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Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Autore: Vincenzo Corsa
Titolo: L'Uomo Dimenticato dalla Morte
Genere Romanzo storico
Lettori 7636 81 105
L'Uomo Dimenticato dalla Morte
Prologo

Per il mio lavoro, che per diversi anni mi ha portato in giro per il mondo, qualche volta sono stato protagonista di esperienze che hanno segnato la mia coscienza ed anche di avventure che hanno messo in serio pericolo la mia vita. Mai, però, sono stato coinvolto in una situazione come quella capitatami qualche tempo fa, proprio in casa mia, che mi ha segnato così profondamente, che è rimasto un ricordo indelebile nella mia menta, tanto da farmi cambiare, quasi completamente, comportamento e modo di pensare. Non voglio anticiparvi niente, per non rovinarvi la sorpresa, sappiate soltanto che quello di cui scriverò è la pura verità ed io non ho aggiunto niente di mio, per infiorettare l'esposizione. Mi sono attenuto scrupolosamente ai fatti così come si sono verificati, cercando di riferirli nella stessa cronologia in cui sono accaduti. Mi sono anche sforzato di mantenere, nell'esposizione che ne ho fatta, un obiettivo distacco nel tentativo di non falsare, con le mie emozioni, la narrazione che ne è scaturita. Tutto questa premessa per garantire la mia completa e sincera aderenza a ciò che mi è capitato e di cui mi accingo a scrivere.
Procediamo con ordine e dal principio, com'è mio costume, per farvi capire al meglio ciò di cui desidero parlarvi.

Genesi

Non molto tempo fa, sono incappato in un periodo di crisi creativa, che mi aveva completamente prostrato sia dal punto di vista mentale e sia da quello fisico. Mi sedevo svogliatamente al mio tavolo di lavoro, davanti al mio computer, cercando dentro di me le parole per esprimere un concetto finito, che avesse la parvenza di un discorso con un filo logico e costruttivo. Non ci riuscivo, mi sentivo come se nella mia testa, la sorgente creativa si fosse inaridita. Come si dice nell'ambiente dei praticanti della parola - stampata - , avevo il panico della pagina bianca. Fino a qualche tempo prima, avevo avuto difficoltà a seguire, con le mani sulla tastiera del computer, la mia fantasia che galoppava instancabile. Avevo problemi non a scrivere, ma a essere abbastanza veloce a trasformare in parole scritte i miei pensieri, a cercare di riuscire a non rimanere indietro nello stendere sul foglio, gli intrecci che la mia fantasia elaborava così velocemente. Mi sembrava di essere troppo lento a trascrivere al computer ciò che la mia mente creava e immaginava e qualche volta, sono stato costretto a frenare la mia immaginazione per adeguarla alla mia manualità. Poi, da un certo periodo, una crisi totale mi ha bloccato come se la fonte si fosse prosciugata e la fluidità dei concetti e delle situazioni, che a mala pena riuscivo a incanalare e a mettere per iscritto, non esistessero più. La mia mente era come un deserto arido, senza neanche una piccola oasi che mi potesse far pensare che, in un futuro prossimo o remoto, avrei potuto avere la speranza di riprendermi, di ritornare non dico come prima ma, almeno, che non percepissi la mia postazione di lavoro come un luogo di tortura.
Presumo che abbiate intuito che sono uno scrittore che, in un passato abbastanza recente, ha conosciuto una certa notorietà e anche un po' di fortuna, nel campo letterario. Questo mio successo fu decretato da un mio romanzo storico che un editore ebbe il coraggio di pubblicare prevaricando ogni mia più rosea speranza e ogni mia auspicabile previsione. Il mio nome è inutile che ve lo dica perché so che non vi suggerirebbe niente ed è normale visto che non è il nome quello col quale firmo le mie opere. Per quelle, uso uno pseudonimo che mi creò il mio editore per ragioni, come disse lui, pubblicitarie ed economiche, insomma, per vendere di più. Il mio nome vero, non avrebbe attirato i lettori, non li avrebbe spinti a comprare, diceva sempre lui. Mi piegai a queste esigenze senza protestare più di tanto perché, in definitiva, non mi sembravano molto importanti, perché il mio obiettivo principale era ed è, ovviamente, vendere e fare soldi e se quell'espediente me ne avrebbe portati di più, era il benvenuto, tanto più che la vanità, non credo, sia una mia prerogativa. E poi, non ultimo, c'era da tener presente il discorso della privacy che, come sempre il mio editore diceva, non era da prendere alla leggera e su ciò, alla lunga, fui totalmente d'accordo con lui.
