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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Alessia Parrettini
Titolo: Briciolona strega pasticciona
Genere Fantasy
Lettori 2329 61 72
Briciolona strega pasticciona
A tutti coloro che sono
un po' pasticcioni...
ma in realtà devono solo scoprire
la propria strada.
Perché ognuno di noi è unico e speciale,
a modo suo.

Strega Briciolona viveva in mezzo a Selva Scarabocchiata. Era un grande bosco che meritava appieno il suo nome, perché le chiome degli alberi avevano i colori più svariati: giallo, rosa, lillà, celeste e persino fucsia. La sua casa era immersa nel fitto di questa selva colorata. Si diceva che a colorare le chiome in tante tinte sgargianti fosse stata proprio lei per esercitarsi nella magia.
Briciolona si era trasferita a Selva Scarabocchiata anni indietro, quando il Gran Consiglio della Magia le aveva intimato di essere più precisa nei suoi esperimenti magici. Non se ne poteva più dei suoi pasticci, così aveva ricevuto un richiamo scritto. Che figura! Alla scuola di magia era riuscita a sbagliare più o meno tutti gli incantesimi che le erano stati insegnati. L'episodio peggiore era avvenuto alla fine del terzo anno di studio. Nel tentativo di trasformarsi in un gatto, aveva invece tramutato in topo il suo insegnante. Poco male si potrebbe pensare. Ma i suoi compagni di corso si erano già trasformati e lo sfortunato insegnante era stato inseguito da una dozzina di micetti affamati per la scuola, prima che intervenisse il Preside a risolvere la situazione. Briciolona era stata sgridata davanti a tutta la classe.
Da allora ne aveva fatti di pasticci. Uno dietro l'altro, fino a che si era trasferita nel bosco lontano da tutti per esercitarsi e cercare di migliorare le sue abilità magiche. Ma non era facile, era tutt'altro che facile. Briciolona ci metteva tanto impegno, ma le sue capacità non sembravano affatto migliorare.
Si era iscritta a un corso di magia online per cercare di stare al passo con i tempi... ma nulla da fare. Su tre incantesimi, almeno due erano irrimediabilmente sbagliati. La sua casa era piena dei risultati pessimi dei suoi esperimenti. In casa aveva un armadio pieno zeppo di bottigliette con pozioni varie. Ad esempio, la pozione ridarella le era riuscita male e aveva l'effetto di far correre in bagno con il mal di pancia lo sfortunato che l'avesse bevuta. Quanto al filtro “sorridi e di' di sì” faceva invece scuotere la testa e ruttare forte, ma proprio forte! Forse sarebbe stato meglio chiamarla pozione della maleducazione.
Briciolona era così. Distratta, sempre con la testa per aria e immersa nei suoi pensieri, che poi cosa sognasse solo lei lo sapeva. Per forza quando creava pozioni o recitava formule sbagliava almeno un ingrediente o una parola, la sua testa era sempre tra le nuvole.
Con lei vivevano il gatto Meo e il gufo Rufo.
Meo era un gatto grasso, molto grasso (pesava più di dieci chili) e il più pigro che si fosse mai visto nel bosco. Non che di gatti ce ne fossero molti s'intende, ma di certo bastava poco per essere più attivi di lui. Meo era un gatto così svogliato che trascorreva le giornate a oziare nel giardino di Briciolona, spaparanzato al sole, se la giornata era calda. E quando pioveva poltriva sul divano davanti al camino nel salottino. Topi? Uccellini da cacciare? Non se ne parlava nemmeno, troppa fatica, troppe energie da sprecare. Tanto la sua padrona era puntuale nel dargli cosine buone da mangiare.
Quanto a Rufo, era invece un gufo giovane e pieno di energie a cui piaceva volare in perlustrazione nel bosco anche più volte al giorno. Se Meo era pigro, Rufo al contrario era stato campione di volo alle olimpiadi dei gufi per quattro anni consecutivi. Si era aggiudicato ben quattro medaglie d'oro che esibiva di continuo con orgoglio. Anche se ormai si era ritirato dalle gare, per tenersi allenato, ogni mese partecipava a una maratona.
