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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Barbara Cappellani
Titolo: La mia fantasmagorica famiglia
Genere Urban Fantasy
Lettori 2346 5 7
La mia fantasmagorica famiglia
Sono seduta sul sedile posteriore dell'auto di mia sorella Alba, mentre lei sta litigando con Nicola. Una vera noia. Sono stata letteralmente imprigionata in questo abitacolo e, con tutte le lacrime che sta versando mia sorella, qui si rischia di annegare.
Eppure, le avevo raccomandato di non farlo, di non lasciarsi andare. Gli uomini non restano particolarmente soddisfatti dal pianto di una donna quando stanno valutando l'opportunità di lasciarle, e Nicola, non ho dubbi, sta valutando e sta per dirle qualcosa del genere da quando sto con te sono cambiato, ho bisogno di entrare di nuovo in contatto come stesso, non facciamo altro che litigare e questo non mi fa bene. Quello che non le dirà mai è che questo, in realtà, l'ha detto sua madre, perché Nicola è un Mammone, anche se Alba non ha mai voluto accettare che la loro è stata sin da subito una relazione a tre.
Io l'avevo avvisata quando, al secondo appuntamento, lui ha respinto la sua mano per rispondere al telefonino che squillava ed è corso via lasciandoci sole al ristorante, io a braccia conserte che assistevo alla pietosa performance e Alba con le spalle curve e una zuppa fumante sotto il naso, perché La mamma lo aveva chiamato ricordandogli che lo stavano aspettando tutti a casa per festeggiare il compleanno del nipotino. L'articolo determinativo è stato un sicuro inequivocabile campanello d'allarme; se ha La mamma e non una mamma, lui è Il figlio e BAM, lo scontro è garantito, tu sei L'estranea che vuole portaglielo via.
Alba è una collezionista di uomini da evitare.
Quando ha conosciuto Nicola veniva fuori da una storia con un Narcisista, che è ancora peggio del Mammone. Il Mammone non è intenzionalmente distruttivo. Il suo fine non è annientare te, ma tenersi al sicuro nella comfort zone che, per capirci, è la gonna della mamma. Se questo poi comporta incidentalmente la tua distruzione, è solo un imprevisto del percorso, non l'obiettivo. Il Narcisista, invece, si nutre del tuo disfacimento: più tu ti annichilisci più lui cresce. Dopo il love boambing del primo periodo, quando è ancora il partner meraviglioso già disposto a portarti all'altare perché non aveva mai incontrato una come te, e tu sei una super donna, bellissima, intelligente e unica, lui ti molla all'improvviso e usa il potere che ha guadagnato sulla tua mente per annientarti manifestando tutto il suo disprezzo nei tuoi confronti, perché tu, da un giorno all'altro, non si sa come, sei cambiata e sei diventata instabile, problematica e negativa, e non sei più neanche tanto bella con quel chilo di troppo, ti sei lasciata andare. Insomma, la colpa è solo tua se hai sprecato la tua unica possibilità di un'intera vita di avere un uomo eccezionale come lui che ti amava. Hai rovinato tutto!
Da non confondere con il tipo Allergico agli impegni, quello che, dopo dieci anni, ancora non si sente pronto, perché è troppo presto. Quello del prendiamoci un'altra pausa, devo riflettere per capire. Lui in effetti non ti lascia, perché in realtà non ti ha mai preso in carico nella sua sfera emotiva. Dovresti lasciarlo tu, che invece sei attaccata a lui con tutte le tue forze, tipo cozza sullo scoglio, ma alla fine sguazzi nell'inconsapevole disperazione dell'incertezza quasi quasi soddisfatta perché per come è fatto, se non ti volesse bene sul serio, non starebbe con te da tutti quegli anni, e quindi non ti sembra affatto un rifiuto, e aspetti, aspetti che lui capisca, perché ha solo bisogno di tempo. Ma la verità è che tu non hai mai smesso di essere single.
C'è anche l'Imbroglione, che è davvero un compagno ideale: uomo d'affari molto impegnato, viaggia spesso per lavoro, ma quando ha un po' di tempo libero lo passa tutto con te, ti riempie di regali costosi ed è impeccabile, semplicemente perfetto. L'uomo dei tuoi sogni. Non ti lascia mica lui. No, assolutamente no, perché sei tu la parte astuta, quella che, dopo anni e anni di menzogne, scopre per caso che lui è sposato con tanto di prole ma non intende lasciare la moglie perché poverina è sola al mondo, non ha amiche, non ha parenti e non voglio rovinarle la vita, esattamente come non ha voluto rovinare la tua. Perciò, sei tu quella che lo lascia e se ne va fiera in giro a raccontarlo alle amiche.
L'insicuro, invece, ti lascia senza esserne troppo convinto. Sì, è così. Rullo di tamburi: oggi anche l'insicuro lascia le donne. Perché la disponibilità è ampia e l'uomo insicuro può trovare in giro le conferme di cui ha bisogno, senza troppa fatica. Lui è geloso, gelosissimo, anzi, decisamente possessivo, quello che, se saluti un amico per strada, ha già fiutato un tradimento e, se sei online su WhatsApp mentre guardate la tv, ti ha beccato in flagrante mentre chatti col tuo amante. Ti fa sentire tanto amata ma pensi di soffocare per tutto questo amore. Sei in procinto di lasciarlo. Tu sei una donna indipendente che non può sopportare tutte quelle restrizioni, ma in realtà non lo fai mai perché in fondo tutta quella ossessione ti gratifica, e lui, una mattina, mentre guardate le notizie dell'ultima ora sorseggiando il caffè, ti confessa che ha conosciuto un'altra che lo fa sentire più sicuro, meno inquieto e che questo è ciò di cui ha bisogno. Non è del tutto convinto di voler chiudere con te ma ha bisogno di viverla un po' questa donna tanto simile a lui che ha conosciuto nella sala d'attesa del suo psicologo quel pomeriggio, quando lui ti aveva chiesto di accompagnarlo e tu, invece, hai preferito andare in palestra senza di lui.
- La verità è... - , mia sorella scoppia in un pianto convulso.
“Alba, non nominarla, non nominare sua madre...”, raccomando a mia sorella intuendo cosa sta per dire, mentre mi sdraio sul sedile rassegnata all'inevitabile epilogo.
- La verità è che tua madre non accetta che tu abbia una relazione con una donna che non sia lei! - , urla mia sorella tra un singhiozzo e un altro.
Ecco, il guaio è fatto. Adesso il Mammone si sente scoperto e non ci sarà possibilità di recuperare la situazione.
- Tu non sei degna di nominare mia madre. Non osare mai più parlare di lei. Me ne vado e non farti mai più sentire, non voglio vederti mai più! - , strilla lui sbattendo lo sportello dell'auto con forza.
Alba ha nascosto il volto tra le mani e piange senza controllo.
Adesso mi tocca confortarla, come sempre. Ogni due, tre mesi, conosce un uomo e se ne innamora; ogni due, tre mesi, viene mollata e cade in depressione.
Non le dirò che la colpa è sua, per aver scelto ancora una volta uno squilibrato, per non aver capito ancora una volta che era uno squilibrato, per essersi comportata ancora una volta come una geisha addestrata che fa tutto quanto necessario per appagare l'uomo di turno, dimenticandosi di sé stessa. Non lo dirò, perché Alba è molto fragile e quand'era bambina, dagli otto ai dodici anni, è stata in cura da una psicologa, e il peggio per me è che la causa dei suoi disturbi psico-emotivi sono stata io.
Io sono Aurora e sono la sorella gemella di Alba. La nostra bisnonna, la bisnonna Celeste, che non abbiamo mai conosciuto, era un'appassionata di astronomia; qualcuno diceva che fosse una strega, ma oggi non ci crede più nessuno, e ha chiamato la figlia, cioè nostra nonna, Sole, per noi nonna Solina, che a sua volta ha chiamato la figlia, nostra madre, Luna. Mia madre, durante la dolce attesa, accarezzando il suo stratosferico pancione, aveva promesso a sua mamma che in suo onore ci saremmo chiamate come le fasi del crepuscolo mattutino e che secondo l'ordine naturale del fenomeno, la prima nata si sarebbe chiamata Alba e la seconda, Aurora.
Il parto purtroppo è stato molto difficile e ci sono state delle gravi impreviste complicazioni.
Ops. Alba sta girando le chiavi dell'auto e ha messo in moto.
Stiamo seguendo Nicola che ha appena fatto rombare la sua moto alzando un polverone.
“Alba non lo fare. Lascialo andare. Ti umilierai ulteriormente”, la rimprovero, e con un salto mi sposto sul sedile accanto al suo. Lei non mi risponde e continua la sua corsa.
“Alba”, insisto.
Niente. Mi sembra di essere diventata trasparente.
In dieci minuti siamo di fronte alla villa di Nicola, mia sorella fa un posteggio veloce e si catapulta fuori dall'auto. Io la seguo continuando a chiamarla.
La moto di Nicola è ferma nel giardino, s'intravede da dietro il cancelletto. Alba inizia a pigiare freneticamente il pulsante della tastiera citofonica.
- Chi è? - , risponde una voce con tono altezzoso.
- Signora, buon pomeriggio. Sono Alba. Devo parlare con suo figlio. So che è in casa, mi apra, per favore. Mi apra - , supplica mia sorella.
- Ah, sei tu - . Il tono della voce adesso rivela anche una punta di disgusto. - Nicola ha da fare, non possiamo riceverti - . Si sente un click.
- Aurora, hai sentito? Mi ha sbattuto il citofono in faccia. Ti rendi conto? Brutta stronza, megera incartapecorita - .
Io faccio spallucce, come per dire te l'avevo detto.
Alba riprende a pigiare il pulsante e dopo qualche minuto risponde di nuovo quella voce.
- Alba, cara, vorrei che cortesemente la smettessi di far suonare il citofono. Ho una forte emicrania quest'oggi. Inoltre, mio figlio mi ha pregato di riferirti che non vuole assolutamente vederti. Ti prego di lasciarlo in pace, non ha tempo da perdere con te. Deve studiare per quel concorso interno ed è molto importante che non abbia distrazioni di alcun tipo - . Un altro click.
Alba sta per attaccarsi di nuovo al pulsante.
“Alba, adesso basta! Torniamo a casa. Non vuole vederti. Perché devi renderti ridicola?! Non sopporto di vederti così”, protesto.
Alba è scoppiata a piangere e non riesco a farla smettere.
- Io da qui non me ne vado - , replica lei. - Lo aspetteremo in macchina, prima o poi dovrà uscire di casa - .
Decido di assecondare la sua follia e mi infilo in auto dopo di lei.
Siamo in silenzio da qualche minuto, sta scendendo la sera e io inizio a temere di dover passare la notte in auto.
- Lo so che avevamo concordato di non farlo più, ma questa volta è diverso. Io lo amo e voglio stare con lui, a tutti i costi - , frigna Alba mentre si strofina il naso con un fazzoletto. - Ti prego, fallo per me - .
Dovrei oppormi, dovrei dirle no. Dovrei ricordarle che l'accordo è stato fatto per il suo bene, per permetterle di crescere emotivamente e di staccarsi da me, ma non ci riesco. Le voglio troppo bene e vederla così mi distrugge.
Annuisco. Sospiro e annuisco.
- Grazie - , mi sorride e i suoi occhi stanno luccicando di gioia, - sei la gemella migliore di sempre! - .