Questa mia crisi, durava già da parecchi mesi, tanto da mettermi, metaforicamente parlando, completamente in ginocchio. In principio mia moglie mi fu vicino, premurosa, comprensiva, sempre pronta a darmi un consiglio, un incoraggiamento, una pacca sulla spalla, come si suole dire. Poi io incominciai a mal sopportare questa sua intromissione nella mia privacy, mi sembrava una specie di commiserazione per la mia incapacità. Poverina, certamente lei aveva tutte le migliori intenzioni di questo mondo, cercava di darmi coraggio per non farmi precipitare in quel baratro oscuro che è la depressione, ma io mal sopportavo tutto ciò. Lei mi amava e mi vuole sempre bene, sono io che non gradivo la sua intromissione che mi sembrava come acqua versata sul bagnato o benzina sul fuoco. L'insoddisfazione e la frustrazione che provavo, le scaricavo su di lei e spesso e volentieri, rispondevo ai suoi incoraggiamenti con sgarbo e malagrazia, per non dire che reagivo spesso con ira e qualche volta, con turpiloquio, tanto ero fuori di me.
- Lasciami stare, non voglio essere commiserato da nessuno, desidero stare solo a pensare ai miei problemi senza essere oggetto di compassione per chicchessia, neanche per mia moglie! –
Lei non si scoraggiava e sopportava le mie sfuriate con pazienza e celata sopportazione, senza mai rispondermi per le rime, come sarebbe stato suo diritto e forse anche suo dovere, per farmi ricordare l'educazione che in quei momenti mi difettava.
- Credi che, chiudendoti in te stesso come un riccio e arrovellandoti il cervello in codesta maniera, riuscirai a superare le tue difficoltà? Io, al contrario, penso che le peggiorerai, viste le tue condizioni psichiche. Sono quasi sicura che arriverai a un punto da cui sarà molto difficile o forse impossibile potertene tirare fuori. Dà retta a me, riposati, prenditi un periodo di vacanza, sono mesi che non fai un break. Forse, dopo un periodo di riposo, ti rigenererai psicologicamente e ritornerai più volentieri alla scrivania. In ultima analisi, se proprio non riesci a riprenderti, a ritrovare la lena che avevi prima di questa crisi, potresti benissimo tornare al tuo vecchio lavoro che, se non ricordo male, era di tuo pieno gradimento, oltre che soddisfare abbondantemente le nostre esigenze economiche -.
Questa sua invadenza e principalmente il suo suggerimento a farmi desistere e di arrendermi, m'indisponevano ancora di più. Non capiva che era principalmente il mio orgoglio a essere ferito ed era proprio questo che m'impediva di gettare la spugna. Non capiva e neanche immaginava quello che io stavo passando. La mia frustrazione, la mia delusione, e tutti i miei sogni che andavano a finire in una discarica pubblica. Qualche volta però, rinsavendo dalla mia momentanea paranoia, pensavo anche che i suoi suggerimenti fossero dettati dal suo desiderio di sdrammatizzare una situazione che io forse, stavo enfatizzando troppo.