Insomma, Briciolona non ne azzeccava una. Aveva anche due animali domestici che non potevano essere più diversi l'uno dall'altro e che spesso battibeccavano tra di loro. Rufo agile e scattante, Meo pigro e svogliato.
- Non dovresti cacciare topi, palla di ciccia? - bubolò Rufo una sera d'estate mentre si lisciava le penne e si specchiava in una delle sue medaglie - Gli altri gatti lo fanno, sai. -
- Certo che no! - rispose tranquillo Meo - Credevo sapessi che sono vegetariano. Mangio solo le verdure che cucina Briciolona io.
- Ma cosa dici? Quello che ci ha dato oggi era spezzatino con verdure! -
- Appunto, mangio verdure io! - replicò tranquillo il gatto, per poi riappisolarsi steso al sole.
Rufo scosse la testa spazientito e si girò a guardare le chiome degli alberi. Gli sembravano più colorate del solito. Briciolona doveva essersi data da fare con qualche altro pasticcio magico, era la padrona più divertente che si potesse desiderare!
Un gran sferragliare di ruote e cavalli distrasse Rufo dai suoi pensieri. Con agilità, in pochi battiti d'ali si alzò in volo sopra la casa e si allontanò per vedere cosa stava accadendo. Una carovana composta da sei carri trainati da cavalli stava attraversando Selva Scarabocchiata. Rufo si chiese chi fossero e perché avessero tanta fretta. Le ruote giravano così veloci da alzare un gran polverone. Meglio rientrare o si sarebbe sporcato le sue lucenti piume.
Mentre planava verso casa un boato scosse la foresta. La porta di casa si aprì e Briciolona sporca di nero fin nei capelli uscì brontolando: - Non è possibile... non ha funzionato neanche stavolta! -
Rufo scosse la testa e tornò al suo ramo preferito sulla grande quercia davanti casa. Meo per nulla infastidito, aprì un occhio, si sincerò che si trattasse come al solito della sua sbadata padrona, e riprese a dormire.
La carovana proseguì il suo viaggio e si allontanò rapidamente, il boato si esaurì.
A Selva Scarabocchiata tornò il silenzio interrotto solo dal fruscio del vento.

Diego non capiva molto del perché se ne dovessero andare. Lui stava così bene nella sua bella città. Viveva con mamma, papà e il suo fratellino Tetris.
Nella sua città c'era una grande fontana al centro della piazza principale. Lì tutti i giorni andava a giocare con il suo fratellino e tanti altri amici. Nelle giornate calde si tiravano l'acqua della fontana, nelle giornate più fresche inventavano altri giochi sempre belli e divertenti. Ad esempio giocavano ad acchiappa la chiappa. Ognuno doveva staccare una delle proprie chiappe dal fondoschiena e tirarla più lontano possibile. Quindi iniziava la gara a chi raccoglieva più chiappe. Ma era sempre un problema riconoscere la propria. Diego si divertiva un mondo ogni volta. A Robopolis si stava bene, era un bel posto per vivere. Era la città dei robot e si trovava sul lato est di Selva Scarabocchiata. I robot sapevano che lì in mezzo a quegli alberi viveva una strega, quindi non si addentravano mai in quello strano bosco.
- Mamma perché dobbiamo andare via? E dove stiamo andando? - chiese Diego per la milionesima volta da quando avevano lasciato le strade rassicuranti di Robopolis.
- Dormi Diego. Sarà un lungo viaggio - rispose la mamma accarezzandogli la testa quadrata - Ti ho già spiegato il perché - .
- Ma io non ho capito! -
- Qui non è sicuro - spiegò la mamma sospirando - La città degli umani è troppo vicina a noi, e lo sai che loro sono cattivi e ci vogliono male. Per questo a Robopolis si sta preparando un esercito che attaccherà la città umana e la distruggerà, prima che loro distruggano noi. Quando tutto sarà finito torneremo, e senza umani vivremo sereni - .