Sono passate due ore e finalmente intravediamo in lontananza Nicola, che sta per montare in moto. Alba sgattaiola fuori dall'auto, e io la seguo rassegnata, si attacca alle sbarre del cancello e lo chiama cercando di sovrastare il rombo del motore.
Nicola si avvicina scuotendo la testa e sbuffa: - Alba, sei ancora qui? Forse noi non siamo stati abbastanza chiari? - .
Ma si può essere innamorate di un uomo che quando dice noi intende io e la mamma??
Alba può.
- Fammi entrare - , implora lei con il capo piantato tra le sbarre del cancello. - Dobbiamo parlare, non può finire così tra di noi - .
Io mi sono lasciata scivolare a terra e sono appoggiata al muretto esterno di recinzione della villa mentre conto alla rovescia sulle dita di una mano: “Cinque, quattro, tre...”.
- Alba, no. Non ti faccio entrare e no, non abbiamo nulla di cui parlare. Da quando sto con te non sono più lo stesso, non facciamo altro che litigare, non riesco più a concentrarmi sugli studi, ho bisogno di entrare in contatto con me stesso, di stare per un po' da solo - , dichiara lui con freddezza.
Alba accenna un calcio verso di me e sta per piangere di nuovo. Non la vedo in volto perché è ancora incastonata tra le aste del cancello ma sento quel mugolio che emette sempre prima di scoppiare in lacrime.
Ok, è il momento per me di entrare in scena.
“Hai ragione, Nicola, parlare non servirebbe a nulla. Adesso quello che conta è che tu possa sostenere e superare il tuo esame. Tua mamma ha ragione, non devi perdere tempo con me”, le suggerisco di dire riferendo con tono meccanico.
- Ok, Nicola, hai ragione, parlare non servirebbe a nulla. Quello che conta adesso è il tuo esame - , ripete Alba freneticamente con voce tremula. - Tua mamma ha ragione, non devi perdere tempo con me - . Fa una pausa e con una crescente nota di entusiasmo continua: - Tua mamma ha sempre ragione, ha ragione su tutto, tua mamma è una donna tanto arguta e ... - .
“Ha preso la rincorsa”, sospiro, io.
- Ha preso la rincorsa, tua mamma ... - . Alba rallenta e abbassa il tono della voce. - ...la rincorsa... - .
“Alba! non lei! tu! tu hai preso la rincorsa...”. Mi lascio andare con la testa sulle mani e capisco che Alba, in questo momento, è solo un megafono; ha disattivato ogni funzione encefalica.
- La rincorsa? - , replica lui confuso.
“Digli di aspettare un attimo e corri in macchina a prendere il regalo che abbiamo comprato per Nina”, le ordino.
Alba sgancia la testa dal cancello e mi guarda dubbiosa.
“Corri, dai”, la incito.
- Aspetta, Nicola, solo un attimo - . Alba corre in macchina, ritorna con lo shopper Converse e mi guarda in attesa.
“Digli che è un regalo per sua mamma, che lo avevi comprato per lei e che prima di dirvi addio ci tieni a farglielo avere per dimostrale il tuo affetto e la gratitudine per aver cresciuto un uomo come lui”, simulo un conato di vomito portando il dito medio alla bocca.
Lei non mi presta attenzione e si rivolge a Nicola: - È un regalo per tua mamma, l'ho comprato per lei e, prima di dirci addio, voglio che tu glielo dia per dimostrale il mio affetto e tutta la mia gratitudine per aver cresciuto un uomo come lui... - , si interrompe e scuote la testa, - ...come te, come te, volevo dire come te - .
Nicola sgrana gli occhi e si illumina di felicità, pigia un pulsante e il cancello si schiude. Ritira il sacchetto e sbircia dentro. - Un paio di All Star? Per mia mamma? - , la interroga perplesso.
- Tua mamma ha già tutto. Volevo essere sicura di non regalarle un doppione. E poi, è così giovanile lei, sembra una ragazzina - , improvvisa mia sorella.
- Alba, mia mamma ha ottant'anni e da quando ha fatto l'intervento deambula con un carrello! - .
“Alba, niente fuori programma!”, le intimo. “Digli che il regalo è simbolico, che All Star significa Tutte le stelle e le stelle rappresentano la luce, la speranza, l'energia, e che le scarpe invece sono un augurio per una veloce riabilitazione”.
Alba ripete tutto d'un fiato.
Nicola sorride, annuisce e le dice: - Stravagante ma decisamente tenero come pensiero. Mi hai colpito, Alba. Davvero, non mi aspettavo che tenessi così tanto a mia madre - , tira a sé la porta del cancello. - Mi farebbe piacere che glielo dessi direttamente tu. Lo apprezzerà tanto, ne sono sicuro - .
Alba sembra galleggiare in aria e sta per entrare.
“No!”, esclamo, io.
- No! - , ripete, lei.
- No? - , chiede, lui.
“Non facciamo passi indietro, ormai è deciso. Io sparirò dalla tua vita. E voglio che tu ti concentri solo su quello che è importante per il tuo futuro, sui tuoi studi, sulla tua promozione”, imbocco la battuta e Alba intanto declama parola dopo parola tenendo il mio passo. “Anzi, ti consiglio di non uscire stasera, di restare a casa, altrimenti domani mattina ti alzerai tardi, sarai stanco e non potrai studiare. Non devi avere distrazioni. Sono certa che tua mamma sarebbe d'accordo con me. Devi essere responsabile, fai qualche sacrificio oggi per raccogliere i frutti domani. Io faccio la mia parte ma tu devi fare la tua!”.
- ...ma tu devi fare la tua! - , conclude lei.
Nicola è rimasto in silenzio.
“Adesso saluta e volta le spalle!”, dispongo con tono imperioso.
- Ciao Nicola - . Alba volta le spalle e fa come per andare via.
- Aspetta! - , esclama lui. - Non andare, parliamone - .

