, devo terminarlo entro questa settimana - .

- Non preoccuparti, Astrid e io non ti disturberemo.

Vero amorino di papà? Adesso ti do la pappa e poi farai la nanna, così mamma potrà lavorare in pace - , disse, rivolgendosi alla piccola che teneva amorevolmente tra le braccia.

- Tesoro, più tardi vuoi farglielo tu il bagnetto? - , chiese sperando che la moglie si decidesse ad avere un contatto fisico con la bambina.

- No, grazie, pensaci tu, sono sfinita e appena ho finito qui andrò a riposare un po' - .

- Isabel, io capisco tutto, però così non va bene, non prendi mai in braccio Astrid, lei ha bisogno di sentire la tua presenza, ti prego, fai almeno uno sforzo - .

La donna non replicò, non aveva voglia di discutere, fece spallucce e continuò a dipingere.

Convinto che la moglie soffrisse di depressione post partum, Alan la portò dal medico che, dopo averla visitata e valutato i sintomi, le prescrisse dei farmaci.

- Non si preoccupi signora, vedrà che presto starà meglio ma le raccomando di seguire la cura che le ho dato, d'accordo? - , disse il dottore O'Kelly, anche lui, come Alan, irlandese di nascita. Per questo aveva preso in simpatia la coppia e conoscendo la situazione economica non volle alcun compenso e si impegnò a fare loro una visita a domicilio il mese seguente.

Alan si sentì rassicurato.

Una donna italiana di mezza età, Maria, trasferitasi oltreoceano ormai da diversi anni, si offrì di occuparsi gratuitamente della piccola Astrid fino alla guarigione della madre.

Alan accettò e ringraziò Dio di avergli mandato un - angelo custode - .

La bambina cresceva bene anche senza l'amore materno.

Fu durante il primo controllo medico che le venne diagnosticato il problema all'anca.

- Se non verrà operata subito avrà difficoltà nella deambulazione - , sentenziò il pediatra.

Isabel non si scompose ascoltando quelle parole e nemmeno quando l'assicurazione negò la copertura economica per eseguire l'intervento.

Alan non poté che accettare la situazione; avrebbe amato sua figlia ancora di più, l'avrebbe amata per due.

La prima parola di Astrid fu proprio per lui: - papà - , disse chiaramente una mattina mentre lui le cambiava il pannolino. Lacrime di gioia rigarono il viso abbronzato e già segnato dell'uomo.

- Isabel, Isabel, la bambina ha parlato! - , urlò, per informarla di quell'importante progresso, ma lei non ebbe alcuna reazione e proseguì indifferente nelle sue faccende domestiche.

- Tesoro, hai sentito cosa ho detto? Astrid mi ha chiamato - papà - , non è fantastico? - , le ribadì.

- Sì, sì, davvero magnifico - , rispose lei alzando gli occhi al cielo.

- Amore, sono sicuro che la prossima parola sarà - mamma - , anzi, mi è sembrato che facesse già qualche tentativo, sai, in queste cose ci vuole pazienza - .

- Alan, dammi tregua. Sei sempre appiccicato a quella bambina, Astrid ha fatto questo, Astrid ha fatto quello, e basta!

Per te ormai non conta altro, non parliamo poi di me, sono trasparente, tu non mi vedi più e neanche te ne accorgi quanto sto male.

Come credi che mi faccia sentire tutto questo?

Hai raggiunto il tuo scopo di avere un figlio e io non ti servo più, se non come madre, questa è la cruda verità - .

- Isabel, cosa dici, io ti amo, oggi più di ieri e credevo di dimostratelo ogni giorno, faccio del mio meglio per aiutarti e mi occupo della bambina solo perché non lo fai tu, non la sfiori nemmeno, lei ha bisogno di te.

Non credere che non ti capisca, so che stai passando un periodo difficile e ti darò tutto il tempo che ti servirà - , disse avvicinandosi a lei per abbracciarla.

- Continui a non comprendere, il tempo non migliorerà le cose, non esiste una soluzione a tutto questo. Come faccio a spiegartelo.

