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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Marta Beritelli
Titolo: Ali di Sangue
Genere Fantasy
Lettori 3509 31 58
Ali di Sangue
Il Marchio
-Ti ho spezzato le ali, Angelo.- sussurra al mio orecchio.
-No, mi hai solo strappato qualche piuma, ricresceranno.- rispondo ringhiando.
-Allora ci ritroveremo.- sussurra ancora, per poi sparire nella notte come se non fosse mai stato lì.
Su quel sussurro mi svegliai urlando, come tutte le notti, madida di sudore come tutte le notti.
La sensazione della sua voce vellutata, il suo respiro che mi accarezza il viso, il lancinante dolore delle sue unghie conficcate nella carne. La sensazione del sangue caldo che cola lentamente sull'asfalto. Il mio sangue, che si mescola a quello di mio fratello. E il ricordo che più mi dà la nausea, il suo mugolio di piacere mentre assapora il mio sangue e il suo bacio prima di sparire nel buio.
Mi alzo rabbrividendo. Quelle sensazioni così reali tormentano le mie notti da anni, non ricordo l'ultima volta in cui ho riposato veramente. Non ho nessun problema a prendere sonno, anzi, come tocco il cuscino mi addormento. Sono i sogni che mi tengono sveglia. Faccio di tutto per stancarmi il più possibile durante il giorno, nella vana speranza di scivolare nel più profondo dei sonni. Sostituisco tutti i miei colleghi facendo turni assurdi, a ritmi insostenibili per un essere umano - ma in fondo io del tutto umana non lo sono, no? Il maledetto mi ha contaminata e marchiata.
Ha versato qualche goccia di sangue nelle mie ferite. Poco, giusto quello che bastava perché la mia umanità venisse inquinata dall'impurità della sua specie. Sono rimasta umana a tutti gli effetti, solo con una resistenza e una forza decisamente superiori a quelli che già la mia natura di Cacciatrice mi conferisce.
-Un piccolo dono per questo splendido Angelo- mi aveva sussurrato il bastardo.
Contaminarmi con il suo sangue, eccolo il suo piccolo dono!

Aprii il rubinetto della doccia, facendo scivolare l'acqua sul mio corpo nella speranza che portasse via la sofferenza e i ricordi, anche se non lo faceva mai. Io strusciavo, pregavo e piangevo, ma l'acqua non portava via mai niente con sé. Anche lei rifiutava il mio dolore.
Uscii dalla doccia e mi diressi in camera, lasciando che fosse l'aria a asciugarmi. Frugai nell'armadio alla ricerca di qualcosa di comodo, qualcosa di diverso dal mio solito abbigliamento. Era il mio giorno libero dopo non so quanto tempo. In realtà, non lo volevo nemmeno quel dannato giorno libero, ma i calendari della Lega erano uguali per tutti. Stupidi regolamenti! Cosa me ne facevo di un giorno libero? La mia famiglia era mio fratello, i miei amici erano i miei colleghi e il mio unico interesse era il lavoro - beh, c'era la palestra, ma in qualche modo era sempre parte del lavoro.
Mi incamminai verso il parco. La giornata splendida lo aveva riempito di persone, c'erano giovani, famiglie e molte coppie che si tenevano per mano. Sorridevano a un futuro costruito sul sangue dell'ultima guerra, quella di Terza Generazione, la mia. Sorrisi amaramente, guardando i bambini che si rincorrevano ridendo. Provai una strana fitta di nostalgia. Avevo fatto la mia scelta tempo fa e non avevo rimpianti al riguardo, ma quando vedevo dei bambini mi chiedevo sempre come sarebbe stato avere un compagno, dei figli e una vita normale. Sospirai e proseguii verso la mia destinazione. Poco dopo scorsi il familiare tetto della Pagoda. Secondo il Maestro solo chi la trovava aveva diritto a frequentarla. Sorrisi, ripensando al nostro primo incontro.

***
Era notte e pioveva. Non piove sempre quando facciamo incontri che ci cambiano la vita? Certamente. Dunque, anche quella notte pioveva.
Io ero scappata dal mio incubo ricorrente e mi ero ritrovata a camminare senza meta. Ero finita proprio lì, prima al parco e poi davanti quella bizzarra pagoda giapponese. Esausta, mi ero seduta sotto il suo tetto, avevo raccolto le gambe al petto circondandole con le braccia e poggiato la fronte sulle ginocchia. Nonostante il freddo, dovevo essermi addormentata perché qualcuno mi stava tentennando delicatamente. Avevo aperto gli occhi a fatica. Accanto a me sedeva un uomo di un'età indefinita e mi porgeva una tazza di caffè fumante. Non sembrava minimamente sorpreso dalla mia presenza, né dal fatto che una ragazza tremante e ancora mezza addormentata fosse seduta lì. Restava immobile, la tazza di caffè in mano. Abbassai le braccia lungo il corpo e rilasciai le gambe. Presi gentilmente la tazza dalle sue mani, che riportò in grembo con un movimento piacevolmente fluido. Non proferì parola, aspettava che finissi il caffè.
"Quale è il tuo malessere?" mi chiese poi pacato. A quella domanda trasalii. Guardai l'uomo, che sembrava aver parlato più alla pioggia che a me.
"Ho perso mio fratello" risposi anche io parlando alla pioggia. Subito dopo mi chiesi per quale motivo avessi detto una cosa così intima a un perfetto sconosciuto.
"Solitamente parlare con gli sconosciuti è più semplice. A ogni modo, se sei qui è perché è qui che vuoi essere."
Lo guardai allibita, sembrava quasi mi avesse letto nel pensiero. Un tempo ne sarei rimasta affascinata, sarei corsa a raccontarlo a Andrei e lui mi avrebbe preso in giro per giorni. Andrei però non c'era più e io ormai credevo in ben poche cose. Sospirai e guardai nuovamente la pioggia.
"Lei crede che io sia qui per un motivo preciso?" chiesi dopo un po'. Lui annuì.
"Credo che tu sia qui perché devi liberare il tuo spirito da qualcosa che lo sta divorando. Naturalmente la scelta è solo tua, io ti ho solo offerto un po' del riposo di cui hai disperatamente bisogno e del caffè. Ora che hai trovato questo posto sarai sempre in grado di tornarvi, vieni quando vuoi, se lo vuoi o se ne sentirai il bisogno. Ora ti auguro la buona notte, perché è tardi e anch'io ho bisogno di dormire." Detto questo, sparì silenziosamente dentro la pagoda mentre io mormoravo un – grazie - sincero, per poi alzarmi e incamminarmi lentamente verso casa.
***
Ed eccomi qui, davanti a quella che ormai era per me una seconda casa. Mi avvicinai alla porta e il Maestro la aprii sorridente.
"Ma guarda! La mia Micaela chan si è ricordata di me!"
Mi inchinai in segno di rispetto e gli sorrisi.
"Non potrei mai dimenticarla Maestro. Come ben sa, alcune strade non si possono perdere."
L'uomo fece una risata contenuta. "Rispondi sempre a tono, vero? Ah, ma anche questa è una caratteristica che ti rende preziosa, Micaela chan!".
Mi fece cenno di seguirlo all'interno, dove vidi allenarsi Valia e Lorien. Erano arrivati poco dopo di me e, come me, avevano trovato pace nel frequentare la palestra. Era un luogo che curava più l'anima che il corpo.
"A cosa devo la tua visita, Mica?"
Quando eravamo soli, il Maestro si rivolgeva a me in maniera informale, davanti agli altri allievi non lo faceva mai. Ero stata designata prossimo Maestro della Pagoda e la nostra confidenza mi avrebbe sminuita ai loro occhi.