Stiamo tornando a casa. Alba ha il trucco sfatto ma è serena, adesso sorride. La osservo mentre tamburella con le dita sullo sterzo e si morde le labbra. So cosa sta pensando: sta pensando che d'ora in poi starà più attenta, agirà con cautela e doserà le parole. In realtà, anche se la crisi è stata momentaneamente sanata, non ci vorrà molto perché Alba mandi tutto all'aria.
Devo essere onesta, imparziale. Gli uomini che sceglie mia sorella sono i peggiori. Alba ha un'innata abilità nel selezionare quelli sbagliati, ma non sbagliati per lei in senso relativo, sbagliati in assoluto, con difetti di conformità, inidonei all'uso; ma c'è anche da dire che lei riesce a essere insopportabile con poco sforzo. Capricciosa, eterna insoddisfatta, petulante e morbosa. All'inizio li incanta tutti con i suoi occhi profondi color miele e i suoi lunghi capelli castano dorato; il suo visino ha una delicatissima forma squadrata, con un mento leggermente pronunciato che le dona un'aria simpatica e frizzante; il suo corpo è piccolo ma ben fatto, armonioso nelle forme e sodo.
Poi, dopo l'incanto dei primi giorni, ci mette poco, tira fuori in una volta tutta la sua fragilità che si manifesta in piazzate di gelosia, pianti, sceneggiate isteriche, pedinamenti, interrogatori, minacce e aut aut subito ritrattati.
Mai! Mai usare la tecnica dell'aut aut se non sei capace di andare
fino in fondo; se la scelta non sei tu, non puoi rimangiartelo e dirgli che tutto sommato hai appena deciso di dargli un'altra possibilità.
Alba lo sa che non è in grado, ma non resiste alla forza attrattiva del melodrammatico aut aut, che di solito segna la fine delle sue storie. Il colpo di grazia.
Tira il freno a mano e punta i suoi occhioni verso di me. - Grazie - , sibila. - Grazie, Aurora - . Abbassa gli occhi e con tono mesto mi dice: - Lo so, lo so che avevo promesso che me la sarei cavata da sola, ma l'hai visto anche tu. Ci ho provato, ma non so proprio come fare con gli uomini; sbaglio sempre - .
“Per una volta si può anche fare uno strappo alla regola”, minimizzo. “Però, questa è stata davvero l'ultima”.
- Ok, prometto, non te lo chiederò più. D'ora in poi, conversazioni, whatsapp, messaggi vocali, saranno tutti farina del mio sacco - , si batte il petto e mi sorride.
Sorride perché tanto lo sa bene che non sarà così, che io non so dirle di no.
Entriamo in casa e sentiamo delle voci agitate provenire dalla camera da letto di mamma e papà.
- Elio, questi slip non sono miei! Te l'assicuro - , urla a squarciagola Marianna. - Dimmi cosa ci fanno sotto il piumone questi dannati slip! e, soprattutto, di chi sono! - .
- Mari, credimi, io non... - . Mio padre prova appena a giustificarsi ma viene travolto da un fiume di insulti.
- Bugiardo, fedifrago, stronzo egoista. Ti ho regalato mesi della mia vita e tu mi ripaghi portandoti in casa, nel letto dove facciamo l'amore, una puttanella che usa slip da quattro soldi! - .
Si sente un rumore irrequieto di tacchi sul pavimento e mio padre che chiama Marianna. Lei ci passa accanto come un fulmine, raccoglie la sua borsa dal divano e lascia l'appartamento sbattendo la porta. Snoopy le corre dietro e rimane fermo davanti alla porta ad abbaiare.
“Mamma”, borbotto lanciandole un'occhiataccia.
Nostra madre è in piedi appoggiata al mobile della cucina, si volta e mi strizza un occhio.
- Mamma, l'hai fatto di nuovo? - , domanda mia sorella incredula.
“Suvvia, ragazze, ma quella non va mica bene per vostro padre: gli ho fatto un favore. Volete vedere che adesso mi ringrazia pure?”.
- Lunaaaa - , urla mio padre. È appena entrato in cucina, ha i capelli scompigliati e gli occhi rossi dalla collera.
Noi siamo in silenzio e li osserviamo dall'altro lato della stanza. Abbiamo preso posto sul divano e non intendiamo intrometterci.
- E allora?! Luna! - .
“Elio, non farne una tragedia, lo sapevamo che prima o poi Mariella sarebbe crollata. Non è facile resistere in questa casa”.
- Marianna! - , replica lui.
“Facciamo Marianella e non ne parliamo più”, gli dà le spalle e viene a sedersi in mezzo a noi. “Come è andata la vostra giornata, ragazze?”.
- Io me ne vado, basta! Lascio questa casa. Voglio vivere la mia vita, ne ho fin sopra i capelli, di te, di tua madre... - , sbraita mio padre.
“E di me?”, frigno io con tono scherzoso, consapevole che lui non pensa quello che sta dicendo e che non direbbe mai nulla contro di me; ama mia madre e ama me esattamente come ama Alba. Ecco, forse l'unica che non si può dire che gli susciti sentimenti romantici è nonna Solina.
“Da bravo, vieni qui e non fare tante storie”, sussurra mia madre con tono suadente. Accavalla la sua coscia tornita tirando un po' in su il vestito e gli fa un cenno con un dito.
Mio padre sospira, scuote la testa, prende la rincorsa, fa una mezza piroetta in aria e si lascia cadere sul divano accanto a noi
scoppiando in una fragorosa risata.
“Che succede? Moana si è arrabbiata di nuovo?”, domanda nonna Solina che spunta dal corridoio avanzando verso di noi a piccoli passi, seguita da Snoopy che scodinzola.
- Marianna! - , strilliamo tutti all'unisono prima di esplodere in una risata corale.
Ecco, la mia fantasmagorica famiglia!