- Ma non si può fare in un altro modo? - insistette Diego.
- No, tesoro. L'unica alternativa sarebbe aspettare che siano gli umani ad attaccarci, ma a quel punto saremmo impreparati e per noi finirebbe male. Purtroppo loro sono pericolosi e crudeli. Ora dormi, il viaggio è lungo. -
Diego si accoccolò sul bordo del carro vicino alla mamma e al fratellino. Poco dopo dormivano tutti, mentre la carovana, composta da sei carri, procedeva lenta sulla strada sterrata che attraversava Selva Scarabocchiata. Era sera inoltrata, il sole calava e la luna iniziava il suo cammino nel cielo punteggiato da poche nuvole. Diego era stanco, ma non riusciva a dormire. Questa storia degli umani cattivi non lo lasciava tranquillo. Ma qualcuno aveva chiesto a quei cosi, quegli umani, perché ce l'avevano tanto con loro? Cosa mai avevano fatto i robot di sbagliato per meritare tanto male?
Diego si rigirava e non prendeva sonno. Oltretutto la strada era proprio messa male, a causa di sassi e ciottoli il carro sobbalzava di continuo. E poi gli sembrava di non avere abbastanza azoto da respirare lì dentro. Solo un filo di aria in più e si sarebbe sentito meglio, magari avrebbe preso pure sonno. Ma dov'era il problema? Bastava alzare un po' il telo che copriva il carro... solo un pochino.
Diego allungò una delle sue tre braccia robotiche per sganciare il telo. Questo però sembrava legato ben stretto. Possibile che non ci fosse modo di staccarlo? Allungò un secondo braccio e provò a tirare. Niente. Allora attivò anche il terzo braccio e tirò con tutta la forza che aveva. Il telo si aprì di scatto e Diego fu sbalzato giù dal carro, cascò a terra nella polvere alzata dalla carovana, e rotolò in malo modo sui ciottoli della stradina.
Una nube di polvere gli si infilò in bocca e negli occhi, offuscandogli la vista e facendolo tossire.
- Mamma! - provò a strillare con tutto l'azoto che gli era rimasto nei meccanismi. Ma tra tutto quel tossire e starnutire, più che un urlo fu un sussurro. Mamma nel carro non sentì nulla. La carovana proseguì il suo viaggio indisturbata.
La luna si alzò nel cielo a guidare la strada di quella piccola comitiva e a illuminare un cucciolo di robot, che tra i ciottoli continuava a tossire polvere e disperato chiamava la sua mamma.

- Mabel! Vuoi venire a dare una mano? - strillò papà Albert - C'è tanto da fare oggi! -
- Certo papà arrivo... - Mabel stava finendo di leggere un libro a dir poco elettrizzante. Purtroppo il dovere chiamava. Avrebbe trovato più tardi il tempo per finire la storia eccezionale in cui si era immersa. Mabel scese con rapidità le scale interne che portavano al piano terra della sua abitazione, alla Forneria della famiglia Pasticci.
Il negozio apparteneva alla sua famiglia da tre generazioni. Nonno Amilcare aveva iniziato sfornando il pane nel forno a legna della cucina che avevano in casa, poi le cose erano andate bene e l'attività si era ingrandita. Al momento la Forneria Pasticci era la più grande del piccolo paese in cui vivevano (e anche l'unica a dirla tutta) e sfornava pane, biscotti e torte a tutte le ore. Mabel era la figlia più grande di ben cinque figli e doveva sempre dare una mano. Dopo di lei erano nati Fred, Roger, Mat e il piccolo Sami. I fratelli avevano rispettivamente cinque, quattro, due e un anno. Mabel invece ne aveva undici e le piaceva aiutare al forno, era brava a sfornare torte ed era paziente anche con i clienti più noiosi, le piaceva seguire i suoi fratellini certo... però... a volte pensava che nella vita ci sarebbe dovuto essere un pizzico di avventura in più come nelle storie che leggeva.