"Stanotte ho sognato ancora" sospirai stanca.
"Non riesco a riposare nemmeno dopo turni di tre giorni, allenamenti sfibranti e la meditazione serale. E poi questa volta è stato diverso..." dissi, e aggrottai le sopracciglia preoccupata. Mi osservò interessato.
"Diverso in cosa, Mica?"
Raccolsi le idee un minuto e poi cercai di spiegarmi.
"Anzitutto era più dettagliato, mi sembrava quasi di essere lì realmente, come se tutto stesse accadendo di nuovo. Potevo sentire il suo tono divertito mentre esprimeva soddisfazione per aver sfregiato la mia schiena tatuata. Sentivo il suo respiro mentre me lo diceva. Sentivo il sangue, l'odore del sangue, il sapore del sangue in bocca, esattamente come allora..."
Mi fermai. Guardai il Maestro indecisa, non sapendo come spiegare la sensazione che avevo provato, vergognandomene, in parte. Poi presi un profondo respiro e lo dissi.
"Ero felice, appagata. Nel sogno ho provato piacere mentre assaggiava il mio sangue."
Lo dissi tutto di un fiato, secca, con tono incolore, mentre dentro ero mossa da una tempesta di emozioni che stava spazzando via quella parvenza di serenità così faticosamente riconquistata. Eccolo, il vero motivo che mi aveva condotto lì. Il Maestro annuì. Poi si alzò e si avvicinò lentamente.
"Mostrami la schiena, Mica."
Mi alzai la maglietta, lasciando la schiena completamente nuda. Passò le mani sulle mie cicatrici e io contrassi il viso in una smorfia di fastidio.
"Sembrano irritate" disse.
"Cosa intende per irritate?" chiesi senza capire.
"Sembra quasi che vogliano aprirsi di nuovo, marchiare nuovamente la tua schiena, cancellare il tuo tatuaggio" disse il Maestro. Poi fece una pausa.
"Sono molto rosse, Mica" disse poi, scandendo con forza ogni parola. A quell'ultima frase, sussultai.
"Non possono essere di nuovo rosse!"
Il Maestro fece cenno di rivestirmi e io lo feci. Annuiva tristemente.
"Sai cosa vuol dire, vero Mica?"
"Sì, che devo scappare. Grazie Maestro!"
Mi inchinai e corsi via. Corsi veloce verso casa, la schiena che mi dava fastidio come se, ora che erano state scoperte, le mie cicatrici si sentissero in diritto di farsi sentire e i segni si rinnovassero nella carne. Arrivai a casa, mi cambiai velocemente e presi la moto. In pochi minuti ero alla Lega. Parcheggiai al mio solito posto e mi avviai all'entrata. Poggiai la mano sul muro che sotto il mio tocco si illuminò leggermente.
"Micaela Volkov. Matricola 184, Cacciatrice Colonnello con Accesso Riservato."
La porta si aprì. Entrai e mi trovai davanti un vetro. Poggiai entrambe le mani e avvicinai l'occhio. La voce parlò di nuovo.
"Riconoscimento: Colonnello Volkov. Controllo voce, prego."
"Volkov. Micaela" dissi. Un momento di silenzio.
"Conferma dati. Buongiorno Colonnello, lei è autorizzata" disse ora allegra la voce.
Sorrisi. Quei simpaticoni dei nostri informatici avevano programmato Isa - il sistema di difesa della Lega - in maniera che diventasse estremamente gentile quando venivi riconosciuto. Se invece non risultavi essere chi dichiaravi... beh, diciamo solo che Isa diventava decisamente poco gentile. I genitori di Isa lo trovavano molto divertente. Ammetto che anche a me non dispiaceva quel suo lato involontariamente comico, in effetti mancava un po' di leggerezza all'interno della Lega. Isa era il sistema di difesa più avanzato esistente, perché all'interno della Lega era custodita la più importante risorsa militare dell'umanità: i Cacciatori, la linea di difesa ultima contro i vampiri.
***
Unici nel nostro genere, noi Cacciatori eravamo geneticamente selezionati e programmati per essere letali. I nostri colleghi ci chiamavano affettuosamente berserker perché, come i leggendari guerrieri scandinavi, eravamo preda di una letale furia omicida. Combattevamo ferocemente fino alla morte dell'avversario, o la nostra. Il Cacciatore che avesse scelto di appartenere a una squadra e combattere veniva educato, selezionato e programmato per quello.
Le donne Cacciatrici rinunciavano alla maternità e gli uomini Cacciatori alla paternità, almeno finché avessero mantenuto l'incarico effettivo. La famiglia era una distrazione. Il nostro unico pensiero doveva essere l'epurazione del mondo dai vampiri. Nient'altro. I Cacciatori operavano in squadre. Ogni squadra era composta da sei elementi che venivano addestrati insieme fin dall'entrata in Accademia, di modo che crescendo si fondessero in un'unica unità combattiva. Si creava così una simbiosi tale da permettere alla squadra di agire come una sola entità, assecondando qualsiasi movimento e strategia del comandante. Io avevo avuto la mia squadra a sedici anni, la più giovane di sempre.
Avevo delle ali nere tatuate sulla schiena, come tutti i Colonnelli. Il mio nome era Angelo di Sangue. I miei compagni erano Orso, Lux, Lyra, Gabriel e Buio.
Buio era i nostri occhi, un Osservatore, il membro della squadra che si muoveva continuamente, non visto, per poi comunicare posizioni e movimenti nemici. Gabriel era la mia Guardia, Orso il mio Secondo, Lux la mia Tattica e Lyra la mia Combattente. Non avevo mai perso un uomo. Mio fratello Andrei aveva avuto il comando di una squadra anche lui giovanissimo.
Solitamente ci affiancavamo perché, essendo fratelli, c'era un'ulteriore intesa tra noi e le nostre squadre erano capaci di lavorare in sincrono, aumentando la forza e la letalità di entrambe. Il nome di mio fratello era Angelo di Fuoco.
Durante la guerra di Terza Generazione, gli eventi stavano prendendo una svolta imprevista. I rappresentanti di alcune delle casate più antiche dei vampiri avevano fatto sapere alla Lega che erano interessate a negoziare una pace. Basta spargimenti di sangue, basta perdite dolorose da entrambi le parti dicevano. Anche se non credevo che le loro perdite fossero così dolorose, non avevo mai visto uno di loro fermarsi a soccorrerne un altro o avere la benché minima reazione davanti alla morte di uno dei loro. Non avevo mai intercettato traccia di emozioni, nemmeno uno sguardo di odio per noi che li uccidevamo. Non ero sicura che provassero sentimenti né, a quei tempi, mi interessava più di tanto. Ero una Cacciatrice e facevo il mio lavoro nella speranza, un giorno, di vedere ancora bambini correre allegri nel parco. E almeno in quello ero riuscita.
Mentre la Lega negoziava la pace con alcune casate, altre rifiutavano di piegarsi alla trattativa con quelle che reputavano creature nate per essere il loro cibo. Una di queste era la casata del Principe Artamon Cassian. Il Principe non aveva nessuna intenzione di firmare una pace con la nostra specie e alimentava i venti di guerra. Artamon Cassian aveva però un figlio, Constantin, su cui la Lega aveva concentrato le proprie speranze di pace. Constantin Cassian non era un fanatico come il padre a quanto avevano riferito gli Alti Vampiri con cui eravamo in contatto. Tuttavia, nessun umano lo aveva mai visto.
