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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Isabel Giustiniani
Titolo: La Tessitrice di Sogni
Genere Fantasy Sci-fi
Lettori 4103 37 64
La Tessitrice di Sogni
L'uomo raggiunse la sommità del pendio e la fanciulla sollevò lo sguardo dalla collana di fiori che stava intrecciando. Lo sconosciuto indossava un'armatura del colore dell'argento ma di una fattura che lei non aveva mai visto. Perfino l'oggetto che imbracciava era di una forma insolita e, a ogni passo, rifletteva il sole dell'estate con una lucentezza sericea, quasi cangiante.
Lo sconosciuto si fermò a breve distanza da lei, studiandola da dietro la visiera opaca che oscurava la celata tondeggiante. Pochi istanti dopo portò una mano a lato del collo e la protezione che nascondeva il volto si dissolse emettendo un lieve ronzio.
La ragazza lo guardò sfilarsi l'elmo bianco, meravigliandosi di non provare paura. Il suo sguardo scorse dai capelli biondi dell'uomo, tagliati molto corti, scendendo agli occhi azzurri, limpidi e gentili, fino a fermarsi al sorriso amichevole che questi le rivolgeva.
- Ciao - lo salutò, poggiando le mani sul grembo colmo di fiori di campo.
- Ciao. È proprio un bel posto, qui - ricambiò lo straniero, spaziando con lo sguardo alle colline boscose che digradavano nei campi coltivati. Una lontana cascata scintillava al sole e si riversava nel letto del fiume che scorreva a valle, per poi attraversare tanti piccoli villaggi. Un profumo di fiori ed erbe aromatiche si spandeva nell'aria assieme al ronzio e al cicaleggio degli insetti.
- Sì, è davvero meraviglioso - convenne lei, allargando il sorriso. - Salgo sempre in cima a questa collina per pascolare le mie capre. Cioè, voglio dire, le capre di mio zio. -
- Non vedo capre, in giro - commentò l'uomo, guardandosi attorno.
- Oggi niente capre, hai ragione. Questo è un giorno speciale, per me, e perciò non mi devo occupare degli animali. -
Lo sconosciuto tornò a volgere gli occhi su di lei. - Perché è un giorno speciale? -
La ragazza gli mostrò le pieghe della lunga veste, arrossendo d'orgoglio. - So che è semplice, ma questo è l'abito più bello che ho e sono salita fin qui per adornarlo con collane di fiori. Oggi mi sposerò. -
Questa volta, alcune rughe di perplessità incresparono la fronte del Cavaliere d'Argento. - Sposarti? Sembri una bambina. Quanti anni hai? -
- Non sono una bambina! - ribattè lei, infastidita dall'osservazione. - Ho quattordici anni! -
L'espressione di contrarietà sul volto dell'uomo si accentuò. - Questa la chiamano pedofilia al mio paese, holy shit! -
- Pedo... cosa? -
Questa volta fu la fronte della ragazza a corrugarsi.
- Significa che sei troppo giovane per andare in sposa a qualcuno. -
- Holy Shit deve essere un paese molto lontano - replicò la fanciulla, cercando di soffocare la risata. - A Nemberia, è normale che una ragazza prenda marito a questa età e, per quanto ne so, lo è anche in tutti gli altri governatorati dei Cinque Regni. -
L'uomo mutò espressione, distogliendo gli occhi da lei per proiettare uno sguardo vuoto davanti a sé. - È molto lontano da qui, hai ragione. -
- Ti va di sederti un po' accanto a me e di farmi compagnia mentre termino le mie collane? - gli offrì la ragazza, percependo la sua pena.
Lo sconosciuto parve ridestarsi, battendo le palpebre, e tornò a guardarla. - Sedermi qui... Perché no? -
Prese posto accanto a lei, deponendo all'altro fianco l'elmo e il complesso oggetto metallico.
- Non ho mai visto un'armatura come la tua - disse la ragazza, osservandolo incuriosita. - È anche vero che ho visto solo i cavalieri delle terre di Nemberia, però credo che tutti i cavalieri dei Cinque Regni portino la spada. A cosa ti serve quel metallo, se non è affilato? -
L'uomo sorrise. - Diciamo che è la mia spada. Stessa funzione, ma con un'efficacia maggiore. -
Poiché la fanciulla continuava a guardarlo con perplessità, raccolse l'oggetto e glielo mostrò. Era un meccanismo complicato in cui varie parti s'incastravano tra loro e sembravano fatte di materiali diversi.
