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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Writer Officina
Autore: Marta Beritelli
Titolo: Spiriti e vecchie candele
Genere Fantasy
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Spiriti e vecchie candele
Troppo silenzio assorda.

Mi sveglio di soprassalto. Sudata.
Un peso alla bocca dello stomaco, opprimente. Un senso di apnea di cui presto individuo la causa. Non è, come avevo temuto in un primo momento, un quanto mai prematuro attacco di cuore. È Conan, il gatto rosso a forma di vitello che condivide il mio appartamento insieme al fratello Kila, il quale ha mantenuto, forte del suo carattere polemico, la sua forma felina.
Si è acciambellato sulla mia persona con tutto il suo amore. Nove chili di amore, per l'esattezza. A quel punto mi sveglio, non poco stizzita, mentre lui mi guarda con sospetto. Sento spostare una sedia in cucina. Il divano che si assesta. La porta di casa che vuole aprirsi. Solita storia.
Guardo l'ora sul cellulare: sono le tre. Mai che fossero le una, che so, anche le due mi andrebbero bene. Macché, figurati, sia mai. Sempre a metà nottata. Scalzo il gatto dalla mia persona e lui si lascia scivolare come morto sul fianco, guardandomi con sufficienza.
Scivolo fuori dal letto, consapevole che tutti gli spigoli di casa mi stanno aspettando. Mi avvio verso la porta di camera. Primo spigolo, quello del letto, poi tocca al mobiletto di mia madre.
Mi arrendo e accendo la luce, mentre i gatti mi fissano compiaciuti. Mentre mi avvio verso il bagno, la sedia della scrivania arretra con un movimento casuale.
Esco dal bagno, mi avvio verso la cucina. Seduta sulla sedia c'e una signora corpulenta, uno sguardo sereno e gentile, sebbene un po' smarrito.
- Buonasera. - dico.
- Buonasera signorina - fa lei timorosa - lei è la tenutaria? - .
Ci metto un istante a rispondere, non è che alle tre di notte abbia questa prontezza... mi ci vuole una mezz'oretta buona. É che loro hanno poco tempo, ma soprattutto diverse identità temporali.
- Sì, cara Signora. -
Mi guarda imbarazzata. Si guarda intorno un po' nervosa, esamina attentamente il tavolo, poi fa un sorriso incerto.
- Mi scusi davvero signorina, mi rendo conto che le parrà inverosimile, ma ecco, vede... io ero in camera mia, quando ho sentito un rumore. Così sono uscita sul ballatoio con la candela per vedere cosa fosse, e devo essere sincera, mi è sembrato di aver sceso le scale, ma non ho ricordo di come sia giunta qui. Temo di poter essere sonnambula. Sono mortificata, ma le assicuro che non sono una malintenzionata - si ferma a prender fiato e mi guarda un po' spaurita.
Sorrido rassicurante - Ma certo, un caffè? Del te? - .
La signora espira rumorosamente come liberata da un enorme peso.
- Grazie grazie, un tè andrà benissimo. Senta, non mi giudichi troppo sfrontata ma... lei qui è la sola proprietaria? Voglio dire... - .
Capisco cosa vuole dire. L'ho capito quando ho visto il suo abbigliamento. Quando le epoche si sovrappongono è sempre complicato. Ormai sono diventata maestra nell'antica arte della menzogna.
- Oh, no, certo - la signora pare sollevata.
- Certo, mi scusi che domanda sciocca! Sa, l'ansia mi ha reso timorosa. - Le do corda mentre il bollitore brontola sul fuoco.
- Non si preoccupi, la domanda è lecita, data la situazione. Io vivo qui con il mio consorte, ma egli è in viaggio di affari e io bado alla casa e ad i servitori. -
La vedo contenta. Quando c'è un uomo sono sempre contente. Si sentono al sicuro.
- Crede che abbia sognato, sì? Siamo molto lontani da casa mia? - .
Eccoci.
- Dove si trova la vostra abitazione? - chiedo dolcemente.
- Oh, non posso aver camminato tanto. Io ho la mia villa qui, negli Hamptons - risponde sicura. Ecco, appunto.
- Ma certo, che sciocca. -
Pure stranieri adesso. Ed io in geografia ero una frana. Oddio, l'aria da americana benpensante la aveva, eh. Guardo l'orologio. Manca poco.
- Beh, adesso beva un bel tè caldo, poi uno dei miei servitori la accompagnerà a casa - noto che il suo sorriso si fa incerto, succede sempre verso la fine.
Notano il tavolo che, sebbene non lo sia, sembra metallo. L'orologio alla parete che sembra sciogliersi. Il mobile moderno con piano in acciaio e coltelli colorati e le sedie stilizzate e non certo di legno. Poi notano il lampadario e, per ultima, me. Pigiama di felpa con pantaloni, capelli fucsia, ciabatte con strani disegni.
- Oh, no, non si preoccupi. Non sono una malintenzionata, né una folle e lei si trova al sicuro. Vede, cara, lei è qui mentre aspetta il momento. -
Mi guarda con crescente timore.
- Lei mi ha detto di ricordarsi di aver sceso le scale - testa su e giù - poi si è trovata qui - ancora annuisce - quel che non si ricorda è che probabilmente è scivolata ed ha battuto la testa, il collo o altro ancora. -
Lascio che il silenzio la conduca dove deve. Sgrana gli occhi e si ferma senza respiro, sembra una bambola... poi mi guarda. Adesso è solo occhi.
- Io... io sono... morta? - annuisco sorridente - morta morta?! Ma non è possibile io... scendevo le scale... - guarda davanti a sé concentrata - adesso mi ricordo! Si era aperta la finestra e pioveva e io... pioveva - prosegue ora mormorando - pioveva e il pavimento era bagnato e sono scivolata - mi guarda attonita.
- E sono morta così? Sono semplicemente scivolata?! - annuisco piano - e allora come... cosa faccio qui?! Hai detto che aspetto, ma aspetto cos... - finalmente capisce.
- E tu chi sei - mi chiede - un angelo?! - .
Sorrido.
- Niente di più lontano cara. Io sono una persona come lei, che ha avuto la malaugurata sorte di avere qualche decimo in più, come mi piace dire. Per questo motivo mi è stato gentilmente chiesto, sempre se così vogliamo dire, di tenere compagnia a chi capita nei paraggi mentre aspetta. Cosa, non lo so. Ad un certo momento il mio gatto arriva, miagola e voi... beh, semplicemente sparite. -
- E chi te lo ha chiesto? - .
- Oh, in realtà nessuno me lo ha chiesto in modo esplicito. Arrivate, sostate e andate. Spesso siete tristi e confusi. Altre volte non mi vedete. Altre cercate di afferrarmi, come fossi un fantasma - sorrido di nuovo.
- E non avete paura?! - .
- Voi ne avevate quando vi siete ritrovata qui? - .
- Sì, moltissima!!! - .
- Ecco, io all'inizio avevo sempre paura. Poi ho capito che avevate più paura di me e che io potevo fare qualcosa. L'unica cosa antipatica è che arrivate sempre di notte, e così io dormo molto poco. -
- Poverina! Ma riuscite a riposare lo stesso? - .
Arriva Conan il ciccione e mentre miagola le rispondo sorridendo.
- Sì, perché alla fine ho scoperto che troppo silenzio assorda. -
Il bollitore fischia e lei è andata. Mi piaceva. Guardo Conan e gli faccio una linguaccia.
- Quelli simpatici li potreste lasciare qui un po' di più. -
Mi guarda con un' espressione eloquente.
-Umani, limitatevi ad essere carini e coccolosi, lasciate le faccende da grandi ai grandi.-
Se ne va con la sua camminata dondolante alla John Wayne ed io bevo il mio caffè in compagnia del mio libro, aspettando il prossimo. Sperando di poter semmai riposare almeno un paio d'ore prima della mattina.

BIANCO&NERO

Qualcuno mi sta massaggiando il viso.
Nel sogno sono in una SPA, mi stanno massaggiando il viso mentre ho due ridicole fette di cetriolo sugli occhi, come nei film.
Nella realtà era Conan, che con la sua ghiaccia e impietosa zampetta, stava cercando di svegliarmi in maniera altrettanto impietosa. Lo guardai con gli occhi semichiusi, con la mano gli scansai la zampa, girandomi nella speranza di tornare nella SPA.
Il ciccione si avvicinò all'orecchio e con il suo possente MAO!!! mi ricordò lo mio tristo destino.
Ma porca pupazza, ma questi dovevano sempre arrivare di notte? Va bene, sarebbe stato peggio se fossero arrivati a cena o a pranzo e avessi dovuto parlare davanti a tutti con una sedia vuota.