***
Lunedì mattina in casa nostra c'è sempre il caos. Dopo il fine settimana, si fa un po' fatica a riprendere il ritmo.
Mio padre oggi si lamenta perché le camicie sono quasi tutte sporche e quelle pulite sono da stirare.
Nina, la nostra collaboratrice domestica, viene da noi soltanto il martedì e il giovedì, e non sempre fa in tempo a sbrigare tutto quello che serve.
Mia sorella strilla perché è in ritardo e mio padre è chiuso in bagno da un quarto d'ora per tentare di stirarsi indosso una camicia con l'asciugacapelli.
Snoopy abbaia senza sosta; noi tutti ci siamo abituati e nessuno gli dà più importanza. Snoopy è un ostinato vecchio Chihuahua a pelo lungo. È il fidatissimo cagnolino della nonna, figlio della sua amata Minerva, che è morta circa dieci anni fa alla veneranda età di 19 anni e che a sua volta era figlia di Hela, il primo Chihuahua di nonna.
Mia nonna Solina sta parlando da sola. Non è che non ci stia con la testa, anzi, è lucidissima. Parla da sola perché lei si rivolge a mio padre, ma lui non l'ascolta. Non l'ascolta più da anni.
“Un uomo che non sa stirare le sue camicie non dovrebbe neanche indossarle, oppure dovrebbe indossarle stropicciate. Non dovrebbe mostrarsi al mondo per quello che non è”, borbotta la nonna con tono intenso per farsi sentire da mio padre, che intanto sta cercando la sua cintura.
- Luna, Luna, la mia cintura l'hai presa tu? - , domanda mio padre agitato.
Mia madre, a sua volta, fa finta di non sentire mio padre e se ne va in giro per la casa a spostare quadri e mobili. Lei ha una teoria tutta sua e sostiene che ogni inizio di settimana si deve cambiare qualcosa in casa, perché altrimenti rischiamo di dimenticare che tutto scorre.
Quando qualcuno di noi la deride, lei risponde: “Guarda fuori dalla finestra; ti sembra che tutto sia uguale alla settimana scorsa? Non vedi che il ramo di quell'albero si è piegato e che le foglie stanno cambiando colore? Non capisco perché in casa tutto dovrebbe restare sempre uguale :non sarebbe naturale”.
Sin da quando eravamo piccole ci narra del panta rei; ci spiegava che l'Universo è un continuo alternarsi di opposti come il giorno e la notte, il caldo e il freddo e che Tutto cambia costantemente, e poi ci raccontava la metafora di Eraclito secondo la quale non puoi entrare due volte nello stesso fiume perché l'acqua che ti ha bagnato la prima volta se ne è già andata via seguendo la corrente.
Io inseguo Alba da una stanza all'altra mentre scanso Snoopy che si intrufola tra le mie gambe ringhiando e le sto ripetendo tutto quello che deve memorizzare: “È necessario innanzitutto distinguere due tipi di datazione: la datazione relativa e la datazione assoluta. La datazione relativa stabilisce una relazione cronologica di anteriorità o di posteriorità tra due o più manufatti, strati e depositi. Le datazioni relative si ottengono con il metodo stratigrafico e con il metodo tipologico o combinando entrambi i metodi... Alba, mi stai ascoltando?”. La osservo infastidita, mentre lei sta scrivendo qualcosa sul suo iPhone.
- Sì, sì, ti ascolto, stavi parlando del metodo relativo e della datazione tipologica... - , farfuglia lei distratta.
“Alba! è la datazione che è relativa, non il metodo. Il metodo è tipologico!”, la rimprovero. “Quand'è così, sbrigatela da sola”.
Oggi mia sorella deve sostenere un esame all'università in Rilievo e analisi tecnica dei monumenti antichi e io da settimane cerco di farle entrare in testa quantomeno le nozioni fondamentali.
Io ho una memoria incredibile e assimilo tutto immediatamente, forse perché la mia mente non è mai distratta o impegnata con tutte le stronzate di cui si preoccupa mia sorella, che invece ancora all'età di ventisei anni a volte confonde l'ordine delle lettere dell'alfabeto.
Potrei suggerirle ogni risposta durante l'esame, esattamente come faccio quando si tratta di sostenere conversazioni con gli uomini, ma mio padre ha categoricamente vietato il mio intervento sin dai tempi della scuola media quando ha scoperto che durante le interrogazioni c'ero sempre dietro io che le suggerivo cosa dire. Il dubbio gli venne perché Alba portava a casa voti altissimi; ma poi, quando mio padre, orgoglioso, le rivolgeva qualche domanda, aspettandosi la risposta di un piccolo genietto, lei non spiccicava una parola.
E così, da allora, è stato messo il veto.
Stiamo camminando a passo veloce in direzione università di Archeologia. Siamo in tremendo ritardo ma mia sorella si ferma a ogni negozio del centro storico per esaminarne le vetrine.
- Noooo - , esclama lei a un tratto. - Aurora, guarda quella Luis Vuitton. È adorabile, devo averla! - .
“Alba, ci sono più borse nel tuo armadio che valigie sui nastri trasportatori dell'aeroporto di Heathrow”.
- Se passo l'esame me la regalo - , afferma mentre riprende la sua camminata veloce.
“Con quali soldi? Fai la cameriera in un pub tre volte a settimana”.
Alba si arresta, mi guarda e mi sorride alzando esageratamente gli angoli della bocca.
“Alba, papà è un insegnante di scuole superiori, non può comprarti una Luis Vuitton, di cui tra l'altro non capisco cosa dovresti farne”.
- Quanto vorrei condividere con te l'emozione dello shopping - , sospira, - questo tuo distacco da tutto quello che è meramente materiale, mi uccide! - .
Una coppia si è fermata al nostro passaggio; l'uomo sta guardando Alba corrugando la fronte e la donna ha portato una mano alla bocca per nascondere un ghigno.
Non ci facciamo caso. Ci siamo abituate.
Prendiamo posto in prima fila nell'aula magna. È gremita di studenti che parlottano nevroticamente. Un cicalio fastidioso aleggia nell'aria e si può percepire l'ansia collettiva.
Alba posa un libro sulla mia sedia e sistema gli altri in grembo.
Arriva la squadra di assistenti, occhiali sul naso e penna in mano.
Hanno un atteggiamento insopportabile, come se appartenessero a una casta di livello superiore, come se fino all'altro ieri non fossero stati anche loro su quelle sedie in platea sbattendo le ginocchia e sgranocchiandosi le unghie in attesa di sentir chiamare il proprio nome.
Il professore, panciuto e imbronciato, prende posto. Inizia la seduta d'esame.
Alba è sotto torchio da un quarto d'ora. Vorrei tanto aiutarla, ma ho promesso a mio padre e non posso tradirlo.
Guardo fuori dalla finestra e vedo passare quell'uomo che ogni giorno cammina per il Corso principale con il capo chino e le grandi spalle incurvate, come se portasse un peso da cui non riesce a liberarsi. Se camminasse con una postura adeguata, credo che raggiungerebbe almeno un metro e ottantacinque di altezza. Accanto a lui c'è lei con i capelli raccolti in una lunga treccia, che tiene il suo passo e lo fissa dal basso.
Potrei sbagliarmi, ma credo che lui non dovrebbe superare la quarantina e lei, invece, dovrebbe avere una trentina d'anni.
Ogni mattina, da anni, li vedo attraversare tutto il Corso del centro storico. Li vedo anche dalla finestra della mia stanza e mi chiedo sempre quale sia il problema. Sembrano dannatamente infelici.
- Diciotto! - . Alba sbatte il libretto sul tavolino ribaltabile della sedia e si lascia cadere sulla seduta. - Almeno, papà non avrà dubbi sul fatto che sia stato tutto merito mio - .
“A papà non importa che il voto sia alto, lo sai”, le dico. “Lui vuole soltanto che tu te la sappia cavare da sola. Non gli importa neanche che lo superi, l'esame”.
Mio papà, Elio, è un uomo eccezionale. Non ha mai inculcato nelle nostre teste il concetto del primato in assoluto. Ci ha insegnato che è non è importante primeggiare sugli altri ma soltanto sui nostri peggiori difetti e limiti. La gara non è con gli altri, ognuno ha il proprio vissuto e la propria storia. La gara è con noi stessi.
Infatti, io e mia sorella non siamo mai state in competizione; io
non ho mai sofferto perché tutti guardano e ammirano solo lei e lei non ha mai sofferto perché io, a differenza di lei, so un sacco di cose e imparo le nozioni nuove in modo naturale, come una spugna assorbe l'acqua.
Mio padre insegna storia e filosofia al liceo classico della nostra città. Compirà quarantanove anni domani, è un uomo intelligente, dinamico e spiritoso, un marito e un papà meraviglioso, ha un fisico asciutto e definito, eccetto che per quell'accenno di pancetta che è una novità dell'ultimo anno, e non si chiama Elio.
Mio padre si chiama Francesco dalla nascita, Elio da quando ha conosciuto mia madre. La bisnonna Celeste, la prima volta in cui conobbe mio padre, quando ancora appena quindicenni i miei genitori si erano da poco fidanzati, gli ha scompigliato i capelli scuri con la sua mano piena di anelli e gli ha detto: - Tu ti chiamerai Elio e sarai parte di questa famiglia - .
Una via di mezzo tra un battesimo e una maledizione.
Ecco perché anche mio padre ha un nome che ha a che fare con il sistema solare.
- Brava, amore mio - . Mio padre stampa un bacio sulla fronte di mia sorella e agita in aria il suo libretto universitario.
“Sei intelligente come tutte le Alì”, puntualizza nonna Solina. Alì non è neanche il suo cognome, è quello da nubile di sua madre Celeste. Ma per la nonna tutto inizia da sua madre, e noi siamo la nobile discendenza di donna Celeste, ricca proprietaria terriera con un qualche titolo tra quelli più bassi della gerarchia araldica. La sua ricchezza fu scialacquata dal marito Ettore, incallito giocatore di poker, che la lasciò vedova e squattrinata quand'era poco più che ventenne.