Mi sembra di camminare sul bordo di un precipizio, guardo giù e vorrei buttarmi per mettere fine alla mia disperazione, ma non ci riesco perché sono terrorizzata e così non mi resta che continuare a vivere chiusa in questa gabbia che ha le sbarre talmente fitte da impedirmi ogni possibile via di fuga - , disse, in preda all'ansia.

- Amore, calmati, scusami, sono stato uno stupido, come ho potuto sottovalutare le tue parole, perdonami - , disse affranto.

- Non posso perdonarti, proprio non ci riesco! Sono finita, finita - .

Alan le prese il viso tra le mani e la baciò con dolcezza, lei si tranquillizzò e non replicò, si lasciò cingere dall'uomo che amava.

Era ormai trascorso un anno e Isabel si era rimessa fisicamente e aveva ripreso a uscire, a dipingere e a frequentare la chiesa.

Esibiva in pubblico la sua bambina fingendosi una madre appagata e orgogliosa.

Si era liberata della presenza di Maria, elemento scomodo; non voleva che nessuno la con­trollasse.

Faceva il minimo indispensabile per la piccola, giusto per accontentare Alan, preferiva dedicarsi alla casa e alla cucina.

Voleva essere una brava moglie, era quello il suo vero ruolo e per quel motivo lo aveva sposato. Eppure, inconsciamente, continuava a odiarlo perché era stato lui a metterla in quell'assurda situazione, le stava facendo fare una vita che non voleva e lo riteneva responsabile di tutto il suo malessere.



Astrid mosse i primi passi parecchio in ritardo rispetto ai suoi coetanei.

Il suo - difetto - fu presto visibile, così Isabel decise che non l'avrebbe più portata con sé in paese. A chi le domandava dove fosse la bambina, ogni volta inventava scuse diverse, ma poiché era sempre sorridente e disponibile con tutti, nessuno sospettò che mentisse.

Astrid restava spesso a casa da sola, rinchiusa nel box con la sola compagnia di Lucy, la sua bambola di pezza. Il suo unico giocattolo, oltre al cavallino a dondolo che le aveva fatto il padre.

Era una bambina tranquilla, piangeva raramente e sembrava non accorgersi dell'indifferenza che la madre nutriva per lei.

Si rivelò precoce nel linguaggio, già a tre anni era in grado di fare un discorso e di ripetere le parole che sentiva in televisione.

- Mamma - , era l'unico vocabolo che non osava pronunciare.

- Quando ti rivolgi a me, chiamami Isabel, hai capito?

Per te io sarò sempre e solo questo: Isabel. Mi sono spiegata? - .

La piccola comprese presto che doveva obbedire senza lamentarsi, altrimenti sarebbe stata castigata.

- Adesso basta! Non posso più tollerare il tuo atteggiamento con Astrid.

Devi smetterla di vessarla, ti devi fare curare Isabel, non si può andare avanti così - , disse Alan, sopraffatto dalla situazione.

- Non c'è proprio niente che non vada in me, ti avevo avvisato, quindi non lamentarti.

Astrid è figlia solo tua, io mi sono prestata al tuo scopo e l'ho fatto per amore, già, perché ti amavo - .

- Se ancora mi ami, convinciti che c'è un problema, affrontiamolo insieme, andiamo da un medico, il più bravo, lui ti aiuterà, siamo ancora in tempo. Vedrai che le cose si sistemeranno, Isabel, ti chiedo ancora di fidarti di me - , disse in tono accorato

- Smettila di fare così, non ti servirà a persuadermi.

Ti ho già ascoltato una volta e guarda come è finita, la mia vita è andata in frantumi, non riesco più neanche a dipingere, non sono più nulla, tua figlia succhia tutte le mie energie e non c'è spazio per niente oltre a lei.

Tu sei fuori tutto il giorno e io chiusa qui a fare la balia, imprigionata tra queste mura, incatenata a un ruolo che non mi appartiene e che non riesco ad accettare. Vorrei sparire e lasciare che tu mi rimpianga - .

- Dimmi solo cosa posso fare per farti stare meglio e io lo farò - , chiese il marito, all'estremo delle forze.