E allora alziamoci.
Tanto si gela e non trovo né ciabatte né felpa, che vuoi che sia.
Mentre i miei denti improvvisavano un tip-tap alla Fred Astaire, cercai disperata la felpa. Conan me la passò spingendola con il muso. Maledetto impiccione insistente.
Mi alzai barcollando dirigendomi verso la cucina. Perché era sempre la cucina, naturalmente.
Arrivai ai fornelli a occhi chiusi e, sempre più o meno ad occhi chiusi, presi la macchina del caffè.
Mi girai, ma ancora al tavolo non c'era nessuno.
Ma come, porta che cigola, gatto che rompe...nessuno in cucina?! Quantomeno sospetto. Ad ogni modo misi su il caffè che, visita o non visita, ormai era sul fornello.
Ad un certo punto, fra uno sbadiglio e uno stiracchiamento, sentii un rumore alle mie spalle, una specie di crepitìo. Mi girai, vedendo comparire e scomparire una figura. A linee prima, poi intermittente, poi un contorno con effetto neve all'interno... infine in bianco e nero. In bianco e nero?! Questa era nuova!
Mi girai verso il gatto. Anche lui mi guardò un po' perplesso. Sembrò quasi alzi le spalle. Continuai a guardare la figura in bianco e nero che appariva e scompariva.
- Un problema di rete nell'etere? Magari il segnale è disturbato - ridacchiai cercando la complicità dei gatti, che guardarono verso l'alto sospirando. Erano veramente stizzosi sti gatti, quasi quasi mene tornavo a letto e buonanotte a tutti!
La figura si stabilizzò.
- Buonasera. - dissi.
- Buonasera? - .
Era un po' scosso. Beh, vorrei ben vedere.
Mi scrutò attentamente e poi esclamò - Signorina ma lei è a colori! - .
Ecco, ora le avevo sentite tutte.
- Beh, sì, in effetti lo sono. -
- Fa male agli occhi, come fa a sopportare tanto colore?! Non le dà un senso di vertigine?! Santo cielo, lei è così... sgargiante! - .
- Mi... mi dispiace - balbettai. Poi mi resi conto di cosa stavo dicendo e alzai gli occhi al cielo. Bianco&nero continuò.
- Scusi ma lei chi è? E perché indossa un vestito così assurdo? - .
In effetti il mio pigiama, comprensivo della mia persona, non era quel che di più sobrio si potesse trovare. Completo muccato, con aggiunta di calzini verde fosforescente e capelli fucsia improbabile. Beh, sgargiante ero sgargiante, dovevo ammetterlo. Arrossii sorridendo.
- Lei piuttosto, è in bianco e nero. -
- Beh, mi sembra più appropriato - rispose stupito - troppo colore rende sfacciati non trova? - .
In realtà non trovavo.
Ma che tipo era questo? Da dove usciva, che ci faceva nella mia cucina? Non sembrava nemmeno stupito di esserci! La faccenda non quadrava. Guardai intensamente il gatto, il quale indietreggiò cautamente e scomparve.
Vigliacco.
- Senta... - ma non feci in tempo ad iniziare la frase che in un tremolio apparve un uomo in giacca e cravatta. Molto composto. Si guardò intorno spaventato.
- Oddio!!! Oddio ma cosasuccedechièleidoveso... - .
- Calma, calma - dissi - prenda fiato. -
L'uomo annuì, tremando leggermente. Cercai di rassicurarlo.
- Vuole un po' di caffè, sì?! - .
Annuì ancora. Gli versai il caffè, passandogli la zuccheriera. Mi sedetti. Non lo facevo di solito, ma questa faccenda doveva essere approfondita.
- Il signore mi sembra agitato - mi fece notare il mio amico Bianco&nero.
- Lo so. -
- Con chi parla, scusi? -
Mi girai verso il Signor Cravatta.
- Con quel signore accanto a lei. -
Mi guardò perplesso. - M-ma... non c'è nessuno accanto... a me... - balbettò perplesso.
Porca paletta!!! Questa era bella! Guardai Bianco&nero, il quale mi sorrise amabilmente, sollevando sornione un sopracciglio.
Inutile che usi questo trucco caro mio, mi alleno all'espressione ‘alla Spok' dall'adolescenza.
Mi girai verso il Signor Cravatta.
- Scusi, sono stanca - lo guardai sorridendo - mi racconti cosa è successo. -
- No, mi prenderebbe per matto. -
Gli presi la mano rassicurandolo - Prometto di non farlo - vedi che tentennava.
- Altro caffè? - .
- Sì... grazie. - Il caffè non falliva mai.
- Ecco, non so da dove iniziare - sorso di caffè - io ero in ufficio. Oggi c'era una riunione importante, ed io ero molto nervoso. Sa, io non sono ai piani alti, come si suol dire, sono un colletto bianco diciamo. Ma il mio superiore ha notato un progetto e... e non so nemmeno perché le sto raccontando queste cose. -
Pausa, altro sorso di caffè.
Bianco&nero mi guardò e mi strizzò l'occhio. Lo guardai attonita! Ma chi era questo tipo davvero?!
- Insomma, ero in ufficio - proseguì Cravatta - e ad un certo punto penso di aver avuto una crisi di panico. Ho provato lo spavento più grande della mia vita. Allora sono salito in terrazza. Per prendere aria, capisce? - Annuii dicendo che sì, capivo.
- Non so poi cosa sia successo. Io credo di aver avuto, che so, un capogiro. Ho sentito un forte colpo di vento e poi ero qui. -
Mi guardò confuso. Io guardai Bianco&nero di sottecchi e vidi che annuiva come ad incoraggiarmi.
- Senta, non so bene come spiegarlo. Mi rendo conto che dal vento ad una donna in un pigiama muccato che le fa il caffè, il salto è notevole - cercai anche io le parole nel caffè - lei ha detto di ricordare come ultima sensazione il vento, ma era fermo sulla terrazza. Come si spiega la sua presenza qui? - .
Mentre aspettavo la risposta, il mio amico scolorito scosse pazientemente la testa.
Cravatta mi guardò con un'espressione che avrei definito a vacca stupefatta. Sì, rendeva perfettamente l'idea. A questo punto provai un'altra strada.
- Dunque, eravate sulla terrazza a prendere aria perché eravate nervoso - aspettai che proseguisse.
- Ah, sì ecco! Ero in terrazza e all'improvviso ho sentito un senso di mancamento. Ho avuto l'impressione di perdere contatto con la realtà. E poi quel vento... - si fermò e alzò la testa di scatto, guardandomi stupefatto. Aveva capito.
- Io... sono cascato vero?! Sì, ho perso l'equilibrio e sono caduto. Sono morto - una semplice constatazione. Il mio amico Bianco&nero annuì soddisfatto.
- E allora lei chi è? Una guida, come in quel film che poi vedono la luce... - . Sorrisi negando.
- No, no. Io non so niente di luci e nemmeno ho la patente, se è per questo. Ogni tanto trovo qui qualcuno che non sa dove è, oppure lo sa ma non vuole saperlo o cose così. Io faccio loro compagnia e quando è il momento... beh, vanno. -
Mi guardò sorridendo - È molto carino da parte sua. -
Sorrisi anche io un po' imbarazzata. - Oh, non è gran cosa. E poi io soffro di insonnia, sa... - .
Miagolio.
- Ad ogni modo graz... - . L'ultima cosa a scomparire fu il suo sorriso.
Mi girai verso il mio invisibile amico. Mi guardò ancora soddisfatto.
- Niente male, cara, niente male. -
- Insomma, ma chi è lei e cosa fa qui? - .
- Oh, ma io sono solo curioso. Vede cara, io faccio questo mestiere da secoli ormai e mai avrei pensato che una persona così inadeguatamente colorata... - .
- Sì, abbiamo capito che grazie al mio abbigliamento notturno, da qualche parte un arcobaleno sta piangendo, vogliamo tornare al punto?! - .
Mi guardò per metà infastidito e per metà divertito.
- Il punto è che io avevo scommesso contro di lei. È evidente che prende il lavoro sottogamba e poco seriamente, oltretutto si veste in questo modo poco professionale ed approssimativo... - .
Lo guardai incredula.
- Primo, questo non è il mio lavoro! Secondo questo non è un vestito, ma un pigiama! Perché è notte e la gente normale dorme. E dorme con il pigiama! Ha mai visto qualcuno andare a letto con la bombetta?! - presi fiato e lo guardai con fiero cipiglio, o almeno ci provai.
