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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
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Writer Officina
Autore: Lanfranco Pesci
Titolo: La Chiave di Salomone
Genere Thriller storico
Lettori 3613 28 56
La Chiave di Salomone
La piccola lancia Y grigia stava viaggiando su Via Emilia Est, verso Modena.
Irene aveva appena finito di analizzare alcuni documenti nel suo studio di Bologna, tra meno di mezz'ora avrebbe dovuto incontrarsi con il professor Lunardi, nel piccolo appartamento che possedeva all'ultimo piano di un edificio in via Masone.
Lunardi era un docente alla facoltà di Ingegneria dell'Università di Modena, ma a Irene poco interessavano le sue capacità ingegneristiche, quanto le vaste conoscenze che il professore vantava in storia medievale. Infatti, dopo essersi laureato in ingegneria aveva anche trovato il tempo per studiare e conseguire una laurea in quella dottrina, la sua passione di sempre.
Il semaforo era rosso, l'auto era ferma, Irene stava mettendo in ordine alcune carte sul sedile del passeggero, ansiosa di mostrare al professore quello che aveva appena scoperto. Non vedeva l'ora di arrivare a casa sua e raccontargli tutto, dall'inizio alla fine.
Non si era accorta che il semaforo era diventato verde. Mentre stava sistemando l'ultimo foglio alzò la testa, fece appena in tempo a riconoscere la sagoma di quel camion, un colore rosso acceso, i vetri scuri, l'impatto fu terribile, la piccola auto di Irene sembrò sgretolarsi sotto la furia violenta di quel mostro gigante. Entrambi i mezzi finirono fuori strada, in uno sterrato, continuarono la corsa per venti metri, poi si arrestarono.
Lo sportello del tir si aprì e ne uscì un uomo per niente scosso da quello che era accaduto. Osservò quei rottami impassibile mentre le fiamme iniziavano ad avvolgere i mezzi.
Dopo alcuni secondi si voltò e scappò via.

Il professor Lunardi uscì dal portone della sua abitazione e si diresse verso la piccola edicola all'angolo dell'isolato.
- Il Corriere della Sera e la Gazzetta di Modena, per favore - ogni mattina il professore prima di andare all'università si fermava al piccolo bar in via Ungaretti e si aggiornava sulle ultime notizie che riguardavano il mondo e la sua città.
‘Tragico incidente ieri pomeriggio sulla Via Emilia Est, in cui ha perso la vita una ragazza ventisettenne, la sua piccola Lancia Y è stata letteralmente travolta dalla folle corsa di un tir.....gli inquirenti ipotizzano un guasto all'impianto dei freni. La ragazza si chiamava Irene Masetti........continua a pag 7'.
Il professore, sconvolto da quello che aveva appena letto, alzò la testa, si guardò attorno: nel bar c'erano solo le due bariste e un cliente che stava prendendo un caffè al bancone. Era confuso, finalmente aveva capito perché la sera prima la signorina non si era presentata all'appuntamento e non aveva risposto alle svariate telefonate. Non poteva crederci.
- Ecco il suo caffè e la sua brioche, professore - la barista prese dal bancone il vassoio con la colazione che il cliente aveva ordinato qualche minuto prima.
Continuava a fissare la foto della ragazza a pagina sette del giornale. Da qualche mese stavano lavorando insieme su una questione riguardante il Duomo di Modena. Il comitato per i beni culturali aveva richiesto un parere sulla spesa da sostenere per eventuali restauri alle colonne e agli affreschi della chiesa. Quel terribile incidente, purtroppo, aveva messo fine alla loro collaborazione.
Con il viso ancora sconvolto sorseggiò il suo caffé. Si accorse che quasi gli mancava il respiro, si sentì raggelare, dopo qualche secondo la vista gli si offuscò, posò il braccio sul tavolo, la testa sul braccio.
- O mio Dio! Marta chiama un'ambulanza, il professore sta male - la barista, impaurita, si avvicinò all'uomo accasciato sul tavolino, si accorse che non respirava più.
L'uomo che era al bancone fino a qualche minuto prima era svanito nel nulla.

‘Ormai è già passata la mezzanotte, non credo che sia il caso di disturbarlo a quest'ora, lo chiamerò con calma domattina. In fondo, una notte in albergo potrò ancora permettermela' pensò Marco mentre stava scendendo dall'intercity su cui era salito a Firenze due ore prima. Si era trovato a dover ricominciare tutto da capo, senza più un lavoro, un'auto e un letto dove poter riposare.
Un fresco vento soffiava da est e ricordava alla poca gente che era in stazione che ormai l'inverno era alle porte, una camicia hawaiana e un pantalone di lino non erano certo gli abiti più adatti da indossare a novembre, ma il clima di Modena era ben diverso da quello che aveva lasciato quella stessa mattina partendo dalla Calabria. Lui non si era posto il problema di dover affrontare un viaggio che lo avrebbe portato alla meta in serata ormai inoltrata, non gli importava.
Quello che ora Marco desiderava era soltanto un po' di riposo, per riprendersi da quell'ultima difficile settimana passata a Reggio Calabria. Doveva cercare di dimenticare gli infiniti interrogatori del commissario Mattei. Gli sembrava di sentire ancora l'odore intenso di quelle Camel di cui il commissario non poteva proprio fare a meno.
Accanto a lui un uomo e una donna stavano calorosamente abbracciando una ragazza che era appena scesa dal suo stesso treno. Poco più in là, seduta su una panchina, una ragazza stava spezzando il suo panino, di fronte a lei un piccolo terrier scodinzolava ed aveva già l'acquolina in bocca nel vedere quel bocconcino tra le mani della sua padrona.
