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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Valentina Bindi
Titolo: L'epoca della lavanda in fiore
Genere Drammatico Amicizia
Lettori 3767 43 69
L'epoca della lavanda in fiore
Era arrivato l'autunno e gli alberi dei grandi viali del centro perdevano lentamente le loro folte chiome verdi. Nell'aria si percepiva l'umido del primo freddo e la gente che passeggiava per strada sfoggiava le prime sciarpe e i primi cappelli acquistati poco tempo prima. I parchi poi erano i luoghi più belli dove si potevano ammirare tutte le tonalità dei rossi e degli arancioni ed i vastissimi tappeti di foglie secche dove i bambini facevano a gara a chi ne raccogliesse di più. Non amavo particolarmente la stagione, ma trovavo lo stesso piacevole quel cambio di atmosfera che si percepiva alla transizione tra l'estate e l'autunno e soprattutto amavo il cangiare dei colori della natura.
Lavoravo in un piccolo ristorante francese nel pieno centro di Parigi, non era certo la mia massima aspirazione però il lavoro mi permetteva di conoscere ogni giorno gente nuova proveniente da tutte le parti del mondo. Il mio compito era quello di gestire gli ordini con i rifornitori alimentari con cui il ristorante era in rapporti lavorativi e quando potevo servivo anche ai tavoli, ogni giorno catalogavo tutte le riserve di cibo del ristorante e se fosse mancato qualcosa sarei stata in dovere di mettere tutto per iscritto e di consegnare poi il resoconto al mio capo Gilbert. Lui era gentile e spesso a qualche mia svista chiudeva un occhio e faceva finta di niente, in realtà sapevo che lo faceva solo perché aveva un debole per me, ma io non ero minimamente interessata. Non dopo il mio passato e anche se aveva appena due anni in meno di me e quel fascino classico degli uomini francesi non potevo farmi ammaliare, ancora il dolore non cessava di albergare in me.
Era martedì pomeriggio intorno ai primi di ottobre, il ristorante era rimasto a corto di caffè, così Gilbert mi incaricò di andare alla caffetteria vicina per chiedere in prestito due o tre sacchi di caffè in chicchi che poi l'indomani avremmo restituito con tanto di ringraziamenti. Di uscire per un po' non ne ero affatto dispiaciuta anche perché era una bellissima giornata autunnale e a Parigi in quel periodo era particolarmente piacevole girare per le vie del centro con quell'aria fresca che ti carezzava il viso.
Le Cafè de Coeur, si chiamava così il posto dove mi era stato detto di andare.
Uscii prendendo dal retro la mia due ruote, a pedalate svelte mi apprestai a raggiungere il locale che distava solo una quindicina di minuti.
Lasciai fuori la bici ed entrai nel negozio con ancora qualche brivido di freddo addosso. La fila era immensa e ne rimasi sorpresa, speravo che qualcuno si accorgesse di me così da evitare la lunga attesa che si prospettava. Improvvisamente, da una voce nascosta dalla folta fila di persone, mi fu detto di aspettare sul retro della bottega dove mi sarebbero stati consegnati i tre sacchi di caffè in chicchi.
- Arrivo subito! Finisco con un cliente e ti consegno i sacchi. -
Ne fui sollevata, anche perché non avevo proprio voglia di aspettare tutto quel tempo, così uscii dalla porta principale, girai l'angolo e lasciandomi il cancelletto di ferro alle spalle entrai dal retro della bottega. Il profumo di caffè mi inebriò, era davvero intenso e persistente, le pareti, la tappezzeria ne erano impregnati e per un attimo con la mente viaggiai lungo le più calde e tropicali zone del mondo dove quell'odore ne avesse la stessa e autentica fragranza. Poco dopo la porta in legno si aprì ed entrò una ragazza, il cuore si fermò per un istante, il suo volto non era affatto nuovo per la mia mente, era come aver visto un fantasma del passato, ma mi dissi che era impossibile dato che era capitato solo una volta di venire a Parigi con i miei genitori.