- Signorina, ehm, non vorrei contraddirla, ma anzitutto questo è un lavoro, lo chieda pure ai suoi gatti. In più è notte per lei. Per i suoi ospiti è l'ora in cui arrivano. Per questo sono stupiti dal suo buff... dal suo personalissimo abbigliamento. -
Certo. Ora tutto aveva un senso.
- Sono pazza. Alla fine, doveva succedere. Lei è una proiezione del mio inconscio, che mi sta mostrando la verità. Ovvero che sono pazza. -
- Temevo avrebbe reagito così, facciamo una cosa: io le lascio il mio orologio. -
Oddio – pensai - pure questo è in bianco e nero. -
- Quando sarà pronta a parlare del suo lavoro, mi potrà contattare. -
- E come la trovo? Non so nemmeno come si chiama! - .
- Beh, può continuare a chiamarmi Bianco&nero, se le fa piacere - sorrise sornione - per il come, basterà aprire l'orologio e puntare sulle tre. È quella l'ora in cui arrivano, giusto?! - .
Balbettai un sì. Feci per aprire bocca, ma lui mi precedette.
- Oh, cara, non mi ringrazi, è stato un piacere! Ora torno indietro e gli dico che aveva ragione. -
Lo guardai curiosa. - Chi? Chi aveva ragione? - .
- Ma suo padre cara! Chi altri? - .
E sul mio - aspetti - era già scomparso. Ripensai alle sue parole: mio padre?
Insomma, papà, in che guaio mi hai messo, che stai combinando! Ma anche dall'aldilà mi fa gli scherzi! Non c'è pace fra gli ulivi.
Mi girai e guardai i gatti.
- Lo sapevate voi piccoli infami? - .
Mi fissarono con occhi esageratamente innocenti, indicando la camera.
- Sì. - dissi - torniamo a letto. E speriamo bene. -
Mi riaddormentai, sicura che non mi sarebbe toccata la SPA, anche se ero certa di meritarmela.


FOLLA IN CUCINA

Mi girai e rigirai nel letto. Avevo un brusio di voci in testa che mi impedivano di dormire. Nel sonno mi chiesi se il brusio fosse nella mia mente o provenisse dal misterioso nuovo vicino, che a quanto pare difettava nell'udito, dato che sia la musica che la televisione andavano sempre ad un volume talmente alto che a volte mi sembrava di abitare sopra una discoteca.
Mi alzai. Niente gatto ciccione. Uhm, sospetto...
Sentii ancora le voci e, non essendo Giovanna d'Arco, diedi subito la colpa al malefico vicino. Armata di sacro furore, ira dei giusti, giramento dei cosiddetti, o come lo vogliate chiamare, uscii come una furia di casa bussando alla sua porta, completamente dimentica delle mie condizioni.
Niente.
Ri-bussai.
La mia mano si fermò, quando realizzai che c'era silenzio oltre quella porta, non il solito casino.
Ommapporcaput... e mentre mi fiondavo letteralmente verso casa, la porta ovviamente si aprì.
Legge di Murphy.
- Mmmmsì?! - disse una forma amorfa dalla porta.
Che fare ormai? Tanto vale fare dell'ironia. E poi la vendetta non è forse un piatto da gustare freddo?
- Oh... - dissi con occhi da cerbiatta - scusa ho sentito casino e solitamente... ma stavolta non sei tu, quindi... buonanotte - aggiunsi allegramente.
Mi sentii chiamare - Ehi! - .
Mi girai con la faccia dell'innocenza - Sì?! - .
- Scusa se non mi sono mai presentato, non mi ero reso conto di avere dei vicini. -
Beh, che dire, è probabile che la musica assordante coprisse il resto dei suoni nel giro di chilometri. Ma poiché mi sentivo in colpa per averlo svegliato, sorrisi.
- Sì, sai, sono un tipo silenzioso. -
Si fece avanti ancora assonnato - Io... Luca. - Ridacchiai.
- Io Jane - mi guardò allibito - ehm, scusa, sono Marta. Sai, la notte sono... - vidi che mi fissava - che c'è?! - .
- Hai un pigiama giraffato - sorrise.
Caz...
- Ehm, sì... perché... beh, così la mattina almeno mi sveglio di buonumore... sai, guardandomi allo specchio. -
Mi guardò con gli occhi socchiusi. Sembrava poco convinto, ma siamo sinceri: non c'è una reale spiegazione ad un pigiama giraffato.
- Ok - disse.
- Ok - risposi - allora scusa ancora, adesso vado. -
- Non ti preoccupare. -
Rientrò in casa. Anche io rientrai, dirigendomi furiosa verso la cucina. Ma che cav... la mia cucina era piena di gente!
- Ehi - tentai, ma in tutto quel chiacchiericcio la mia voce sfumò nel nulla.
- Scusate? - Niente.
Nel mentre arrivò il ciccione stropicciandosi gli occhi in modo decisamente umano.
- E tu dove cavolo eri?! Ci sono almeno una dozzina di persone nella mia cucina, ho appena fatto una figura barbina con il mio rumoroso vicino, e tu dove eri? - .
Indicò la camera con la testa.
- Era una domanda retorica, grasso felino. -
Stizzito si affacciò alla cucina. Sgranò gli occhi guardandomi sconvolto.
- Che ti dicevo? - .
Si girò e dopo qualche secondo arrivò anche Kila. Stessa scena. Si avventurarono in cucina e io li seguii.
- Scusate?! - Niente.
Ok, per citare il dott. Venkman 'la routine non funziona'.
- OOOH!!! Attenzioneeee!!! - .
Funzionò. Si girarono tutti. Notai che erano quasi tutti appartenenti ad epoche diverse.
Questo. Non. Andava. Bene.
Poiché continuavano a guardarmi, mi schiarii la voce.
- Scusate, Signore, Signori e... altro. Mi presento, sono la proprietaria di casa. -
Una donna corpulenta con l'espressione a mal di corpo si avvicinò.
- Di grazia, e per quale motivo mi trovo qui? - mi squadrò come fosse allo zoo.
Avrei voluto dirle che probabilmente, un marito esausto e afflitto da orchite l'aveva spinta giù dalle scale. Invece, risposi cortese.
- Signora questo vorrei saperlo anche io - la superai e mi piazzai al centro della stanza.
Si fece avanti un bambino - Questo è un sogno? - .
Mi si strinse lo stomaco, non avevo mai avuto un bambino nella cucina. E ora?!
- Se lo è piacere, io sono Marta, ti piacciono i biscotti? - .
Alla parola biscotti il piccolo si illuminò. - Io sono Robert e adoro i biscotti! - .
- Bene - dissi io, tirando fuori un mega contenitore pieno di biscotti di tutti i tipi. La faccia del piccolo sparì nel contenitore. Mi girai trovando ancora la folla che mi osservava. Feci un sorriso tirato.
- Torno subito. -
Corsi in camera e rovistai fra orecchini, collane e bracciali, tutti ordinatamente attorcigliati insieme. Sembravano un unico polipo di metallo.
Dove era l'orologio di Bianco&nero?! Ma insomma!
Lo trovai appassionatamente avvinghiato alla mia collana snake. Presi l'orologio correndo in cucina. Guardai la folla e puntai l'orologio sulle tre. Subito sentii il crepitio della volta scorsa, pochi secondi e Bianco&nero comparve. Mi guardò attonito.
Lo guardai perplessa. - E questo come lo spieghiamo?! - .
Mi guardò serio annuendo. - Non lo so, sinceramente non credo che ci sia una spiegazione al suo pigiama, mia cara. -
Sgranai gli occhi, per poi assumere uno sguardo offeso, gli occhi ridotti a fessure.
- Io non parlavo del pigiama - sbottai esasperata - ci sono almeno dieci persone nella mia cucina! - .
Osservò la scena.
- In effetti, cara, mi chiedo perché non li abbia smaltiti uno alla volta - e si accarezzò il mento con aria interrogativa.
Lo guardai basita. Smaltiti?! Ma insomma, io smaltivo persone? Chiusi gli occhi inspirando a fondo, ricordando le lezioni di tai chi. Espirai e con un sorriso mieloso guardai Bianco&nero.
- Smaltiti?! - .
- Shhh - mi fece lui - li spaventa. -
Stavo perdendo la poca pazienza di cui l'Onnipotente o chi per lui mi aveva dotata.
- Cara, le spiego. Non è che noi possiamo fare tutto da soli, abbiamo bisogno di un aiuto - lo interruppi.
- Chi sareste voi? - .
Mi guardò severo - Lo sa che la troppa curiosità denota maleducazione? - .
Feci per ribattere, ma mi fermò con un gesto della mano.