- Lasciami in pace e smettila di guardarmi come se fossi un mostro, di ripetermi che sono una cattiva madre, finiscila di giudicarmi.

Accetta la situazione oppure vattene, io non ti fermerò - , sentenziò lasciando la stanza in lacrime.

Alan ci aveva provato a cambiare le cose, ma il suo sforzo era stato vano. Ritornava sempre più tardi, terminato il lavoro si fermava a bere da qualche parte per dimenticare quello che l'aspettava a casa, rientrava ubriaco e litigava con Isabel.

Si sentiva un codardo, ma era incapace di chiedere aiuto.

Nessuno gli avrebbe creduto, Isabel sapeva essere convincente quando voleva e tutta la comunità la stimava.

Nonostante tutto lui l'amava ancora moltissimo e se lei era diventata così, forse, era sua la colpa. Avrebbe dovuto ascoltarla quando lo aveva disperatamente supplicato di non farle avere quel figlio che mai aveva desiderato.

Guardandola, vedeva ancora la bella ragazza mora dagli occhi a mandorla che aveva sposato.

I suoi tratti orientali lo avevano affascinato al primo sguardo. Era diversa da tutte le altre. Aveva qualcosa di misterioso e intrigante e lui non aveva saputo resisterle.

L'aveva conosciuta in un bar dove lei lavorava come cameriera.

Aveva dovuto corteggiarla per diversi mesi prima di riuscire a strapparle un appuntamento.

Avevano fatto le cose con calma e il primo bacio era arrivato solo parecchio tempo dopo il loro primo incontro.

Isabel era una ragazza dolce ma tutt'altro che fragile, amava essere indipendente e decidere di testa sua.

Non parlava mai del suo passato. Alan se ne innamorò perdutamente e non dubitò che quella fosse la donna giusta per lui.

Nessuno della sua famiglia approvò la loro frequentazione, anzi, fecero di tutto per ostacolarli.

- Non sai nulla di quella ragazza, non ha genitori, nessun parente, non ti ha raccontato niente della sua infanzia, c'è qualcosa in lei che mi inquieta, ti metterai nei guai, una madre queste cose le sente! - .

- Non mi importa e sono sicuro che quando vorrà un giorno mi dirà tutto di lei, per ora mi accontento di sapere che mi ama e che vuole stare con me e lo voglio anch'io. Mi spiace che voi non riusciate ad accettarla e francamente non lo comprendo - .

Alan decise di non ascoltare e si lasciò convincere da Isabel che era giunto il momento di recidere il cordone ombelicale e diventare un uomo in grado di fare consapevolmente le proprie scelte.

- Se veramente mi ami, dimostramelo.

Andiamo via, ovunque vorrai, lontano da tutto e da tutti e io ti prometto che ti renderò felice e non te ne farò mai pentire.

Abbiamo la vita davanti e potremo ricominciare tutto da capo, sarò al tuo fianco e non avrai bisogno di nessun altro perché io ti basterò - .

Pur di non perderla, Alan tagliò i contatti con tutta la sua famiglia e lasciò il suo paese per trasferirsi con Isabel oltre oceano, nel paese delle grandi opportunità.

Si erano sistemati bene, Alan lavorava e Isabel dipingeva, erano felici e in armonia, fino all'arrivo di Astrid. Da quel momento, tutto precipitò.





















III





Astrid era rimasta tutta la notte nel suo nascondiglio e si era addormentata stringendo a sé la sua bambola Lucy.

La svegliarono le infiltrazioni di luce provenienti dalla porta in cima alle scale. Tese le orecchie per capire se la madre fosse in giro per casa e, non sentendo rumori, decise che era arrivato il momento di lasciare il suo posto segreto.

Si alzò a fatica, aveva gambe e braccia indolenzite a causa dell'ambiente angusto dove era stata costretta a nascondersi.

Era a digiuno dal giorno prima e cominciava a sentirne gli effetti.

Salì guardinga le scale diretta in cucina.

Aprì delicatamente la porta e fece capolino per sondare che la madre non fosse lì ad attenderla, con la voglia di dargliene tante come le aveva promesso. Fortunatamente la stanza era deserta.