- Ciao! Sono Reneè, sei la ragazza del ristorante di Gilbert vero? Ti ha mandata qui per i sacchi di caffè giusto? Li ho preparati dieci minuti fa! Questi vengono dalla Colombia, digli pure a Gilbert che è in debito con me, questo è uno dei caffè più pregiati che ho nel mio negozio - lo disse sorridendo allegramente.
- Sì, sono proprio io, fortuna che ti ha avvisata Gilbert, perché se avessi dovuto aspettare la fila non sarei mai riuscita a consegnare i sacchi al ristorante in tempo, quindi grazie per aver avuto l'accortezza di preparare tutto in anticipo! -
Sembrava divertita a sentir parlare di Gilbert, così mi domandai quanto a fondo si conoscessero, pensai che per avergli fatto un favore come quello dovevano essere più che conoscenti.
Stavo per chiederglielo, quando improvvisamente fui anticipata.
- Ahh Gilbert, non cambierà mai, lo conosco dai tempi della scuola ed è sempre stato così un po' sbadato e soprattutto un cascamorto sfacciato da provarci con tutte. Per me è come un fratello, quindi, appena torni da lui digli che mi deve una bevuta. -
- Ma dai non l''avrei mai detto! Vedrò di ricordarmi questo suo - particolare - comunque, davvero, ti ringrazio di tutto! -
- Figurati. Se dovessi avere voglia di un caffè speciale torna pure a trovarmi, mi farebbe molto piacere - .
La ringraziai ancora, pensai fosse una strana ragazza da come si era posta con così tanta solarità, la sua voce era profonda e delicata come una perfetta francese. Mi avviai verso l'uscita, aprii la porta lasciandomi l'odore di caffè alle spalle e caricai i sacchi nel porta pacchi per poi incamminarmi lungo il vialetto. Prima di svoltare l'angolo, sentii aprire nuovamente la porta della bottega e vidi Reneè, che con un braccio attirava la mia attenzione urlando.
- Ei! Hai dimenticato la sciarpa! -
Me ne accorsi solo dopo che la mia gola si stava già congelando e raffreddando, ma avevo troppa fretta e rapidamente le risposi continuando a camminare.
- Fa niente, tornerò a prenderla! Grazie per avermelo detto! -
- Va bene, la terrò qui, ma non mi hai detto il tuo nome? - ribatté subito dopo, urlando ancora a squarciagola.
Non feci in tempo a rispondere che improvvisamente iniziò a piovere prepotentemente, così strinsi bene il porta pacchi e partii in una corsa sfrenata verso il ristorante in cerca di riparo e di calore. Fu un cambiamento repentino del tempo, perché quando avevo lasciato il ristorante in sella alla mia bicicletta mi sembrava piuttosto soleggiato e mai avrei pensato di potermi trovare sotto alla pioggia battente. Sapevo che avrei dovuto rispondere per correttezza, ma non era proprio il caso dato che non avrebbe sentito neanche una sillaba, la pioggia fu così insistente che a stento udivo i rombi delle auto.
Al ristorante arrivai praticamente zuppa, ma fortunatamente Reneè aveva avvolto i sacchi di caffè con abbondanti strati di tela cerata, quindi almeno loro erano rimasti al caldo e all'asciutto.
- Oh Ellie, sei tornata! Mi spiace che ti sei beccata questa pioggia improvvisa, il caffè? Tutto bene? Oh, caffè colombiano. Sono in debito con Reneè, grazie ancora Ellie per oggi puoi tornare pure a casa in anticipo - disse con un vistoso sorriso.
- È il mio lavoro, nessun problema Gilbert. Bene allora vado, grazie per l'uscita anticipata - .