La ragazza aveva un aspetto strano, il suo viso sembrava malinconico ma allo stesso tempo sorrideva nel giocare con il suo piccolo amico. Uno spuntone le usciva tra il labbro inferiore e il mento. Marco era riuscito a contare almeno altri tre orecchini sull'orecchio destro oltre al brillantino al lato del naso. Era quasi curioso di vedere quanti altri buchi avesse sull'orecchio sinistro, ma pensò che forse non era il caso di girarle attorno e fissarle un orecchio. No, non era proprio il caso.
Afferrò con forza il suo borsone e si avviò verso l'uscita della stazione accennando un sorriso per le strane idee che gli venivano in testa.
Sulla destra, davanti la biglietteria, due energumeni stavano chiedendo informazioni per il treno che avrebbero dovuto prendere il giorno dopo. Marco aveva bisogno di un albergo. C'era un bar alla sua sinistra, avrebbe chiesto lì informazioni per un posto dove dormire. Varcò l'ingresso, il locale era deserto, un distinto signore sulla quarantina stava asciugando dei bicchieri dietro al bancone.
- Buonasera - esordì Marco avvicinandosi al bancone.
- Buonasera a lei, in cosa posso esserle utile? - il barista era rimasto un po' perplesso nel vedere quel giovanotto che aveva tutto l'aspetto di essere un turista di ritorno da qualche isola del pacifico.
- Avrei bisogno di un albergo. Potrebbe indicarmene uno da queste parti? - Marco si era accorto dello sguardo del barista e si chiedeva cosa diavolo potesse esserci di strano in una camicia hawaiana, dopotutto veniva da un posto in cui faceva ben più caldo di lì, ma il barista era ignaro del suo passato. Chissà da quanti anni stava dietro a quel bancone e faceva battute su chiunque passasse di lì.
- Guardi, le basta attraversare il parco qui di fronte e andare verso sinistra. Arriverà ad una rotonda, sul viale a destra troverà tutti gli alberghi che vuole - .
- La ringrazio, arrivederla - .
Con il suo inseparabile borsone attraversò il parco, un tassista gli chiese se avesse bisogno di aiuto, lui con un semplice cenno del capo gli fece capire che aveva già le idee chiare.
Il semaforo pedonale era rosso, Marco attraversò senza curarsene, la strada era deserta, non se ne sarebbe accorto nessuno. Percorse un centinaio di metri verso sinistra e si trovò di fronte ad una rotonda, proprio come gli aveva detto il barista. Sulla destra dovevano esserci degli alberghi.
‘Hotel Principe, Hotel Milano, Hotel Europa' era nel posto giusto. Marco si fermò un attimo a pensare, poi decise di dirigersi verso l'Hotel Principe, quella insegna luminosa di colore giallo gli ispirava fiducia.
Arrivò sotto il telone che faceva da tettoia davanti la porta di ingresso e notò le tre stelle sulla porta. Avrebbe speso una cifra ragionevole, per riposarsi una notte non aveva bisogno dello sfarzo che poteva offrirgli un hotel a quattro stelle.
La porta si aprì automaticamente, l'usciere stava sistemando alcune carte sul bancone.
- Buonasera signore, benvenuto all'Hotel Principe - .
Gli occhi di Marco stavano iniziando a dare segni di cedimento, sperava almeno di poter ultimare le pratiche con l'usciere. Un letto era sicuramente più comodo di quel pavimento in parquet.
- Buonasera a lei, avrei bisogno di una singola per una sola notte. E' disponibile? - .
- Certamente, posso farla sistemare nella numero 23 - l'usciere aveva dato prova di conoscere perfettamente la disponibilità delle stanze ed aveva dato quel numero senza dare nemmeno un'occhiata alla tabella delle prenotazioni.
- Deve soltanto lasciarmi un documento e apporre una firma in basso su questa ricevuta - aveva capito che era già una certa ora ed aveva ridotto le pratiche al minimo indispensabile, ci avrebbe pensato lui a compilare il modulo usando i dati del documento.
Marco tirò fuori la carta d'identità dal portafogli e la posò sul bancone.
- Al secondo piano sulla destra. Questa è la chiave - .
‘25......, 24......., 23........' se la vista non lo ingannava la camera doveva essere quella. Marco aprì la porta e la richiuse dietro di se. C'era un buon profumo di lenzuola pulite e asciugamani freschi.
Non mancava nulla. Era il momento di una doccia calda e un po' di riposo.

Il sole era già alto quando Marco aprì gli occhi. Si, quel letto era proprio comodo, si sentiva decisamente meglio della sera prima. Prese l'orologio da polso che aveva sistemato sul comodino e gli diede un'occhiata.
‘Le dieci e trentadue minuti' non era tardi, forse faceva ancora in tempo a trovare Massimo a casa. Era domenica, e da quel che ricordava, Max non era certo il tipo che il sabato andava a letto presto.
Davanti allo specchio Marco non vedeva più quelle occhiaie che aveva fino alla sera precedente. Era un buon segno. Ripose il rasoio nell'astuccio e lo risistemò nella tasca laterale del borsone.
- Trentacinque euro, questo è il suo documento Signor Montebardi - l'usciere della sera precedente non c'era più, ora ce n'era uno un po' più giovane, sulla trentina. Strappò la ricevuta e gliela consegnò.
Il messaggio di Max diceva ‘via Bizet, al numero 21'. Quando si erano sentiti l'ultima volta gli aveva promesso che prima o poi sarebbe andato a trovarlo per passare qualche serata insieme come ai vecchi tempi.
Ora però le cose erano diverse. Marco non lo aveva avvisato del suo arrivo, perchè la partenza era stata un po' improvvisa. Le vicende delle ultime settimane avevano creato un po' di confusione nella sua mente.