Ricordo ancora quando, appena ritornato da una delle mie trasferte, quasi per caso, mi misi al computer, che usavo esclusivamente per lavoro, per scrivere una disavventura che mi era capitata nei giorni precedenti, inerente al mio lavoro, con un rappresentante del cliente. Non so neanche perché lo feci, non era mia abitudine prendere appunti su ciò che mi capitava, specialmente su ciò che era legato alla parte tecnica del mio lavoro. Forse lo scrissi per riordinarmi le idee su quello che mi era successo, o semplicemente per fare un'analisi e capire con chiarezza da che parte fossero le ragioni e i torti, ma forse, anche per avere chiaro nella mente ciò che era successo, nel caso che qualche ripercussione, potesse arrivare ai miei datori di lavoro ed essere così pronto a controbattere. Sta di fatto che, quella volta, scarabocchiai di getto più di mille parole e questo, lo so solamente perché fu il computer a dirmelo poiché, a piè di pagina a sinistra, c'è un totalizzatore di parole che t'informa sul numero preciso che sono state battute fino a quel momento. A quel tempo la mia conoscenza del sistema - word - era molto superficiale e dilettantesca. Tutto ciò suscitò la mia curiosità e mi spinse a continuare a scrivere. Ampliai il mio scritto con dovizia di particolari su tutto quello che era realmente successo, per vedere dove sarei andato a parare. Alla fine chiusi la mia indagine scrivendo circa duemila parole che rilessi con attenzione e curiosità e mi furono foriere di un'interpretazione più obiettiva dei fatti e mi consentirono di capire realmente dove fossero le ragioni e i torti.
Nei giorni che seguirono questa mia incursione nel campo della letteratura, spinto dalla curiosità, volli cimentarmi ancora con la scrittura e passai, dalla descrizione della mia disavventura, a un racconto di fantasia che incominciò a prendere forma nella mia mente giusto nei momenti in cui lo scrivevo. In esso descrissi un sogno fantastico che immaginavo d'aver fatto in cui mi vedevo al cospetto di San Pietro, alle porte del Paradiso e con lui, avevo una discussione capziosa che riusciva, alla fine, a farmi riappacificare con tutta la classe politica e specialmente con certi nostri rappresentanti che posso vedere esattamente come il fumo negli occhi. Finii il mio racconto in due o tre giorni scrivendo in tutto, circa settemila parole. Fui talmente sorpreso da quello che avevo scritto, da spingermi a farlo leggere, con un certo scetticismo e molta titubanza, a mia moglie per vedere cosa ne pensasse. Devo dire che mia moglie è ed è sempre stata un'accanita lettrice, come me d'altronde, perciò Il mio stupore fu grande nel costatare che ne fu letteralmente strabiliata tanto da dirmi, con una certa enfasi, poiché non aveva mai avuto sentore della mia predisposizione alla scrittura e altrettanta incredulità da parte mia nell'ascoltarla.
- Sono veramente sorpresa! Tu hai un dono naturale! È come se tu avessi fatto sempre lo scrittore! Hai un modo di scrivere scorrevole e semplice, che non stanca per niente chi ti legge -.
- Beh non esageriamo, darmi dello scrittore mi sembra un po' esagerato. In tutti i casi non ho avuto molte difficoltà nella stesura, tanto più che non c'è niente d'impegnativo in quello che ho scritto, è solo un esercizio mentale per passare il tempo, un racconto fantastico su ciò che può essere, secondo me, l'aldilà, senza nessuna pretesa letteraria da parte mia -.
- Lo dici tu, io ti ripeto e posso garantirlo per la mia esperienza di lettrice inveterata, che scrivi in una maniera molto scorrevole che non stanca, come ti ho detto, il lettore. Tu sai che mi piace molto leggere, come a te d'altronde, perciò parlo con cognizione di causa. Ci sono alcuni scrittori che ti fanno scendere, come si suole dire, il latte alle ginocchia e ti garantisco che, per me, tu non fai parte di questa schiera, anche se di te ho letto solo questo racconto. Al lume di quello che hai scritto, potresti benissimo tentare di elaborare qualcosa di più impegnativo, tanto non ti costa niente, non devi dare conto a nessuno, né sottrarre tempo al tuo lavoro e nello stesso tempo, t'impegni in qualcosa di intellettualmente vantaggioso che, certamente, non ti fa male -.