Finalmente potevo tornare a casa e cercare di rilassarmi un po' dopo la dura giornata di lavoro, col costante pensiero di farmi un bel bagno caldo dopo essermi raffreddata fino alle ossa. Presi quindi il cappotto, i guanti e la borsa e uscii dal locale. La sera era ormai calata e i lampioni erano tutti accesi, per strada la gente passeggiava chi in compagnia chi in solitudine godendo della serena atmosfera serale, fortunatamente stava lentamente cessando di piovere. Adoravo Parigi quando era così e non avrei desiderato altro posto in cui stare in quel momento.
Arrivata a casa in poco tempo lasciai la roba all'ingresso e mi diressi immediatamente in bagno, intenta ad aprire l'acqua della vasca e riempirla fino all'orlo. Giocherellando con la schiuma mi tornarono in mente Gilbert, il ristorante, il caffè e Reneè, ripensai a quella bellissima bottega e a quel profumo così intenso che mi sembrava di risentire persino in quel momento. Pensai, che se non fosse stato per il bisogno impellente di caffè del ristorante e per Gilbert, non avrei mai saputo dell'esistenza di quel posto e soprattutto non avrei mai incontrato una persona così gentile come Reneè.
Mi lasciai cullare dal tepore dell'acqua fino quasi a rilassarmi del tutto. Finito il bagno, una volta asciugata e vestita, mi misi finalmente a letto e mi addormentai saporitamente avendo la consapevolezza che il giorno seguente avrei avuto il giorno libero.

L'indomani fu una splendida giornata di sole e avendo la giornata libera potevo finalmente dedicarmi alla mia più grande e unica passione: la fotografia. Così presi la mia reflex, mi misi il cappotto e uscii di casa.
Che paesaggio meraviglioso: la Senna quel giorno brillava sotto il sole tiepido e umido autunnale, le persone stavano distese lungo le rive del fiume dove c'erano vasti prati verdi, a quanto pare era un'attività parecchio sentita dai parigini. Io da americana potevo solo apprezzare da lontano le loro usanze, ma amando così tanto la città non avevo alcun problema a adattarmi alle loro abitudini, anzi mi faceva sentire più integrata e ben voluta. Scattai qualche foto, ovviamente all'insaputa del soggetto: era così che mi piaceva ritrarre le persone, ma ero ancora alla ricerca di un qualcosa o di una qualche emozione da immortalare. Osservavo i bambini sfrecciare sulle loro biciclette e le bambine che giocavano in gruppo sui prati, a fingere di servirsi il tè, fu in quel momento, che il passato mi travolse come un treno in corsa senza binari. Ripensai a ciò che avevo potuto accantonare o perlomeno ciò che volevo dimenticare, anche se niente avrebbe mai potuto farmi realmente scappare da quello che avevo vissuto a Boston.
Ricacciai via i ricordi e mi guardai di nuovo intorno, nonostante fossi in città mi sentivo immersa in un contesto lontano da essa, era uno dei tanti pregi che adoravo di Parigi. Poi, osservando un bar nei pressi del parco poco lontano, mi tornò in mente la caffetteria e mi venne l'impellente voglia di assaggiare uno di quei deliziosi caffè che Reneè ero sicura avrebbe servito, così in bici raggiunsi la bottega in men che non si dica. Posteggiai la bicicletta sul retro e questa volta però ero ben disposta a fare la fila pur di assaggiare un buon caffè. Impiegai pochi istanti a capire che la bottega fosse chiusa, ne fui delusa perché non avrei potuto assaggiare alcunché, rassegnata ormai stavo tornando alla bici quando ad un tratto sentii picchettare sul vetro della grande vetrina principale, era Reneè che con un grosso sorriso mi invitava ad andare sul retro e ad entrare.
- Che piacere vederti. Vieni, oggi la caffetteria è chiusa ma visto che sei qui ti faccio assaggiare qualcosa di speciale! E offre la casa - sussurrò attraverso il vetro.