- Non ho tempo, mi ascolti: come dicevo abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti. Le persone che sostano da lei trovano da sole la risposta al dove, al quando e al come. Realizzano cosa è successo e quindi possono passare e non soffrono nella transizione fra la vita e la morte - ero sconvolta - Cara, ci sei o devo trovarmi un altro collaboratore, magari dotato di abbigliamento più appropriato? - .
Continuavo a fissarlo. Mi guardò sconfortato e, come fossi scema, mi ripeté scandendo le parole.
- Ha. Capito. Cosa. Ho. Detto?! - .
Mi riscossi, guardandolo torva.
- Questa dopo me la spiega - guardai la cucina sull'orlo del panico - e ora cosa faccio? - Sospirai.
- Beh, per questa volta la posso aiutare, ma non può accumulare deceduti così. Non è professionale - alzai gli occhi al cielo e lui continuò - come il suo abbigliamento. Suo padre mi aveva avvertito, ma credevo esagerasse. -
- Ecco, a proposito di questo- - .
- Ah no, ora si lavora. Lei prenda i cinque a sinistra. -
C'era anche il bambino.
- Ehm, signor Bianco&nero, io i bambini...ecco, non ho mai avuto a che fare... - .
Mi sorrise teneramente, cosa che mi inquietò quasi più del suo colore. - Sarà bravissima cara - e si diresse verso gli altri.
Ovviamente sapeva benissimo cosa intendessi, ma mi aveva abilmente fregato. Dovevo ammetterlo, era un osso duro il nostro amico bicolore. Guardai gli altri cinque.
- Caffè? - .
Dopo un'ora ero sfiancata e isterica, grazie a tutto il caffè che avevo dovuto bere. Il mio amico Bianco&nero era fresco come una rosellina di maggio. Si sedette di fronte a me. Lo guardai. Mi guardò.
- Ok mi arrendo, che succede, perché tutti insieme e chi siete voi? E che c'entra papà? - .
Si accomodò sulla sedia. Sembrava valutare se spiegarmi qualcosa o meno.
- Ha del tè o beve solo quel barbaro liquido? - .
Ma da dove usciva questo? Perché a me?
- Ho tè in bustine, oppure per infusione ho foglie di tè verde, nero, o misture d'India...cosa preferisce? - .
Mi guardò stupito e fece un sorrisino ironico. - Touché. Tè nero andrà benissimo, grazie cara. -
Impassibile il mio amico. Misi il bollitore sul fuoco. Presi una bustina di tisana rilassante per me e preparai la tazza. Poi porsi una tazza al signor Bianco&nero. Zucchero. Latte. Cucchiaini.
Fischio del bollitore, preparazione del tè, rumore di cucchiaini ( il mio, perché quello del mio amico sembra fatto di aria).
- E...?! - incalzai.
- Anzitutto, per quanto stia iniziando ad abituarmi al suo inusuale abbigliamento, quantomeno la prego di indossare dei calzini normali, anziché questi fosforescenti. Mi dica che lo farà, la prego. -
Lo guardai. Era il ritratto della serietà.
- Ma i pigiami non si toccano. E se li cambierò, saranno comunque meno sobri di quel che lei si aspetti. -
Sospirò.
- E sia. Suo padre mi aveva detto che sarebbe stato difficile farle seguire le regole, ma in fondo l'abbigliamento è la cosa meno importante. -
- Allora, le dico quello che per ora le posso dire. Anzitutto noi siamo Consolatori. Le anime delle persone, quando muoiono subiscono un grave trauma, a meno che il decesso avvenga naturalmente - ovvero malattia o anzianità. Non essendo pronte al passaggio, sono spaventate e atterrite, non sanno cosa stia succedendo, perciò rischiano di perdersi o di svanire semplicemente nel nulla. Questo sarebbe ingiusto e anche triste. Purtroppo, queste anime sono tante e quindi abbiamo bisogno di un aiuto da parte di persone particolari. E una di queste è lei. Mi chiedevo come mai non la avevamo trovata prima. La verità è che non ne avevamo idea, perché per lei è talmente normale avere presenze a giro, che anche lei veniva percepita come tale. Vede, io passeggio spesso, mi rilassa. È così che ho conosciuto suo padre. Ha ascoltato per lungo tempo i miei sfoghi, per poi, alla fine darmi un nome. Il suo. Gli chiesi chi fosse e lui mi rispose che era sua figlia. Ero un po' scettico. -Fidati- mi disse -ha un carattere un po' particolare. Sono sincero, non ti sarà facile gestirla. Ma se conosco bene la mia bambina, credo che risolverà il tuo momentaneo problema-. -
Lo osservai, ancora un po' scettica.
- Mi disse ancora: -Facciamo così - continuò Bianc&nero - tu inizia a segnare la sua casa come passaggio di affiancamento e guarda come reagisce. Scommetto che ti stupirà-. E difatti così è stato. Soddisfatta? - .
- Insomma... non so se sentirmi sfruttata o orgogliosa, ma soprattutto mi sento un po' inadeguata. Non avete che so, un manuale? - .
- Ma certo che no! Questa cosa o la hai o non la hai. È questione di cuore. Ad ogni modo ti abbiamo mandato un aiuto. Uno dei migliori. Anni di esperienza - non so perché ma ebbi un terribile presentimento - lo abbiamo messo... - .
- Nell'appartamento davanti - finii per lui.
- Ah, lo conosce?! - .
Lo guardai sorniona. - Mi scusi, una domanda, così sa, per capire bene. -
- Mi dica cara. -
- Io ho pigiami sgargianti, calzini inappropriati, capelli ingestibili ed un comportamento non proprio da manuale ed il meglio che trovate per aiutarmi è un pazzo scalmanato che tiene televisore e stereo a tutto volume per il novanta per cento del tempo? - . Mi guardò serio.
- Ma certamente. - Rimasi a bocca aperta. In quel momento dovevo sembrare un luccio.
- Certamente? Ma come certamente?! - .
- Vede, lui è specializzato in adolescenti problematici. Per questo casa sua sembra sempre una festa a chi arriva. - Sorrise soddisfatto.
- Ah! - dissi - e vi lamentate della mia cucina e del mio caffè? - incrociai le braccia al petto - mi sento offesa. -
- Su, su, lei è bravissima. È anticonformista certo, ma sta dimostrando grande propensione per questo delicatissimo lavoro. Pensi a quanto era tranquillo il bambino quando ha capito - . Arrossii.
- Bene, io vado che ho molto da fare e poi anche se è nuova non posso fare favoritismi. Dirò al suo vicino di passare domani notte a vedere come se la cava. Arrivederci cara. -
- Arriv... - .
Era già sparito. In questo momento maledissi il fatto di non poter fare una seduta spiritica per litigare con papà.
Ma dove erano i gatti a proposito?! Andai in camera, dove li trovai spaparanzati sul letto.
- Questa me la pagate, fannulloni - mi guardano implorando un perdono di cui in realtà non gli interessava.
- Spostati ciccione, questo lato del letto è mio. - Lo scansai, spensi la luce e sperai di riuscire a prender sonno.

IL VICINO MATTINIERO
Driiiiiiin.
Driiiiiiiiiin.
Driiii...
- Ho capito - urlai gettandomi giù dal letto pronta a sgozzare il disturbatore mattutino.
Giuro, se è uno di quelli che vuole vedere la bolletta l'unica cosa che vedrà sarà il mio pugno che si abbatte sul suo naso – pensai aprendo la porta di scatto come una furia.
- Sì! - urlai.
Mi ritrovai a parlare con il petto del presunto disturbatore. Un disturbatore incredibilmente alto.
Sbuffai alzando il viso, facendo una smorfia per la troppa luce.
- Cosa. C'è. - ripetei ringhiando. Il gigante fece un sorriso divertito.
- Non hai il pigiama giraffato?! - .
Lì per lì mi domandai se fosse uno stalker, non si spiegava altrimenti come potesse sapere del pigiama giraff... oh, porca miseria.
Il vicino rumoroso. Il mio ‘affiancamento' notturno.
Che palle.
Mi guardai. Avevo due parti di pigiama diversi. Il sotto viola e il sopra verde e calzini a righe colorate. Mi resi conto di avere mezza faccia coperta dai capelli.
- No, - sorrisi tetra - ieri sera ho fatto esplodere un arcobaleno in camera. -
Continuò a sorridere. Cazzo sorridi, è l'alba.
- Senti è l'alba, che vuoi coso. -
- Veramente sono le undici. -
- Appunto, io mi addormento alle sei - lo guardai ancora - mmmmm... cosa.vuoi.da.me. - esclamai esasperata.