Constantin Cassian era estremamente schivo e, nonostante avesse un ruolo di rilievo nel Consiglio, la più alta assemblea dei vampiri, la sua presenza sembrava limitarsi a situazioni di forte rilievo. In realtà, non avendo un'idea precisa del suo aspetto, non sapevamo se si fosse mai presentato o meno a una delle riunioni per il negoziato. Tutto restava avvolto in una grande incertezza. Il Principe intanto aveva convinto i vampiri suoi sostenitori che eliminandoci in fretta, e imprigionando solo gli esemplari da allevamento, non ci sarebbe stato bisogno di nessun negoziato. Il fatto che una delle casate più potenti remasse contro un accordo stava ovviamente rallentando le trattative di pace e costringendo noi Cacciatori a turni massacranti per difendere i cittadini.
I vampiri non avevano interesse a catturarci vivi, eravamo stati resi sterili fino al ritiro dalla caccia attiva e quindi non potevamo riprodurci per fornire loro cibo fresco. In più, essendo stati creati per sterminare la loro specie, non avrebbero potuto asservirci. Risultato: Cacciatori e vampiri si massacravano senza tregua riportando perdite ingenti da entrambe le parti. Era una situazione di stallo, dove gli equilibri non riuscivano a spostarsi né da una parte né dall'altra.
Una notte la mia squadra venne mandata nel settore esterno, uno dei più a rischio, dove vivevano famiglie che non erano in grado di difendersi. Era il quartiere dei Guaritori, che rifiutavano l'uso di qualsiasi tipo di arma.
"Ehi, Angelo di Sangue," mi contattò mio fratello "siamo nel settore esterno, quadrante sud, voi dove siete?"
"Ciao, Angelo di Fuoco, siamo nel quadrante ovest, perché?"
"Il mio Osservatore mi ha comunicato numerosi movimenti nel quadrante est. Riuniamoci lì, manda avanti Buio."
"Ricevuto."
Mi girai verso Buio e feci un cenno. Si diresse verso est sparendo nella notte. Guardai gli altri e ci dividemmo a ventaglio per arrivare poco dopo nel quadrante est in formazione tattica. Sentimmo subito urla e rumori di lame, era in corso uno scontro e al centro di tutto c'era la squadra di mio fratello. Ci avvicinammo furtivi. La scena che ci si parò davanti era surreale. C'era solo un vampiro. Uno! E la squadra di mio fratello era decimata. Erano rimasti vivi solo lui, inginocchiato a terra, coperto di sangue, e Kira, la sua Seconda, completamente accecata, ma ancora con la guardia alta, i sensi tesi a individuare qualsiasi movimento davanti a loro.
Guardai i miei ragazzi. Anche loro sembravano increduli. La squadra di Andrei era in assoluto la migliore, la squadra più forte dell'intera Lega. Vidi il vampiro avvicinarsi a mio fratello e la Cacciatrice si impossessò di me. I miei pensieri furono riempiti di ghiaccio e morte, guardai i miei uomini e loro partirono. Il vampiro, di statura superiore a qualsiasi vampiro avessi mai visto e dalla struttura fisica più possente, si stava avvicinando a Andrei che, pur sembrando ancora in grado di difendersi, non si muoveva. Buio annuì per confermarmi la sua presenza, sapevo che sarebbe intervenuto al momento opportuno. Scivolai veloce fuori dall'ombra per comparire improvvisamente davanti a mio fratello.
"Angelo di Sangue" mormorò Andrei.
"Va tutto bene, me ne occupo io" dissi veloce, senza perdere il contatto visivo col vampiro.
"Hai un bel coraggio, Angelo" mi sbeffeggiò lui. Aveva occhi di ghiaccio, privi di ogni calore e sentimento. Certo, dolorose perdite da entrambe le parti, come no.
"Sembri in gamba, Angelo" disse ancora ironico "ma non puoi combattere per due. Io sono troppo per voi, non vedi il sangue dei tuoi amici che tinge la piazza del colore dell'amore?" Serrai la mascella e sorrisi. Lui sembrò perdere per un attimo la sua sicurezza.
"Sorridi, Angelo?" chiese sorridendomi di rimando.
"Cosa trovi così divertente?"
- Tu che parli di amore, assassino" dissi facendogli l'occhiolino e lasciandolo spiazzato. Poi il suo sguardo si indurì e mi guardò rabbioso.
"Io," disse gelido "io un assassino! Non sei forse un'assassina anche tu, Angelo, pronta a uccidermi senza alcuna pietà?"
"Io non proverò piacere a ucciderti, vampiro, io non provo piacere a togliere la vita. Io non mi nutro di altre persone" dissi dura, fissandolo negli occhi.
"E questo ti rende migliore di me, bellissima?" questa volta fu lui a spiazzarmi.
"Mica," mormorò Andrei.
Mi irrigidii a sentirgli pronunciare il mio nome davanti a uno di loro. Non potevo girarmi e espormi a un attacco, soprattutto perché chiaramente quello non era un vampiro qualunque, era un Antico o un Alto Vampiro. Maledizione, come avevo fatto a non accorgermene subito? La sua struttura fisica e la sua altezza superiori a quella di qualsiasi vampiro erano un chiaro segno che lui era un originale, non un trasformato.
"Cosa ci fa qui uno della tua stirpe? Da quando ti mescoli alle razzie dei tuoi trasformati? Vi facevo più alteri, voi Alti Vampiri! - Mi guardò duramente.
"Ero venuto qui per fermarli."
Lo guardai attentamente. Il mio istinto, affinato in anni di battaglie, mi suggeriva che questa nostra simpatica conversazione stava per volgere al termine.
"Tu non mi credi Angelo, peccato" disse lui guardandomi. Vidi un'ombra passare nei suoi occhi, ma fu un attimo. E per un attimo, un solo attimo, mi distrassi.
Lui si lanciò su di me e, per puro miracolo, riuscii a scansarlo e menare un fendente con la mia lama che, ovviamente, si andò a scontrare contro il nulla. Dove accidenti erano finiti gli altri? Dove accidenti era Buio? Non feci a tempo a cercarli, ero in uno dei peggiori guai della mia vita, stavo affrontando un Alto Vampiro piuttosto divertito dal fatto di poter uccidere due Angeli appartenenti allo stesso sangue - ero sicura lo avesse fiutato. Sentii un movimento a destra, saltai in alto e poi tentai di colpirlo. Aria. Allora usai le mura delle case per arrivare al tetto e cercare di individuarlo dall'alto. Mi accorsi di lui troppo tardi.
"Tana per l'Angelo" sussurrò prima di spingermi dal tetto.
Io caddi ma mi girai veloce e attutii la caduta contro un corpo a terra. Sperai che non fosse uno dei miei ragazzi, non avevo tempo di controllare, dovevo restare concentrata sul mio veloce e letale nemico. Lo sentii atterrare alle mie spalle e mi girai fendendo l'aria con le mie lame da polso. Sentii un brontolio basso. Non so come, ma lo avevo ferito. Sperai di avergli fatto abbastanza male.
"Era da tanto tempo che non vedevo il mio sangue, sei una creatura interessante Angelo" disse a mezza voce. Poi lo sentii ridere. Chiusi gli occhi per cercare di sentire il suo odore o percepire un qualsiasi spostamento d'aria che mi dicesse da dove sarebbe arrivato il prossimo colpo. Probabilmente con un nemico di quel calibro non sarebbe servito a nulla, ma dovevo tentare. Sentii invece mio fratello gridare. Lo raggiunsi veloce senza abbassare la guardia.
"Andrei," mormorai "Andrei!"