- La impugni in questo modo, - spiegò, imbracciando l'arma, - poi sblocchi la sicura qua sotto, così. Prendi la mira su chi ti vuol far del male e premi qui, facendo fuoco. -
La ragazza inarcò le sopracciglia in un'espressione di viva sorpresa. - Vuoi dire che quella cosa sputa fuori del fuoco? -
Lo sconosciuto le rivolse un sorriso dai denti bianchissimi e tornò a poggiare l'arma al proprio fianco. - Più o meno: è solo un vecchio modo di dire. Come ti chiami? -
La fanciulla arrossì. Presa dalla curiosità per le stranezze di quel visitatore inaspettato, si era dimenticata di presentarsi. - Mi chiamo Dhalia, come il fiore. Vengo dal villaggio di Kora, quello che vedi laggiù, vicino alla cascata - Lo indicò con un dito. - E tu chi sei? -
Gli occhi dello straniero tornarono a velarsi e il sorriso si affievolì fino a spegnersi. Sembrò cercare qualcosa dentro di sé, poi si arrese con un sospiro e scosse il capo.
- Ci ho pensato, mentre salivo la collina, ma chi io sia, non me lo ricordo - rispose, iniziando a sfilarsi i guanti bianchi dalle nocche rinforzate, rivelando la presenza di una mano artificiale. - Ho un nome, ma non mi dice nulla, né so da dove vengo o perché mi trovo qui. Però, credo che tutta questa faccenda sia solo un sogno che sto facendo. -
- Un sogno?! - sbottò Dhalia, sgranando gli occhi. - Oh no. Proprio no. Senti, a me dispiace davvero se non ricordi nulla, ma ti assicuro che questo non è affatto un sogno. Oggi è il giorno del mio matrimonio e io sono più che sveglia: non ho passato le ultime tre settimane a ricamare questa tunica nei miei sogni. -
- Non ci sono altre spiegazioni per questo luogo assurdo e per... - si bloccò, imbarazzato, mentre stava per indicare lei.
- Sicché sarei io quella assurda!? Ma guardati i vestiti e la mano! Quella, poi, sembra fatta dello stesso materiale della tua spada, eppure si muove come fosse vera! -
Dhalia stava per scoppiare a ridere, tuttavia si rese conto di essere stata scortese, quando lo sconosciuto non trovava affatto divertente la situazione e la guardava con espressione seria.
- Mi dispiace, sono stata maleducata - si scusò, raccogliendo una delle collane per poi infilargliela al collo. - Devi aver avuto un brutto incidente al braccio, scusami. Quello che volevo dire è che io credo ci siano sempre altre spiegazioni a tutto quello che ci succede, magari siamo noi che non siamo in grado di trovarle subito. Tocca questi fiori, per esempio. Avanti! Riesci a sentire la fragranza che emanano? Ti pare un sogno? -
L'uomo con l'armatura d'argento guardò perplesso l'anello di margherite e di fiordalisi intrecciati che gli pendeva sul petto. Sembrava quasi ne avesse timore. Dhalia ammirò soddisfatta l'azzurro e il bianco dal cuore oro della sua creazione: sarebbe spiccata a meraviglia sul rosso della tunica nuziale che indossava. Non le importava se i compaesani l'avrebbero criticata per lo sfoggio eccessivo di colori: lei amava i colori, perché erano la più gioiosa espressione della vita. Ora guardava la mano naturale e quella artificiale dello sconosciuto muoversi a sfiorare i petali con inaspettata delicatezza, mentre gli occhi azzurri gli si scolorivano dietro un velo di lacrime.
- Forse hai solo bisogno di un aiuto per ricordare - riprese, titubante. Si sentiva a disagio nel vedere qualcuno soffrire senza poter far nulla per aiutarlo. Guardò con più attenzione il suo abbigliamento, in cerca di qualche indizio che le potesse ricordare qualcosa, ma tutto, in quello straniero, per lei era nuovo. Si accorse che sul braccio, all'altezza della spalla, l'armatura portava dei simboli: uno stemma rosso e azzurro sopra una scritta nera in caratteri che non conosceva. Si rammaricò, ancora una volta, che non le fosse stato permesso di frequentare le lezioni al tempio del Sacro Fondatore. Forse avrebbe capito.
- Cosa significano questi simboli? Sembra lo stemma di una casata. Ti ricordi qual è? Magari possiamo risalire da quale dei Cinque Regni provieni. -
L'uomo inalò un profondo respiro, passandosi una mano sugli occhi per cancellare le lacrime.