Entrò superandomi e dirigendosi in cucina - Un caffè potrebbe andar bene. -
Restai sulla porta, bocca aperta e occhi sgranati. Che subito diventarono due ostili fessure. Entrai a passo spedito in cucina.
- Senti coso - dissi a denti stretti - anzitutto si chiede permesso, poi non so chi sei, non me ne frega nemmeno niente ed infine non mi sembra di averti invitato - lo guardai inorridita - ehi! Non toccare la mia caffettiera! - .
Mi guardò confuso - Ehi, è solo una caffettiera... - .
Mi avvicinai lentamente. Alzai lo sguardo, sorridendo serafica.
- Se non levi le mani dalla mia caffettiera, io ti strappo il cuore e lo do in pasto ai cervi - .
Mi guardò perplesso.
- ...vorrai dire ai cani... - .
- No. Ai cervi, che ci mettono di più, perché gli fa schifo. -
- Per caso hai problemi di gestione della rabbia? - chiese serio.
- Per caso hai problemi di gestione degli spazi personali?! Guarda che sei tu che sei entrato - non invitato - in casa mia prendendosi certe libertà con la mia caffettiera - lo guardai feroce... o almeno così sperai. La mattina avevo le espressioni un po' confuse, tipo... invece di sorridere ringhio, sono arrabbiata e rido, voglio mangiare e faccio la giravolta... cose così.
- Perché sorridi?! - .
Appunto.
- Senti... io la mattina non parlo, capisci? Odio parlare. È già tanto se cammino invece di fare il bruco. E, non per essere petulante, ma non ti ho invitato ad entrare. -
- Difatti - rispose compito - per non farti passare da maleducata ho fatto conto tu lo avessi già fatto. -
Dio, dammi la forza. Questo è proprio una creatura di Bianco&nero!
Lo guardai torva, strappai la macchinetta del caffè dalle sue mani bofonchiando stizzita, iniziando a preparare il caffè.
- Non ci stai mettendo troppa acqua? - .
- Coso, primo: no. Secondo, indietreggia lentamente verso il tavolo, siediti e ti prego, ti scongiuro, taci almeno un minuto! - Sul finire della frase avevo alzato un po' il tono con fare isterico.
Indietreggiò. Sedette. Tacque.
In fondo non era male quando non parlava. Era persino simpatico. Dopo aver messo la caffettiera sul fornello, mi avvicinai alla tavola e spostai la sedia, appoggiando la faccia sul tavolo con le braccia lungo i fianchi. Percepii la perplessità nel suo silenzio.
- La mattina ho la testa pesante - mi resi conto della cretinata che avevo detto e sorrisi al tavolo - nel senso che la luce mi dà fastidio, le miei idee sono ancora tutte abbracciate e quindi non so dove sono, né cosa devo fare. Sto qui con la testa appoggiata mentre aspetto il caffè. -
- Ok. -
Alzai la testa di scatto, chiudendo poi gli occhi e maledicendomi per averlo fatto. Girava tutto. Cercai di ricompormi.
- Hai detto ok? - .
- Certo. Direi che hai spiegato la situazione in maniera più che logica, perciò non ho niente da obiettare. -
Mi chiesi per un attimo se mi stesse pigliando per i fondelli, ma era serissimo.
Era il figlio segreto di Bianco&nero, non vi erano dubbi.
- Certo - proseguii dolcemente come se avessi davanti un miominipony - è tutto molto logico. Ora però mi verso il caffè, che almeno mi rendo conto del perché la copia a colori del mio misterioso amico crepitante sia nella mia cucina all'alba. -
- Ribadisco che sono le undici - sorrise con benevolenza.
Sospirai e alzai gli occhi al cielo, non dovevo perdere la pazienza, se avessi iniziato la mattina litigando con il demente, la mia giornata ne avrebbe risentito. Quindi con tutta la calma di questo mondo gli feci una proposta.
- Voglio iniziare la nostra collaborazione con il piede giusto, quindi te lo ripeterò di modo che tu possa capire: io. mi. addormento. alle. sei. perché. casa. mia. è. piena. di. persone. -
Lo guardai per assicurarmi che avesse capito. Lui mi fissò, sorrise, per poi scandire - Brava. è. il. tuo. lavoro. -
Sentii che mi stava tappando la vena. ma come si permetteva sto... coso?
- Ok, uomo-giraffa, facciamo così: se io ti offro un caffè, prometti che mi lasci svegliare in santa pace e torni dopo pranzo?! Tipo le tre e mezzo? - .
- Hai detto dopo pranzo - disse perplesso.
- Scusa hai ragione, dopo il mio pranzo, quindi a quell'ora. Che fai, ci stai? - .
Alzò le spalle - Ok, va bene. -
- Perfetto! - esclamai entusiasta battendo le mani. A quel punto mi diressi verso l'ingresso, tornai in cucina con il portafoglio, gli passai un euro e dissi - Ecco, un caffè! Appena esci giri a destra, poi attraversi la strada e trovi un bar che fa un caffè fantastico! - .
Mi guardò attonito mentre continuavo a porgergli la moneta.
- Beh? - dissi sostenuta - che c'è?! - .
Scosse la testa sorridendo e prese l'euro.
- Mi avevano avvertito che sei un po' fuori dalle righe. -
Lo guardai con noncuranza - Già, così dicono - sospirai rumorosamente.
Alzò le mani in segno di resa - Ok, ok vado! - . Sorrisi.
- E bravo, uomo-giraffa! - .
- Ma tu non mi chiamare più uomo-giraffa. -
Feci finta di rimanerci male. Poi pensai che in effetti non fosse carino.
- Uff, che stizzoso che sei. E allora come dovrei chiamarti scusa?! - dissi esasperata.
- Ehm... con il mio nome?! - .
- Va bene, come ti chiami? - .
Mi guardò per capire se stessi scherzando.
- Ma se te lo ho detto ieri sera! -
- Eh, nonono, caro mio! Era stanotte e avevo duemila persone in cucina. Ora, secondo te, mi dovrei ricordare il tuo nome? Ero nel pieno della bufera spirituale! - .
- Ma se ancora non sapevi di avere gente in cucina! - .
- Oh, - risposi - cosa sei, la mia memoria pregressa? Insomma, come ti chiami? - .
Scosse la testa sconsolato - Luca. Mi chiamo Luca. -
- Perfetto. Luca-giraffa è meglio di uomo-giraffa, andrà benissimo. -
Si alzò.
- Vado a prendere il caffè, ragazza-pigiama. -
- Ehi, come sarebbe ragazza-pigiama? Qui battezzo solo io, ognuno ha il suo ruolo. Io battezzo, tu assisti. -
- Guarda che io non assisto... io insegno! - ridacchiò.
Feci svolazzare la mano con noncuranza - Vedremo - e liquidai la faccenda - ora va' caro, ci vediamo dopo! - Sorrisi soddisfatta.
- Tu sei pazza - salutò con la mano e se ne andò scuotendo la testa.
Bevvi il mio caffè con calma, godendomi l'attimo. Finalmente il silenzio.
Driiin! Driiin! Driiin!
E allora vaff...

NON DISCRIMINIAMO LE GIRAFFE
Erano le tre e mezzo del pomeriggio.
Questo implicava che Luca-G stava arrivando per darmi alcuni ‘ragguagli', come diceva Bianco&nero, su come svolgere al meglio il mio lavoro.
Uff. Lavoro. Io veramente il lavoro lo avevo già: raccontavo storie ai bambini il pomeriggio dopo scuola. Alcuni di voi diranno che ci sono lavori migliori.
Vero, ma prima di tutto non contemplano la presenza di uno o più bambini, secondo non permettono di indossare buffi costumi e terzo, ma non meno importante, non permettono di farlo a pagamento!
Quindi era il lavoro migliore del mondo.
Ma, a quanto pare, per i miei colleghi consola-anime non era cosa seria, perciò oggi avevo dovuto scusarmi in tutte le lingue, compreso l'aramaico, con le mamme dei miei bimbi per ascoltare le truci bestialità di Giraffo.
Come si può regolamentare qualcosa che non ha regole?! Le persone che appaiono nella mia cucina sono di sesso, epoche e età differenti. Arrivano fra le tre e le sei di mattina. A volte chiedono un caffè, altre un tè, a volte si arrabbiano, piangono, cercano di afferrarmi come se credessero di vedere un fantasma. Insomma, che cosa vuoi regolamentare?!
Eppure, Bianco&nero sosteneva che così è fosse. C'erano regole e comportamenti da tenere in questi casi. Aveva promesso di soprassedere sui miei pigiami o sul mio abbigliamento in generale, quindi che altro poteva esserci da discutere?