Lui mi fece un cenno con la mano come a dire che andava tutto bene. Io mimai un ok con le labbra e gli sorrisi. Non potevo distrarmi, mio fratello avrebbe dovuto aspettare. Lo sentii arrivare, ma non feci in tempo a girarmi. Sentii le sue unghie affondare nella carne e urlai dal dolore. Sembrava che la mia carne prendesse fuoco, non riuscivo quasi a respirare dal dolore. Serrai forte gli occhi mentre cercavo di liberarmi, ma lui mi immobilizzava a terra con il corpo.
"Se ti muovi è peggio, Angelo. Mi dispiace per tuo fratello, come mi dispiace che tu non mi abbia creduto." Urlai ancora quando passò le unghie attraverso le mie ali. Piansi dal dolore e dalla rabbia. Ma dove sono gli altri? Dio fa che non siano tutti morti! Sentii il suo respiro sul collo.
"Ti preoccupi dei tuoi uomini mentre muori? Sempre più interessante, Angelo."
Ringhiai per il dolore. Aveva ragione, più mi muovevo peggio era. Urlai ancora, ma di frustrazione. Lui sospirò e mi sembrò un sospiro davvero triste.
"Il tuo sangue è dolce" lo sentii dire, e capii che lo aveva assaggiato. Ebbi un conato di vomito, ma cercai di tenere duro.
"Scommetto che invece ti piacerebbe."
"Bastardo!" urlai in tutta risposta.
"Un piccolo dono, per questo splendido Angelo. -
Quando capii cosa stava per fare mi dimenai, ma una fitta tremenda mi lacerò la spalla destra, dove ancora erano conficcate le sue unghie. Gridai disperata. Sentii qualcuno prendermi la mano. Guardai davanti a me e vidi Andrei sorridermi, a terra nel suo stesso sangue.
"Mica, angelo mio, non piangere e non morire. Vivi, Angelo, vivi per me" mormorò.
Lo vidi spegnersi davanti a me senza poter far niente.
"Andrei" mormorai tra le lacrime.
Un'altra terribile fitta mi trapassò la spalla. Avrei voluto urlare, ma vidi davanti a me gli occhi vuoti di mio fratello e scoppiai a piangere. Davanti alla verità che mi fissava, piansi.
"Basta," mormorai "uccidimi."
Alle mie spalle, solo silenzio. Poi il dolore cessò all'improvviso. Non riuscivo comunque a muovermi, lui era ancora su di me.
"Mi dispiace davvero per tuo fratello."
Sussultai. "Non osare, animale!" ringhiai. Lo sentii sorridermi all'orecchio.
"Allora sei ancora in grado di combattere!"
Strinsi ancora di più la mascella. Ma perché non mi uccideva, trovava così divertente torturarmi? Che razza di mostro provava piacere in questo, cosa potevo avergli fatto perché mi odiasse così tanto, solo essere umana? Sentii il vampiro irrigidirsi a questi miei pensieri. Mi resi conto che li aveva sentiti e, senza capire il perché, mi vergognai. Poi ridacchiai. Mi stava per uccidere, mi aveva aperto la schiena, sfregiato il tatuaggio che mi contraddistingueva come Colonnello, aveva assaggiato il mio sangue, mi aveva marchiato con il suo, e io mi vergognavo. Scoppiai a ridere, ormai arresa a quella situazione surreale. Bloccata faccia a terra, ridevo senza potermi fermare.
"Non ci posso credere!" dissi ridendo "mi hai sfregiata e io mi preoccupo per te! Devo aver perso il senno!" Poi una mano si chiuse sulla mia bocca e io trasalii, nuovamente lucida all'improvviso.
"Tu non morirai stanotte. La mia specie si è già presa il tuo sangue, non priverò la tua famiglia di un altro di voi." In preda alla furia, diedi un colpo di reni che quasi lo disarcionò.
"Lui era la mia sola famiglia, bastardo!" Lo sentii nuovamente irrigidirsi.
"Uccidimi, altrimenti giuro che ti troverò e ti strapperò il cuore dal petto con le mie mani!"
Si avvicinò ancora di più e, sempre tenendomi ferma, mi diede un dolce bacio sulla guancia. Sussultai e trattenni il fiato.
"Ti ho spezzato le ali, Angelo" sussurrò al mio orecchio.
"No, mi hai solo strappato qualche piuma, ricresceranno" risposi ringhiando.
"Allora ci ritroveremo" sussurrò ancora, per poi sparire nella notte come se non fosse mai stato lì. Unico segno tangibile della sua presenza, il cadavere di mio fratello, di cui ancora stringevo la mano. Mi trovarono all'alba, svenuta, ciascuna delle mie ali attraversata da graffi profondi, che lasciavano esposta la carne viva. All'attaccatura del collo una doppia C. Constantin Cassian. Il bastardo mi aveva marchiato fino in fondo.

2. Legame di Sangue

Arrivai al primo piano e incontrai subito Orso, che aveva finito in quel momento la sessione di Potenziamento Fisico ai cadetti di Settimo. Mi vide e sorrise divertito.
"Ma tu non eri in libera uscita?" chiese.
"Ero, infatti. Sembra che qualcuno non fosse d'accordo" risposi io facendogli un sorriso tirato e alzando le spalle con noncuranza.
"Ti hanno richiamato? Qualcosa non va?" chiese serio.
Gli feci cenno di seguirmi. Stavano arrivando i ragazzi e non potevo certo parlare di ciò che era accaduto davanti a loro. Precedetti Orso nella sala addestramento e gli chiesi di chiudere la porta dietro di sé.
"Le cicatrici" dissi, senza aggiungere altro. Si accigliò e mi guardò confuso. Poi il suo sguardo mutò in sorpresa e io annuii brevemente.
"Hai già parlato con il Segretario?"
"No, sto andando da lui adesso" dissi scuotendo la testa. Esitai un attimo, tormentandomi il labbro inferiore.
"Orso, le cicatrici sono tornate rosse, come si volessero riaprire" aggiunsi. Mi fissò intensamente. Si accarezzò pensieroso la barba, poi alzò nuovamente gli occhi su di me.
"Posso?" chiese.
Era Orso, non avrei mai potuto negargli niente. Annuii, e mi tolsi la maglietta.
***
Mi aveva trovato Orso.
Aveva dovuto staccare quel che restava della tuta tattica dalla mia schiena, incrostata di sangue e ormai quasi fusa nella carne aperta. Mi aveva tenuto per mano fino all'ospedale, anche in ambulanza. Nessuno aveva avuto il coraggio di dire niente.
"Andrà bene, Mica, andrà tutto bene" sussurrava soltanto.
Aveva passato una settimana in ospedale nel silenzio più totale. Quando finalmente avevo riaperto gli occhi mi aveva accolto con un sorriso stanco.
"Ciao, Angelo" aveva detto.
Sentire quel nome pronunciato non da un nemico mortale, ma da una persona che mi voleva bene, mi aveva fatto scoppiare in singhiozzi di sollievo: ero viva e ero a casa. Poi avevo sbarrato leggermente gli occhi e trattenuto il respiro, avevo guardato disperata Orso, che aveva abbassato gli occhi e annuito impercettibilmente, confermando che era successo davvero, che Andrei non era lì con me perché non sarebbe più potuto essere con me da nessuna parte.
"Mi dispiace, piccola."
Ero scoppiata a piangere ancora più forte e lui mi aveva sollevata dal letto, trascinando con me il lenzuolo, e mi aveva fatto sedere sulle sue gambe. Piangevo appoggiata al suo petto, stringendo la sua maglietta fra i pugni e gridando fra le lacrime. Solo quando la voce mi aveva tradito, solo quando le mie corde vocali avevano infine ceduto, mi ero calmata e avevo guardato il mio amico negli occhi.
"Lui dov'è?" avevo sussurrato.