Marco, fino a qualche giorno prima, era stato il direttore dell'ufficio tecnico in una società che si occupava dell'istallazione di sistemi di sicurezza. Ogni giorno aveva a che fare con decine di persone che richiedevano sofisticati circuiti per difendere le loro ricchezze dai furti, senza contare anche le numerose banche e gioiellerie che periodicamente visitava per testare il corretto funzionamento dei sistemi istallati precedentemente.
Negli ultimi tempi i furti nelle abitazioni erano aumentati notevolmente e le autorità avevano scoperto un nesso tra i furti e i sistemi d'allarme impiegati nelle case svaligiate. La maggioranza delle abitazioni montavano dei sistemi istallati dalla SAS, la Security Alarm System, l'azienda per cui lavorava Marco.
Dopo alcune settimane di indagini le autorità erano riuscite a scoprire i colpevoli dei furti, tra cui cinque impiegati della SAS, il direttore e alcuni altri collaboratori che erano gli esecutori materiali.
L'occhio di polizia e carabinieri era caduto naturalmente anche su Marco, che era stato sottoposto a lunghi ed estenuanti interrogatori per accertarne l'innocenza.
Lui per fortuna uscì indenne dall'indagine, ma ora, dopo che la SAS era stata costretta a dichiarare bancarotta per poter pagare i risarcimenti ai tanti cittadini lesi, si ritrovava senza un lavoro, senza una casa e senza un'auto, privilegi che precedentemente gli erano stati gentilmente concessi dall'azienda.
Per ricominciare aveva deciso di trasferirsi a Modena, dove poteva contare sull'appoggio del suo amico Max, e dove aveva deciso di mettersi in proprio, conscio del fatto che in Emilia Romagna quello dei sistemi d'allarme fosse un mercato in notevole espansione. In questo modo poteva anche riavvicinarsi alla sua famiglia che viveva a Milano, e dalla quale ultimamente si era un po' allontanato.
Era appena sceso dal taxi e ora si trovava davanti al cancelletto d'ingresso di colore nero. Davanti a lui una donna stava lavando il pavimento dell'atrio delle scale del condominio. Alla sua destra la lunga colonna di targhette con i nomi degli inquilini del condominio e accanto ad ognuno il relativo citofono.
Fissò per qualche istante la colonna delle targhette, poi si soffermò su una di esse.
‘Baraldi Massimo, interno 13' il cancelletto era spalancato, il grosso portone marrone a vetrate era stato lasciato aperto per far entrare aria affinché il pavimento si asciugasse. Non gli restava che salire.
Utilizzando l'ascensore aveva raggiunto velocemente il terzo piano, alla fine del corridoio si trovava la porta dell'interno 13.
Marco osservò l'orologio, erano le undici e diciotto minuti, l'unico modo per scoprire se Max fosse in casa era suonare il campanello e aspettare.
La pesante porta blindata iniziò ad aprirsi, dietro di essa comparve la sagoma di un uomo sulla trentina. Era a torso nudo, indossava i pantaloni di un pigiama ed aveva la barba incolta e i capelli arruffati, i suoi occhi facevano fatica a restare aperti. La prova che si era appena svegliato.
Dopo quasi un anno e mezzo finalmente i due vecchi amici si rincontravano. Si conoscevano fin da quando avevano poco più di otto anni, le loro famiglie avevano comprato casa nello stesso quartiere e i due erano diventati degli ottimi amici. Le loro strade si erano separate quando Max aveva deciso di trasferirsi a Bologna per studiare economia e Marco era andato a Roma per seguire ingegneria elettronica. Si incontravano saltuariamente a Milano quando entrambi si recavano dalle proprie famiglie per trascorrere le feste.
Non appena Max si rese conto che quello che aveva di fronte non era il rappresentante di una ditta di elettrodomestici ma il suo vecchio amico Marco, un sorriso gli si stampò sulla faccia e i due si salutarono con un abbraccio.
- Che cosa diavolo ci fa a Modena un mago degli antifurti come te? - esordì Max, ignaro di tutto quello che gli era accaduto.
- Per tua informazione non sono più un mago degli antifurti. La settimana scorsa ho perso lavoro, casa e auto, e ora mi ritrovo praticamente in mezzo alla strada. Niente male vero? - .
- E cosa hai combinato? Non avrai mica svaligiato una banca? - Max prese il borsone di Marco e lo portò in soggiorno.
- Io non ho svaligiato nulla, ma alcuni dipendenti della ditta e il direttore hanno ripulito una decina di abitazioni, e ora, per ripagare i danni, la ditta ha dichiarato bancarotta. Io me la sono vista brutta ma ne sono uscito indenne, con tanto di buona uscita - Marco chiuse la porta e seguì Max in soggiorno.
L'appartamento era immenso, il soffitto era alto almeno cinque metri, il soggiorno era un ambiente unico con il salotto. Il pavimento in parquet rendeva il tutto molto accogliente, alcune porte nascondevano altre stanze e in fondo alla sala una piccola scalinata introduceva in un corridoio.
- E tu invece? Non avrai svaligiato la banca in cui lavori per poterti permettere una casa così? - .
- Da quando sono diventato il direttore della sezione prestiti ho molti vantaggi ed un buono stipendio, in effetti non me la passo tanto male. Hai gia fatto colazione? Io a mezzogiorno ho un appuntamento con il direttore della banca per parlare di alcuni prestiti che mi hanno richiesto alcune ditte. Ci vedremo per un aperitivo nella piazza del duomo. Se non hai nulla da fare ti faccio conoscere un po' la città - .
- Volentieri, non ho nulla di meglio da fare - in effetti Marco doveva cominciare da zero e poteva fare affidamento solo su Max. Sapeva che i primi tempi sarebbe stato d'intralcio, ma sapeva anche che Max non gli avrebbe fatto pesare la sua presenza. Si conoscevano bene e sapevano entrambi che se uno dei due voleva starsene solo non doveva fare altro che dirlo.