Arrivavano, capivano, andavano.
Il gatto mi svegliava, spariva, tornava, miagolava e andava via. Io mi intossicavo di caffeina, aspettavo, tornavo a letto e mi svegliavo la mattina ad orari improbabili. Sempre che qualcuno molto alto non mi svegliasse presto.
Tutto qui. Cosa ci sarebbe mai stato di complicato?
Driiiin! Driiiin! Driiiin!
Eccolo qua il mio insegnante.
Aprii la porta e me lo trovai davanti tutto sorridente.
- Uellà. -
- Uellà anche a te. Sei super puntuale. -
- Beh, la puntualità è un requisito essenziale. -
- Per cosa? - .
Mi guardò curioso. - Ehm, per tutto? - .
Ridacchiai. Mi guardò. Non stava ridendo.
- Ah. Sei serio. Scusa, pensavo stessi scherzando, sai io sono puntuale solo ad anni bisestili. -
- Sì me lo hanno detto... - .
Oh, ma chi erano questi che andavano a dire tutte 'ste cose? Ma soprattutto, che volevano da me? Ma che chiacchieroni!
Questo ambiente mi stava sempre più stretto e, considerando che ci ero dentro da due giorni...
- Allora - dissi mentre mi riempivo la bocca con una fetta biscottata trovata non so dove - spara. Dimmi come dove quando e perché. Regole, regolamenti, comma, virgole, dire, fare, baciare, lettera e testamento. -
Mi guardò con disappunto.
- Anzitutto stai spargendo briciole su tutto il tavolo... - .
- Il mio tavolo - bofonchiai.
- ... ed inoltre sembri quasi seccata dalla mia presenza. -
Sbarrai gli occhi con fare drammatico e mi portai la mano al petto come se fossi sorpresa.
- Come puoi anche solo pensarlo? - poi lo guardai con gli occhi a mezz'asta - ti ricordo che tu sei quello che mi tiene sveglia il giorno con la musica a palla quando sono in casa. E la notte manca poco non riesco a parlare con i miei ospiti, da quando sei arrivato - lo osservai con occhi da cerbiatta - perché mai non dovrei volerti in casa mia? Questionando tra le altre cose sulle briciole che spargo sul mio tavolo. -
Mi guardò indifferente.
- Quindi il problema sarebbe? - .
Eh, va be' però, figlio, sei de coccio...
- Vedi Giraffo, il fatto è che, da quando ho ospiti vaganti per casa, dormo male e poco. Però non ho mai avuto problemi nel fare quel che devo fare. Certo, non so assolutamente cosa sia, ma non ho problemi a farlo. -
- La mia vita era già molto caotica quando, dal nulla, una notte compare un tipo in bianco e nero, in perfetta antitesi con la mia coloratissima persona, il quale critica il mio pigiama e mi spiega che non faccio bene il mio lavoro. Magari mi sarebbe piaciuto sapere che questo era un lavoro, prima di trovarmi ospiti vaganti e gatti miagolanti per casa. Ma ho soprasseduto e ho continuato a fare quel che sembrava dovessi fare. - Inspirai.
- Poi una sera, bello fresco, Bianco&nero mi comunica che il mio vicino rumorosissimo non solo è un onesto consola-anime, ma suo adorato ed efficiente discepolo, lo quale accorrerà in mio aiuto data la mia scarsa esperienza lavorativa e stilistica. Ora, va bene tutto, ma davvero... cosa vogliamo regolamentare qui? La fornitura di caffè? La sagomatura delle sedie? Cosa? - .
Mi guardò impassibile. Lo trovavo davvero irritante. E troppo alto, mi faceva sentire una nana da giardino. Lo guardai ostile. Niente. Nessuna reazione.
- Hai finito?! - .
Lo guardai disinteressata e risposi con leggerezza.
- No. Ho comprato un pigiama ad unicorno - mi fissò in silenzio - ed ha il corno. -
Si mise la mano sulla fronte esasperato.
- Non puoi accogliere le anime vestita da unicorno! - esclamò irritato.
- Ooooohhhh! Allora un po' di umanità ce l'abbiamo, coso alto! Animo! Temevo fossi fatto di cera. E comunque: perché no?! - .
Sospirò afflitto.
- Perché - spiegò paziente - se ti occupassi di bambini andrebbe bene, ma tu ti occupi di... di tutti ecco. -
- Ah! - esclamai - e perché? Chi l'ha deciso? E se io volessi occuparmi di bambini in modo da vestirmi da animaletti vari? - .
- Non puoi - sentenziò impietoso.
- E perché?! - .
- Mi spiace, ci sono passaggi che vanno rispettati. Tappe obbligate, diciamo. Tu hai iniziato da poco, sei giovane, devi farti le ossa. -
Lo guardai esterrefatta. - Questa è una cretinata. -
Mi incenerì con lo sguardo, poi con fare saccente sollevò un didattico dito per affermare che all'inizio si deve fare esercizio (esercizio?) con anime di ogni tipo.
Poi si fa un esame per capire quali siano le anime con cui si interagisce meglio o si ha più affinità (quindi era deciso, io con i bambini) poi c'è un passaggio di specializzazione e poi... - .
- Hai vinto un mappamondo! - esclamai io alzando le braccia entusiasta. Mi guardò confuso.
- Pulp Fiction? No?! Sei un tristo essere - scossi la testa avvilita - continua pure, scusa. -
- Ed infine Bianco&nero fa la sua valutazione secolare e... - .
- Spettaspettaspetta! Secoche? Secolare? Oh, uomo, fai notare al tuo sbiadito capo che io sono umana! U-ma-na! Noi abbiamo una scadenza, come lo yogurt! - .
- Ma lo sa, scemina. -
- Ascolta coso, se vuoi fare altro, oltre vegetare, chiedi scusa. -
- Io mi scuso solo ad anni bisestili - mi guardò ridacchiando soddisfatto.
Maledetto, stava usando le mie parole contro di me! Lo odiavo.
- Se diventi un'effettiva allora non muori, mi sembra ovvio. -
- Un'effettiva?! Ma che è, un'agenzia interinale? Oddio mi avete preso anche voi a contratto a termine! Mannaggia... - mi accarezzai il mento facendo finta di avere un'intuizione geniale.
Mi guardò severissimo. Mi sentii un po' in soggezione. Deglutii. Lui mi guardava sempre più severo. Io mi girai verso i gatti che scossero la testa come dire -fatti, tuoi noi siamo qui solo per mangiare-.
Bastardi.
- Bene, ehm... allora a posto, no? Cioè, ora so tutta la trafila quindi puoi anche andar- - .
- No. -
- In che senso? - .
- Che non è tutto a posto - sogghignò. Io tremai - io sono qui per aiutarti. -
- Ma aiutarmi di che? Non è che io devo fare uno sforzo apocalittico. Cioè, fanno tutto da soli in realtà! - .
- E se arriva un dimenticato? Se arriva uno spirito inquieto? Uno spirito immemore? Un Esterno? E se... - .
- Ehi! Qui di immemore ci sono solo io! Allora, parliamoci chiaro: fino ad ora sono stata fortunata, giusto? È quello che stai dicendo? - .
- In sostanza, sì. -
Perfetto. Giusto quello che volevo sentire. Quindi oltre che esserci persone che passeggiano a giro per casa mia la notte, ce ne sono pure di assurde e terribili.
- Capito? - mi fissò tentando anche lui la mossa del sopracciglio alla Spok. Povero illuso.
- Guarda, quel sopracciglio abbassalo, io lo faccio da una vita, non sorte effetto alcuno sulla mia persona. -
Lo abbassò, un po' imbronciato. Figlio, non si ruba in casa del ladro, fattene una ragione.
- Bene - conclusi - quindi tu stanotte verrai qui a monitorare - mimai le virgolette con le dita - la mia attività extracurricolare, giusto? - .
Alzò gli occhi al cielo.
- Giusto. Poi mi spieghi dove hai imparato a parlare. -
Lo guardai truce. - Nelle migliori scuole. -
- Quali? - .
- Quelle che mi paiono. Andiamo avanti?! - .
- Ad ogni modo ti prego, se puoi, non mettere il pigiama giraffato. -
Mi indignai, guardandolo con sdegno.
- Ohi, coso, non discriminiamo le giraffe! - .
Mi guardò scuotendo la testa mentre si avviava alla porta.
- Ci vediamo stanotte alle due, almeno per le tre sei pronta - si chiuse la porta dietro. Guardai i gatti.
- Voi cosa ne dite del pigiama giraffato?! - .