Dopo un po' di tempo, durante il quale avevo ponderato seriamente le sue parole, seguii il suo consiglio, e incominciai a dedicarmi a questo nuovo hobby. Da principio con una certa prudenza e con molto scetticismo poi, quando incominciai a considerarlo qualcosa di più serio, mi dedicai con sempre maggiore responsabilità, alacrità, impegno e diciamo anche, con più professionalità per quanto ne potessi capire a quel tempo.
I primi scritti furono cose semplici, esperienze personali, situazioni vissute, disavventure di viaggio, disguidi aeroportuali, smarrimenti di bagagli, incontri inaspettati e casuali con personalità famose negli aeroporti e così dicendo e fui sempre seguito, da vicino, da mia moglie che mi spronava, mi elogiava, mi motivava e mi consigliava.
– Veramente hai visto quella famosa attrice all'aeroporto? Com'è? -
- Certo e non puoi credere quanto sia alla mano e semplice quando è lontana dai riflettori e dalla macchina da presa –.
La signora in questione era la moglie di un noto cantante che mi sembrò molto più bella nella sua semplicità che non con tutti i trucchi di scena che la penalizzavano, secondo me, in maniera eccessiva, facendola sembrare ciò che sicuramente, non era. Il mio nuovo hobby era interrotto soltanto dal mio lavoro e quando succedeva, era per intere settimane poiché io sono uno specialista meccanico di macchine rotanti e la ditta per cui lavoro, mi spedisce in tutte le parti del mondo a prestare la mia opera che consiste nell'installare, riparare e manutenere compressori di ogni tipo, specialmente quelli alternativi. Così, quando ritornavo a
casa dai miei viaggi, poiché quando ero impegnato per il lavoro, non mi restava tempo per dedicarmi ad altro, potevo ritornare a trastullarmi con questo mio nuovo hobby. Quando riprendevo, all'inizio era sempre un po' duro e farraginoso riabituarmi ma, pian piano, recuperavo la lena usuale e ritornavo a produrre carta scritta, con la velocità di un treno Freccia Rossa, lanciato sulla tratta Milano-Roma.
Come ho detto, il mio lavoro non m'impegnava tutti i giorni come un normale impiegato di fabbrica che timbra il cartellino tutte le mattine; anzi poteva succedere che alcune volte passassero intere settimane, prima che fossi chiamato per un altro intervento in qualche altra parte del mondo e nel frattempo, io rimanevo a casa mia in attesa, in stand-by come si suole dire. In queste pause, tra un viaggio e l'altro, io scrivevo e non mi fermavo mai anche perché ero incoraggiato, come ho detto, da mia moglie che riteneva il mio hobby fosse molto costruttivo e stimolante per la mia mente. Dopo un certo periodo di questo continuo tour de force, la schiena incominciò a farmi un male del diavolo, perché la mia postura, quando ero al computer, non era delle più corrette. Per il mio lavoro, dedicavo al computer solo il tempo necessario a scrivere i miei rapporti o leggere la posta della mia ditta, cioè una piccola parte dell'intera giornata. Con il nuovo passatempo che avevo intrapreso, invece, vi passavo molte ore e non avendo una sedia adatta, né un tavolo che tenesse in considerazione la mia costituzione fisica e ne soffrivo moltissimo. Ero in condizioni disastrose e ne risentivo atrocemente con dolori alla schiena, specialmente quando mi alzavo per distrarmi e sgranchirmi un po'. A quel tempo eroico non davo molta importanza a questa mia afflizione ma, quando alla fine me ne lamentai con mia moglie, lei andò su tutte le furie.
- Non puoi rovinarti la salute così stupidamente. Se vuoi continuare a scrivere va bene, nessuno te lo vieta, ma fallo almeno nelle migliori condizioni possibili, senza danneggiarti la salute e la colonna vertebrale. Domani andremo a comprare una sedia adatta e tutto ciò che è necessario perché tu possa stare seduto in maniera anatomicamente confortevole, senza che ti rovini la spina dorsale -.
