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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Monika Venusia
Titolo: Brividi caldi sulla pelle
Genere Erotico
Lettori 3861 31 58
Brividi caldi sulla pelle
«Ecco a te Robin, buon Natale e questo è per te Mari.»
«Grazie ragazzi, bellissimo.»
Nel pacchetto per lei c'era un biglietto per un week end da scegliere.
Lui aveva aperto il pacco, e vi aveva trovato una catenina con un'ancora. La trovò bellissima e lo ringraziò.
Poi con tranquillità accesero la tv e mentre Cloe faceva il caffè loro comunicarono a guardare un altro film natalizio. Mentre lei guardava, il marito la riempiva di baci sul collo. La voleva e sentiva il membro duro come marmo ma sapeva che non poteva fare nulla e invece di guardare il film, pensava a una scena erotica, che avrebbe voluto fare con lei, e che avrebbe fatto di certo.
Cinque anni dopo
«Amore dai, voglio venire con voi. Non esiste che accompagni i gemelli al primo giorno di scuola alle elementari solo. Voglio venire con voi.»
«Lo sai che nel tuo stato è pericoloso amore. Devi stare attenta.»
«Tesoro non sono malata, sono solo incinta al nono mese. Voglio venire con voi. Sarà una cosa meravigliosa e importantissima, accompagnarli. Caspita vanno già a scuola. Il tempo passa così veloce.»
Lui lasciò stare i bambini, che stava aiutando a vestirsi, e andò verso di lei, abbracciandola.
«Va bene, vieni anche tu, ma poi ti riaccompagno a casa di nuovo. Oggi Jeanne comincia l'asilo. Tassativo che ti riaccompagno. Tu non puoi sforzarti va bene?»
«Ok, va bene. Ti amo amore.»
«Anche io ti amo piccola mia.»
Dopo una quindicina di minuti, la strinse a sé mentre i bambini ormai di sei anni camminavano soli, e la piccola di due stava in braccio al padre.
Marica si sentiva una balena. Aspettava un altro piccolo. La dottoressa quando le aveva fatto l'ecografia al quarto mese, le aveva spiegato che era un altro maschietto in piena salute ma adesso non riusciva a camminare, e le facevano male i piedi. Aveva ragione nel dirle che era meglio che stesse a casa, ma voleva vedere i piccoli che cominciavano il loro percorso scolastico. Mentre si avviava alla macchina, si appoggiò un po' di più a lui.
«Aspetta tesoro, che ti apro lo sportello.»
Così la fece entrare e poi mise i bambini dietro.
Mise in moto e partì.
Era felicissimo. Aspettavano un altro bimbo e già lo amava. Ormai erano passati diversi anni e la voleva ancora come se fosse stata la prima volta. La desiderava e a dire la verità la voleva anche ora.
Erano solo un paio di ore, che avevano lasciato il loro letto, ma era come se fossero passati mesi. Se non le stava dentro non si sentiva completo. Il membro era diventato enorme, al solo vederla camminare dalla porta alla macchina ma come spesso capitava non era il momento.
Adesso non sentiva più quell'assurda esigenza di bere o drogarsi per cercare di essere al livello di sua moglie. Sapeva che non lo sarebbe mai stato, ma che comunque stava facendo del suo meglio. Sembrava che a sua moglie piacesse quello che era diventato ma a lei era sempre piaciuto. Era sempre stata quella che vedeva il meglio di lui in tutti i sensi.
Lui invece ci sarebbe stato sempre. Adorava tuffarsi dentro di lei. Non vedeva l'ora che arrivasse la sera per poter stare con lei. Non solo per fare l'amore, ma per stringerla, tenersela al caldo, sotto le coperte mentre guardavano la tv assieme, o mentre gli altri bambini correvano verso la loro stanza per fare il panino con loro. Ossia stringersi tutti assieme. Non avrebbe potuto trovare donna migliore di lei. Sarebbe rimasto sempre gelosissimo, alcune cose non sarebbero mai cambiate. Avrebbe sempre odiato Marco, ma sapeva sopra ogni cosa, che lei era sua. Ricordava il 26 di cinque anni prima e di quanto era rimasto stupito e poi arrabbiato di quello che lei aveva organizzato a sua insaputa. Però poi si era ammorbidito lei aveva un potere che non sarebbe mai finito, lui era venuto con la fidanzata ma si vedeva da lontano che ancora la amava e questo lo aveva reso gelosissimo. Per fortuna la serata era terminata presto. Lo avrebbe volentieri preso a botte. Poco dopo arrivarono. Questa sensazione non sarebbe mai finita. Si sarebbe sempre chiesto perché lui e non Marco che era perfetto. Tornò al presente quando vide che era arrivato.