Entrai senza farmelo ripetere un'altra volta. L'odore di caffè mi pervase nuovamente, c'erano sacchi ovunque con su scritte tutte le località più disparate: Colombia, Brasile, Ecuador, Perù. Erano davvero tanti ed era incredibile come Reneè riuscisse a recuperare questi preziosi tesori dalle zone più ricercate. Sulla scrivania vicina, vidi la mia sciarpa piegata con cura, così feci per prenderla e improvvisamente arrivò Reneè.
- Permesso... - dissi per non sembrare troppo entrante.
- L'hai trovata eh? Prendila pure, te l'ho conservata come promesso. Sono felice che sei venuta a trovarmi, la bottega oggi è chiusa per inventario ma visto che conosci Gilbert farò un'eccezione, quindi puoi stare quanto vuoi! - mi disse sorridendo.
- Grazie Reneè sei molto gentile, spero di non disturbare vedo che lavori da sola qui, non so, se vuoi posso darti una mano per finire il lavoro. -
- Accetto volentieri la tua proposta, devo solo finire di inventariare la merce che mi è arrivata ieri e poi ti offrirò una bella tazza di caffè che difficilmente dimenticherai! -
- Grazie, ne sarei felice. -
Così passammo tutto il pomeriggio a inventariare i sacchi, i materiali per la polverizzazione e tutti i prodotti in carta per servire il caffè al banco. C'era un'atmosfera di serenità e stare vicino a Reneè era un piacere, anche perché raccontava di tutti i suoi viaggi in Sud America per la selezione personale delle miscele da importare e vendere nel suo negozio. Finito l'inventario e dopo aver rimesso tutto in ordine andammo nella sala accanto, dove c'erano i tavolini e il grande bancone, dove padroneggiava in bella vista un'antica macchina per caffè espresso in acciaio, credo risalente agli anni Venti ma in condizioni eccellenti. La sala era finemente arredata in stile déco con un'accuratezza nei dettagli che solo i parigini sapevano avere, tutto era attentamente studiato in ogni minimo particolare e la sala era poi arricchita da una grande quantità di piante e fiori freschi, in particolare mazzetti di lavanda, che rendevano l'ambiente unico nel suo genere. Il profumo era indescrivibile, era impossibile non apprezzare quello del caffè unito a quello dei fiori freschi, si riusciva a creare un'esplosione di fragranze che inebriava i sensi, forse, era proprio questa una delle particolarità del Cafè.
- Prego. Accomodati pure sul divanetto, guarda è già apparecchiato. -
Spostai lo sguardo dal bancone colmo di miscele di caffè al tavolino e al divano, aveva pensato a tutto in pochi secondi. Mi sedetti con delicatezza vicino al lato destro lasciando chiaramente lo spazio a Reneè per potersi mettere seduta.
- Et voilà. -
Reneè era arrivata con un vassoio carico di prelibatezze, un intenso profumo dolciastro di cacao che si espandeva lentamente per la bottega, chiusi gli occhi e mi immaginai in una piantagione di caffè nel Sud della Colombia.
- Ti ringrazio. -
Reneè mi porse la tazzina e la presi assaporandone l'aroma e osservando a lungo il fumo che ondeggiava, perdendomi nei miei ricordi. Mi tornò in mente il sorriso di Lily, cacciai subito via il pensiero e bevvi un sorso per dimenticare.
- Stai bene? Hai sussurrato. -
Sussultai alle sue parole, non mi ero resa conto di aver detto qualcosa, mi osservava con curiosità, ma cercai di rimanere impassibile e un po' sul vago.
- No, scusami. Non è niente. -
Continuava ad osservarmi mentre sorseggiava il suo caffè.
- Eppure, hai detto un nome, a bassa voce. Però tranquilla, non devi dirmi niente per forza, neanche ci conosciamo! - scoppiò in una fragorosa risata riuscendo a contagiarmi.
- Già. Comunque, è squisito, sul serio. Ha un sapore sublime. È bellissimo qui, davvero. È incredibile come da sola sei riuscita a fare tutto questo - le dissi per cambiare argomento.