Cercai di controbattere alla decisione di mia moglie dicendo che era una spesa inutile, che non c'era nessuna certezza che avrei continuato a scrivere, che avrei potuto stancarmi del mio nuovo hobby e abbandonare tutto, che, insomma, quei soldi ce li potevamo risparmiare e impiegarli in qualcosa di più necessaria e utile per la famiglia.
Mia moglie fu irremovibile dalla sua decisione e l'indomani, mi costrinse a seguirla in un negozio di arredo per ufficio dove mi comprò la miglior postazione da computer, adatta alla mia altezza e alla mia conformazione fisica e una magnifica poltrona che forse non ha neanche il presidente del Consiglio. Mi comprò anche un portatile in caso volessi scrivere, fuori dalla mia postazione, seduto in poltrona, quella che preferisco per leggere, e che avevo dotato di una lampada proprio alla sua sommità, sulla verticale, adatta proprio alla lettura. A quella spesa supplementare io ero contrario perché dissi, avevo il computer che mi forniva l'azienda. Lei mi zitti dicendo.
– Questo non sarà inquinato dalle tue cose tecniche e lo riserverai esclusivamente per il tuo hobby e lo potrai utilizzare, se ne avrai il tempo, anche quando sei fuori di casa per il tuo lavoro -.
Effettivamente con quei mezzi tecnici stavo meglio, non mi alzavo più dalla nuova scrivania tutto indolenzito e mia moglie, non mi sentì più lamentare.
Ogni tanto sfornavo un raccontino che davo subito da leggere alla mia editor personale e lei si concentrava nella lettura con attenzione, come se fosse impegnata in un compito serio e si sentisse investita nella duplice carica di critica letteraria e correttrice di bozze. Mentre leggeva, scuoteva la testa, faceva qualche mugugno, dava qualche suggerimento di carattere sintattico e ortografico e quando finiva, spesso diceva:
- Non c'è male! Si fa legger molto volentieri e non annoia, cerca di evitare ripetizioni di vocaboli che stancano il lettore e usa di più i sinonimi che impreziosiscono quello che scrivi. Va da se che adesso devi incominciare a dare un po' d'intreccio alle tue storie e spessore ai personaggi per suscitare la curiosità di chi legge e catturare la sua attenzione e il suo interesse. Come devi fare non lo so ma, da lettrice, ti posso dire che è così. Il lettore deve essere preso al laccio e non deve avere la possibilità di distrarsi, di pensare ad altro quando legge ciò che scrivi per lui. Deve essere immerso completamente nel mondo che tu gli crei intorno e caso mai, deve irritarsi se qualcuno lo distrae. Devi irretirlo e coinvolgerlo centellinandogli le informazioni per fargli sorgere il desiderio di continuare a leggere, per saperne di più. Pensaci sopra e cerca di conformarti a quello che ti ho detto se vuoi proseguire con questo tuo hobby e trasformarlo in qualcosa di più serio -.
Mi sono scervellato un po' pensando a quello che mi aveva detto mia moglie, ma non ho potuto mettere in pratica niente perché, l'azienda per cui lavoro, si è ricordata di me e ho ricevuto in quei giorni, la telefonata dal mio capo:
- Ciao Vincenzo, ti sei riposato abbastanza? C'è da fare un lavoro in un bel posto e ho pensato di mandare te. OK? -
- Certo che è ok; dov'è il posto e che cosa devo andare a fare? -
- Il dove è Singapore, il lavoro invece è molto delicato e ho pensato che tu saresti stato la persona adatta per eseguirlo -.
- Bene di che si tratta? –
Dissi un po' allarmato dai facili elogi che il mio superiore che, di regola, era alquanto restio a elargire.