Così scese e andò a prendere prima la moglie, aiutandola ad alzarsi dal sedile e aiutandola a mettere il piumino. Poi andò dietro e aprì lo sportello per far scendere le pesti. Erano adorabili con quel grembiule bianco col fiocco blu, e sopra il piumino e il cappello.
Prese sotto il braccio la moglie e piano piano si avviarono all'ingresso della scuola Ennio Quirino. La guardò, sapeva che anche sua moglie aveva frequentato quella scuola da bambina. Chissà che bella che era.
«Tesoro dopo mi fai vedere il tuo album di foto di quando eri alle elementari?»
«Va bene, ma come mai?»
«Volevo vederti da piccolina quando sei entrata il primo giorno qui in questa scuola.»
«Ero timida e spaventata. Volevo tornare a casa. Va bene, dopo te le faccio vedere.»
La strinse forte a sé mentre si fermavano all'ingresso interno e vedevano i loro piccoli che entravano. Jeanne invece l'avrebbero accompagnata successivamente. Intanto lei non poteva pensare ad altro che quegli anni erano passati in un lampo, si vedeva tutti i flash e tutte le cose che erano successe:
Lei single, lei sofferente, lei bisognosa di aiuto, lei innamorata, lei fidanzata, lei convivente, lei amata, lei delusa, lei malata, depressa, e poi lei felice di nuovo. Si girò verso, la sua anima gemella e si strinse ancora di più mormorando: «Ti amo tanto.»
«Anche io amore.»
Tornò ai suoi pensieri, dopo il suo ritorno nella sua vita solo felicità, sempre felicità, poi lo studio, e alla fine i piccoli, se li ricordava appena nati, mentre cercava di imparare ad allattarli, cambiarli, mentre imparava a fare gli omogeneizzati. Erano meglio quelli fatti in casa. Lei era negata nella cucina, poi assieme a Robin aveva imparato un mare di cose. Erano dolcissimi, dormivano spesso nel lettone, Robin si svegliava di notte perché i piccoli avevano paura del buio, e quindi gli faceva compagnia per un po', portando loro anche un bicchiere di acqua e zucchero. Raccontando una favola, quando era necessario. La cosa più bella era che avevano una famiglia unita, che quei piccoli amori non avevano nessuna mancanza. Avevano una famiglia calorosa che li riempiva di affetto.
«Sei un ottimo papà amore.»
Lui la strinse ancora di più. Era come se gli leggesse dentro l'anima, senza che parlasse. Non c'era bisogno. Molte volte pensava di non essere né un buon marito, né un buon padre, eppure bastavano le sue parole dette con tenerezza a farlo sciogliere e a farlo sentire migliore e più forte. Con sua moglie non avrebbe mai fallito. Lei era sempre stata la sua forza, e lui la sua e sarebbe sempre stato così.
«Andiamo via accompagniamo la piccola all'asilo.» Lei annuì e tornarono nella macchina.
Poi appoggiò la testa sul finestrino. Si sentiva stanca davvero.
«Amore, non poggiare la testa sul finestrino, è freddo, appoggiala sulla mia spalla. Inoltre starai più comoda.»
Lei gli sorrise e fece proprio così. Poco dopo arrivarono.
«Aspettami qua. Inutile che vieni.»
«Jeanne dai un bacio a mamma.»
Lei le si avvicinò e le diede un bacio dolce. La madre la strinse forte.
Poi Robin l'accompagnò all'interno, portandola nella classe dove la consegnò alla maestra.