- Vado a farmi una doccia e a darmi una sistemata. La tua camera è quella in fondo al corridoio. Fa come se fossi a casa tua - .
- Max sei un vero amico, toglierò il disturbo non appena trovo un appartamento - .
- Non preoccuparti, puoi fermarti quanto vuoi - .
Max era rimasto lo stesso di sempre, quando poteva fare un favore ad un amico non ci pensava due volte. Lui naturalmente non voleva approfittarsene, quindi si sarebbe fermato a casa sua solo il tempo necessario. Ricordava che una volta Max gli aveva parlato di una ragazza, Elena con cui si era fidanzato. Non sapeva altro ma avrebbero avuto molto tempo per parlare.
Intanto aveva deciso di esplorare la casa e di scoprire cosa nascondessero quelle porte del soggiorno: un ripostiglio, un bagno e, in ultima, una stanza che sembrava uno studio.
Marco rimase impressionato dalle decine di orologi a pendolo che tappezzavano le pareti. Naturalmente erano tutti fermi. Il ticchettio di tutti quegli orologi sarebbe stato insopportabile. Si mise ad osservarli uno per uno, ce n'erano di tutti i tipi e grandezze.
- Non rompere nulla, ci tengo alla mia collezione - Max intanto aveva finito di sistemarsi ed era tornato in soggiorno. Indossava un pantalone, una camicia e delle scarpe eleganti.
- Non pensavo ti affascinassero questi aggeggi. Qualcuno deve esserti costato tanto - .
- Si, ma è soltanto un hobby, niente di importante. Ora andiamo altrimenti arriverò in ritardo - .
Entrarono nell'ascensore, diretti al piano dei garage. In un angolo era parcheggiata una Alfa 159 nera, cerchi in lega e vetri oscurati. In auto Max spiegò i motivi per cui doveva incontrarsi con il direttore e Marco gli raccontò le disavventure degli ultimi tempi.
Parcheggiarono l'auto e si incamminarono verso una zona pedonale. I negozi erano chiusi e non c'era molta gente in giro. Marco dava un'occhiata intorno, alla gente, alle strade, ai negozi, pensava a come poteva utilizzare il denaro che aveva messo da parte in quegli anni, era abbastanza per potersi permettere di avviare un'attività in proprio, naturalmente nel campo della sicurezza. Anche Max, grazie al suo posto in banca, avrebbe potuto dargli una mano con qualche prestito.
Attraversarono via Emilia e si trovarono nella piazza del duomo. Marco continuava a guardarsi intorno, poi si fermò a guardare verso l'alto con una faccia un po' perplessa.
- Vuoi muoverti, sono già in ritardo - Max aveva fretta.
- Sono io che ho le allucinazioni o quel campanile è storto? - il campanile del duomo era visibilmente pendente verso sud-ovest.
- Certo che è storto, lo è sempre stato e sempre lo sarà, non hai scoperto nulla di nuovo - rispose ironicamente Max.
- Ma ora andiamo o faremo tardi - .
Marco controllò il suo aspetto nella vetrata di un bar e poi seguì Max al Caffé Concerto.
Ad aspettarli, seduti ad un tavolino, c'erano un signore sulla cinquantina ed una donna molto più giovane ed attraente. Max fece le presentazioni.
- Buongiorno signor Morelli, signorina Fabiani. Lui è il mio amico Marco Montebardi, è arrivato questa mattina e sarà mio ospite per qualche giorno - i due si alzarono in piedi molto educatamente e gli strinsero la mano, poi si riaccomodarono.
Marco si accorse che il signor Morelli portava al polso sinistro un Rolex molto costoso. Indossava un vestito elegante grigio, una camicia azzurra e una cravatta in tinta.
La sua attenzione però fu prevalentemente catturata dalla signorina Fabiani. Era una donna molto attraente, indossava un tailleur nero con una gonna che arrivava al ginocchio con un profondo spacco sul lato destro. Tra le mani, appoggiata sulle ginocchia, aveva una cartellina in pelle marrone, sicuramente ricolma di scartoffie burocratiche.
Il signor Morelli e Max parlarono dei loro affari per una mezz'ora abbondante. Da quello che aveva capito, un'azienda piemontese aveva richiesto un'ingente somma di denaro ad un tasso di interesse molto basso, offrendo l'ipoteca dell'intero stabilimento. Naturalmente, prima di dare una risposta e stabilire i termini del contratto, Max aveva richiesto un incontro col direttore per avere il permesso di procedere.
La signorina Fabiani intanto prendeva appunti ed eseguiva dei rapidi calcoli con l'aiuto di una calcolatrice.
Marco era rimasto ad ascoltarli in silenzio. Osservava il comportamento del signor Morelli. Era un uomo molto sicuro, la sua voce calma e pacata faceva capire che si fidava di Max, sicuramente un degno collaboratore.
- Signor Morelli, Marco era il direttore dell'ufficio tecnico di un'azienda che si occupa di sistemi di sicurezza per pubblici e privati, ora si è trasferito qui a Modena per mettersi in proprio. Forse potrebbe darci una mano con il nostro impianto d'allarme - voltò lo sguardo verso Marco - quello della banca sta iniziando a dare problemi, nonostante i ripetuti interventi della ditta che lo ha istallato. Potrebbe essere presente ai lavori in qualità di consulente della banca - .
- Non è una cattiva idea. La prossima volta che avremo dei problemi potrebbe venire a darci il suo parere - .
- Bene Massimo, penso che per oggi possa bastare. Domani chiudi l'accordo con la ditta e mettimi al corrente di qualsiasi novità - .