“Ed è bella come la sua mamma”, aggiunge mia madre mentre esegue una piroette. “Oggi indosso un Dior realizzato in pizzo di seta nero: ha un particolare taglio svasato con un effetto a strati. Non è fantastico? Come mi sta? L'ho visto ieri su Glamour e voilà”, alza le braccia in aria e le lascia ricadere lungo i fianchi. “Allora? Che ne pensate?”. Apre la rivista sulla pagina dell'abito e l'avvicina al petto.
Mio padre le va incontro, la rivista scivola a terra, si abbracciano in un lento silenzioso, si guardano teneramente e le loro labbra si sfiorano.
- Lo indosserai domani per il mio compleanno? - , sussurra lui.
“Se ti fa piacere”, sorride lei.
Mio padre la invita a roteare sotto il suo braccio, lei lo asseconda e poi con la sua leggiadria si piega in un casquè.
Io e mia sorella ci lasciamo andare in un applauso e saltelliamo
sul divano come due bambine che per la prima volta scoprono che mamma e papà si vogliono bene e si piacciono, e non stanno insieme perché sono due automi programmati per metterti al mondo, crescerti, nutrirti, vestirti, educarti e amarti incondizionatamente anche quando dovrebbero detestarti.
Trilla il citofono.
Mia sorella corre a rispondere perché aspetta Nicola che mezz'ora fa avrebbe già dovuto essere qui per portarci a pranzo fuori. Si festeggia l'ultimo esame di mia sorella del programma del secondo anno accademico, anche se lei ormai è al settimo anno di università.
- Nicola?! - , esclama Alba attaccata al ricevitore del citofono. - Ciao, Marianna - . Alba porta la cornetta al petto e fa una smorfia a mio padre che annuisce. - Sì, sì, mio padre è in casa. Vuoi che te lo passi o preferisci salire? - .
Mia madre alza gli occhi al cielo e scuote il capo.
Mio padre raggiunge in fretta Alba e le sfila la cornetta dalle mani. - Mari, sono contento che tu... ah, ok, la tua roba? Certo, ti apro il portone - .
Sembra un cane bastonato, per un attimo aveva sperato in un ritorno, è evidente. Punta un dito verso mia mamma e la fulmina con uno sguardo.
Mia madre alza le mani in segno di resa e continua a mescolare il sugo.
“Queste giovani donne di oggi non hanno dignità, hanno un certo bruciore...”, bofonchia nonna Solina mentre tira fuori un ago dal suo ricamo.
“Nonna!”, protesto, “hai sentito? È venuta soltanto per prendere la sua roba!”.
Lei annuisce e alza le sopracciglia. Snoopy la fissa con i suoi grandi occhi tondeggianti e le orecchie ritte a pipistrello. “La sua roba, ah, la sua roba, sta a vedere”, infila l'ago nell'organza, lo tira fuori e taglia il filo in eccesso.
Marianna fa il suo ingresso in casa come una furia scansando mio padre che le ha appena aperto la porta.
- Ciao, Marianna - , bisbiglia mia sorella intimidita.
- Ciao, Alba - , le fa eco lei.
Marianna si dirige in corridoio e sparisce nella camera da letto. Mio padre le va dietro col capo chino.
Silenzio.
Silenzio.
“Mamma, hai finito il tuo ricamo. Fammi vedere”. Mia madre ruba il cerchio dalle mani di mia nonna e lo scruta. Non vuole far capire che è nervosa e quindi finge interesse per le roselline di filo rosso a punto vapore. “Deliziose, mamma, deliziose”.
La nonna si riappropria del cerchio. “Luna, figlia mia, so bene che non te ne frega nulla delle mie roselline, piuttosto vai a vedere cosa succede di là”.
- Brutto bastardo! - , urla Alba scaraventando il suo iPhone sul divano. - Maledetto bugiardo! - .
Ecco, la crisi isterica di mia sorella cade a fagiolo: ha evitato una catastrofe. Quel silenzio dall'altra stanza non promette nulla di buono, per mia mamma intendo.
Mia madre abbraccia mia sorella che piange; ha già capito che si tratta di Nicola. Le accarezza i capelli e intanto mi fa un cenno con la testa.
“Non se ne parla, mamma”, replico. Non ho nessuna intenzione di spiare mio padre e Marianna in camera da letto.
Mia madre avvicina al petto la nuca di Alba e la bacia, intanto stizzita sbatte un piede in terra e mi lancia un'occhiata di fuoco.
- Mi ha scritto che ha avuto un imprevisto e per il nostro pranzo non se ne fa niente - , frigna Alba. - Lo so io qual è l'imprevisto! Quella stronza di sua madre che gli avrà messo in tavola il suo piatto preferito non appena ha visto che lui stava per uscire di casa! - .
“Amore mio, la tua mamma non ha mai pianto per un uomo. Non ti ho insegnato a essere così debole”.
- Ma io lo amo - , piagnucola mia sorella.
Cosa c'entri io lo amo nel contesto, non riesco a capirlo, ma mi rendo conto che il conforto di mia mamma non è il massimo che ci si possa aspettare.
Dall'altra stanza, ancora silenzio. Sono già dieci minuti di silenzio.
“Non ascoltare tua madre, Alba.” La nonna fa segno a mia madre di scansarsi e prende posto sul divano tra lei e mia sorella. “La tua bisnonna Celeste riteneva che il pianto fosse tutt'altro che un'emozione negativa, anzi, una coraggiosa manifestazione dei sentimenti più forti, del dolore, della disperazione”. Sventola le dita e mia madre ubbidiente si sposta ancora un po'; batte la mano sul divano e io prendo subito posto accucciandomi sulle sue gambe. Alba dall'altro lato mi imita, stropiccia un cuscino poggiandoci il capo e io le faccio spazio. Nonna Solina posa le mani sulle nostre teste. “Mi raccontava mia madre, la vostra bisnonna, che secondo la mitologia dell'antico Egitto l'umanità sarebbe scaturita dalle lacrime di Ra, il dio del Sole, il più potente e amato di tutto l'Egitto, il creatore dell'universo e dell'umanità”.
- Quello con la palla sulla testa! - , dichiara, entusiasta, mia sorella.
“Un disco solare, vorrai dire”, la correggo.
“Era raffigurato come un uomo dalla pelle d'oro a testa di falco, sulla quale stava il disco solare attorno a cui si avvolgeva il cobra ureo”, continua nostra nonna. “Navigava con la sua barca d'oro durante le dodici ore del giorno solcando le acque del Nilo così permettendo la vita sulla terra con il calore vivificante dei suoi raggi e, quando arrivava la sera, sprofondava nelle viscere della terra per illuminare il mondo dei morti, che al suo passaggio si risvegliavano dal loro sonno lanciando grida di gioia”.
- Lui da chi è nato? - , domanda mia sorella alzando appena il capo.
“Il dio Ra si è creato da solo e poi con le sue lacrime ha creato gli esseri umani”, risponde la nonna. “E se un Dio tanto potente ha pianto, penso proprio che possa piangere anche tu. Il punto è, mia cara Alba, cosa nasce dal tuo pianto”.
- Mmh... - . Alba esprime il suo apprezzamento per l'insegnamento della nonna, ma io non credo che abbia realmente compreso cosa lei intendesse dire.
“Il pianto di Priamo ha avuto la forza di fermare la guerra tra greci e troiani. Achille fu mosso a pietà dalle lacrime del vecchio e concesse dodici giorni al padre per piangere e celebrare i funerali del figlio Ettore, l'uomo che lui stesso aveva ucciso”, aggiungo, tanto per dare sfoggio della mia cultura.
- La mamma dov'è andata? - . Alba scatta in piedi e si guarda intorno.
Non è difficile immaginare dove sia.
- Questa è stata l'ultima volta, non ci casco più! - . Marianna entra in salone, la sua camicetta fuoriesce per metà dal jeans e ha le gote arroventate. - Alba, sei ancora qui - , si ricompone. Ha cambiato tono della voce. - Tuo padre mi aveva detto che saresti uscita a momenti. A proposito, complimenti per l'esame - .
Alba la ignora, è di nuovo col capo chino sul suo iPhone e muove freneticamente il suo pollice sullo schermo, mordendosi le labbra.
- Ma dove ho messo la mia borsa... - . Marianna girovaga per la stanza alzando cuscini e spostando sedie.
Snoopy le abbaia contro.
Mio padre segue Marianna per la stanza implorandola: - Mari, non ne avevo idea. Ti supplico, ascoltami - .
E mia madre segue mio padre. “Oddio, Elio, ti prego, non supplicarla, non davanti a me”.
- Lasciami in pace! - , inveisce mio padre perdendo il controllo.
- Lasciami in pace?? - , ripete, sbalordita, Marianna. - Ah, ah! stanne certo, trovo la mia borsa e vado via, per sempre, questa volta - . 
***
Oggi è il compleanno di mio padre e come ogni anno siamo venuti al cimitero. Camminiamo in successione per i viali silenziosi all'ombra dei cipressi.
La giornata probabilmente è più calda di ieri; si vede che i raggi del sole di giugno sono più diretti.
Mio padre è in testa alla fila, seguito da Alba. Io sono a un metro di distanza, cammino lentamente per tenere il passo fiacco di mia nonna. Snoopy le trotterella accanto con la sua lingua penzolante. Mia madre è davanti a noi e ogni tanto si ferma e fa delle piroette, fa sì che il suo vestito di pizzo di seta si gonfi, inclina la testa indietro e chiude gli occhi come per catturare un po' di luce, poi riprende a camminare silenziosamente.
Anche mio padre è silenzioso. Non si parlano da ieri. Da quando Marianna ha sbattuto la porta di casa sul naso di mio padre e mia madre ha capovolto la pentola nel lavandino versandovi tutto il sugo.
Siamo arrivati a destinazione, finalmente.
Non mi piace venire al cimitero. La trovo una cosa insensata. Non credo affatto che l'essenza di una persona morta si trovi al cimitero, sottoterra. Ormai fortunatamente veniamo qui solo in occasione del compleanno di qualcuno di noi e, anche se non ci domandiamo più perché lo facciamo, sappiamo bene che tutto è iniziato per Alba. Fu un ordine della psicologa che seguiva mia sorella; la dottoressa Meli sosteneva che se da un lato la visita al cimitero tiene vivo il ricordo e il legame con le persone che non ci sono più, dall'altro però permette di vedere e accettare che la morte fa parte della vita.
Mio padre sta raccogliendo i fiori appassiti dai vasi. L'ultima volta siamo venuti per il compleanno mio e di Alba, il mese scorso.
Alba si inginocchia accanto a una lapide. Io mi siedo su quella vicina, poggio il mento sulle mani e guardo l'incisione sul marmo sotto l'angioletto appisolato tra le sue ali.