- Ti ringrazio. È sempre stato il mio sogno aprire una caffetteria unica a Parigi, con impegno e passione sto piano piano realizzando tutto ciò che ho sempre desiderato. -
Rimasi immobile a fissare la grande scaffalatura dietro al bancone principale, dove con cura, erano state esposte tutte le diverse tipologie di caffè in numerosi barattoli di latta.
- Scusami...ora che ci penso, non mi hai detto ancora il tuo nome! -
Scoppiammo a ridere dopo esserci guardate con facce da pesci lessi. Mi ero dimenticata di dirle il mio nome, ma come avevo fatto? Forse perché dirlo mi faceva ricordare le mie origini e tutto ciò da cui scappavo.
- Ellie, mi chiamo Ellie, scusa mi era passato di mente. -
Rimase per un momento con la tazzina sospesa a mezz'aria, cercando di capire come mai il mio nome non fosse propriamente del posto.
- Ah, ma senti che bel nome. Non sei francese, giusto? - mi rispose finendo il caffè.
- No, infatti, sono di Boston e solo da sette mesi vivo qui a Parigi. Ho trovato quasi subito lavoro grazie a Gilbert, che mi ha offerto di lavorare al ristorante e così, fortunatamente mi sono potuta permettere un piccolissimo appartamento, poco lontano dal lavoro e lentamente sto imparando la lingua, ma come puoi notare ancora ho molta strada da fare - conclusi con un'irrefrenabile risata.
- Ti dirò, che per il breve tempo che sei qui a Parigi lo parli più che bene! E comunque mi piace moltissimo il tuo accento, dico davvero - mi sorrise.
Ci fu un breve istante di silenzio prima della domanda che avrei preferito evitare, ma che era ovviamente inevitabile.
- E come mai sei a Parigi? Desideravi cambiare vita o che altro? -
Fu un attimo, quel treno di ricordi e dolore passò di nuovo attraverso la mente, il cuore e il corpo, mi travolse facendomi improvvisamente mancare l'aria.
- Ei stai bene? Ho detto qualcosa che non va? -
Scossi la testa.
- No, è una storia complicata perdonami. Ho deciso di venire in Francia per un periodo che ancora non so definire, mia nonna paterna era francese e quindi ho sempre sentito un legame particolare con questa terra. Ricordo che mi raccontava sempre delle sue estati in Provenza e avevo sempre immaginato prima o poi di andare a vederle personalmente. Mia nonna mi ha lasciato in eredità una casa nei pressi di Plateau de Valensole, ma ancora non ho avuto modo di andare a vederla, anche se ci sto già pensando da un po'. -
Reneè sembrò sorpresa della mia risposta, mi guardò con aria interrogativa e poi sorrise.
- Conosco bene quelle zone, sono bellissime, ci sono stata qualche volta e ne ho conservato un bel ricordo. Ma, quindi, non sei mai stata qui? -
La sua domanda mi fece riflettere, ma non tanto perché dovevo o meno ricordare se fossi già stata qui, ma perché il suo volto mi diceva qualcosa, eppure non mi veniva in mente che cosa.
- Sì, ci sono già stata. Avevo sedici anni, certo un bel po' di tempo è passato. Ero con i miei genitori e venimmo a trovare un'amica loro. -
- Ma pensa, adesso sei venuta ad abitarci. Il caso non è mai per niente. -
- Già. Purtroppo, non ho avuto modo di stringere molte amicizie, voglio dire, al ristorante ho conosciuto tantissime persone, ma sempre in maniera molto superficiale. Fortunatamente Gilbert mi è stato sempre vicino e alla fine ho trovato un mio equilibrio - lo dissi quasi in un sospiro, come se mi fossi liberata da un peso.
- Immagino che non sia stato facile all'inizio, ma vedrai col tempo andrà sempre meglio. Quindi sei americana, devo proprio confermarlo, sentir parlare il francese da voi americani è sempre molto divertente. E dimmi, lì a Boston di cosa ti occupavi? -
- A Boston... - feci una pausa sospirando rumorosamente.