L'incontro era terminato, ci fu una stretta di mano generale e i quattro si avviarono verso l'uscita.
Marco, senza esitazioni, puntò i suoi occhi sul campanile del duomo. Quella stranezza lo aveva letteralmente rapito, non sapeva nemmeno spiegarsi il perché, la curiosità era più forte di lui.
- Mi scusi - la signorina Fabiani aveva urtato la spalla di Marco.
- Non si preoccupi signorina, sopravviverò - .
- La prego, basta con queste formalità! Il mio nome è Paola. Prima al bar l'ho vista un po' annoiato. Non deve essersi divertito molto - .
- In effetti è vero. Ma era un incontro di lavoro, c'era da aspettarselo - .
- Ho visto che aveva la testa tra le nuvole. Cosa ci trova di tanto interessante nel cielo modenese? - Paola fece questa domanda in modo un po' ironico.
- Vede sign...Paola, questa è la prima volta che vengo a Modena e sono rimasto molto impressionato dal fatto che il campanile del duomo sia così visibilmente inclinato. Eppure non ne avevo mai sentito parlare. La Torre di Pisa è diventata famosa proprio per la sua pendenza - .
- Si ma non può certo paragonare la Torre di Pisa al campanile del duomo - precisò Paola.
- Questo è vero, forse il paragone è un po' esagerato, comunque....lei non ne sa nulla? Non sa perché il campanile è così? - Marco restava stregato da quel campanile.
- Sinceramente no. Non mi sono mai posta il problema. Ma oggi è domenica, potremmo entrare e chiedere spiegazioni al parroco. Non credo sia un segreto di stato il motivo per cui quel campanile è storto - Paola aveva trovato la soluzione.
- Scusami un attimo - si allontanò da Marco e si diresse verso il signor Morelli e Max che stavano parlando davanti al bar.
- Mi scusi signor Morelli, con il suo permesso io ritorno a casa a piedi, mi farà compagnia il signor Montebardi - .
- Bene, ci vediamo domattina in ufficio - .
- A domani allora, arrivederla signor Baraldi - Paola si congedò dai due e tornò da Marco.
- Allora, andiamo a fare luce su questo mistero signor Jones - sorrise dicendo queste parole.
I due attraversarono la piazza del duomo. In Piazza della Torre c'era un orchestra che si stava esibendo. Doveva essere svedese, a giudicare dalle bandiere che sventolavano.
Il presentatore aveva appena introdotto quello che sembrava l'ultimo pezzo dello spettacolo: l'Inno italiano.
Marco e Paola erano rimasti lì a guardare interessati. Al termine dell'esecuzione la folla raccolta esplose in un applauso mentre i membri dell'orchestra iniziavano a risistemare gli strumenti nelle loro custodie.
Marco vide un giovanotto dire qualcosa all'orecchio di sua madre, poi si avvicinò al batterista. Dopo alcune parole l'uomo sorrise e, con garbo, gli diede le stecche, facendogli prendere posto davanti ai tamburi.
Si esibì in un assolo di percussioni con una bravura tale da sembrare una cosa sola con quegli strumenti. La folla che era rimasta lì ad assistere applaudì entusiasta mentre il giovanotto, a disagio di fronte alla reazione che aveva scatenato, corse tra le braccia della madre che lo accolse soddisfatta.
Paola fece un sorriso, poi si voltò verso Marco e gli fece segno di proseguire.
Attraversarono il piccolo archivolto che fa da tetto alla stradina tra il duomo e il campanile. Lì ebbero la conferma del fatto che il campanile fosse effettivamente pendente. Affissa al muro, c'era una teca con fotografie del campanile che dimostravano la sua pendenza verso sud-ovest, ma non c'erano spiegazioni che la motivassero.
Paola intanto si era fermata davanti alla piccola porticina che faceva da ingresso alla struttura.
- Peccato! - .
- Cosa è successo? - chiese Marco interessato.
- Guarda qui - .
‘Torre Ghirlandina, fondata agli inizi del dodicesimo secolo e terminata nel 1319 dai Campionesi. Orario apertura nei soli giorni festivi 9:30-12:30 / 15:00-19:00'.
- Fino a mezz'ora fa era aperta, ma ora è troppo tardi - .
- Ricordo che quando andavo all'università, in facoltà girava il detto che chi fosse salito sulla Ghirlandina non si sarebbe mai laureato. Per fortuna ora non devo più preoccuparmi, e tu? - .
- Nemmeno io. Mi sono laureato in ingegneria elettronica più di sei anni fa. Ho studiato a Roma, poi mi sono trasferito in Calabria per lavorare in una ditta di sistemi di sicurezza - .
- Il signor Baraldi ha detto che ti fermerai come ospite a casa sua per qualche giorno. Posso chiederti il motivo? - Paola era curiosa di sapere qualcosa di più su di lui.
- Il motivo è semplice: la ditta con cui lavoravo ha dichiarato bancarotta e ora mi ritrovo senza lavoro. Sono venuto a Modena per mettermi in proprio. Mi fermerò da Max fino a quando non troverò un appartamentino in cui sistemarmi - .
Voltarono l'angolo della piccola stradina e si ritrovarono nella piazza antistante l'ingresso principale del duomo.
- Bene, a quanto pare la nostra ricerca si ferma qui - il portone di ingresso del duomo era chiuso.
Marco si avvicinò ad una piccola teca che era sistemata accanto al portone. Parlava di alcuni lavori di restauro che dovevano essere effettuati nel duomo. Non gli diede importanza.
- Se non ti dispiace, io mi incammino verso casa. E' un po' tardi, forse mi stanno già aspettando per il pranzo - .
- Mi stanno già aspettando? Hai una famiglia a cui badare? - Marco era rimasto sorpreso dalla frase di Paola.