Papà Albert l'aspettava al bancone. - Servi tu la signora De Lagnis, io vado a sfornare il pane - .
- Sì papà. Prego signora, in cosa posso esserle utile? -
La signora De Lagnis era una delle clienti più incontentabili e noiose. Fosse stata l'unica almeno!
- Senti Mabel, voglio del pane, ma non come l'altra volta che era poco cotto, e nemmeno come la volta precedente che era troppo cotto, quasi mi rompevo un dente da quanto era duro. Che sia di oggi s'intende e non un avanzo di ieri, e ben lievitato... e ovviamente che abbia un bell'aspetto croccante - .
Mabel mostrò una delle pagnotte calde appena sfornate dal padre.
- No, quella no per carità, neanche quella ci mancherebbe ha una forma strana, quella neppure, ma insomma una pagnotta che abbia un bell'aspetto non l'avete? -
- Questa, signora - intervenne papà Albert di ritorno dal forno.
- Ma papà, è la prima che le ho... - provò a dire Mabel, mentre la signora annuiva soddisfatta e le dava un'occhiataccia.
- Vai a controllare il forno - la zittì il padre.
La signora De Lagnis pagò e uscì borbottando che i giovani di oggi non sono affatto gentili e ben educati con i clienti. Se non fosse intervenuto il padre le avrebbero rifilato un pane di scarsa qualità, proprio a lei che vantava nobili natali.
Mabel invece andò a impastare le torte. Quello le riusciva bene e la stancava meno che servire i clienti difficili. Non che si lamentasse mai. Il lavoro era lavoro e lei si dava sempre da fare. Così almeno si teneva impegnata, visto che a Quattro Strade non c'era mai molto di emozionante da fare. Il villaggio si chiamava Quattro Strade perché appunto si componeva di sole quattro vie che attraversavano il paese e lo collegavano con il resto del mondo, benché non ci fosse molto al di fuori del paese nelle immediate vicinanze. A pochi chilometri procedendo verso est c'era la Selva Scarabocchiata dove nessuno mai andava perché si diceva che ci vivesse una strega malefica, e questo spiegava gli assurdi colori degli alberi. Più avanti, oltre il bosco, c'era Robopolis, la città dei robot. Strani automi con la testa quadrata e ben tre braccia, esseri terribili e infidi da cui stare alla larga.
Mabel sentiva ormai da giorni i discorsi che la gente faceva nell'unica piazza del villaggio.
- I robot sono pericolosi, ci attaccheranno di sicuro! -
- Hanno tre braccia, sono forti e cattivi! -
- Dobbiamo attaccare noi per primi così da prenderli di sorpresa, altrimenti ci annienteranno... -
E così via. Una guerra si stava preparando e Mabel si domandava se fosse davvero necessaria. Lei non aveva mai incontrato questi terrificanti robot. Aveva chiesto in giro, ma nessuno sembrava averne mai visto uno da vicino. Come facevano tutti a sapere che erano cattivi?
La bambina finì di impastare le torte e le mise a cuocere nel forno a legna. Ben presto l'odore caldo e dolce delle torte si sparse intorno e Mabel, come al solito, pensò che non c'era nulla di meglio per mettere di buon umore.

Mabel aveva finito di cuocere le torte, d'impastare biscotti, di preparare il pane per una nuova infornata. Papà Albert le disse di uscire a giocare un po'. Il lavoro era importante, e lei come prima figlia doveva aiutare, ma era pur sempre una bambina e il suo bravo papà non si dimenticava mai che aveva il diritto di giocare.
Mabel attraversò Quattro Strade saltellando allegramente. Aveva con sé il libro da terminare. In fondo al paese c'era una stradina tranquilla proprio a ridosso della Selva Scarabocchiata. Lì due panchine sembravano messe apposta per chi volesse sostare in tranquillità senza essere disturbato da nessuno. La bambina andava spesso a rannicchiarsi su una di quelle panchine per leggere.