Muovendosi piano e a piedi scalzi, si diresse verso il frigorifero in cerca di qualcosa da mettere sotto i denti.

Si versò un bicchiere di latte e ci inzuppò dei biscotti che aveva trovato nella dispensa; non c'era molto altro di commestibile.

Dopo la morte del marito, Isabel aveva perso anche la voglia di cucinare e di fare la spesa.

Comperava lo stretto indispensabile e mai nulla che piacesse ad Astrid; anche quei biscotti erano davvero disgustosi, secchi e salati.

A stomaco pieno si sentì subito meglio.

Lavò il bicchiere con un filo di acqua, lo asciugò e lo ripose sullo scaffale. Rimise la scatola dei dolci nella credenza e ripulì il tavolo dalle briciole. Non doveva lasciare segni del suo passaggio.

Cercando di non far scricchiolare il vecchio pavimento di legno, andò in bagno. Passò davanti alla porta chiusa della camera di Isabel, ci appoggiò l'orecchio e sentì la donna respirare profondamente.

Per ora, poteva stare tranquilla.

Non tirò lo sciacquone, questo le sarebbe costato caro, lo sapeva, ma in quel momento non aveva alternativa.

Entrò nella sua cameretta. Una stanza piccola e disadorna. Si infilò nel suo lettino e si addormentò.

Fu svegliata con un secchio di acqua gelata.

- Così impari a non scaricare l'acqua quando vai in bagno! - , le gridò la madre.

Neanche il tempo di rendersene conto e si ritrovò completamente fradicia mentre lei la trascinava per i capelli, diretta allo sgabuzzino.

- Così avrai modo di riflettere sul tuo comportamento e imparerai a fare ciò che ti dico. Resterai chiusa qui, io devo andare in città a fare delle commissioni. Vedremo se al mio rientro sarai più docile - , le disse la madre.

Astrid piangeva silenziosamente, non le avrebbe dato quella soddisfazione. Ancora una volta si ritrovava in castigo per un futile motivo. Non aveva neanche il conforto di Lucy, rimasta tra le lenzuola bagnate.

In quei momenti le mancava tanto il suo papà, lui non avrebbe permesso che lei si comportasse così o perlomeno ci avrebbe tentato.

Isabel aveva interrotto ogni relazione con la comunità e non permetteva alle poche amiche che aveva di andare a farle visita, ma quando si recava in paese ci teneva ad apparire al meglio.

Quella mattina si fece la doccia, lavò i lunghi capelli neri e si vestì con una camicetta smanicata, leggera, bianca e un paio di jeans.

Si fece una treccia laterale e mise gli orecchini turchesi, regalo di nozze del marito e suoi unici gioielli.

Quando Astrid sentì allontanarsi il rumore della vecchia jeep sgangherata, smise di avere paura.

Era un'estate torrida e l'umidità rendeva l'aria irrespirabile.

Nello stanzino dove era rinchiusa quasi si soffocava, si guardò intorno in cerca di qualcosa che potesse esserle utile per tentare di uscire da lì.

La luce si accendeva solo dall'esterno, era nel buio totale.

Tastò qua e là con le mani, finché non individuò la presenza di una scatola, frugò all'interno e trovò un punteruolo o qualcosa di simile che infilò nella serratura.

Lavorandoci un po', magicamente, cigolando, la porta si aprì.

Nascose per bene quel prezioso utensile e uscì.

Per un attimo la luce la accecò.

Con gli occhi semi aperti andò all'esterno e si sedette sui gradini dell'ingresso; da quella postazione l'avrebbe vista arrivare anche da lontano.

Desiderava tanto fare una bella doccia e togliersi il lurido straccetto che indossava notte e giorno da una settimana.

La madre le consentiva di cambiarsi e lavarsi solo la domenica quando la portava a messa e voleva che tutti vedessero come si prendeva cura della sua bambina.

- L'acqua costa e non va sprecata, quante volte dovrò ripeterlo per farlo entrare in quella tua testolina? - , le diceva.