- So che è la bandiera del mio paese. Non che il fatto di saperlo diradi la nebbia che ho in testa. -
- Solo stelle e strisce? - insistette Dhalia. - Nemmeno un animale? Tutte le casate di Nemberia hanno un animale simbolo. Snakestone possiede quattro draghi in campo giallo e cremisi, Mondovea ha il cervo nel sole, Kalimat il falco... -
- L'aquila. Il nostro è l'aquila. Ecco un'altra cosa di cui non so come diavolo faccia a esserne a conoscenza. -
Dhalia annuì, tornando a tessere trine di fiori con movimenti rapidi ed esperti. - È un'ottima scelta: l'aquila è un animale magnifico. Le vedo spesso lanciarsi in volo dai picchi delle montagne, qui intorno, e ho sempre desiderato poter avere le ali come loro per fuggire via. -
- Non sei felice, qui? - L'uomo si volse a guardarla e le dita di lei fremettero, senza tuttavia interrompere il movimento. - Non devi parlarne, se non ti va - aggiunse, come se volesse scusarsi. - Mi era solo parso, da come ne parlavi, che fossi contenta di sposarti. -
- Oh, sì! Per il Sacro Fondatore, certo che sono felice! Ma la mia vita non è sempre stata facile, anzi, posso dire che questa è la prima cosa bella che mi sia capitata dopo tanto tempo. -
Lo straniero tacque e ritornò a guardare la valle davanti a sé, i gomiti appoggiati sulle ginocchia, mentre il vento portava il sordo gracchiare di qualche cornacchia e lo scroscio dell'acqua lontana.
Anche Dhalia rimase in silenzio, intenta a lavorare sulla coroncina di ramoscelli che stava rivestendo di piccoli fiori malva, ma si sentiva pungolare dal desiderio di sfogarsi con quell'uomo sconosciuto. Era un bisogno che nasceva da molto lontano, forse perché non aveva mai avuto una vera amica con la quale confidarsi. Seguendo l'impulso, ruppe il silenzio e le parole sgorgarono inarrestabili, sorprendendo anche lei.
- Al villaggio non credono che io lo ami veramente. Intendo dire Nimel, il mio futuro sposo. Sono sicura che molti pensino che lo voglio sposare soltanto per fuggire dalla casa di mio zio: da quando i miei genitori e mio fratello sono morti di un male oscuro, la fortuna di avere avuto un parente ancora in vita si è trasformata, per me, in una maledizione.
Non avevo mai visto lo zio e non sapevo perché mia madre avesse voluto interrompere ogni contatto con lui, ma sulla mia pelle ho scoperto ben presto il motivo: Ludov è un uomo brutale, dedito più al vino che al lavoro dei campi. Non è neppure un segreto, al villaggio, come mi abbia ridotto a una serva, tanto quanto il fatto che mi abbia sempre picchiata, ma tutti fingono di non sapere e non vedere.
Fino a pochi mesi fa pensavo che non avrei avuto scampo da questa vita miserevole: mio zio non avrebbe mai rinunciato a sfruttarmi nella sua masseria, e gli sarebbe bastato negarmi la dote necessaria a trovare un marito.
Forse le mie lacrime arrivarono al Sacro Fondatore perché un giorno, alla soglia di casa, bussò un giovane.
Non era un principe né un cavaliere, e neppure bello. O forse lo era stato prima che un'orrenda cicatrice gli deturpasse il volto, sfregiando l'orbita vuota dell'occhio mancante.
Quando lo vidi, fuggii nel ripostiglio che è la mia camera, rimanendo a sbirciare dall'uscio socchiuso. Lo sentii presentarsi come guardiacaccia di Aric di Aglaia, il governatore di Akçakel, e chiedere a Ludov di potermi prendere in moglie.
A quella proposta, rimasi sorpresa e terrorizzata allo stesso tempo. Perfino lo zio rimase di sasso, tanto che per un istante sembrò riaversi dai fumi del vino. Ma la sua diffidenza si sciolse al suono del sacchetto di monete che Nimel aveva poggiato sul tavolo.
Ludov venne a prendermi e mi trascinò fino in cucina, al cospetto del guardiacaccia. Il cuore mi martellava in petto e non avevo neppure il coraggio di guardarlo in volto, così rimasi a fissarmi la punta dei piedi nudi.
- Non avere paura di me - mi rassicurò lui, con voce calda e tranquilla. Poi mi prese una mano tra le sue, con delicatezza. - Ti ho visto intrecciare collane di fiori mentre eri ai Pascoli Alti con le capre. Mani che sanno creare tanta bellezza nascondono un cuore colmo di grazia. Io sono un uomo solo, ma non sono nato per essere solitario: ho tanto amore da dare alla mia donna e ai figli che verranno. Desidero sposarti, più di ogni altra cosa al mondo, e renderti felice. Ma sarai mia moglie soltanto se anche tu lo vorrai. -
Rimasi a bocca aperta e trovai finalmente la forza di guardarlo. Nimel possedeva un sorriso bellissimo e mi guardava con l'occhio superstite di un azzurro intenso come il cielo di primavera, sincero e leale come non avevo mai visto.