"È nella capsula criogenica, il funerale non si terrà senza di te. Non lo permetterei mai."
Annuii grata. Altre lacrime premevano per uscire, ma tentai di cacciarle indietro. Dovevo rimettermi in piedi. Letteralmente. Provai a scendere dalle sue gambe e lui me lo impedì. Scosse la testa.
"Ancora no. Ancora non puoi, sei debole, hai subito un'operazione piuttosto delicata." Lo fissai confusa.
"Che tipo di operazione? È successo qualcosa alla mia schiena?" Mi guardò serio.
"Non ricordi cosa è successo?"
"Sì, certo che me lo ricordo! Il vampiro mi ha graffiato le ali per sfregiarle e poi mi ha immobilizzato e poi" mi interruppi e lo guardai con gli occhi sgranati "...oddio no! Dimmi che non mi ha trasformata, dimmi che non sono come loro!"
Questa volta non potei arginare le lacrime, che tornarono a scorrere copiose sul mio viso.
"No, Mica, non ti ha trasformato, ma ti ha versato un po' del suo sangue nelle ferite. Non troppo, ma abbastanza da inquinare il tuo. Ci sono volute numerose operazioni e tre pulizie del sangue prima che si rimarginassero del tutto." Mi fissò per assicurarsi che avessi capito.
"Rimarginare? Tre pulizie del sangue? Orso, ho già subìto questo genere di ferite, basta ricucire e poi passare il laser, non resta nemmeno la cicatrice, è questione di un'ora al massimo. Non capisco, di cosa stai parlando?" Orso respirò a fondo.
"Anzitutto, sei stata graffiata da un Alto Vampiro. E non si è limitato a sfregiarti in superficie, ha affondato nella carne di quattro centimetri netti. Le ferite non si chiudevano, perché ogni volta che il tuo fisico cercava di cicatrizzare, il suo sangue lo impediva. In pratica cercava di asservirti, come fanno con gli umani. Tu però sei una Cacciatrice, il tuo codice genetico è diverso, perciò le ferite si rimarginavano e riaprivano incessantemente. I medici non sapevano cosa fare, tutte le volte che operavano sembrava che quelle maledette si riaprissero, quasi fossero animate di volontà propria. Dopo la seconda pulizia del sangue la situazione sembrava essere migliorata, ma nel giro di poche ore tutto era ricominciato da capo. È stato allora che hanno deciso che avrebbero tentato un'ultima pulizia e poi avrebbero contattato la Lega per..." si fermò incerto, poi inspirò e espirò profondamente.
"Lo sai per cosa" concluse disgustato.
Certo che lo sapevo. Io stessa talvolta avevo dovuto eseguire, mio malgrado, quella procedura. Spesso su persone che conoscevo dai tempi dell'Accademia.
"Per abbattermi come un cane rabbioso, lo so."
"Mica..."
"Orso, io sono fiera di essere quella che sono, ma non mi sono mai nascosta dietro un dito" dissi con un sorriso amaro.
"Mi avrebbero terminata, punto, perché se non guarivo poteva solo significare che l'infezione si stava espandendo e mi sarei trasformata nel giro di poche settimane. E ti dico una cosa Orso: avrebbero fatto bene. Meglio morta che trasformata e asservita a quel bastardo che mi ha sfregiato per puro piacere." Spostò distrattamente lo sguardo verso il pavimento. Lo osservai attentamente.
"Cos'è che ancora non mi hai detto?"
"Mettiamola così," disse lui fissandomi negli occhi "alla Lega credono che non sia stato per puro piacere." Lo guardai sgranando gli occhi.
"Ma di che parli?"
"Anche secondo me non ha senso, ma..." riprese scuotendo la testa confuso "a quanto hanno riferito gli Alti Vampiri nostri alleati, quello che ti ha fatto è un rito per creare un legame di sangue fra le vostre due...persone." Alla parola persona fece una smorfia ironica.
"In pratica, il nostro Cassian non si è limitato a inquinare il tuo di sangue. Lui..." esitò alzando gli occhi al cielo, come cercando aiuto "ha inquinato anche il suo."
"Non capisco. E quindi?"
"E quindi...!" gli scappò un'ottava più alta e per un attimo sembrò davvero esasperato, ma si ricompose subito.
"Mica, ha mischiato il tuo sangue al suo attraverso il taglio che si era procurato per inquinare le tue ferite. Non so se mi sono spiegato bene, lo sai che non sono bravo con le parole!"
Mi fissò aspettando una reazione da parte mia, ma io non potevo dire niente. Ero sopraffatta da un senso di irrealtà. Cercavo inutilmente di assimilare le informazioni che mi aveva appena dato. Quindi il vampiro non aveva solo bevuto il mio sangue, ma lo aveva mescolato al suo, inquinandosi, e poi aveva inquinato il mio? Era semplicemente assurdo. Mi riscossi, ma tremavo di rabbia.
"Dove diamine eravate?" urlai al mio amico facendolo trasalire. Orso distolse lo sguardo e chiuse gli occhi.
"Siamo andati a soccorrere gli abitanti che erano stati aggrediti dai vampiri. Stavano aggredendo una famiglia e un'altra coppia di Guaritori. Abbiamo salvato anche Kira. Era stata accecata, i medici dubitano che riacquisterà mai la vista."
Serrai la mascella, una furia cieca si stava impadronendo di me. Maledetto lui e la sua specie.
"Continua" ordinai con tono perentorio.
"Quando ha sentito l'urlo di Andrei, Buio è tornato indietro. Vi ha visto entrambi a terra e ha chiamato la squadra. Noi siamo partiti subito, ma mentre correvamo verso di voi una ventina di vampiri ci ha circondato. Schivavano i nostri colpi, ma non ci attaccavano seriamente. Il loro sembrava un diversivo, un modo per farci perdere tempo, ma erano anche molto determinati, non ci hanno fatto passare. E ora sappiamo perché, non ti pare?" disse indicando la mia schiena con un cenno della testa. Poi prese un profondo respiro e mi sorrise amaramente.
Non potevo crederci. Lo aveva fatto apposta! Aveva mandato al massacro alcuni dei suoi pur di impedire che qualcuno interrompesse quel bizzarro rituale per creare un legame di sangue tra noi. Che senso aveva una cosa del genere? Per quale motivo lo aveva fatto? Continuavo a non capire. Guardai nuovamente Orso e mi accorsi che aveva serrato la mascella. Gli carezzai il volto con la mano e lui la strinse tenendola sul viso. Gli si inumidirono gli occhi.
"Mi dispiace, mi dispiace così tanto, Mica! Io ero lontano quando tu e Andrei avevate bisogno di me. Se solo fossi stato lì, se solo fossi riuscito a raggiungervi in tempo..." le sue lacrime calde bagnarono la mia mano. Lo costrinsi a guardarmi. Nei suoi occhi lessi una profonda disperazione.
"Se fossi stato con noi, saresti morto" dissi severa.
"Quello era un Antico, Orso, non è riuscito Andrei e non sono riuscita io, due Angeli. Avremmo solo ottenuto di morire insieme, nient'altro." Scossi la testa tristemente, ma poi gli sorrisi.
"Mi hai trovata, però."
"Io ti trovo sempre, lo sai" disse, sorridendomi anche lui.
"Lo so" restammo per un attimo in silenzio, poi gli chiesi di rimettermi a letto.
"Ora vai a casa, riposati, mangia e fatti una doccia, perché solo l'affetto mi ha impedito di scappare da te e dal tuo odore!"
"Sei un'ingrata!" disse divertito mentre io lo guardavo soddisfatta. Poi tornò nuovamente serio.