Conan il ciccione alzò il sopracciglio stile Spok.
Lo odiavo.

PRIMA PROVA
Driiiin
Driiiiiiin
-Eh, ma non è possibile! Ma insomma stai qui davanti... bussa, no?! Questo suono è odioso -
Scansai violentemente le coperte arrotolandovi il gatto come una girella e andai ad aprire.
Ovviamente davanti c'era Luca, fresco come un fiorellino di maggio. Mi guardò stranito.
- Il tuo pigiama è più sobrio del solito... cioè, è chiaramente composto da tre pigiami diversi, ma almeno non è particolarmente sgargiante. E non indossi calzini privi di senso. Migliori - sorrise sornione.
- sdfjieruhyionhd. -
Sopracciglio perplesso del coso alto.
- Scusa?! - .
- Vorrei ben vedere che mi chiedi scusa - bofonchiai dirigendomi in cucina guidata dalle mie gambe, ormai consapevoli del loro ruolo, mentre il cervello ancora non era.
Mi avvicinai ai fornelli, dove la mia fedele macchina del caffè mi attendeva.
Arrivò sbadigliando il ciccione. Fissò Luca, fissò me e scosse la testa comprensivo.
Non piaci nemmeno ai miei gatti. Fatti una domanda e datti una risposta.
- È presto - dissi.
- Ti avevo detto che sarei venuto alle due per prepararti. -
Mi girai di scatto, gli occhi ridotti a due fessure.
- Guarda che non sono mica una torta, che mi devi preparare! - .
Mi guardò sorridendo come se fossi una bambina di due anni.
- Io amaro il caffè. -
- Non te lo ho offerto. -
- Di solito lo offri a tutti - mi guardò offeso.
Sogghignai.
- Ma loro dopo se ne vanno, tu purtroppo resterai a lungo. -
Mi guardò malissimo. Forse avevo esagerato, lui era qui solo per aiutarmi. Insomma, stava facendo il suo lavoro, eseguiva l'incarico di Bianco&nero. Ero stata scortese.
- Scusa, coso alt... ehm Luca, la mattina sono molto irritabile e odio avere persone per casa che non siano amici o animali vari. Non volevo essere scortese e poiché i bar sono chiusi, stavolta il caffè lo faccio io. Pace?! - .
Mi guardò sospettoso.
- È caffè o stai tentando si avvelenarmi? - .
- No, no, è caffè garantisco. -
Sorrise a trentadue denti annuendo contento.
- Pace. -
Nel frattempo, lui iniziò a spiegarmi le cose a cui teoricamente avrei dovuto essere preparata.
- Allora, vediamo, fino ad ora a casa tua si sono presentati personaggi di età ed epoche diverse, ma ad ogni modo abbastanza normali - lo guardai come dire che abbastanza era a dir poco riduttivo. Lui proseguì serafico.
- Dunque, ci sono diversi tipi di spiriti che, al contrario, sono... beh, piuttosto difficili da gestire. Ci sono gli immemori: spiriti che non vogliono assolutamente credere di essere morti, tanto da essersene dimenticati e, quando si trovano in un punto di passaggio, tendono a diventare piuttosto aggressivi, sia nei confronti del consolatore che della povera anima che si trova con lui. -
Mi guardò per vedere se fossi attenta. Lo guardai annuendo con aria seria e concentrata, mentre pensavo se fosse il caso di ripassare il rosso sulla parete di destra.
- Poi ci sono gli spiriti inquieti. Quelli sono difficili, ma innocui. Non vogliono passare, quindi fanno un sacco di storie, stazionano a notti intere nei punti di passaggio, cercando di convincerti a far finta che non siano nemmeno passati di lì, chiacchierano incessantemente per ore e... - .
- Quindi questo fiume di parole è per abituarmi a loro - ridacchiai. Lui restò impassibile.
-Bada, la differenza sta nel colore- mi accigliai.
- Con loro basta avere pazienza. Alla fine, si arrendono. È che sono veramente odiosi, è necessario sviluppare un forte autocontrollo e sappiamo benissimo come è il tuo. -
Lo guardai esterrefatta! Ma come si permetteva?
- Guarda coso che io ho un enorme autocontrollo! Ho pure sopportato la tua battuta sul pigiama! Sto anche ascoltando parte di quello che dici e addirittura sto dividendo con te il mio caffè! - .
Mi guardò sospirando. Non avevo dato un grande esempio di autocontrollo. Abbassai il capo sbuffando.
Lui andò avanti.
- E poi ci sono gli Esterni. Quelli... ecco, quelli sono un grosso problema. -
Lo guardai vedendolo estremamente serio. Si mise la mano dietro la nuca.
- Gli Esterni sono quelli a cui tutto interessa, tranne che gli spiriti passino. Sono in continua competizione con noi, tentano le anime con false lusinghe e allettanti promesse, con il solo risultato di lasciarli a giro per il mondo e di usarli ogni tanto come fonte di energia... oppure per barattarli alle altre parti in cambio di favori. -
Bene, ora ero definitivamente confusa.
- Aspettaspettaspetta. Dunque: gli immemori, ok. Gli inquieti che palle, ma ok. Ma questi... ti vedo preoccupato. Questi devono essere un grosso guaio, il fatto è che ho idea che, trattando io anime di tutti i tipi... - confermò - probabilmente me ne ritroverò parecchi a giro in breve tempo, ho capito bene? - .
- Temo di sì - abbassò lo sguardo preoccupato.
- Ma porc... allora il punto è questo: tutti i tipi di anime ed una novellina, ovvero manna per gli Esterni! Quindi tu sei qui per aiutarmi e/o insegnarmi a difendermi e a difendere i poveri spiriti che già mi riempiono casa? - .
- Già. -
- Al livello dieci ci mettono anche i goblin che ti fanno lo sgambetto?! - .
Alzò gli occhi al cielo.
- Il fatto è che, vedi, ogni Esterno ha una sua zona... - .
- Tipo venditori porta a porta. -
- Ma insomma - esclamò - c'è qualcosa che prendi sul serio?! - .
Lo guardai allibita - Autocontrollo, Luca! - .
Mi guardò con stizza. Chiuse gli occhi, inspirò a fondo ed espirò lentamente.
- Allora: ogni Esterno ha la sua zona, e più è forte, più gli è semplice blandire gli spiriti. Spesso riescono tranquillamente ad imbonire anche i consolatori. È successo che alcuni di loro consegnassero addirittura le anime spontaneamente. Naturalmente in maggior parte erano donne. Gli Esterni sono... beh, in genere molto piacenti. -
- Oh... - esclamai - questo è beh... in genere molto interessante. -
- Sono. molto. pericolosi. Quale parte di pericolosi non hai capito? - .
- La parte in cui tu mi spieghi attentamente come rimanere immune dal fascino dell'Esterno che mi toccherà affrontare, o come contrastare la sua presenza? - .
- Se tu mi ascoltassi attentamente quando parlo- - .
- Il caffè è pronto! - .
- Appunto. -
Gli versai il caffè, spiegandogli che se non avessi assunto caffeina, quello che avrebbe avuto come risultato, sarebbe stato parlarmi mentre io avrei sentito solo il rumore della risacca, contornato dai versi dei gabbiani. Mi guardò disperato.
- Vuoi dire che non hai capito assolutamente nulla di quello che ho detto?! - .
- Ma sì che ho capito. È tutto qui, archiviato da qualche parte. Ma la caffeina è la chiave. Senza di essa tutte le informazioni resteranno qui, vagando senza meta per la mente. Eccetto la parte che parla del fascino dell'Esterno. Quella me la ricordo benissimo. -
- Ti odio - disse incolore. Fui tentata di ridere.
- Per così poco... comunque bevi il caffè e poi andiamo avanti con la lezione. -
- Ma sono un quarto alle tre! Non abbiamo più tanto tempo. -
Aveva ragione.
- Hai ragione. Vado a mettermi le scarpe. - Mi guardò allucinato.
- Marta! Hai un paio di pantaloni di una tuta blu, che a giudicare dalla taglia hai rubato ad un giocatore di rugby, una maglietta di un pigiama rosa con una mucca che afferma che il peso in più è colpa di una bilancia, ed il sopra di una felpa grigia, sempre dello stesso giocatore, con qualcosa di ormai indefinito disegnato sopra. MA A COSA SERVONO LE SCARPE?! - .
Lo guardai con sufficienza, squadrandolo da capo a piedi.
- Rendono l'abbigliamento sicuramente più professionale che non un paio di ciabatte rosa, non credi?! - .