Mio zio aveva già contato il denaro e deciso di intascarlo anche se, in realtà, avrebbe dovuto coprire le spese della mia dote. Il giorno stesso fissò la data del matrimonio a tre mesi da quel momento. -
- Ma allora quella di oggi non è affatto una tua scelta - interloquì lo straniero.
- Così è stato, lo ammetto, all'inizio. Ma talvolta l'amore segue strane strade che solo il cuore può comprendere. Nimel e io ci siamo incontrati qui, ai Pascoli Alti, per tutta la primavera, ogniqualvolta gli è stato possibile raggiungermi. Conoscendolo, mi è stato facile andare oltre l'esteriorità del suo aspetto, scoprendo in lui un animo gentile e uno spirito coraggioso che mi hanno conquistata senza riserve. Portandomi sempre il massimo rispetto, abbiamo parlato e riso assieme, raccontandoci tutto. E io non ricordavo nemmeno quando fosse stata l'ultima volta che ero stata così felice. È stato Nimel a donarmi anche questo abito in seta, del mio colore preferito, sapendo che mio zio aveva trattenuto tutto il denaro per sé, e io l'ho ricamato con i Voti della Sposa. Lui riesce a farmi sentire preziosa, degna di essere amata per quello che sono. Allo stesso modo, io amo lui per la vera luce che ha dentro e che lo fa essere più grande di un re. -
Dhalia si interruppe, lo sguardo sognante e il sorriso radioso. Poi batté le palpebre più volte e si riscosse, alzandosi di scatto.
- Devo andare - annunciò, poggiandosi sul capo la coroncina di fiori. Le margherite infilate tra le lunghe trecce castane raccolte dietro la nuca e le corone di fiori che le coprivano il petto la facevano sembrare una dea della natura. - Mi ha fatto piacere parlare con te, ma non posso attardarmi oltre. Spero tu possa trovare la strada per la tua Holy Shit. Buona fortuna e scusami se ti ho annoiato con i racconti della mia vita. -
La ragazza si girò per andarsene, ma l'uomo la bloccò.
- Aspetta! - esclamò, afferrandola per un braccio. Lei si voltò a guardarlo, con occhi dilatati dallo spavento. - No, ti prego, non avere paura - si affrettò ad aggiungere. - È che... io... io sento che non sono qui per caso ma che ci sia una ragione precisa se ho incontrato proprio te: sei tu l'unica a potermi mostrare la strada. -
Dhalia lo fissò stupita, incapace di rispondere. Avrebbe voluto essere in grado di aiutare quell'uomo, certo, ma cosa avrebbe potuto fare lei, che non era nessuno? Doveva essersi sbagliato con qualcun altro.
- Mi dispiace, signore - replicò, cercando le parole adatte. - Io non sono mai uscita da questa valle e non saprei indicare la strada a nessuno. Non sono io chi cerchi. -
- Dhalia, guarda dentro di te, ti prego. Hai un potere immenso - insistette lo straniero, ma lei fece un passo indietro, staccandosi dalla sua presa con un strattone.
- Io non so nulla! - ribattè, spaventata. Si mise a correre verso valle e, con il cuore in gola, si voltò appena per controllare di non essere seguita. Con un senso di sollievo, vide che l'uomo era rimasto fermo in cima alla collina a guardarla, con le braccia abbandonate lungo il corpo e l'aria sconfitta. Il senso di pena per la sua disperazione tornò a vincerla e rallentò fino a fermarsi.
- Vai ad Akçakel, la Citta dalle Mille Torri - gli gridò, voltandosi verso di lui. - Lì troverai studiosi e sapienti: loro sapranno aiutarti meglio di me! -
Lo vide scuotere la testa e portare le mani a coppa davanti alla bocca. - Ti aspetterò, Dhalia, fino a quando tornerai e mi sveglierai! -
La ragazza corse giù dalla collina a perdifiato, senza più fermarsi.

Giunta a valle, e certa di essersi lasciata ormai alle spalle lo strano incontro, decise di passare prima al torrente per rinfrescarsi il viso.