Aurora Deiana
N. 15-05-1996
M. 15-05-1996
Sarai sempre con noi.

Alba si è alzata. Mi guarda con gli occhi umidi e si stende sulla mia lapide, appoggia una guancia sulla lastra di marmo e allarga le braccia.
Mio padre sta passando un dito sulla foto del volto sorridente di mia madre incastonata in una cornice ovale in bronzo. In questa foto lei ha una luce negli occhi che non ho mai visto dal vivo. Mio padre una volta ci ha detto che quella foto è stata scattata il giorno in cui lei ha saputo di essere in dolce attesa di due gemelle. La sua lapide è semplice; non ci sono né angeli né statuette sacre, solo la sua foto e una scritta.

Luna Bruni in Deiana
N. 02-02-1973
M. 15-05-1996
Sarai sempre con noi

Mia madre si è dileguata; non si ferma mai davanti alle nostre lapidi, prosegue sempre a passo veloce fino al vialetto successivo per sedersi sulla lastra della tomba di suo padre.
Eccola, è lì.
Lei è seduta sulla tomba del nonno Carlo, detto Saul, con le gambe distese accavallate e la schiena appoggiata alla stele.
“Scansati”, le intima nonna Solina.
Mia madre sbuffa e salta in piedi.
Nonna Solina raccoglie i fiori avvizziti dai vasetti in porcellana e senza voltarsi fa un cenno a mio padre che le passa prontamente dieci rose rosse, si guarda intorno furtivamente e le sistema con cura, porta una mano alla bocca e la spalma sulla foto in bianco e nero del nonno Saul. Un altro cenno e Alba le consegna altre dieci rose rosse, che la nonna sistema con altrettanta cura nei vasetti della lapide accanto, e poi, con fierezza, impettita, ne legge a voce alta l'epitaffio: “Qui giace Solina Alì Casabona in Bruni. Moglie e Madre affettuosa ed onesta, le sue doti furono di esempio a quanti la conobbero. I familiari a perenne ricordo”.
Il suo auto-elogio.
Lo teneva pronto per l'uso, nel cassetto del suo comodino insieme alla foto accuratamente scelta per l'occasione.
“Adesso, andiamo a salutare la bisnonna Celeste”, ordina nonna Solina stendendo le braccia verso me e mia sorella. Sfioriamo le sue mani e la seguiamo. Snoopy si accoda sculettando.
Mi volto indietro e vedo mio padre e mia madre uniti in un abbraccio. Lei ha inclinato il capo verso il petto di lui e lui l'avvolge con le sue braccia.
La tomba della bisnonna Celeste dista un po' dalle altre, si trova nella zona alta del cimitero.
Da qui la vista si perde in ampissimi e sinuosi spazi verdi, e le colline in lontananza, immobili e perenni, ti ricordano che c'è ancora altro al di là di ciò che puoi vedere.
La tomba della bisnonna è più imponente delle nostre. Lei l'aveva commissionata a un noto scultore dell'epoca quando, oltre che influente, era ancora molto facoltosa. È una piramide in miniatura realizzata in pietra, affiancata da una scultura di Nut, la dea egiziana del cielo, che reca una brocca sulla testa girata di profilo, ha il busto frontale, un braccio disteso lungo il fianco e la mano chiusa a pugno che regge l'Ankh, la chiave della vita. La nonna ci ha detto che la dea Nut di solito viene rappresentata come una giovenca che poggia i quattro piedi sulla terra, sul cui corpo navigano gli astri e il sole, ma che la bisnonna non intendeva avere per l'eternità una mucca all'ingresso del suo sepolcro. Una meridiana incisa su una lastra di marmo sovrasta la porticina in ferro e sopra lo gnomone vi è una frase scolpita in latino: Nihil cum umbra, sine umbra nihil.
Non ci sono fiori: la bisnonna detestava i fiori recisi.
La nonna fa un cenno ad Alba. Lei annuisce e subito si dirige verso la porticina di ferro per togliere un bottiglione di plastica che qualcuno ha abbandonato proprio lì, all'ingresso della dimora eterna della bisnonna, lo getta in un cestino e si riposiziona accanto alla nonna come un soldatino sull'attenti.
Nonna alza il mento e le dà una pacca sul sedere.
Alba corre di nuovo verso la porticina di ferro, tira fuori una chiave da una fenditura della parete, la infila nella serratura e apre la porta.
Nei dintorni ci sono alcune persone che pregano sulle lapidi dei propri cari; perciò, mia nonna non può toccare e spostare nulla per non creare allarmismi. Una porta che si apre da sola già normalmente crea stati di forte ansia negli esseri umani, figuriamoci in un cimitero. È un patto di famiglia inviolabile. Quando c'è gente in giro, né io né mia madre né mia nonna interagiamo con la materia.
In passato abbiamo creato problemi e imbarazzi sia a mio padre che a mia sorella, soprattutto ad Alba che già da bambina aveva la nomea di essere una strana, perché parlava da sola o con qualche amichetto immaginario. Non potevamo permettere che si pensasse che fosse dotata di paranormali poteri telecinetici o, peggio, posseduta da qualche strana entità.
Perciò il patto lo rispettiamo con molta attenzione, per amore di Alba.
Nonna Solina ci ha chiesto di aspettare fuori. Snoopy, no, l'ha seguita come sempre.
Mi incuriosisce la dea Nut e un po' mi inquieta questa storia che ogni giorno inghiotte gli astri, lascia che essi attraversino il suo corpo e, ogni giorno, di nuovo, li partorisce. A me sembra una donna condannata a eterna tortura, ma la nonna, se dico cose del genere, mi rimprovera e mi ricorda che lei è una dea di morte ma anche di rinascita, è quella parte di noi che non muore mai e sempre rinasce, uno spazio immenso nel fondo dei nostri cuori in cui possiamo accogliere tutto, anche ciò che ci ferisce, con la consapevolezza che comunque, anche dopo aver inghiottito, si darà nuovamente alla luce, e dentro di noi vi sarà ancora altro spazio, pronto ad accogliere.
La leggenda narra che Nut e il dio della terra Geb, quello con l'oca sulla testa, erano l'uno parte dell'altra, erano fratelli, sposi e amanti, così strettamente avvinghiati l'uno con l'altro da non lasciare spazio per niente e nessuno. Per far sì che si generasse la vita era quindi necessario dividerne i corpi; perciò, Ra ordinò al loro padre, Shu, dio dell'aria, cioè il vuoto, di dividerli creando lo spazio tra cielo e terra. Così Nut formò la volta celeste, inarcuata su Shu che la sostiene, costretto a conservare eternamente quella posizione. Sotto, è rimasto Geb, la terra.
Nonna Solina fa capolino dalla piramide e agita la mano.
La raggiungiamo, accenniamo un inchino e baciamo la foto della bisnonna Celeste. Un saluto anche al bisnonno Ettore e sgattaiolammo fuori con l'autorizzazione della nonna, che ci segue. Snoopy ha la coda tesa e ringhia. Insopportabile cagnolino.
Sono arrivati i miei, anche loro ripetono il rituale del saluto.
Mio padre tira a sé la porticina per chiuderla mentre noi tutti in silenzio ci incamminiamo sulla via del ritorno, poi recupera la distanza, con un salto si posiziona tra me e mia sorella e le domanda: - Come sta andando con Nicola? Avete fatto pace? - .
- No, affatto - . Alba ha di nuovo gli occhi umidi.
Ieri, dopo la baraonda che c'è stata in casa, lei è dovuta montare in servizio al pub dove lavora e non abbiamo potuto parlare. Mi ha tenuto il broncio tutta la sera e non mi ha rivolto la parola. Io lo so perché. Sono sicura che ha scritto un whatsapp di quelli vietati e da ieri freme dalla voglia di confessare e di chiedermi un aiuto per rimediare, ma non ne ha il coraggio.
Mia mamma è dietro di noi, adesso è sorridente e chiacchiera allegramente con sua mamma.
Io sono distratta, come al solito, dalle centinaia e centinaia di lapidi tutt'intorno. Penso a chi ci sta sotto, alla vita che ha vissuto e alla morte che ha subìto.
A volte, invece, penso semplicemente che il cattivo gusto non abbia limiti, dalla vita alla morte; ci sono arzigogolate lapidi con decorazioni dorate e pompose, giganteschi cherubini con le ali spiegate e inquietanti croci di granito lucido.
Mi chiedo se davvero esistano le anime dentro i corpi e come sempre mi rispondo di no. Non credo che ci sia spazio per un'anima dentro al corpo umano; dove dovrebbe risiedere per tutta la durata della vita? Nel pancreas, nel fegato, nella pancia? E anche se per ipotesi riuscisse a sistemarsi nel tubo dell'intestino, cosa dovrebbe fare per giorni e giorni, per anni e anni, nascosta lì dentro?
E poi nessuno l'ha mai vista dentro a un corpo. Non si è mai sentito di un chirurgo che durante un intervento abbia esclamato: guarda qui che bell'anima che abbiamo!
Qualcuno risponderebbe: che c'entra! è eterea non si può mica vedere con l'occhio umano!
Io credo che le uniche cose impalpabili e invisibili dentro al corpo di un uomo siano l'aria ingerita e il gas prodotto che, tra l'altro, una volta all'interno, tentano subito di riguadagnare la via d'uscita con rutti e peti.
Ah, e poi, con questa storia dei fantasmi! Creature soprannaturali ritornate dal regno dei morti. Non ci ho mai creduto. Se non vedo non credo. Sono fatta così.
E infatti l'occhio vuole la sua parte; per questo noi tre ci teniamo molto a manifestarci con un preciso aspetto esteriore.
Mia nonna e mia madre sono l'esatta proiezione di ciò che erano in vita; si manifestano con le stesse sembianze dei loro corpi. Papà ha suggerito più volte alla nonna di approfittare della situazione per un ammodernamento. Lei ogni volta gli risponde che prima di morire nessuno le dava l'età che aveva, e poi fa un gesto circolare col dito vicino alla fronte. Lui fa finta di niente ma poco dopo scappa in bagno e ispeziona la quantità di capelli che ha sulle tempie.
Io mi manifesto con le sembianze di mia sorella perché mi sono sempre immaginata come lei. Sin da piccola osservavo Alba ripetendo man mano tutti i suoi gesti e le sue abitudini e così con un processo mentale a specchio che si attivava involontariamente mentre la guardavo compiere un'azione, come se la stessi svolgendo io stessa, sono cresciuta insieme a lei.
È lui! Ne sono certa.
Ho appena visto passare l'uomo del Corso, quello con le spalle incurvate.
È solo. Lei non c'è.
Mi sembra ancora più curvo visto da vicino e ancora più triste.
Fissa il terreno e cammina con passo veloce, muove solo i piedi trascinando le gambe, e il resto del suo corpo sembra immobile sotto il peso che porta.
Procede in direzione dell'uscita. Mi domando da dove venga, cioè da quale tomba. Peccato non averlo notato prima; l'avrei seguito, avrei sbirciato l'epitaffio e di certo avrei scoperto qualcosa sul motivo della sua malinconia.


Siamo in macchina. Mia madre è seduta davanti e accarezza la nuca di mio padre che è alla guida; mia nonna tiene Snoopy in braccio e gli liscia il pelo; Alba fissa il suo iPhone entrando e uscendo da WhatsApp. Io la guardo con aria interrogativa e lei nasconde il suo smartphone sotto una gamba. Allungo una mano con il palmo rivolto in su, e attendo.
Alba scuote la testa.
Agito le dita della mano protesa verso di lei e lei ci molla sopra il telefonino come se fosse infuocato.
“Sbloccalo!”, le ordino.
Senza voltarsi, lei ci mette un dito sopra e poi si rannicchia sul sedile nascondendo il volto tra le gambe.
Poggio l'iPhone sul sedile e osservo lo schermo.
WhatsApp è aperta sulla chat Nicola.