- Si, mi aspettano a casa un bel giovanotto di cinquant'anni e una giovincella di quarantasette; sono i miei genitori, sanno cavarsela benissimo da soli, ma io faccio ancora la figlioletta di casa - .
- Ok, non volevo essere indiscreto, sono solo un po' curioso, scusa - .
- E' stato un piacere conoscerti. Forse ci rincontreremo in altre circostanze - .
- Il piacere è stato mio. Spero di rivederti presto - .
Paola si incamminò per la stradina, lui restò qualche secondo a guardarla, poi prese la strada di casa.
Tornò nella piazza del duomo. Max e il signor Morelli erano ancora lì a parlare. Passò qualche secondo e i due si salutarono con una stretta di mano.
- Max, aspetta - .
- Vedo che già ti sei dato da fare. E' il primo giorno che sei qui ed hai già fatto conquiste - .
- Ma dai, non è successo nulla di strano. Abbiamo solo fatto una chiacchierata - .
- Non ti sto dicendo nulla di male. La signorina Fabiani è una bravissima ragazza, non ho mai sentito nulla su di lei che potesse farmi pensare il contrario - .
- Dai Max non sono più un ragazzino, abbiamo soltanto parlato - .



La sala era buia, quattro grandi candele illuminavano gli angoli della stanza, la volta era molto alta e le pareti erano completamente ricoperte di affreschi. Il pavimento era in marmo, le lastre bianche e nere si susseguivano a formare delle figure esagonali e triangolari, il silenzio regnava sovrano.
Otto uomini erano seduti attorno ad un tavolo circolare intarsiato in legno massello. Ognuno di loro indossava una lunga tunica nera, dai cappucci si riusciva a malapena ad intravedere il loro volto. Le braccia erano posate sul tavolo tutte nello stesso modo, la mano destra cingeva il polso della mano sinistra, le lunghe maniche non lasciavano intravedere nient'altro.
Dal collo pendeva un medaglione, una croce patente in oro. Ognuno era immobile al suo posto, impassibile.
Un grosso portone ad arco su un lato della sala si aprì, entrò un uomo alto con indosso la stessa tunica nera e il medaglione dorato. Camminava molto lentamente. Sulle sue gambe sentiva il peso dell'età. Percorse qualche metro e prese posto sulla sedia che aveva davanti, quella con lo schienale più alto, l'unica distanziata dalle altre.
- Fratelli, vi ho voluto riunire qui per discutere di qualcosa di molto importante. Tutti sappiamo che in questo periodo il nostro ordine si è risvegliato dal lungo letargo in cui giaceva da anni. Alcuni segreti stavano per essere violati e noi abbiamo dovuto agire per impedire che ciò avvenisse. Fratello Gondemar ci spiegherà tutto - la voce dell'uomo aveva un forte accento francese. Con un cenno della mano indicò un altro degli uomini che erano seduti al tavolo.
- Fratelli, qualche mese fa il comitato per i beni culturali di Modena ha affidato ad un'esperta d'arte medievale il compito di effettuare un preventivo per i lavori di restauro di parte delle strutture interne del Duomo di Modena. Non sappiamo come, ma la signorina Irene Masetti, questo era il suo nome, aveva scoperto alcuni dettagli che potevano mettere a rischio noi e il segreto che da secoli custodiamo. La signorina si era avvalsa dell'aiuto del Professor Lunardi, un esperto in storia medievale che aveva contribuito allo sviluppo della sua ricerca. Il Maestro ed io abbiamo ritenuto necessario intervenire e porre fine all'attività dei due curiosi. Purtroppo non è stato possibile recuperare i documenti su cui stavano lavorando. Né a casa della signorina, né a casa del professore abbiamo trovato nulla di interessante. Probabilmente quei documenti sono andati distrutti nell'incendio dell'auto della signorina - .
Uno degli uomini seduti al tavolo si alzò in piedi.
- Ma non possiamo uccidere della gente per un semplice sospetto. La regola dell'ordine parla chiaro. Deve essere l'ultima soluzione che dobbiamo attuare se proprio non riusciamo a venirne a capo. Non possiamo ridurre la vita di un uomo ad una cosa così banale, fratelli. Chi meglio di noi sa quanto valga la vita di un uomo. Non possiamo ancora comportarci come i nostri predecessori, non siamo più nel medioevo, non c'è più una guerra mondiale che minaccia i nostri segreti - .
- Fratello Folco, fratello Gondemar non ha agito di testa sua. Abbiamo preso questa decisione dopo una riunione molto lunga, in cui abbiamo valutato tutte le possibili soluzioni. La ragazza era pericolosamente vicina a scoprire i nostri segreti e non c'era più tempo di intervenire per altre vie. Non c'era nemmeno il tempo di riunire il consiglio, abbiamo dovuto agire in fretta e quella era l'unica soluzione possibile - il Gran Maestro cercò di placare gli animi.
- Maestro, credo che il motivo per cui siamo qui non sia quello di metterci al corrente delle vicende che riguardano i nostri fratelli in Italia. Non ci sarebbe stato bisogno di riunire il Gran Consiglio. Cosa vuole dirci? - un altro degli otto prese la parola, la sua voce aveva un timbro forte.