La moglie era venuta con lui parecchie volte nei mesi scorsi. Conosceva bene l'ambiente.
Poco dopo averla salutata, baciandola sulla guancia, uscì e tornò dentro la macchina.
Poco dopo al bar
Quando la guardava vedeva la lei di ora e la lei di quando era ragazza. E ancora non poteva pensare che lo aveva scelto, che stava con lui, che viveva per lui e con lui. Non credeva di poter raggiungere una felicità così assoluta. Le carezzò una guancia, con tenerezza. La sua pelle era soffice e delicata. Le pulì il viso, da uno sbaffo di nutella e rise. Gli era sembrato di tornare indietro nel tempo. Dio era trascorsa una vita. La loro vita.
Poco dopo la aiutò ad alzarsi e uscirono dal locale. La accompagnò in macchina e la aiutò a sedersi.
«Come ti senti adesso?»
«Meglio e adesso che si fa?»
Quando sorrideva era felice. Era nato per quello.
«Prima di andare a casa, volevo fermarmi in un negozio di giocattoli. Ho visto una cosa bellissima e volevo prendertela. Non ti preoccupare amore, tu aspettami in macchina.»
Poco dopo parcheggiò vicino al negozio Junior e guardando la vetrina sorrise. Non appena l'aveva visto l'altro giorno tornando dal lavoro, aveva pensato a lei. Così entrò e chiese alla commessa: «Scusi quel cane gigante di peluche quanto costa?»
«Quattrocento euro.»
Lui sorrise, era alto, più alto di lei. Le sarebbe piaciuto, morbido, delicato, dolce, proprio come lei.
«Me lo dia. Se gentilmente può mandarmi qualcuno a caricarlo in auto.»
Poco dopo Marica vide un ragazzo che portava un enorme pupazzo di peluche e si mise a ridere. Ci andava pazza. Il marito aprì il porta bagagli e il commesso lo mise all'interno. Poi lui andò via e Robin si mise in auto.
«Non mi dire nulla, ma appena l'ho visto ti ho pensato. Ti piace?»
«Moltissimo tesoro, lo sai che adoro i peluche. Sei dolcissimo, ti amo tanto.»
«Anche io ti amo amore.»
Erano senza bambini, e lui l'aveva accompagnata a casa. Era felice, lei si era spogliata mettendo una tuta comoda, e si mise a letto. Quando poggiò la schiena sul cuscino, si sentì molto meglio. Era vero, aveva bisogno di riposo. Le gambe anche ne avevano bisogno. Il letto era la cura per tutto.
L'uomo aveva preso l'album dallo scaffale in alto sopra la scrivania, e poi si spogliò anche lui, restando in slip, in quanto tra poco sarebbe sceso di nuovo. Si mise nel letto, prendendo la moglie e sistemandola su di lui. La avvolse tra le sue braccia e cominciarono così a sfogliare l'album. Era curioso davvero. Mentre sfogliava la prima pagina, i capelli della moglie gli solleticavano il viso. La amava così tanto. Non poteva crederci davvero.
«Vedi? Questa sono io all'asilo. Avevo paura e avrei preferito tornare con mia madre. Difatti non volevo separarmi dal cappotto. Lo stringevo molto forte ma poi ho fatto amicizia con questa bambina.»
«Sei bellissima, con quelle codine. Anche da piccolina eri bellissima.»
«Per te sono sempre stata bellissima.»
«Dal primo momento che ti ho visto l'ho pensato, bellissima, semplice e pulita. Nessuno mi aveva mai sorriso come hai fatto tu, un vero sorriso, non uno falso, come facevano gli altri.»
Lei si mise a ridere.
«Questa invece è mentre coloravo le righe del quaderno. Era il primo giorno di scuola elementare. Ero emozionata, era la prima volta che stavo assieme a tante persone.»
«Piccola, come avrei voluto essere assieme a te.»
Intanto la baciava delicatamente mentre continuava a guardare.
«Questa invece era già dopo qualche mese, vedi? Giocavo con questo bambino.»
Lui fissò il bambino e notò dei tratti familiari.
«Amore ma è Marco?»