"Vorranno parlarne, lo sai vero? Vorranno studiarle." Annuii triste. Mi diede un bacio e si avviò verso la porta, per poi girarsi un'ultima volta.
"Tu lo sai che ti amo come amavo Andrei, vero?"
Annuii e lo guardai dolcemente soffiandogli un bacio immaginario. Orso era il compagno di mio fratello. Con Kira, Gabriel e Buio eravamo cresciuti tutti insieme e eravamo l'uno la famiglia dell'altra. In questo scontro non era stata straziata solo la mia schiena, ma anche la nostra vita insieme. E certe cicatrici non si richiudono con un'operazione, né esistono pulizie del sangue che ristorino l'anima, se è per questo. Quando Orso se ne fu andato caddi in un sonno profondo, stanca di tutto. Nel sonno mi sembrò di sentire che qualcuno mi carezzava i capelli e sussurrai il nome di mio fratello.
"Sono qui con te, Angelo" sentii dire. Ma non era la voce di Andrei. Conoscevo quella voce, ma ero troppo esausta per riuscire a metterla a fuoco e scivolai nuovamente nel sonno.
***
Orso stava osservando le mie cicatrici da qualche minuto e io iniziavo a innervosirmi.
"Allora? Saranno almeno cinque minuti che mi guardi la schiena. Un penny per i tuoi pensieri!" Il mio tono voleva essere ironico, ma la mia voce uscì un po' troppo acida.
"Ti fa male se faccio così?" chiese e passò la mano sulle cicatrici di destra. Feci una smorfia di fastidio.
"No, non è proprio dolore, ma è come se la mia pelle fosse più sensibile."
"Beh, Mica, irritate sono irritate, te lo assicuro!"
"Cosa vuoi dire?" balbettai allarmata.
"Che sono in rilievo e rosse. L'infiammazione sembra espandersi per tutta la lunghezza delle ferite." All'ultima parola mi irrigidii.
"Ferite?" soffiai preoccupata.
"No, scusa Mica, volevo dire cicatrici. È che sembrano così vive, fanno davvero uno strano effetto."
"Bene, adesso che sono più spaventata di prima, posso andare dal Segretario!" lo redarguii sbuffando.
Orso si mise la mano dietro la nuca imbarazzato e mi chiese scusa per la sua totale mancanza di tatto.
"Quando mai hai tatto, fratellino?" dissi ridendo. Gli presi il viso tra le mani e gli baciai la punta del naso. Lui sorrise.
"Mi piace quando mi chiami così, era tanto tempo che non lo facevi."
Improvvisamente si rattristò, ricordando il tempo in cui quel fratellino era all'ordine del giorno. I tempi in cui anche Andrei lo chiamava così, ma per punzecchiarlo. Si riscosse subito e mi sorrise.
"Meglio tardi che mai, ora non perdere di nuovo il vizio, promesso?"
"Promesso... fratellino!" dissi sorridendogli felice.
Lo salutai e mi avviai all'ascensore principale. Poggiai la mano al muro e l'ascensore si aprì. Appena fui entrata Isa, sempre gentile, mi chiese a quale piano volessi andare.
"Ultimo livello Isa, ufficio del Segretario." Come consuetudine, sul soffitto dell'ascensore si materializzarono dei piccoli fori che avrebbero letteralmente vaporizzato la mia persona se le mie risposte non fossero state quelle corrette.
"Riconoscimento vocale. Dati soggetto: nome, numero di matricola, funzione, accesso."
"Volkov. Micaela." risposi sicura "Matricola 184, Cacciatrice Colonnello, Angelo. Accesso Riservato."
"Riconoscimento vocale: confermato. Dati soggetto: confermati. Riconoscimento visivo: avvicinare il bulbo oculare al pannello alla vostra destra."
Mi avvicinai e sulla parete comparve uno schermo di vetro. Si illuminò delicatamente e scomparve.
"Riconoscimento visivo: confermato." Silenzio.
"Buon pomeriggio Colonnello Volkov, lei è autorizzata all'ufficio del Segretario Moreau."
"Grazie Isa, sempre gentile."
"Grazie a lei, Colonnello." Era incredibile, dal tono di voce sembrava quasi che Isa fosse lusingata dal mio complimento. Quei ragazzi erano davvero formidabili! L'ascensore si aprì e io mi trovai in una piccola stanza ovale, davanti a un Colonnello Cacciatore come me. Era una guardia del Segretario, un corpo scelto di Cacciatori addestrati esclusivamente alla difesa di chi rivestiva quel ruolo. Venivano scelti in base alla corporatura, alla velocità e alla letalità nel combattimento corpo a corpo, ma non si poteva dire venissero scelti in base al loro quoziente intellettivo.
"Volkov" salutò seccamente Dimitri.
"Colonnello Volkov" specificai dura.
Fra me e Dimitri non correva buon sangue. Lui era un violento e un ottuso. Provava divertimento nell'umiliare le sue reclute che spesso finivano in infermeria dopo una delle sue lezioni di combattimento libero. Purtroppo per i suoi allievi - o per fortuna del Segretario - Dimitri era il migliore di tutta la Lega in quella disciplina. Era stato secondo solo a Andrei, ma Andrei non c'era più e il problema di un confronto oggi non si poneva. Era stato quindi designato anche come addestratore al posto di mio fratello, ma erano più i cadetti che abbandonavano che non quelli che resistevano. A dir suo applicava un qualche principio evoluzionistico.
Per me era semplicemente un sadico e probabilmente non ero la sola a pensarlo. La Lega stava infatti riconsiderando il suo incarico e lui sapeva benissimo che io sarei stata l'ultima persona a spalleggiarlo. Non tanto per rispetto alla memoria di Andrei, ma perché il mio concetto di preparazione dei Cacciatori era decisamente agli antipodi rispetto al suo.
"Colonnello Volkov, scusi" si corresse. Io annuii, ringraziandolo con un cenno del capo.
"Colonnello Sokolov, chiedo il permesso di passare, devo parlare urgentemente al Segretario."
Lui mi guardò severo e cambiò totalmente atteggiamento. Dimitri svolgeva il suo lavoro in maniera ineccepibile, non lasciava niente al caso e niente sfuggiva ai suoi occhi esperti. In definitiva non era un caso se era il Capitano della Guardia del Segretario e a mio parere non c'era nessuno di più qualificato per svolgere quel compito. Io stessa ero stata fra i primi Colonnelli a appoggiarlo per quel ruolo e forse anche per questo i nostri screzi si limitavano ancora solo alle parole.
"Mano" disse. Gli porsi la mano.
Dimitri indossava un guanto che lo collegava direttamente a tutte le funzioni e le informazioni di Isa. Non poteva controllarla, ma poteva consultarla - per l'esattezza, doveva consultarla ogni qualvolta qualcuno chiedeva l'accesso all'ufficio del Segretario. Girò la mia mano in modo da esaminarne il palmo e vi poggiò la sua in modo che coincidessero. Dopo pochi secondi, il suo guanto si illuminò. Il codice inserito sotto la mia pelle era stato riconosciuto. Il codice era visibile solo a Isa, che era in grado di autenticarlo collegandolo ai dati presenti nel suo archivio.
"Tutto bene. Avanti, Colonnello Volkov."
"La ringrazio, Colonnello Sokolov." Passando, feci un breve inchino con la testa a riconoscimento del suo ruolo. Rispose al cenno.
"Prima o poi ci troveremo in palestra, vero Mica?" lo sentii sussurrare quando ero già qualche passo oltre. Serrai la mascella.