- Fratello Andrè, quello che dici è vero. Non è questo il motivo per il quale vi ho voluto riunire. Il motivo è un altro. Le vicende delle ultime settimane hanno risvegliato il nostro ordine dopo molti anni in cui vivevamo come fossimo solo un'ombra, ma ora le cose stanno cambiando. Le cose accadute in Italia e quelle che ancora accadranno devono essere seguite da qualcuno che abbia ancora la forza di agire e la mente capace di coordinare le attività. Vi ho voluto qui per informarvi che ho deciso di nominare un nuovo Gran Maestro. La mia vita ormai volge al termine e io non sono più in grado di far fronte a tutto questo. Fra una settimana ci riuniremo di nuovo qui e ognuno di voi dovrà darmi consiglio per decidere chi tra voi siederà al mio posto. A seguire come riordinare gerarchicamente i ruoli - il Gran Maestro si alzò in piedi, diede la benedizione a tutti i fratelli che intanto avevano chinato il capo e uscì per la porta da cui era entrato.

Marco e Max erano a casa. Max era disteso sul divano, Marco aveva tra le mani la Gazzetta di Modena del diciannove Novembre. Max aveva l'abitudine di lasciare per casa tutti i giornali che portava via dal suo ufficio.
- Sta un po' a sentire questa: giovedì sera una ragazza ha perso la vita in un incidente stradale qui vicino Modena. Venerdì mattina un professore universitario è morto d'infarto al bar mentre stava facendo colazione - .
- Si, ho già letto quegli articoli. Che cosa ci trovi di strano? - .
- Che cosa ci trovo di strano? - Marco si fermò un attimo a pensare - già, che cosa dovrei trovarci di strano. Nulla - .
- Certe volte non ti capisco, è un giornale di cronaca locale, è normale che ci sono anche articoli di cronaca nera - .
Erano ormai quasi le ventuno. In quei due giorni che Marco aveva passato a casa del suo amico, aveva fatto di tutto per cercare un appartamento ma ancora non lo aveva trovato. L'indomani aveva un appuntamento con una donna che doveva mostrargli un locale all'ultimo piano di un edificio in via Masone. Aveva contattato un'agenzia che lo aveva informato sulla possibilità di poterlo acquistare.
- Domani vado a vedere un appartamento qui vicino. Il prezzo mi sembra vantaggioso. Se tutto va bene posso togliere il disturbo già da venerdì - .
- Ti ho detto mille volte che non devi preoccuparti, non ho nessuna fretta di cacciarti via - .
Un cellulare iniziò a squillare sul tavolino di fronte alla poltrona su cui era seduto Marco. Max si alzò e lo prese, lesse il nome che compariva sul display e si allontanò dal salotto.
- Io vado direttamente a letto. Se esci portati le chiavi - scomparve dietro l'angolo del corridoio che portava alla sua stanza.
A pensarci bene una passeggiata era proprio quello che ci voleva.
Marco chiuse il cancelletto dietro di sé. L'aria era fresca, il giubbotto leggero che indossava andava più che bene per quella temperatura. Osservò la strada e lentamente si incamminò verso il pub che aveva visto il giorno precedente mentre vagava per la città in cerca di agenzie immobiliari.
Con un po' di difficoltà, cercando di ricordare la strada che aveva fatto il giorno prima, arrivò in via Gallucci. Il locale davanti a lui si chiamava ‘Mister Brown'.
Accanto a lui c'erano un ragazzo e una ragazza, stavano tranquillamente chiacchierando mentre fumavano una sigaretta. Marco entrò, l'ambiente che si trovò davanti era molto accogliente. C'era un'ampia sala con dei tavolini, sulla sinistra il bancone del bar con le bottiglie di alcolici perfettamente allineate sui ripiani. Da lì, attraverso un piccolo corridoio, si poteva accedere ad altre due stanze. Sulla porta di una di esse c'era un cartello che avvisava i clienti che quella sala era disponibile su prenotazione per dei piccoli party privati.
In sottofondo c'era della musica soft, molto rilassante. Scrutò ancora per qualche secondo la sala principale e poi si avvicinò al bancone. Prese posto su uno sgabello e attese l'arrivo del barista, un giovanotto sui venticinque anni che stava preparando dei cocktail ad altri clienti.
- Una Tennent's media per favore - .
Il giovanotto guardò Marco, fece un piccolo cenno con la testa e senza proferire parola si mise subito all'opera davanti alla spillatrice.
- Ecco la sua Tennent's - .
Tre ragazze erano sedute ad un tavolo in fondo alla sala, stavano animatamente discutendo su chissà quale argomento. Una di loro aveva iniziato a fissare Marco da quando lo aveva visto sedersi al bancone. Bisbigliò qualcosa all'orecchio delle sue amiche e poi si alzò, un po' titubante.
Con passo lento iniziò ad avvicinarsi a lui. Quando era a pochi metri gli diede un'occhiata più attenta, un sorriso le comparve sul volto e con passò più deciso gli si accostò urtandogli la spalla.
- Oh, mi scusi signor...Jones - .
- Paola! Chi avrebbe mai immaginato che ti avrei rincontrata qui - in qualche occasione aveva pensato a lei.
In fondo era una bella ragazza, ma non si era preoccupato più di tanto di rincontrarla, non si erano scambiati il numero di telefono né si erano dati appuntamento da qualche altra parte. Si erano semplicemente salutati così, da perfetti estranei, quali erano effettivamente.
Paola indossava una maglietta nera con una scollatura audace ma non volgare, una gonna che arrivava sopra al ginocchio, stivali con tacco alto e calze nere. Marco rimase colpito anche dai suoi lunghi capelli castani, nell'incontro precedente, quando c'erano anche Max e il signor Morelli, lei li portava legati.
- Cosa ci fai qui tutto solo? - .
- Nulla, volevo prendere un po' d'aria e sono venuto qui, davanti alla mia birra preferita. Ne faccio portare una anche per te? - .
- Volentieri, ti faccio compagnia - .
Restarono lì a parlare per una buona mezz'ora, poi le due ragazze che prima erano sedute al tavolo con Paola le fecero cenno che stavano andando via.