Ieri
Baby, non ce la faccio per oggi. Un brutto imprevisto, purtroppo😓 Ti racconto dopo, ora vado di fretta. Mi farò perdonare😘
14.32

Potevi dirmelo prima. Ti aspetto da più di mezz'ora!!! Ci tenevo tanto e lo sapevi. Era importante per me festeggiare con te questo mio successo universitario.
14.32

Imprevisto???!😦🤷‍♂️
14.33

Imprevisto è qualcosa che non ti aspetti. Io non avevo dubbi che mi avresti dato buca.
14.33

Che cazzo dici?
15.15

Cos'è successo? La mamma ti ha detto che se fossi rimasto con lei, ti avrebbe portato al parco giochi?
15.16

Sono stato tutto il giorno in ospedale. Hanno ricoverato la mamma e dovrà fare un altro intervento al femore!!! Oggi è caduta!!!
18.00

Quando eravate al parco giochi???
18.01

Naturalmente la chat si interrompe qui. Anzi, no, per essere precisi c'è un ultimo whatsapp di Alba.

Rispondimi.
19.00

Guardo Alba che non osa voltarsi verso di me. Ha la guancia rossa e si morde le labbra.
“Ti sei bevuta il cervello?”, la rimprovero.
Lei porta un dito al naso e fa una smorfia.
“Ti sei bevuta il cervello?”, ripeto con tono più basso. “Sua mamma è caduta, è in ospedale, deve fare un'altra operazione al femore, e tu? tu sfotti? fai dell'ironia? Alba?!”.
- Sono stufa di non essere rispettata - , sussurra lei senza guardarmi. - Non ho resistito, è stato più forte di me - .
“E poi: Rispondimi? Rispondimi a cosa? Sul serio ti aspettavi che ti rispondesse?”, borbotto mentre le restituisco il telefono.
- È una questione di educazione. Se qualcuno ti fa una domanda, tu rispondi! - , afferra il telefonino. - Anzi, forse è il caso che gli faccia notare la sua mancanza - , muove il pollice freneticamente sullo schermo.
“Alba, se lo fai, non voglio mai più sentire lamentele da parte tua sugli uomini e sulla tua cosmica sfortuna in amore”, la minaccio.
Alba ha gli occhi umidi. Ecco, adesso la signorina Hyde, inconsapevole e distruttiva, si è trasformata nella dottoressa Jeckyll, ossessionata dall'amore. - Ho rovinato tutto, Aurora, tutto - , porta le mani al volto e inizia a singhiozzare, - questa volta l'ho perduto per sempre, non mi vuole più - .
Mio padre ci lancia un'occhiata dallo specchietto retrovisore e mia madre gli fa segno di guardare avanti.
La nonna è assente, almeno così sembra. Il cimitero ha questo effetto su di lei. Sulla via del ritorno, girovaga tra i ricordi del passato e sorride.
- Ma che cazz... - , esclama mio padre pigiando il pedale del freno. - Deve esserci stato un incidente - .
“Un brutto incidente, qualcosa di grosso”, aggiunge mia madre.
Siamo alla fine di una coda di auto che a vederla da qui non promette nulla di buono. Si sentono centinaia di clacson suonare in lontananza e in un attimo non siamo più gli ultimi della fila.
Adesso siamo imbottigliati in mezzo al traffico in una strada a una sola corsia, imprigionati in auto... con Alba!
- Signore e signorine, credo che prima di un'ora non ne usciremo - , sbuffa papà.
Mia madre tira giù l'aletta parasole, si riflette sullo specchietto, passa una mano tra i suoi capelli corvino e si rivolge alla nonna: “Mamma, ci racconti una delle tue storie su nonna Celeste?”.
“Sì, nonna, dai! Raccontaci della bisnonna Celeste,” la imploro.
- Raccontaci quella delle brocche di olio! - , esulta Alba lasciando scivolare l'iPhone nella borsa.
“Mia madre Celeste era considerata la donna più bella del paese”. Nonna Solina inizia il suo racconto con la solita frase di apertura. “Aveva occhi azzurri come il mare e tanti capelli neri sempre raccolti in un ampio e morbido chignon”. Si gira verso di noi e impenna il capo. “Nessuna di voi le assomiglia, né voi né vostra madre”.
Noi sappiamo a memoria tutte le storie di nonna Solina; ce le racconta da quando eravamo bambine, ma ci piace da matti fare un tuffo nel passato, nella vita dei nostri avi, anche se già conosciamo il finale.