- Se non te la senti, non dirmi niente. Tranquilla - rispose sorridendo.
Sapevo che tanto prima o poi avrei dovuto parlarne soprattutto se volevo crearmi una cerchia di amici e conoscenti, forse era meglio così, almeno non avrebbe avuto pregiudizi non conoscendomi.
- A Boston ero moglie e madre. -
Lo dissi in un sospiro infinito, tenni lo sguardo basso per un po' e poi guardai verso Reneè, aveva gli occhi sbarrati e la bocca spalancata, si portò le mani al volto per tappare la sua espressione di stupore e poi mi poggiò una mano sul ginocchio sinistro.
- Perdonami, non dovevo essere insistente. -
- No, se non avessi voluto non te lo avrei detto - scossi la testa, avevo le lacrime agli occhi e sorridevo come una scema per nasconderlo.
- Io...scusami, ti porto un po' d'acqua. -
Reneè era ancora sconvolta, ma non sapeva proprio niente e non poteva certo immaginare che cosa mi aveva portato a fuggire da Boston. Tornò con il bicchiere d'acqua in mano e gentilmente me lo porse, le sorrisi.
- Lavoravo nell'impresa di famiglia messa su da mio padre, ma ho sempre voluto aprire uno studio fotografico per conto mio. Per un periodo riuscii a far convivere le due cose, aprendone uno piccolo, poi però...per cause malevoli, ho capito che era meglio prendermi una pausa e una lunga distanza da lì. Così ho deciso di partire e venire a Parigi. -
Reneè annuiva, mentre restando appoggiata allo schienale del divanetto con le braccia conserte, mi guardava con estrema attenzione.
- La tua è una storia intensa. Sei fuggita dal matrimonio? -
Avrei preferito fosse così.
- Magari. No, non è andata come le classiche storie di matrimoni, ero felice e credevo finalmente di aver trovato il mio mondo. -
Non ressi più, crollai in un pianto incontrollato di fronte a lei, nascosi il volto tra le mani. Reneè fu gentile e si avvicinò rassicurandomi.
- Ei, non parlarne per forza. Scusami ancora, basta non dirmi altro se ti fa così male, un giorno mi dirai, quanto te la sentirai. -
Mi lasciai compatire, anche se lo detestavo, ma che poteva farci? Non era mica colpa sua quello che provavo o che era successo e non poteva certo reagire in altro modo. Dopo che riuscii a calmarmi e a ritornare come se non avessi detto niente, la conversazione prese una piega diversa cominciando a parlare degli interessi, durò a lungo, sedute sul divanetto accanto al bancone scoprimmo molte cose l'una dell'altra. Reneè era una persona squisita, molto cordiale e disponibile: aveva dei bellissimi occhi verdi molto chiari quasi color acqua marina, naso tipico alla francese e un sorriso che trasmetteva serenità. Fu proprio grazie al suo sorriso, che riuscii a trovare un po' di calma dopo quei pensieri malinconici e dolorosi di un passato non troppo lontano.
Stavo per alzarmi e andare via per non recare troppo disturbo, del resto era pur sempre un giorno che avrebbe potuto passare liberamente e tra assaggio del caffè e il racconto delle nostre reciproche passioni facemmo tardi, ma Reneè mi fermò prontamente.
- Aspetta, prima di andare ti offro un caffè diverso, hai delle preferenze o ti affidi alle mie scelte? -
Rimasi sorpresa e anche piuttosto felice di poterne assaggiare un altro, senza dover sborsare un solo centesimo.
- Oh be' no, non saprei, facciamo così mi fido di te, fammi pure quello che più ti aggrada - le dissi frettolosamente.
- Bene così mi piace! Vieni pure al bancone sarà pronto in un attimo. -
Mi sedetti sullo sgabello e stetti a guardare con quanta abilità e maestria Reneè preparasse il caffè, era un piacere per gli occhi vedere qualcuno fare con così tanto amore il proprio lavoro, poi spostai lo sguardo su una foto che ritraeva lei con un mazzo di fiori di lavanda sorridente come le avevo visto fare in tutto il giorno.