«Sì ci siamo conosciuti così. Mi salvò da un bullo che voleva mangiare il mio panino. Poi siamo sempre stati amici.»
Lui lo fissò, era bello anche da bambino. Chiuse la mano a pugno, la gelosia verso di lui non sarebbe mai finita.

Epilogo

Erano trascorsi quattro anni, Marco stava guardando suo figlio Rick che giocava con la cuginetta un po' più grande di lui. Si guardava intorno e vedeva solo felicità. Era San Valentino, e stavano tutti a casa di Marica e Robin.
Nell'arco di quei quattro anni erano successe tantissime cose. Quando quel ventisei andarono a casa loro, lui anche se desiderava la sua compagna, con il senno di poi, si era accorto che amava ancora la sua piccola amica, forse non come prima, ma comunque ancora era legato da quel sentimento che si stava indebolendo. Adesso invece amava follemente la moglie Donatella. Ed era felice. Tre anni prima aveva deciso di chiederle la mano e si erano sposati in pochissimo tempo.
Il cammino verso la felicità era stato tortuoso e difficile. Se pensava a quello che era successo quando aveva lasciato Marica, riconoscendo la sua sconfitta perché nel cuore ci sarebbe stato sempre Robin.
Era pazzesco. Guardava Marica che dormiva. Chiuse la mano a pugno, doveva lasciarla, non aveva più senso stare lì. Lo sapeva da tempo che sarebbe stato ilo secondo, ma perché Robin era tornato dall'inferno? Sarebbe stato bello se ci fosse rimasto. Perché era vero che era il secondo, ma con la sua morte sarebbe stato il primo e avrebbero potuto farsi una famiglia, vivere insieme, lavorare insieme, coronare il suo sogno. Invece era tornato e quindi per lei, non c'era più posto nel cuore per il miglior amico. Perché era sempre stato quello. Il migliore amico, e sarebbe andato anche bene, ma quando aveva capito che lui si era innamorato di lei? Perché doveva succedere proprio questo? Fosse stato bello se non l'avesse portata in agenzia, così Robin non l'avrebbe proprio incontrato. E magari avrebbero avuto più tempo per conoscersi, avrebbe avuto il tempo e il coraggio per dirle che l'amava, che la loro vita era stata scritta per farli stare assieme. Mentre la guardava pensava che tutto faceva capire che loro erano anime gemelle. L'incontro alle elementari, la loro crescita, le loro confessioni, i suoi consigli. Poi bastava un niente che quel filo rosso cambiava. E lui? Lui non poteva fare null'altro che andarsene via.
Così le diede un ultimo sguardo e si abbassò per baciarla un'ultima volta sul viso e poi sulle labbra, sentendo ancora quel fantastico profumo per poi andare a prendere la valigia e andare via. le aveva scritto nulla. Il dolore sarebbe stato forte per entrambi ma era meglio così.
Tornò per un attimo al presente. Mai avrebbe pensato che ci sarebbero voluti quasi dieci anni, e se guardava bene dentro di sé, qualche cosa e qualche rimpianto c'erano ancora, ma Donatella era arrivata al momento giusto. Avevano deciso per un figlio solo, perché lei voleva tornare sulle passerelle e non voleva fare la madre a tempo pieno. Ognuno era a modo suo, non di meno era una donna e una madre affettuosa e dolce come poche. Tornò al passato.
Molti avrebbero pensato che Marica fosse una donna comune, ma per lui era bellissima. Era cresciuto con lei, crescendo dicendosi i loro segreti, avevano creato un rapporto indistruttibile. Si alzò la manica del piumino del polso destro e vi vide un piccolo taglio. Quello se lo erano fatti da ragazzini, dove la vita ancora era pura e piena di sogni, dove tutto è consentito, dove tutto portava a una risposta insieme per sempre.
Invece nulla era così facile e scontato, dove nel mondo i sogni si realizzavano con sacrificio e sudore, dove alcuni sogni non si sarebbero mai realizzati.
Mentre era in moto, col casco che gli copriva il viso, sentì le lacrime che scendevano e la visiera del casco appannarsi.