Non risposi e mi incamminai verso l'ufficio del Segretario. A metà strada dovetti fermarmi e poggiarmi alla parete. Soffocai un gemito, mentre un dolore lancinante mi attraversava la schiena togliendomi il fiato - esattamente come nel mio sogno ricorrente, solo che stavolta ero sveglia, non in un dannato incubo! Strinsi i denti e mi raddrizzai, cercando di ignorare le fitte, che per fortuna andavano affievolendosi. Aspettai che il respiro tornasse regolare, poi proseguii. A metà del corridoio si trovava un'altra guardia scelta.
"Colonnello Volkov" salutò.
"Colonnello Bernardt" risposi sorridendo.
Kira Bernardt era stata la Seconda di mio fratello e era la mia migliore amica. Non potei lasciarmi andare a gesti di affetto perché in quel momento non era la mia Kira, ma una guardia del Segretario, una Cacciatrice del mio stesso livello e grado. Dovevo rispetto al suo ruolo. Se era vero che Kira non aveva riacquistato la vista, alcune nuove tecnologie l'avevano dotata di qualcosa di altrettanto efficace. I suoi occhi erano ricoperti da una fascia di resina che si poteva credere indossata per nascondere le antiestetiche cicatrici. In realtà, quella fascia era il diretto collegamento fra Kira e Isa. Ora Kira vedeva quello che vedeva Isa, condividevano gli stessi occhi.
"Si avvicini, la prego" disse. Mi avvicinai. Gli occhi di Kira si illuminarono, e lei sorrise ancora.
"Identità confermata. Grazie Colonnello Volkov."
Come prima con Dimitri, feci un piccolo inchino con la testa a cui lei rispose allo stesso modo. Proseguii. Le ferite adesso non facevano più male, ma potevo sentirle pulsare. Arrivai davanti alla porta dell'ufficio. Posai la mano. Ancora una volta il piano si illuminò e la porta si aprì dolcemente, senza far rumore. Un uomo sulla cinquantina era seduto alla scrivania esaminando numerosi documenti su lastre invisibili che si spostavano a ogni cenno della sua mano. Sembrava molto concentrato e non ero sicura si fosse accorto della mia presenza.
"Micaela, che piacere!" esclamò facendomi sussultare per lo stupore.
"Colonnello Moreau." Scosse la testa sorridendo divertito.
"Quale parte di -il mio nome è Hervé, ancora non ti è chiara?"
"La parte in cui sei stato il mio Colonnello istruttore e quindi non riesco a chiamarti per nome."
"Immagino sia già tanto che tu sia riuscita a darmi del tu" liquidò lui la faccenda, sorridendomi affabile.
Con un veloce gesto della mano chiuse le ultime schede davanti a sé, si alzò, si avvicinò e aprì le braccia in un invito affettuoso. Lo abbracciai stringendolo forte, poi mi allontanai di qualche passo.
"Temo che tu non sia qui solo per fare due chiacchiere con il tuo vecchio istruttore, vero?" Scossi la testa.
"Temo di no, Colonnello." Lo guardai intensamente, cercando un modo delicato per affrontare l'argomento, ma non lo trovai. Così mi limitai a dire quello che avevo detto a Orso.
"Le cicatrici." Vidi che spalancava gli occhi e guardava un punto dietro di me, ma fu un attimo soltanto e pensai fosse una reazione involontaria per lo stupore. Invece si accigliò.
"Di cosa parli?" chiese duro.
"C-come di cosa parlo? Delle mie cicatrici, quelle sulla mia schiena" dissi incerta, guardandolo intensamente per capire cosa stesse succedendo.
Sebbene sembrasse non muovere un muscolo era lui che mi aveva addestrato e sapevo interpretare il linguaggio del suo corpo come fosse il mio. Aveva spostato lievemente il piede destro verso l'esterno, qualcuno è dietro di te, alla tua sinistra. Misi distrattamente una ciocca di capelli dietro l'orecchio sinistro, ho capito.
"Credevo che le tue cicatrici si fossero rimarginate anni fa" disse serafico.
Piede nuovamente dentro. Piede sinistro all'esterno. Ciocca di capelli dietro l'orecchio destro. Piede sinistro dentro. Chiunque avessi alle mie spalle mi stava osservando con molta attenzione. Chiunque avessi alle mie spalle, di umano non aveva assolutamente niente.
"La verità" dissi con leggerezza "è che queste cicatrici stanno diventando un fastidio. Non riesco a eliminarle con il laser, sono brutte e rovinano il mio splendido tatuaggio. Le odio" conclusi quasi petulante. Moreau sollevò impercettibilmente il labbro. Colpito.
"Ho pensato di tatuarle in maniera da inglobarle nelle mie ali. Per cancellarne la memoria. Per sempre."
Il Colonnello tacque, guardando alle mie spalle per non più di una frazione di secondo.
"Sei sicura di volerlo fare? Sarà doloroso, le cicatrici sono in profondità. Quattro centimetri se ben ricordo."
Confermai con un cenno della testa.
"Joris ha detto che può farlo. Ci vorrà almeno una settimana e dato che so di dover recuperare un mese di libero, avevo pensato di approfittarne perché le sedute saranno lunghe e dolorose. Probabilmente mi dovrà portare a casa Orso tutte le volte."
Il Segretario sembrò soppesare la situazione. Ora si carezzava il mento facendo finta di meditare la risposta. Quel qualcuno alle mie spalle non doveva piacergli troppo se aveva deciso di fare tutta questa pantomima. Doveva essere qualcuno di importante però, se poteva imporgli di non rivelare la sua presenza a un suo Colonnello. Chiaramente Moreau non voleva irritarlo.
"Bene, credo di non avere niente da obiettare, io per primo so quanto quelle cicatrici ti facciano male, forse più per il ricordo a cui sono legate che non per il marchio in sé. Ti concedo dieci giorni, in modo che tu abbia ulteriore tempo per rimetterti. Parlerò anche con il tuo Secondo, ma intanto avvertilo e, Micaela, puoi concordare già da ora l'operazione con Joris."
Annuii e mi avvicinai nuovamente a lui, che mi mise le mani sulle spalle.
"Lo sai che sono sempre qui per te, vero? In fondo sei la figlia dei miei migliori amici e la mia allieva migliore. Magari questo non dirlo a Dimitri, ti odia già abbastanza." Detto questo, rise di gusto e io feci un sorriso malizioso.
"Dimitri mi odia perché io continuo a rifiutarlo e perché Andrei lo ha picchiato quando ha cercato di mettermi le mani addosso da ragazzi."
"Eravate stupendi insieme."
"Lo eravamo davvero, Colonnello" sospirai e mi parve di sentire un sospiro anche alle mie spalle. In quel momento sentii un leggero fastidio alle cicatrici.
"Vai sempre alla Pagoda?" chiese improvvisamente il Colonnello Moreau. Capii subito dove voleva arrivare.
"Sì, pensavo di andarci giovedì."
"Brava, hai bisogno di rilassarti e magari stare un po' dietro ai tuoi futuri allievi. Non credere che mi sia dimenticato di avere davanti il prossimo Maestro della Pagoda."
"Grazie, Colonnello, ti inviterò al rito di successione e non ci saranno scuse che reggano. Ricoprirai il ruolo del genitore emozionato, va bene per te?" chiesi sorridendo.
"Ne sarò lusingato."
"Colonnello, se non fosse stato per te non sarei mai diventata quella che sono. Devo tutto ai tuoi insegnamenti e alla tua pazienza" dissi guardandolo con affetto sincero.