Stava sfogliando un libro che parlava di due giovani maghi. A Mabel sarebbe piaciuto vivere una storia come quella. Un pizzico di magia e di avventura in più... avrebbe voluto altro nella vita. Aprì il libro e s'immerse nella lettura. Stavolta nessuno l'avrebbe chiamata a servire clienti noiose come la De Lagnis, aveva tutto il tempo per finirlo.
I due bambini nel libro stavano combattendo a colpi di magia contro cinque giganti stregati! Troppo bello... ma... cos'era?
Mabel si girò verso il bosco e tese l'orecchio... le sembrava di udire il lamento di un bambino, un bambino molto piccolo. Tutti le avevano sempre detto di non addentrarsi nella selva poiché lì viveva una strega cattiva, ma la casa non si vedeva dal limitare del bosco, per cui doveva essere molto all'interno. Non sarebbe potuto accaderle nulla di male se avesse fatto solo pochi passi in mezzo a quei buffi alberi colorati. Mabel spesso fantasticava sul perché le chiome avessero così tanti strani colori. E comunque c'era un bambino che doveva essersi perso all'interno.
- Ehi! Piccolino! Dove sei? Vengo a darti una mano... fatti trovare... - provò a chiamare Mabel.
Silenzio.
- C'è nessuno? Ho sentito piangere... -
Forse era il caso di tornare indietro. Che fosse un trucchetto della strega? Mabel si girò per tornare alla panchina.
Di nuovo. Ancora quel lamento. Se era un tranello, era fatto molto bene. Mabel si avviò in silenzio nella direzione da cui proveniva il pianto. Saltò un cespuglio, scansò diversi rovi e alla fine individuò un albero basso e largo dalla chioma celeste. Il lamento che sentiva veniva da lì dietro.
- Stai tranquillo piccolino, ti riporto a casa. Come hai fatto a perderti? -
Mabel si avvicinò con le braccia tese ad accoglierlo. Ma le abbassò appena vide il... cosa? Cos'era?
- Non farmi male! Sono solo un cucciolo! - disse quella cosa davanti a lei. Testa quadrata, due ruote al posto delle gambe e tre braccia, anzi due più uno. Due braccia erano fissate ai lati, il terzo giaceva a terra. Doveva essersi rotto.
- Cosa sei? - chiese Mabel.
- Non vedi? Sono un robot. E tu devi essere una di quegli umani cattivi che ce l'hanno tanto con noi - .
- Io non ce l'ho con nessuno, figurati. Sono venuta qui perché ti ho sentito piangere e volevo aiutarti -
Mabel si mise seduta a terra a distanza di sicurezza; meglio stare tranquilli, sembrava innocuo, ma non si sa mai.
- Io mi chiamo Mabel, tu? -
- Diego. Ero su un carro, stavamo andando via dalla nostra città e sono rotolato fuori. Stanotte ho dormito qui. Mamma e papà mi staranno cercando. Mi si è pure staccato un braccio e non riesco a riattaccarlo, si deve essere rotto. Papà è bravo ad aggiustarmi quando mi rompo per giocare, ma adesso non è qui e non so come fare - spiegò in lacrime Diego.
- Se vuoi posso provare io... - si offrì Mabel.
La bambina si avvicinò al robot, non sembrava poi così pericoloso, e con cautela raccolse il braccio. Dopo aver osservato con attenzione quell'essere così strano, capì che il terzo braccio andava avvitato sul davanti, appena sotto alla testa. Mabel infilò il braccio al suo posto, provò a ruotarlo, forse andava avvitato a sinistra. Nulla da fare. Ruotò a destra e sentì un clic.
- Mi hai aggiustato! - esclamò Diego felice, e senza pensarci abbracciò quella strana creatura che doveva essere per forza cattiva visto che era un'umana, ma in realtà non lo sembrava affatto.