Cosa avrebbe fatto? Si sentiva distrutto. Avrebbe bevuto fino a stordirsi e poi il giorno dopo sarebbe andato alla sfilata di quella ragazza incontrata in aereo, Donatella, che bella che era ma nulla rispetto a Marica. Lei era quello che nessun'altra sarebbe stata per lui. Non c'era nulla da fare. Si sentiva male. Dovette fermarsi, altrimenti avrebbe rischiato di fare un incidente.
Poco dopo aver messo il cavalletto alla moto, si tolse il casco e lo mise dentro il sedile, poi si avviò al bar più vicino. Non poteva farsi vedere in quello stato. Bevendo sarebbe stato meglio. Per sua fortuna nei bar, le luci erano scure, nessuno l'avrebbe visto in viso, e non desiderava nemmeno incontrare fan, perché non voleva vedere nessuno e non voleva fare finita di ridere, in un momento così doloroso.
Così ordinò whisky. Voleva dimenticare per un attimo. Non desiderava altro che dimenticare, per fare smettere al cuore e all' anima di sanguinare.
Rimase in quel bar per diverse ore, finché non cominciò a vedere sfocato. Chissà quanti ne aveva bevuti, eppure il dolore era sempre lì, non era andato via per nulla. Quella sera avrebbe dormito in albergo, non voleva andare dai genitori, non voleva vedere nessuno, voleva sfogarsi. E non desiderava che nessuno vedesse.
Così decise di uscire e prendere la moto, sperava che i carabinieri non lo trovassero, ma a quell'ora non ci sarebbero stati, alle quattro del mattino di certo dormivano dalla grossa.
Così dopo pochi chilometri si fermò in una pensione modesta. Se avesse preso una stanza in un buon albergo, gli avrebbero fatto un mare di domande e lui era stanco, stanco di tutto. Era stato nell'arco della vita un uomo sempre forte, ma adesso voleva essere debole. Non aveva più forza, la sua l'aveva presa tutta la donna che amava e che avrebbe sempre amato.
Erano cresciuti insieme ma che senso aveva tutto quello che aveva passato e che avrebbe rifatto nuovamente?
Aveva un senso, perché l'aveva fatto per amore, ma poi? Si, erano riusciti a stare insieme, ma si era sempre reso conto di non essere il primo pensiero, anche e soprattutto nel periodo di depressione che lei aveva avuto, ma adesso avrebbe dovuto affrontare lui un periodo lungo ed estenuante di depressione e come avrebbe fatto? A chi si sarebbe appoggiato? Mentre saliva in ascensore per andare in stanza pensava che avrebbe bevuto ancora un altro po'. Tanto la notte era ancora giovane.
Per sua fortuna, al bar aveva comprato una bottiglia di whisky invecchiato. L'avrebbe bevuta tutta.
La sfilata della donna era per l'una, per cui c'era tempo. Chi se ne fotteva poi, magari l'avrebbe scopata e così sarebbe riuscito a non pensare a lei, per qualche minuto.
Non appena si chiuse dentro, si tolse il piumino e aprì la bottiglia, per poi stendersi sul letto e cominciare a bere, come se non ci fosse stato un domani.
Intorno alle sei era vicino al wc a vomitare anche l'anima. Si era sentito male, perché era parecchio che non beveva così tanto. Aveva bevuto tutta la bottiglia. Non aveva dimenticato nulla, anche se per qualche minuto si era sentito stordito ma adesso che vomitava si sentiva peggio che mai. Nessuno che l'aiutava, nessuno che gli metteva una mano sulla fronte per sostenerlo, nessuno in nessun modo.
Dopo una decina di minuti, era sudato e si andò a sciacquare un po', chiudendo gli occhi sotto il getto rinfrescante dell'acqua.
Poi andò a buttarsi nuovamente sul letto, avrebbe cercato di dormire un po', ma prima di farlo mandò un messaggio alla modella per sapere dove si sarebbe trovata precisamente.
Tornò al presente. Vedere sua moglie ridere felice, vedere il figlio giocare era il bene più prezioso che potesse avere. Aveva avuto bisogno di tempo, ma era contento ora.
Quando guardava invece Marica, il cuore non batteva più così forte, ma il sentimento per lei non sarebbe mai svanito.