"Ora mi congedo, grazie per aver accettato la mia richiesta, avviserò subito Joris e Orso." Mi inchinai brevemente e uscii senza dire altro. Chiusi la porta alle mie spalle e restai qualche secondo in ascolto. Sentii la voce del Colonnello dire qualcosa e un'altra rispondergli. Avevo capito bene, Moreau non era solo. Dietro di me qualcuno stava ascoltando con interesse quello che ero venuta a dire al Segretario, tant'è che quando avevo accennato alle cicatrici, lui mi aveva prontamente fermato. Il mio accenno a volerle cancellare doveva aver sortito un qualche effetto a giudicare dall'invisibile movimento delle labbra del Colonnello.
Tutti sapevano del legame di sangue operato da Cassian figlio su una Cacciatrice, ma nessuno ne conosceva l'identità.
Oggi avevamo soddisfatto anche quella curiosità. Non riuscendo a capire assolutamente niente di quello che veniva detto all'interno della stanza, mi incamminai nuovamente verso l'ascensore. Trovai Kira a metà strada e le dissi di passare da me più tardi. Lei annuì impercettibilmente, restando immobile alla sua postazione. Poi arrivai davanti a Dimitri, lo superai e mi girai verso di lui.
"Ti saluto, Capitano della Guardia" e mi inchinai.
"Ti saluto, Colonnello Volkov" si inchinò di rimando.
Notai che un sorrisetto compiaciuto gli affiorava sulle labbra mentre passavo. Decisi di ignorarlo e mi diressi sicura all'ascensore. Posai la mano sul muro. Lieve illuminarsi, seguito dall'apertura della porta.
"Buonasera Colonnello Volkov, a che piano desidera andare?"
"Laboratori, grazie Isa."
"Subito Colonnello."
L'ascensore si mosse silenziosamente per poi aprirsi sul mondo di Joris, come lo chiamavano tutti i Cacciatori. Joris era, tra le altre cose, il medico chirurgo che operava le migliorie genetiche che ci trasformavano in Cacciatori veri e propri. Creava le nostre armature - le tute psichiche - e ovviamente era lui a inserire sottopelle il codice personale creato da Isa per ogni Cacciatore. Anche la fascia ottica di Kira era opera sua. La notte che aveva perso la vista, i medici l'avevano solo stabilizzata, ma poi Kira era stata trasferita alla Lega.
Il mio caso era stato diverso perché non potevano muovermi, ma ero venuta a sapere che sia l'operazione che le pulizie del sangue erano state eseguite da lui. Joris aveva diretto lo staff medico e aveva selezionato i Guaritori personalmente. Diceva sempre che ero il suo miracolo, perché nessuna bambina della mia età aveva superato la selezione per la modifica genetica. Io ero il suo capolavoro e non avrebbe permesso che dei ciarlatani retrogradi lo rovinassero. Inoltre, mi voleva un gran bene.
Orso mi aveva detto scherzando che ero stata inquinata due volte: la prima dal sangue di Cassian, la seconda dalle lacrime di Joris.
Speriamo che non inizi a bere come lui, aveva esclamato facendo ridere di gusto tutta la squadra. Sorrisi a quel ricordo. Poggiai il palmo sul vetro della porta e questa si aprì emettendo un suono lieve e ovattato. Joris si affacciò dallo studio e quando mi vide un sorriso gli illuminò tutto il volto, ringiovanendolo di almeno dieci anni - o cento, non avrei saputo dire. Nessuno conosceva l'età di Joris, era impossibile capirla. Aveva operato infinite migliorie genetiche sui Cacciatori e quasi tutte le aveva prima provate su di sé. Poteva avere mille anni, davvero non era possibile dirlo.
"Piccola Mica!"
Era l'unico che mi chiamava in quel modo all'interno della Lega. Andai verso di lui sorridendo.
"Ciao Joris!"
"Cosa ci fai qui, hai finalmente deciso di dichiararti? Mi dispiace deluderti, ma amo un'altra! Non posso tradire la mia donna d'inchiostro" disse indicando la donna tatuata sul suo avambraccio, come nella migliore tradizione dei marinai del ventesimo secolo.
"Oh, Joris," dissi con tono drammatico "mi spezzi il cuore, ma se è lei che ami, mi ritirerò mio malgrado!" recitai in falsetto, una mano sul petto e l'altra sulla fronte in un teatrale gesto di disperazione. Joris rise di cuore.
"Oddio, piccola Mica, non so come farei senza le tue visite, i Cacciatori sono così seri e noiosi!"
"Ehi," esclamai con un'espressione fintamente offesa "vuoi dire che non sono seria?"
"Voglio dire che non sei Dimitri" sussurrò con aria complice.
Ci guardammo un attimo intorno e poi, sicuri di essere soli, iniziammo a ridere come matti. Appena riprendemmo fiato, Joris mi chiese cosa facessi lì a parte portare un po' di gioia nella sua monotona esistenza.
"In realtà ho bisogno che tu mi copra per una cosa" dissi titubante. Mi guardò severo.
"Sei in qualche guaio, Mica? È qualcosa di illegale o pericoloso?"
Lo guardai scuotendo la testa in segno di diniego, poi gli feci cenno di spostarci in laboratorio. Entrai, mi girai di spalle e mi tolsi la maglietta.
"Mica, ti ho già detto che sono impegnato..." scherzò Joris, ma io lo interruppi alzando una mano.
"Smettila Joris, è una cosa seria. Guarda la mia schiena."
Quando vide le cicatrici arrossate si fece serio e iniziò a esaminarle.
"Mmm. So con certezza che non si possono riaprire, ma sembra che loro non ne siano altrettanto sicure. Si sono fatte più pronunciate e definite ma, tranquilla, non sono cambiate." Passò il pollice sulle cicatrici, facendo una lieve pressione.
"È curioso. Dovrei esaminarti più a fondo, è questo che mi vuoi chiedere?" Annuii.
"Sono andata a parlarne con Moreau."
"E cosa ha detto?"
"Niente in realtà, perché c'era qualcuno con lui nella stanza e sono quasi sicura che fosse un Alto Vampiro. Non ho percepito la sua presenza, se non quando me l'ha fatta notare Moreau con il linguaggio del corpo che ci insegnava in Accademia. Per fortuna ero una secchiona, perché dopo la costituzione dell'Atto di Pace quel sistema di comunicazione è stato completamente abbandonato. Io invece continuo a insegnarlo alle mie reclute, anche se Dimitri mi prende sempre in giro."
"Mica 1 - Dimitri 0" commentò giulivo Joris. Ridacchiai.
"A ogni modo questo vampiro sembrava molto interessato al discorso, per questo Moreau ha subito fatto in modo che capissi che non eravamo soli. Allora ho improvvisato e ho detto di essere lì per un permesso speciale. Ho detto che volevo che tu cancellassi le cicatrici dalla schiena inglobandole nelle mie ali." Mi guardò sbalordito.
"Mica, sai che non è possibile, quelle cicatrici affondano nella carne per quattro centimetri!"
Gli misi una mano sulla bocca per zittirlo, guardandomi intorno furtiva.
"Io lo so, ma l'Alto Vampiro no. Sono sicura che avrebbe riferito al Consiglio se fosse venuto a sapere di un loro cambiamento. In questo modo invece tu potrai esaminare le cicatrici senza che nessuno sospetti niente." Lo guardai supplicante. Lui sembrò pensarci, poi mi girò ancora dietro e riprese a tastare le cicatrici.
"Mica, non sappiamo come funzionano. Non lo abbiamo mai capito nonostante tutti i test fatti all'epoca. Io ho una mia teoria, e te l'ho espressa più di una volta..." disse guardandomi eloquente.
"Lo so. E io la penso esattamente come te" dissi fissandolo negli occhi e annuendo sicura.
"Se le cicatrici hanno cominciato a bruciare è perché lui sta arrivando. Cassian è vicino."
Marta Beritelli
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