Rabbrividì, nell'immergere le mani in una delle gelide pozze che si formavano tra le rocce, poi attese che la superficie dell'acqua tornasse ferma per guardarsi. Il riflesso le restituì l'immagine di quella che lei riteneva una ragazza comune, se non addirittura banale. I suoi occhi e i suoi capelli avevano il colore della terra, mentre lei avrebbe desiderato possedere il cielo nello sguardo e l'oro nelle trecce come le fanciulle delle Terre del Nord. No, non si sentiva affatto attraente ma Nimel, il suo Nimel, le aveva detto che era dalla terra che nascevano i frutti e la vita. E che non vi era nulla di più bello, al mondo.
Sorrise e sistemò la coroncina di fiori di malva che le ornava il capo come i germogli di una terra fertile. Si aggiustò il fermaglio che fissava le trecce sulla nuca, unico ricordo della madre, e si avviò lungo la strada che portava a Kora, deviando per il sentiero attraverso il querceto, dove si trovava il tempio votivo del Sacro Fondatore.
Già in lontananza, notò il gruppo di paesani. Sostavano nella piazzetta del tempio immersi in una vivace conversazione in cui parevano parlarsi gli uni sugli altri. Si augurò di non essersi trattenuta troppo a lungo sulla collina e non aver fatto adirare nessuno, costringendoli ad aspettarla.
Affrettò il passo accorgendosi, con sorpresa, come la maggior parte di loro fosse abbigliata in semplici abiti da lavoro. Alcune donne portavano elaborate acconciature incomplete, come se fossero state interrotte durante i preparativi.
Quando la videro apparire sullo spiazzo dominato dalla statua del Sacro Fondatore, sul gruppo scese un improvviso silenzio. Molti abbassarono lo sguardo per non incontrare i suoi occhi.
- Cos'è successo? - domandò, preoccupata. - Perché siete vestiti così? Oggi è un giorno di festa: è il mio matrimonio! -
Nessuno le rispose, ma le persone iniziarono a spostarsi, rivelando alle loro spalle la presenza di un piccolo carro da fieno.
- Dov'è Nimel?! -
Questa volta la voce di Dhalia fu un grido. Un terribile presagio le assalì la gola, ma la ragazza si ostinò a ignorarlo. Avanzò verso il gruppo, cercando nei volti dei compaesani una risposta che le bocche tacevano ma che poteva leggere nei loro occhi.
- Oggi è il giorno del nostro matrimonio. Dov'è lui? -
- Dove sei stata? - la apostrofò con durezza la voce dello zio. L'uomo avanzò, facendosi largo a spintoni tra la gente.
- Io... io ero ai pascoli a raccogliere fiori e poi al fiume... -
- Al fiume!? - sbottò Ludov, indicando il carretto coperto da un lenzuolo. - È proprio lì che l'hanno trovato! -
Dhalia avvertì la terra mancarle sotto i piedi e barcollò. Riuscì a sostenersi aggrappandosi al piedistallo della statua del Sacro Fondatore e lottò contro la nausea che si era impossessata delle sue viscere. Fece appello a tutte le forze per raggiungere la sagoma nascosta, trascinando i piedi in mezzo alla gente che si faceva da parte, creando due ali tutt'attorno.
Con la mano percorsa da un tremito, riuscì a sollevare il lembo della stoffa macchiata di sangue e scoprì il volto del cadavere. Il volto del suo futuro sposo. Era livido nel pallore della morte, ad eccezione del profondo squarcio rosso che gli attraversava la gola.
Il dolore, fino a quel momento trattenuto, eruppe lacerandole il cuore e la mente. Cadde in ginocchio e tutto intorno a lei sprofondò nell'oscurità come se fosse stato inghiottito dall'abisso. Le sembrò che il corpo di Nimel levitasse senza vita nell'aria, mentre lei non era più in grado di respirare. Vagò con lo sguardo in cerca di un punto di riferimento, ma il mondo sembrava scomparso nelle tenebre, dentro un Nulla dove nemmeno l'alito della vita poteva entrare.
Boccheggiò ancora, senza riuscire a inalare aria. Poi la voce di Nimel la raggiunse nella mente.
- Dhalia, ascoltami: devi fuggire! -
Nimel! Non lasciarmi. Torna da me, ti prego! avrebbe voluto gridare, ma i polmoni le bruciavano implorando l'aria che non arrivava.
- Devi andartene. Lui ti sta cercando e ha già sguinzagliato i suoi Cacciatori per trovarti. Qui non sei più al sicuro. Vattene! -
Andarmene? Chi mi sta cercando? Oh, Nimel, ti prego: torna da me!
Cercò ancora di urlare, poi le tenebre l'inghiottirono.
Isabel Giustiniani
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