Poco dopo la moglie gli andò vicino e disse: «Amore a che pensi?»
«Che sono felice, e che ti amo.»
«Anche io, dai vieni di là, lei sta dando la torta che ha fatto per la festa degli innamorati.»
«Adesso ti piace?»
«Non potrà mai piacermi, per quello che ha fatto, ma può andare.»
«Ormai è passato tempo da allora.»
«Lo so tesoro, ma le cose non si possono dimenticare, soprattutto cose così importanti, ma ora ci siamo noi, non sarai più solo e ci faremo forza a vicenda.»
Si avviarono entrambi verso il tavolo apparecchiato con piatti e bicchieri di carta dove aveva messo la torta con le bevande. Così ognuno faceva liberamente. Lui sorrise alla sua amica, col cuore e poi tornò a sedersi con il piattino in mano, dicendo alla moglie:«Siediti in braccio a me amore.»
Così si sedette e lui cominciò a baciarla con tenerezza, mentre mangiava.
Donatella sorrise con gioia.
Intanto mentre baciava la moglie tornò al passato.
Si era svegliato quando la sveglia aveva suonato le dieci. Era riuscito a riposare almeno un po'. Così stonato e dolorante si alzò e andò a fare una doccia. Si sarebbe sentito meglio di certo.
Poi successivamente si vestì e scese. Doveva essere forte, anche se di forza non ne aveva più, era arrivato al limite. Pagò e andò via, salendo sulla moto e mettendo il casco, decise di andare al luogo della sfilata, anche se fosse arrivato presto, alla fine l'avrebbe comunque incontrata.
Magari avrebbe bevuto un caffè. Aveva lo stomaco completamente chiuso. Solo a pensare al cibo gli veniva da vomitare.
In moto ci mise poco ad arrivare. Parcheggiò ed entrò. Anche lui era un modello, per cui anche senza invito lo avrebbero fatto entrare lo stesso. Si fermò al bar all'interno del luogo e ordinò un caffè forte. Ci mise lo zucchero e lo bevve. Poi uscì nuovamente, chiamandola. Forse era meglio che non stava da solo.
Lei rispose e gli disse che lo avrebbe raggiunto all'ingresso.
E poi successivamente lo accompagnò nel camerino, dove scoparono per le restanti ore. Voleva dimenticare e lei era adatta, perché sentiva un'attrazione non indifferente.
Avevano goduto entrambi, e si erano dati senza nessun preliminare.
Tornò al presente e sorrise mentre la moglie stava ancora in braccio a lui, e pensò invece a quando l'aveva sbattuta vicino alla parete con una forza incredibile, senza nemmeno spogliarla, allargandole solo le gambe e affondando voracemente dentro di lei
Erano passati cinque mesi, e si erano messi insieme, anche se per lui era prematuro stare con lei, ma la attraeva e questo per ora bastava. Stava sempre troppo male e non riusciva più a lavorare, stava dalla mattina alla sera con una bottiglia in mano a bere. Ormai era abbastanza ricco, da potersi permettere di non lavorare, ma in realtà la sua era sempre stata una passione da vivere, perché volendo era laureato e avrebbe potuto fare altro nella sua vita. Invece eccolo lì, buttato su un letto, di un albergo, con una bottiglia in mano, e se non fosse stato per le donne delle pulizie, quella stanza sarebbe stata un porcile. Perché piene di bottiglie di alcol pesanti.
L'unica cosa era scopare e bere, per dimenticare tutto ma giorno dopo giorno si rendeva conto che stava cadendo all'inferno e non riusciva a risalire, anzi non voleva risalire. Era davvero stanco di essere forte, forse era meglio morire, lentamente così uccidendosi diventando un alcolizzato di merda.
Era allora, una sera che aveva preso la moto, ubriaco, perché desiderava fare un giro per arrivare al Ponte Milvio e lì buttarsi di sotto. Che senso aveva quella vita che stava conducendo? Era una vita di merda, una sopravvivenza di merda, beveva e scopava, ma restava infelice, depresso, debole e tormentato dal dolore dell'infelicità. Si sarebbe voluto strappare il cuore, e quindi perché non farlo?Cosa gli rimaneva nella vita? Nulla, assolutamente nulla.