Mi chiedevo se dietro i suoi sorrisi si nascondesse qualcosa di molto triste.
- Et voilà, eccoti servita. -
L'improvviso rumore della tazzina che poggiava sul bancone e la sua voce mi fecero sussultare riportandomi alla realtà. Mi bastò sentire l'aroma che quel caffè emanava, per capire che probabilmente sarebbe stato il caffè più buono che avessi mai bevuto in tutta la mia vita. Non riuscivo a credere come da dei semplici chicchi si potesse ricavare una bevanda così unica, Reneè aveva davvero talento, la cura che metteva nel preparalo era indescrivibile niente stonava: il sapore, il colore, la temperatura, la schiuma, la quantità, era davvero il caffè perfetto.
- Reneè non ho parole! È semplicemente straordinario sei davvero brava. Sai, poi a Boston non è che trovassi questi caffè molto buoni che fate in Europa. -
Scoppiò in una tonante risata coprendosi la bocca con le mani per educazione.
- Grazie Ellie lo apprezzo molto, cerco di mettere tutto l'amore possibile in ogni mia preparazione nella speranza che il cliente sia sempre soddisfatto! Mio padre lo diceva sempre - il caffè è un'arte e tu per rendergli giustizia devi esserne l'artista - ...e comunque lo credo bene, negli Stati Uniti il caffè fa schifo! È brodaglia. -
La fulminai per un istante con lo sguardo, ma poi scoppiammo a ridere entrambe, del resto dovevo ammetterlo, era la pura verità.
- Be', devo dire che tuo padre aveva ragione. Quindi hai imparato tutto da lui? -
- Sì, è con lui che da piccola viaggiavo alla ricerca delle miscele perfette. Ho visto posti incredibili e lì ho imparato i segreti delle preparazioni che cambiavano ovviamente di luogo in luogo, anzi se poi deciderai di tornare te ne parlerò. -
Continuando a sorseggiare quella delizia notai che i suoi occhi diventarono lucidi e capii che forse c'entrava un qualche ricordo lontano, legato al padre; così per cambiare discorso, le chiesi se le sarebbe piaciuto rivedersi lo stesso giorno alla stessa ora per avere la caffetteria tutta per noi.
- Ma certo che mi farebbe piacere! Ti prometto che ogni volta che verrai ti farò provare un caffè diverso e potremo scambiare sempre quattro chiacchiere in tranquillità. Magari ti faccio conoscere anche qualche mio amico, così non sarai più sola qui a Parigi. Con così tante persone in giro è un peccato non fare conoscenza - concluse sorridendo con però un accenno di malinconia negli occhi.
- Perfetto! Non vedo l'ora, adesso però ti lascio libera e anzi grazie per la giornata. È passata tranquillamente e...per il mio sfogo di prima perdonami. -
Scosse la testa.
- Non devi preoccuparti, quando vorrai mi racconterai meglio. -
Salutai Reneè e presi cappotto sciarpa e guanti e andai via in sella alla mia bicicletta.
Tornata a casa, come di consueto controllai la segreteria telefonica e trovai i soliti messaggi col prefisso di Boston che, come sempre, cancellai con un groppo in gola. Ero seduta davanti alla finestra scarabocchiando il vetro che avevo inumidito col respiro, mi strinsi sulla sedia e capii che ben presto avrei dovuto rispondere a quelle maledette chiamate. Ma lo volevo? No certo che no. Più volevo allontanarmi da Boston e più con insistenza e prepotenza tornava a farsi strada in ogni luogo, in ogni pensiero e in ogni secondo della mia vita, quel giorno avrei dovuto esserci io così da non dover pensare costantemente a quanto sia ingiusto. Volevo essere già a lavoro così da non aver neanche il tempo di respirare.
Valentina Bindi
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