***

⌛⌛⌛⌛⌛
Quando il marito, Ettore, tornava a casa, donna Celeste si faceva trovare sempre imbellettata, e in giro si diceva che lei lo facesse per poter dire al marito, che rientrava a casa nelle prime ore del mattino barcollante sotto l'effetto dell'alcool, che quel giorno non si poteva fare perché si era appena messa l'abito da passeggio e che tanto avevano già fatto l'amore la sera prima, per tutta la sera. Lui non si ricordava neanche quello che aveva fatto un minuto prima, figurarsi la sera precedente. Perciò, appagato già solo dall'idea di aver fatto il suo dovere, si gettava sul letto con i vestiti indosso e sprofondava in un lungo sonno. Quando lui si svegliava, lei indossava già l'abito delle cerimonie perché a momenti si sarebbe recata alla messa del pomeriggio e, quando più tardi rientrava a casa, il marito era già seduto al tavolo da poker di qualche circolo, con un sigaro in bocca, un whisky nel bicchiere e una coppia di otto in mano.
Ettore perdeva sempre le sue partite, e notte dopo notte, nel giro di pochi anni di matrimonio, si era giocato terreni, mucche, maiali e persino galline; tutti beni della ricca dote della moglie.
Celeste all'età di diciassette anni aveva dichiarato di voler subito sposare Ettore senza sentire storie, e il padre di lei che stravedeva per quell'unica figlia femmina, bellissima e intelligente, alla fine le aveva dato il consenso in uno con una considerevole dote, spinto anche dalla condizione di scarsità di contendenti a causa della guerra.
Ettore Casabona aveva vent'anni più di lei, proveniva da una nobile famiglia caduta in povertà ed era noto in paese per i suoi vizi che spaziavano dalle donne alle carte, dall'alcool all'oppio.
Si diceva in paese che a causa delle sue cattive abitudini fosse diventato impotente.
Era anch'egli bellissimo: alto, moro, brizzolato e con gli occhi verdi.
Ma le voci di paese giuravano che Celeste, donna colta e dall'animo ribelle, l'avesse voluto per sfuggire al sicuro destino di moglie sottomessa al marito, dato che il padre era già da tempo impegnato in varie trattative per combinare il suo matrimonio.
Ettore era un debole, un animale notturno, spesso incapace di intendere e di volere; lei non lo avrebbe avuto tra i piedi e così avrebbe potuto continuare a fare la sua vita come se non avesse un marito, frequentando segretamente il suo amato circolo di intellettuali, il pomeriggio, quando indossava l'abito delle cerimonie.
Celeste, al tempo della sua decisione di sposare quell'uomo, non aveva messo in conto però che Ettore fosse il peggiore giocatore di poker di tutto il paese, poiché in giro si era sempre detto che la rovina della sua nobile famiglia fosse stata causata dal defunto padre di lui che si era invischiato in affari sbagliati e che, quindi, per questo motivo, lotto dopo lotto, casa dopo casa, Ettore aveva dovuto vendere tutto per ripagare i debiti del padre.
Nessuno aveva osato raccontare in giro del suo occhio che tremolava ogni volta che tentava un bluff al tavolo, perché si temeva che se lui avesse saputo, avrebbe smesso di giocare, e questo non conveniva ai suoi compaesani, almeno non fin quando non ebbe scialacquato tutti gli averi di famiglia prima, e della moglie dopo.
Negli anni ‘20, dopo circa quattro anni di matrimonio e di dissipazione, Ettore contrasse la Spagnola che gli causò una grave polmonite batterica.
Qualche giorno prima della sua morte, mentre lui era allettato in stato di semicoscienza, si presentarono in casa gli Ufficiali giudiziari per eseguire un pignoramento a causa di un ingente debito per imposte non pagate negli ultimi anni, per tutti quei terreni che ormai, uno dopo l'altro, erano stati ceduti per saldare debiti di gioco.
Celeste aveva sapientemente fatto raccogliere e macinare tutte le olive dell'ultimo piccolo terreno di proprietà prima di cederlo all'ennesimo creditore del marito, con l'intenzione di vendere l'olio così da poter garantire per qualche tempo il sostentamento a sé stessa e ai pochi fedeli servitori rimasti in casa con lei.
Nei giorni precedenti, Celeste aveva ordinato ai suoi servitori di portare nel frantoio tre cassapanche in legno, di riempirle di vecchi tessuti raccolti in casa, tende, tovaglie e lenzuola, e di chiuderle con un lucchetto.
Quando si presentarono alla sua porta in presenza di due testimoni, gli Ufficiali giudiziari chiesero immediatamente di essere condotti al frantoio, dove vi erano diverse giare di terracotta, le tre cassapanche di legno e i servitori in piedi schierati davanti ad esse, come da ordine di donna Celeste.
Celeste si mostrò molto cordiale e invitò subito gli Ufficiali giudiziari a controllare le giare, avvertendo però che esse contenevano solo acqua e piantandosi artatamente davanti ai servitori che a loro volta schermavano le cassapanche di legno, come per impedirne la vista agli ospiti.
L'Ufficiale anziano ignorò le giare e lisciandosi un baffo domandò cosa vi fosse nelle cassapanche di legno.
Celeste garantì che vi erano solo stracci, nulla per cui valesse la pena perdere tempo e che i catenacci erano stati apposti per i topi. L'Ufficiale giudiziario avanzò verso le cassapanche e intimò ai servitori di scansarsi e di aprirle. Al cenno accondiscendente di Celeste, i servitori eseguirono gli ordini.
L'Ufficiale giudiziario sollevò una tovaglia, la sfregò con le dita e inarcando un sopracciglio diede disposizione al suo sottoposto di verbalizzare che in presenza dei testimoni erano stati rinvenuti dei pregiatissimi tessuti, che di certo erano sufficienti per coprire l'ammontare del debito, e di procedere perché venissero prelevati e trasportati al depositario designato per il successivo incanto.
Prima di andare via, per non lasciare niente di intentato, con un cenno della mano l'Ufficiale ordinò a un servitore di scoperchiare una giara, lanciò un'occhiata dentro, si lisciò ancora un baffo e annuendo confermò che si trattava di acqua.
Insomma, gli Ufficiali giudiziari se ne andarono portandosi via un mucchio di stracci e lasciando l'olio nelle giare.
Negli anni a seguire il servitore che aveva scoperchiato la giara giurò di avervi visto dentro l'acqua e che non appena gli Ufficiali giudiziari erano andati via, prima di richiudere il recipiente, l'acqua si era tramutata di nuovo in olio.
Questa storia fu una delle tante leggende su Celeste che le fecero guadagnare l'epiteto di strega. L'unica volta che la figlia Solina, ormai adolescente, ebbe il coraggio di chiederle una spiegazione, la madre strizzandole un occhio le rispose che la mente, a volte, gioca brutti scherzi.
Sul letto di morte di Ettore, Celeste fece due cose.
Mentre gli teneva la mano, prima che lui, semicosciente, soffocasse in un ultimo rantolo di vita, gli confidò di essere incinta, e poi gli sussurrò a un orecchio il comando che anche dopo il trapasso sarebbe dovuto assolutamente rimanere con lei per aiutarla a risolvere la questione dei debiti dato che, adesso che aveva un figlio in grembo, non poteva vivere nella povertà, e lo salutò pronunciando un avvertimento: Non ti lascerò andare via così, non finché non avrai rimediato ai tuoi guai.
Qualche giorno dopo la sua tumulazione, una sera, mentre Celeste si spazzolava i lunghi capelli neri, sullo specchio della sua toeletta apparve il riflesso di Ettore, bello e sorridente.
Lui si avvicinò e le mise una mano sulla spalla.
Celeste avvertì un pervadente calore e così, per la prima volta, sentì qualcosa al tocco del marito.
Nelle settimane a seguire, per intercessione di alcune amicizie influenti che aveva stretto al circolo che frequentava e dove era molto stimata per via della sua arguzia, Celeste ottenne la concessione da parte dei creditori del suo defunto marito di poterli sfidare al tavolo da poker.
Lei mise a garanzia di solvibilità la casa, l'ultimo bene che possedeva e che prima o poi avrebbe dovuto comunque vendere per pagare le innumerevoli cambiali firmate dal marito, e gli ex compagni di gioco di Ettore acconsentirono alla richiesta di una gentildonna disperata, eccitati dall'idea di sedere al tavolo con la donna più bella che avessero mai visto e certi di non poter che raddoppiare se non triplicare le proprie vincite.
Celeste, nonostante non avesse mai tenuto in mano una carta da gioco, organizzò segretamente in casa sua tavoli da poker ogni sera per settimane.
Il marito Ettore le stava accanto e le suggeriva se aprire, se passare, quante carte cambiare, se vedere il gioco, se rilanciare o dire cip.
Non ci fu mai alcun imbroglio. Celeste era una donna di sani princìpi e mai si sarebbe abbassata a barare. Perciò, i patti con Ettore erano stati chiari: lei lo avrebbe fatto sedere ancora a un tavolo da poker e lui non avrebbe mai sbirciato le carte degli sfidanti e le sarebbe stato sempre accanto limitandosi a suggerirle le mosse.
Insomma, Celeste sarebbe stata la mano ed Ettore la mente. Venne fuori che senza il tremore all'occhio, senza alcool, oppio o morfina, Ettore era un grande giocatore di poker.
Nel giro di un paio di settimane Celeste recuperò metà dei soldi, in un mese l'intero importo, e in seguito andò addirittura in attivo di una considerevole somma che le permise di riacquistare tre della ventina di terreni che Ettore aveva perso al gioco.
Poco prima di partorire, Celeste mandò via i servitori e la levatrice, e fece segno di avvicinarsi al marito che se ne stava seduto in poltrona. Gli disse che non aveva più bisogno di lui, ora che i debiti erano stati pagati e che aveva di nuovo di che vivere grazie ai terreni riconquistati, ora che non sarebbe stata più sola con l'arrivo del figlio. Ettore le disse che l'amava e che avrebbe voluto restare per sempre accanto a lei e al figlioletto in arrivo.
Celeste replicò che non se ne parlava, che non avrebbe mai voluto sposarsi e che adesso si meritava di godere del suo status di vedova, ma che in cambio, per ringraziarlo del suo aiuto, avrebbe fatto spostare le sue spoglie nella piramide, così un giorno i loro discendenti li avrebbero visti insieme come deve essere tra marito e moglie.
Ettore insistette e brontolò che tanto la decisone spettava a lui.
A quel punto Celeste svelò al marito il motivo per cui lui si trovava ancora lì dopo la sua morte, chiarendogli che la circostanza non era, affatto, dipesa dalla sua volontà, come invece lui credeva.
Gli rivelò del circolo di intellettuali che frequentava in segreto da prima del loro matrimonio e gli raccontò degli studi e delle ricerche che venivano fatti durante i loro incontri pomeridiani che avevano ad oggetto i due più enigmatici e complessi sistemi che esistono in natura: la rete delle galassie che compongono l'universo e la rete dei neuroni all'interno del cervello umano, dei quali avevano analizzato somiglianze e differenze con metodo quantitativo.
Nel corso dei loro dibattiti e delle loro indagini, in particolare, erano arrivati alla conclusione che il cervello umano si potesse paragonare al sole, e i poteri della mente, alle radiazioni del secondo. Tramite numerose ed estenuanti sedute di meditazione avevano allenato e sviluppato la mente nonché la consapevolezza dei loro pensieri, e alcuni di loro, i più dotati, non lei personalmente, almeno non prima della morte del marito, erano riusciti in imprese che nessuno avrebbe mai pensato di poter realizzare. Posero a fondamento della loro tesi un assioma secondo cui come il sole poteva con i suoi raggi impalpabili condizionare lo stato di una materia, determinandone il colore, la temperatura e persino la forma, così anche la mente avrebbe potuto fare tramite i propri pensieri; che come un raggio di sole viaggiava attraversando i mezzi trasparenti, ad esempio dall'aria all'acqua, tramite la rifrazione, o si riverberava su una superficie perfettamente riflettente come il vetro, così avrebbero potuto fare i pensieri; che come era possibile vedere il colore e sentire il calore dei raggi di luce pur se impalpabili, allo stesso modo sarebbe stato possibile vedere e sentire i pensieri della mente.
Da questo risultato si spinsero oltre, fino a sostenere e poi a provare che la mente vivesse di vita propria rispetto al corpo umano e che alla morte della persona essa rimanesse quale autonoma entità inevitabilmente attratta dall'universo e dalla innata voglia di conoscenza sempre sopita dalla prigionia del corpo durante la vita. Secondo la teoria elaborata, confermata dagli esperimenti condotti, la mente umana una volta libera non avrebbe più avuto alcun interesse verso le piccole, insignificanti questioni della vita terrena e si sarebbe librata nell'etere per viaggiare, viaggiare e viaggiare senza limiti e conoscere tutto quanto l'infinitezza dell'universo può offrire, a meno che al momento della morte fisica, essa non fosse stata trattenuta dal bisogno, dal desiderio, dalla volontà di qualcuno di fermarla sulla terra; qualcuno che, rammentandole, fino al momento dell'ultimo sospiro, il suo legame con la vita terrena, l'avesse tenuta legata a sé, inconsapevolmente incantata sugli abituali pensieri di quella che era stata la sua vita, finché non avesse poi deciso di liberarla, comunicandole di non aver più bisogno di lei e invitandola a ricongiungersi con la rete cosmica.
Così Celeste, con le sue rivelazioni, liberò Ettore, anzi, la mente di Ettore, che, affrancata dal bisogno della donna di avere il marito ancora con sé e dall'inganno di dover e poter pensare e agire come se ancora avesse un corpo, che ormai era soltanto proiettato come un ologramma, si dileguò per sempre nell'etere in cerca di conoscenza.
Barbara Cappellani
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