Così parcheggiò e lasciò la moto vicino al ponte con il cavalletto. Poi prese il cellulare e mandò un messaggio a Donatella dicendole che era stato felice di averla conosciuta e poi scavalcò la staccionata andando dall'altro lato, sul cornicione. Era deciso come non mai, che vita avrebbe fatto da solo? La solitudine era immensa, schiacciante, quando si sentiva così andava dalla sua amica, ma adesso che avrebbe fatto? Non aveva nessun rifugio, non aveva proprio nulla.
Nessuno avrebbe sentito la sua mancanza. L'unica cosa che avrebbe voluto dalla vita era una vita con lei, la donna che amava e che avrebbe sempre amato. Se ci pensava, lei aveva riempito la sua vita completamente da quando erano alle elementari. Quando aveva sofferto per il compagno, l'aveva aiutata ma il suo dolore non l'aveva capito come lo capiva ora. Era meglio morire che stare senza di lei, lei che lo baciava, lei che lo toccava, lei che lo leccava. Che senso poteva avere la sua vita?
Si sentiva schiacciato, non desiderava più nulla. Finalmente alzò lo sguardo verso il cielo, vedendo un colombo in volo e poi si gettò giù, senza pensare più a nulla. Sperava di morire, non solo per il volo, ma nell'acqua gelida, annegato.
In quel momento non sapeva che una donna aveva visto tutto e aveva chiamato la polizia. In quel momento non sapeva che la polizia aveva recuperato il corpo in fin di vita, in quel momento non sapeva che un'ambulanza l'aveva portato in ospedale, in quel momento non sapeva che in ospedale avevano chiamato Donatella, visto che era l'ultima persona che aveva contattato.
Tornò al presente, vedeva gioia e calore ma quanto dolore aveva dovuto sopportare per arrivare a questo. Adesso non ci pensava più, ma quanto tempo aveva trascorso a pensare che lei sarebbe stata la madre dei suoi figli? Quanto tempo? E se ci pensava sentiva ancora delle piccole fitte. La vide ancora mentre il marito la raggiungeva per abbracciarla, guardandolo ancora con odio feroce. Forse lui lo aveva sempre saputo.
Tornò al passato.
Si era risvegliato in ospedale, intubato, con Donatella vicino che piangeva.
Due mesi dopo
Era uscito dall'ospedale, e da allora lei non lo aveva lasciato più. Si era trasferito da lei, e l'aveva aiutato moltissimo ma a poco serviva, lui si sentiva molto depresso e beveva ancora. Tanto Donatella lavorava, e spesso non c'era. Il desiderio di morire c'era sempre, il desiderio di cercare di smaltire quel dolore immenso, c'era e cercava di sopravvivere. Non poteva morire, va bene, sarebbe morto con l'alcol. E se non avesse funzionato, avrebbe provato con la droga, sapeva che se ci avesse provato, non si sarebbe rialzato mai più, ma se avesse provato, finalmente avrebbe avuto qualche ora di distacco da questo dolore furioso, intenso e insostenibile.
Seppure la donna lo aiutava non poteva essere la sua forza, quando lo trovava ubriaco lo aiutava a rialzarsi, a fare una doccia, uno shampoo, poi lo asciugava con tenerezza. Quando trovava disordine, cercava di togliere tutto da mezzo e cercava anche di trovare le bottiglie buttandole nel lavandino del bagno.
Non sapeva che fare. L'unica cosa che le venne in mente fu di chiamare gli alcolisti anonimi, ma loro dissero che se la persona non voleva essere aiutata, non si poteva fare nulla, per cui bisognava fare in modo che arrivasse al fondo e ne avesse bisogno per risalire dagli abissi. Comunque lei cominciò ad andare lì per farsi consigliare.
Guardava sua moglie che aveva lottato come una tigre per lui, e capì di amarla, Sentiva il desiderio di stringerla a sé, così la strinse forte. Lei si girò e gli sorrise.