Lei tirò fuori dalla sua borsetta un taccuino e una penna, scrisse qualcosa su un foglietto, lo strappò e lo diede a Marco sorridendo.
- Chiamami - Paola gli diede un bacetto sulla guancia e si allontanò per raggiungere le sue amiche che erano già uscite dal locale.
La serata era andata nettamente meglio di come si aspettava. Paola gli aveva lasciato il suo numero di telefono e ora era sicuro che avrebbe avuto la possibilità di rivederla.
Custodì gelosamente quel bigliettino nel portafogli, pagò le consumazioni, si alzò e andò via.

Erano le nove del mattino. La sveglia sul comodino cominciò a suonare insistentemente. Il braccio, ancora intorpidito per il sonno, raggiunse il pulsante per interrompere quel suono fastidioso. Si alzò dal letto e con gli occhi quasi chiusi iniziò ad alzare le persiane della finestra della sua camera. Era una bella giornata, ideale per andare un po' in giro a cercare casa, come ormai faceva già da qualche giorno.
Alle dieci aveva appuntamento con la signorina che doveva mostrargli l'appartamento. Aveva tempo per prepararsi una buona colazione.
L'aroma del caffé si stava diffondendo per tutta la casa, sul tavolo c'erano delle brioches, fette di pane e un barattolo di marmellata.
Ormai erano le nove e quarantacinque e l'orario dell'appuntamento si stava avvicinando. Marco uscì dalla sua camera con pantaloni di jeans, scarpe sportive e una camicia con le maniche arrotolate ai gomiti. Si avvicinò all'ingresso e prese le chiavi che erano sul mobiletto, poi uscì richiudendo la porta dietro di sé.
Grazie alla piantina della città che aveva consultato la sera precedente, si diresse con sicurezza verso via Masone, che distava circa dieci minuti a piedi.
Arrivato nei pressi del numero civico della casa da visitare, vide ad una trentina di metri da lui una ragazza, tra le mani aveva una cartellina. Dall'aspetto doveva essere proprio un agente immobiliare.
Decolleté neri con un tacco di pochi centimetri, gonna al ginocchio e giacca chiara, capelli di media lunghezza.
Al telefono, il ragazzo dell'agenzia aveva detto che gli fissava un appuntamento con la signorina Campi. Doveva essere lei.
- Mi scusi, la signorina Campi? - Marco le si avvicinò un po' timidamente.
- Si, lei dovrebbe essere il signor Montebardi - .
- Esattamente, via Masone numero ottantuno - .
- Bene, se non le dispiace le faccio vedere subito la casa. Fra meno di un'ora ho un appuntamento con un altro cliente - la donna si avviò verso il portone, Marco la seguì.
Entrarono nell'ascensore e la signorina senza esitazione selezionò il numero sei nella lista dei piani. Era l'ultimo.
Arrivarono davanti all'ingresso, tirò fuori dalla borsa un mazzo di chiavi e aprì la porta.
L'appartamento era accogliente. C'era un'ampia sala da pranzo adibita ad ambiente unico con la cucina, un piccolo corridoio che portava alla camera da letto e al bagno. La camera da letto era spaziosa, il letto era matrimoniale e l'arredo completo, il bagno aveva sia un vano doccia che una vasca, tutti gli impianti sembravano essere a norma. Marco osservò attentamente le condizioni del mobilio, sembrava tutto in buono stato.
- Signorina mi scusi, le posso fare una domanda? Come mai questa casa ha un prezzo così vantaggioso? - era molto curioso.
- Vede, ci abitava un anziano signore. Poiché è venuto a mancare, l'agenzia, piuttosto che continuare ad affittarla, ha deciso di metterla in vendita - la signorina sembrava piuttosto vaga e non era molto sicura di quello che diceva.
- Ne è sicura? Non sarà che l'anziano signore che abitava qui è morto d'infarto in condizioni un po' strane, davanti ad una colazione al bar? - Marco sembrava sapere esattamente quello che diceva.
La signorina rimase un attimo in silenzio.
- Signorina non volevo metterla in difficoltà, volevo solo una conferma ai miei sospetti, e lei me l'ha data. Non si preoccupi, la prendo ad occhi chiusi, un'occasione così quando mi capita nuovamente? - le fece un sorriso.
La signorina tirò un sospiro di sollievo. Quello che Marco aveva appena detto sicuramente non sarebbe stato di buona pubblicità per l'appartamento, ma fortunatamente a lui non interessava.
Presero posto davanti ad un tavolo, la signorina compilò dei moduli contrattuali.
Marco li analizzò sommariamente, non aveva motivo per non fidarsi di lei, firmò e li restituì alla signorina formalizzando l'accordo.
Soddisfatti, si alzarono entrambi ed uscirono dall'appartamento.
- Signor Montebardi, se oggi passa in agenzia potrà ultimare le pratiche per l'acquisto. Naturalmente ci vorrà un po' di tempo, a causa dei tempi burocratici saranno pronte solo tra qualche giorno, ma penso che non ci saranno problemi se vorrà trasferirsi sin da subito. Informo immediatamente l'agenzia di considerare l'appartamento venduto - .
- La ringrazio signorina Campi, arrivederla - .
La sera precedente Marco aveva letto sul giornale l'articolo riguardante il professor Lunardi e la sua morte di qualche giorno prima. Senza esitazioni aveva collegato quella casa a quelle vicende, anche perché gli sembrava di ricordare che la residenza associata all'uomo fosse proprio in via Masone.
Ora non doveva far altro che andare in agenzia a ultimare le pratiche. Nel pomeriggio, quando Max sarebbe tornato dalla banca, gli avrebbe dato la notizia.
La casa era già completamente arredata, non doveva affrontare ulteriori spese e il trasferimento poteva essere immediato.
Lanfranco Pesci
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