Briciolona era alle prese con il pacco appena arrivato. Fortuna che Magizon consegnava con rapidità anche all'interno della selva. Il corriere aveva lanciato il pacco ed era fuggito, spaventato da chissà cosa. Briciolona non capiva tutto questo timore. La gente aveva troppi pregiudizi nei confronti delle streghe. Finalmente era arrivato: lo Stregaflon 5000! Le recensioni su Magizon parlavano chiaro. Quel congegno era l'ultima frontiera in quanto tecnologie digitali magiche. Bastava un clic e sfornava qualunque magia richiesta. Proprio quello che ci voleva a lei, strega con qualche difficoltà, diciamo. Stavolta avrebbe dimostrato a tutti quanto era brava nel realizzare incantesimi, e il Gran Consiglio della Magia avrebbe dovuto ricredersi su di lei.
Meo aprì un occhio per osservare la sua padrona e miagolò pigramente: - È il caso che io esca, Brissy? Non sarà pericoloso? -
- Ma cosa dici, Meo? Quando mai faccio magie pericolose io? Ho solo un po' di sfortuna.... Solo qualche volta poi, mica sempre - .
Il gatto si alzò sulle zampe grassocce e con calma si avviò verso il giardino: - Credo che andrò a cacciare i topi - disse sornione. Ci teneva al suo pelo lui.
- Ma se non lo fai mai! - replicò stizzita la strega. Possibile che tutti ce l'avessero con lei? Solo perché aveva sbagliato uno o due incantesimi, di poco conto poi. Quante storie!
Posò con delicatezza lo Stregaflon 5000 sul tavolo. A una prima occhiata sembrava una semplice scatola con tasti e leve. Aprì il manuale con le istruzioni. Manuale? Quello era un manuale? 8.200 pagine! Quanto tempo le ci sarebbe voluto per leggere tutta quella roba? Briciolona iniziò a sfogliare qua e là... sicuramente non c'era bisogno di leggere tutto, quindi diede giusto un'occhiata alle prime pagine.
- Bene! Proviamo... questo tasto dovrebbe servire per accenderlo - . Brissy schiacciò un tasto rosso e il congegno si illuminò.
- Perfetto! Proviamo subito con un incantesimo facile facile. Qui ci vorrebbe un tavolino nuovo, quello che c'è è così vecchio! -
Lo Stregaflon 5000 aveva tre pulsanti, sotto ognuno dei quali c'era indicata la funzione: crea, fai scomparire, rendi più bello. Senza pensarci Briciolona premette il tasto crea e scandì le parole “tavolino nuovo”. Lo Stregaflon 5000 emise uno sbuffo di fumo giallastro e tra le mani della strega apparve un tavolino poco più grande di una mela.
- Questo va bene per le Barbie! - esclamò stizzita la strega. - Tavolino nuovo grande - riprovò convinta. Altro sbuffo di fumo giallastro e un boato scosse la casa. Allibita, la strega uscì fuori in giardino e si trovò davanti un enorme tavolo alto come un palazzo!
- Tavolo per giganti! - bubolò Rufo sbattendo le ali attorno al nuovo oggetto.
Meo dormiva placido in fondo al giardino. Come al solito aprì un occhio e, per nulla stupito dal risultato della sua stramba padrona, appoggiò la coda sopra il naso per non sentire l'odore acre lasciato dalla magia, poi riprese a dormire. Chissà cos'altro avrebbe combinato quella lì, non ci si annoiava mai a Selva Scarabocchiata.
Rufo invece decise che ne aveva abbastanza, meglio fare un bel volo per tenersi allenati.
Brissy pestò un piede a terra e ci riprovò - Tavolino di medie dimensioni! -
Uno sbuffo di fumo e questa volta dal congegno uscì solo un foglietto con scritto “Si prega di essere più precisi!”
- Tavolino di dimensioni adatte a una strega! -
Altro sbuffo, altro foglietto con scritto: “Informazioni insufficienti! Essere più chiari”.
Briciolona sbuffò arrabbiata - Insomma, potresti anche funzionare! -
Dal congegno uscì un'altra nuvoletta di fumo e la scritta “E tu potresti essere più gentile, vecchia strega pasticciona!”
Alessia Parrettini
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