- Profes... certo scusa. Inizio a credere che il mio mentore abbia perso il senno inserendoti nel programma. -
- Oppure ha capito che ci vuole un tocco di originalità per svecchiare l'ambiente. -
- Sve... svecchiare?! No, ma dico... svecchiare?! - .
- Certo coso, che ad autocontrollo sei messo malino. Sei sicuro che sia tu a dover allenare me e non viceversa?! - sbattei le ciglia con fare innocente.
- Ribadisco che ti odio - borbottò ostile.
Sorrisi contentissima.
- Ma dai, se non fosse per me ti annoieresti mortalmente, se mi perdoni la battuta. Ora non farmi fare tardi, mi metto le scarpe e mi pettino. E proprio perché sei tu, potrei anche mettermi l'eyeliner. -
- Sai che culo... - bisbigliò.
- Ti ho sentito, deficiente. Se è così, va bene, non mi pettinerò nemmeno. -
- No! No, no, no! Va benissimo, scusa! Con l'eyeliner sarà perfetto. -
Lo guardai soddisfatta.
E bravo il mio ragazzo, vedi che piano piano impara?- Forse c'era speranza.
Erano quasi le tre. Sentii il mio amico alto di là in cucina che fischiettava e spostava oggetti a caso...
Mi sbrigai, odiavo che mi si spostassero le cose. Entrai in cucina tutta rilassata. Mi guardò.
- Ehi sembri una ragazza! - .
Doveva morire. Ero dispiaciuta per B&n, ma lui doveva morire.
- Ora morirai - mi avvicinai con occhi pieni di odio.
- Ehm... dai, era una battuta. -
- No. Mi spiace. Ora morir... Hai spostato i miei pupazzi!!! Come... come hai potuto mettere Dave accanto al Domo! Ma cosa ti passa per la testa... - .
Lo guardai ridere come un pazzo.
- Ora morirai ed io ti aiuterò a passare da qualsiasi cosa tu debba passare - ripetei come un automa.
Quando ormai ero vicina alla meta, cercando di imitare l'espressione di Terminator, l'aria intorno al tavolo iniziò a tremolare, assumendo forma umana.
Ecco. Non si poteva nemmeno uccidere uno stupido precettore in pace.
Il tremolio, faticosamente, si concretizzò in un vecchino con una bellissima mazza, in cima una testa di cane argentata, nella miglior tradizione dei nati intorno ai primi del secolo. Vestito in maniera impeccabile con un fantastico cappello. Si vedeva che la stoffa del cappello era morbida.
Confuso si guardò intorno. Lo sentii sussurrare un -ma cosa diavolo... - poi mi vide.
Mi squadrò da cima a fondo scuotendo il capo in segno di disapprovazione. Poi guardò Luca.
- Ragazzo, tu conosci questa signorina? - .
- Certo, signore - rispose lui affettatissimo.
- È tua parente? - .
- No, in realtà non lo è. -
- È la tua sposa? - .
- Nemmeno. -
Si lasciò scappare un sospiro di sollievo.
- Oh, per fortuna, sembri un giovanotto a posto, di buona famiglia, mentre la signorina... beh, si deduce dal suo abbigliamento che... - .
Lo guardai e sorrisi stucchevole.
- Piacere signore, io sono la proprietaria di casa. Ero a fare del giardinaggio, è per questo che mi trovate in queste vesti. -
Luca mi guardò sgranando gli occhi. Beccati questo, inamidato de noartri.
- Oh... - il vecchio sorrise e togliendosi il cappello disse - le mie scuse signorina, ho fatto dei commenti avventati e sono stato inopportuno. -
- Oh, non si preoccupi, vado a cambiarmi d'abito, se permettete, mentre il mio precettore - lo indicai composta - la intratterrà fino al mio ritorno - guardai con un sorrisetto soddisfatto il mio precettore, rimasto a bocca aperta.
Ora però cosa potevo mettermi?! Da qualche parte dovevo avere un vestito lungo che avevo comprato per un matrimonio... vediamo... eccolo! Gliela avrei fatta vedere, al coso alto. Mi vestii sistemando al meglio i capelli. Tornai verso la cucina.
- Mi scusi, questa è una casa che uso quando sono molto stanca ed intendo isolarmi dalla mondanità, perciò lascio qui il minimo indispensabile. Le chiedo di non far caso al mio abbigliamento. Compenserò la mancanza di eleganza con la miglior accoglienza. -
Sorrisi. Il vecchio sorrise. Luca sembrava di cera. Lo guardai, sollevando il sopracciglio alla Spok.
Facendolo notevolmente meglio di lui.
- Lei è una manna per questi vecchi occhi signorina, non si scusi, non si può sempre essere perfetti, anche se la sua bellezza vi si avvicina. -
Guardai di tralice il mio amico. Questa era galanteria!
Sarei potuta essere un cesso con le gambe, ma comunque lui avrebbe fatto i giusti complimenti nella giusta maniera. Non come qualcuno che conoscevo.
Mi guardò acido.
-Vai, vai yogurt magro, intanto 1-0 per la sottoscritta-
- Vuole del caffè?! - .
- Grazie. -
- Glielo preparerò io, con le mie mani. -
Mentre io preparavo il caffè, Luca intratteneva il mio galante amico. Nel frattempo, io cercai di capire in che modo avrei potuto aiutarlo a capire.
Non sapevo proprio da dove iniziare.
Quando il caffè fu pronto, apparecchiai per me ed il vecchio, poi mi girai verso il mio amico.
- Lei gradisce del caffè, caro amico? - chiesi mielosa.
Ah, se gli sguardi avessero potuto uccidere! Eppure, vidi che un accenno di sorriso sfiorargli il volto.
- No, la ringrazio, amica mia. -
A quel punto, mentre beveva il caffè, il vecchio si rese conto che qualcosa non andava bene.
Si girò confuso, scrutando la mia cucina che, in netto contrasto con i miei vestiti, sembra il parto di una folle mente caotica. Ed in effetti...
- Dove sono?! - .
Sorrisi. Mi avvicinai e posai la mia mano sulla sua delicatamente.
- Dove crede di essere?! - .
- In paradiso non direi, non è proprio come me lo immaginavo. - Luca mi guardò soddisfatto e io lo fulminai con lo sguardo.
- Bene. Difatti non è in paradiso. -
Lo vidi pensieroso. Si concentrò. - Come sono arrivato qua?! - .
- Io non so rispondere alla sua domanda, mi spiace, posso solo essere qui accanto a lei. Non si ricorda dove era? - .
Ci pensò attentamente. Infine, gli vidi quello sguardo. Lo sguardo. Quello di chi ha ricordato. E se ha ricordato, ha capito.
Mi guardò esterrefatto. Poi sorrise e annuì.
- Ero per strada ed era mattina presto. Io cammino sempre la mattina, di modo da tenermi in forma. È così sa, che sono arrivato alla mia età sano come un pesce - annuii sorridendo dolcemente.
- All'improvviso ho sentito uno stridere di gomme ed un forte schianto. Poi bianco e poi... poi questo - e indicò con ampio gesto la mia cucina. Sorrisi nuovamente.
- Alla fine, sono morto. Doveva succedere. Speravo fosse nel mio letto, vicino alla mia amata moglie e al mio cane. Ma è andata così e sono comunque contento, perché ho vissuto una bella vita. -
Mi si inumidirono gli occhi.
- No, su cara, non pianga. Io sono sereno. -
- Scusi, mi sono commossa, lei è una così cara persona. -
- Anche lei signorina, anche se deve imparare a vestirsi meglio. -
Sentii Giraffo ridacchiare da dietro le mie spalle. L'uomo anziano si fece serio rivolgendosi a lui.
- Non rida, caro ragazzo. Lei è in presenza di una rarità, sono poche le donne che non si vergognano di mostrare le loro emozioni. Lei dovrebbe stare attento che qualcuno non gliela soffi di sotto il naso. -
Luca diventò viola.
- No, ma guardi, io sono solo un amico che la aiuta in quello che fa con le persone, come ha fatto con lei. -
Il vecchio lo guardò per dire -sì, convinto- e sparì in un miagolio. Mentre la sua mano si faceva trasparente nella mia, mi asciugai le lacrime.
Guardai soddisfatta Luca, nonostante gli occhi rossi.
- Una rarità, caro il mio perfettino, capito?! Ora vediamo come la metti. E se ti lamenti del vestito ti strappo gli occhi e li uso come portachiavi. -
- Ah, mi sembrava che la rarità fosse diventata troppo dolce. Ora ti riconosco - scoppiò a ridere.
E, nonostante tutto, scoppiai a ridere anche io.

Marta Beritelli
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