La piccola non aveva mai incontrato bambini della sua età. Viveva isolata dal mondo, ma presto avrebbe raggiunto l'età che prevedeva l'obbligo scolastico. Lei non vedeva l'ora.

Finalmente sarebbe uscita da quell'inferno e sua madre non avrebbe potuto impedirglielo. Queste informazioni le aveva apprese guardando la televisione, l'unico suo contatto con il mondo esterno.

Mentre era assorta nei suoi pensieri, sentì il rumore del fuoristrada.

Si alzò di scatto e ritornò nello stanzino.

Fece scattare la serratura e restò lì, ad aspettare.

Lei non si sarebbe accorta di nulla e questo la rendeva orgogliosa di sé. Era stata davvero furba.

Isabel entrò come un uragano, era furiosa perché tornando aveva forato una gomma.

Imprecava mentre cercava di sistemare la piccola spesa.

Poi si mise a trafficare nel portabagagli cercando la ruota di scorta e i vari attrezzi.

Restò fuori per almeno due ore mentre Astrid, rinchiusa, attendeva di essere liberata. Evidentemente la donna aveva ben altre priorità.

Ultimata la sostituzione della ruota, Isabel si ricordò della figlia.

- Allora, ti sei pentita del tuo comportamento? Sei pronta a chiedermi scusa? Beh! Ora lo vedremo - .

Spalancò la porta, la piccola era tutta rannicchiata, i capelli sudati le si erano appiccicati intorno al viso, era lercia e puzzolente.

Teneva gli occhi bassi, temeva di incontrare il suo sguardo tutt'altro che materno.

Lei la prese per un braccio e la strattonò fuori: - Allora? Non hai nulla da dire? - .

- Ti chiedo scusa, per tutto - , rispose la bimba con un filo di voce.

- Bene, vedo che hai riflettuto! Ora vai a darti una ripulita, ti voglio decente per il pranzo - .

- Sì, Isabel, ci vado subito - .

Si sciacquò il viso, pettinò i bei capelli rossi e scelse di indossare il vestitino a fiorellini gialli e blu che la madre le aveva comperato in uno dei rari momenti in cui le dimostrava un minimo di interessamento. Forse, se fosse stata carina, Isabel sarebbe stata più gentile, pensò.

Quando entrò in cucina, la donna la squadrò con aria critica, soffermandosi sul suo - difetto - .

- Ho proprio buon gusto, questo abito è molto carino peccato che non ti stia bene, soldi sprecati! - . Disse sprezzante.

La bambina, per reazione, nascose la gamba offesa.

I suoi sforzi non erano valsi a nulla, era una bambina brutta e imperfetta, così l'aveva sempre fatta sentire.

- Papà ti voleva bene e tu con lui eri brava, perché con me fai così? Mi fai stare male e sei tanto cattiva - , pensò Astrid, senza avere il coraggio di dire nulla.

- Siediti e mangia, ho cucinato apposta per te, dimmi se ti piace - , le disse ironica.

Astrid guardò nel piatto e quasi le venne da rimettere. Lei odiava le carote e la madre di proposito la obbligava a mangiarle.

Fortunatamente quella volta aveva aggiunto anche qualche patata che l'avrebbe aiutata ad ingoiare un boccone dopo l'altro.

- Non mi ringrazi per il pranzetto? Sei la solita ingrata! - .

- Grazie Isabel è molto buono - , rispose cercando di non far trapelare il suo odio per lei.

- Sono contenta, te ne lascerò un po' anche per la cena - , le disse ridendo.

La bambina strinse i pugni e rimase calma; aveva imparato a controllarsi davanti alle provocazioni materne.

Non le avrebbe dato una scusa per sfogare la sua rabbia.

La notte spesso sognava di vivere in una famiglia con altri fratellini e dei genitori amorevoli che erano fieri di lei.

Quelli erano gli unici momenti nei quali era felice e serena.

Purtroppo al risveglio tutto svaniva e la sua realtà era ben diversa.

Doveva avere pazienza, era ancora troppo piccola, ma sarebbe cresciuta e allora se ne sarebbe andata via, per sempre.
Roberta De Polo
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