Tornò al passato
Un anno dopo
Aveva davvero provato, ma l'alcol non gli bastava più. Lui non riusciva a sballarsi, e per cui, pur capendo che Donatella ormai era importante per lui, il suo dolore aveva ormai trovato radici, e non riusciva a mandarlo via in nessun modo. Poteva provare solo in un altro. Così un giorno contattò uno spacciatore che un collega usava per se stesso.
Gli chiese alcune dosi massicce per cercare di dimenticare. E si incontrarono al centro città accanto a un bar. Lui prese il pacchetto e lo pagò. Poi con calma, tornò in albergo. Voleva provarci. Almeno avrebbe avuto allucinazioni, magari un'altra vita dove con lui ci stava la donna che amava.
Per fortuna aveva ripreso a lavorare, anche se non in ottima forma, era sempre un modello pagatissimo. Chi se ne fotteva se si ubriacava o si drogava.
Tre anni dopo
Ormai faceva uso di sostanze stupefacenti quasi tutti i giorni. Non ne poteva fare a meno. Loro riuscivano a fargli diminuire il dolore bruciante e farlo vivere in un barlume di tranquillità e assieme all'alcol, bene o male vivacchiava.
Ormai erano due anni che lei cercava di combattere, per farlo andare in cura, stava con lui, lavorava con lui, viaggiava con lui, badava a lui, faceva l'amore con lui. Erano una coppia ma tutto si basava sul fattore dimenticanza. Se non riusciva a dimenticare, non riusciva a vivere. Per cui per salvarlo da sé stesso, aveva deciso un giorno, di dargli un sonnifero e portarlo in una clinica per disintossicazione. Non ne poteva più di vederlo rovinarsi con le sue mani. Non sapeva nemmeno chi fosse quella troia che lo aveva buttato nella merda. Chiunque fosse l'avrebbe odiata per sempre. Avrebbe guardato nei pantaloni e nel portafoglio dell'uomo, voleva vedere la sua faccia almeno. Di certo una traccia l'avrebbe trovata. Lei non lo aveva mai visto, mentre metteva la cocaina su un ripiano e poi la aspirava, lei non lo aveva mai visto distrutto dal dolore mentre beveva e piangeva, chiamandola. Lei non aveva idea di quanto dolore aveva subito. Lei non aveva idea di come lo trovava quasi ogni giorno e in che porcile viveva se non fosse stato anche per lei, lei non aveva idea di come andava a lavorare. Non era più lui, non rideva più, non faceva attenzione a nulla, pensava solo e unicamente al fattore sopravvivenza, per cui i soldi del fine mese. L'unica cosa che sapeva era che si chiamava Marica. L'avrebbe odiata per tutta la vita, se fosse riuscito a salvarlo e averlo per sé, perché lei lo amava e se ne era accorta da subito.
E difatti la trovò. Una piccola foto. Lui era a fare una doccia, un giorno e la vide. C'era solo la faccia e notò che seppur in versione peggiore di lei, le somigliava. Era rimasta scioccata notevolmente. Chissà magari faceva la modella anche lei. Quella puttana non sapeva nulla del dolore che stava provando.
Non c'era altro da fare che cercare di dargli un sonnifero per portarlo in Svizzera. Li c'era una clinica ottima.
Così fece. Mise il sonnifero in un bicchiere di aranciata e glielo diede. Aveva preparato tutto, e stavano per andare in auto per andare lì. Lui credeva che andassero in un viaggio per lavoro. Per cui bevve quell'aranciata che lei gli aveva dato. Le voleva molto bene, si fidava come di nessun altro e ormai non avrebbe potuto fare a meno della sua compagnia e del suo corpo nonché del suo conforto e appoggio morale.
Si sedette in auto, guidava lei e poco dopo sentì un grande sonno e si addormentò.
Furono tre anni di sofferenza estrema ma grazie a questo riuscì a uscirne e ad avere una vita per lo meno normale.
La guardava e pensò sorridendo, lei ormai non potrà più farmi del male. Forse nel profondo ci sarà sempre uno spazio per lei, ma non mi farà più del male. Non saprà mai quanto ho sofferto per lei.
Monika Venusia
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