- Si devono montare tre generatori con le relative turbine a gas, a bordo di una grossa nave che, dopo tutti i lavori di allestimento, sarà poi rimorchiata nel golfo della Guinea, dove sarà ancorata per fare da base ad alcune piattaforme di trivellazione. Il tuo lavoro sarà di dare una mano per installare questi tre treni turbine-generatori che daranno energia a tutta la nave. Il tuo compito prevede montaggio, allineamento, precommissioning e commissioning con esclusione dello start-up poiché, non essendoci il gas necessario, avverrà quando la nave sarà ancorata nel luogo della sua destinazione. Il problema, per adesso, non ci riguarda perché non abbiamo ancora avuto questo incarico. Caso mai sarà assegnato a noi, ne riparleremo a tempo debito. Tutto chiaro? Sei contento? –
- No che non sono contento! Io sono un compressorista! -
- Lo so che sei un compressorista, ma il lavoro d'istallazione e allineamento è lo stesso, sia per i compressori e sia per i generatori e le turbine, non credi? O non è così? -
Non potevo affermare il contrario perché aveva ragione lui e poi, c'è da considerare che avevo sempre sognato di visitare Singapore e non avevo mai, neanche lontanamente, sperato, che potesse essere una meta per il mio lavoro e allora, risposi con un tono da sembrare rassegnato.
- OK, quando devo partire? -
- Penso, al più presto possibile, il tempo necessario per ottenere il visto, perché il lavoro è molto urgente. C'è già un'equipe che ci sta lavorando ed è in arretrato sul programma dei lavori e la nave aspetta di partire appena saranno ultimate le istallazioni dei generatori di cui ti ho parlato che sono indispensabili di tutto. Tu vai a dare una mano a quelli che già stanno lavorando, così formerete due team e potrete lavorare parallelamente o in turno se sarà necessario. Vedrete voi quale sarà la decisione migliore. Ho detto voi perché mi sono dimenticato di dirti che sul posto c'è Giovanni che sta lavorando da circa un mese e da un po' di tempo, chiede aiuto perché il cliente lo pressa continuamente per velocizzare il lavoro e terminarlo al più presto possibile. So che farete un buon lavoro insieme, come già in altre occasioni, perciò non ho bisogno di aggiungere altro. Ciao -.
Tutto qui. Mi lasciò senza che potessi aggiungere altro e quasi immediatamente fui lanciato in una nuova avventura. Non che mi dispiacesse partire, perché quello era il mio lavoro e lo avevo scelto io e ne ero soddisfatto ma, in quel momento, mi pesava allontanarmi da casa perché lasciavo di scrivere, in una fase molto delicata, del primo romanzo che scrivevo dopo l'evoluzione letteraria che stava avvenendo in me. Speravo però, nel mio intimo, di potermene districare o almeno giungere a un buon punto, prima che i documenti per la partenza fossero pronti.
Come Dio volle, meno di una settimana dopo, contrariamente a quanto previsto, ero in viaggio per Singapore, poiché, vista l'urgenza del lavoro, mi avevano procurato un visto turistico e non di lavoro. Ho volato dalla mia città a Roma da Roma a Parigi e da Parigi a Singapore e in totale, ho impiegato più di trenta ore tra viaggio e attese nei vari aeroporti, per giungere a destinazione. Di norma, quando arrivo a destinazione, mi attende un autista del cliente che, con un cartello col mio nome, m'identifica e mi conduce a destinazione che, quella volta, fu un albergo e che albergo! Mi avevano prenotato una stanza al Meritus Mandarin Hotel in Orchard's Road che, come ho scoperto poi, era la via principale, - la main street - di Singapore. L'albergo era una magnificenza, raramente i miei datori di lavoro mi avevano sistemato meglio, si vede che non ne avevano potuto fare a meno o quello era il meno caro disponibile, ma non ero molto convinto di ciò. L'albergo era costituito da due torri gemelle di oltre quaranta piani, non sono sicuro del numero preciso e, alla sommità di una delle due torri, c'era un ristorante rotante, una vera sciccheria. In albergo arrivai nel tardo pomeriggio e incontrai, al rientro dal lavoro, un team molto nutrito di colleghi, specialisti di varie nazionalità, che erano impegnati tutti nello stesso progetto e tra loro, c'era anche Giovanni che mi salutò con calore, felice che fosse arrivato qualcuno da lui conosciuto e m'informò subito sullo stato dei lavori e sulle maggiori difficoltà che aveva trovato. Dopo una notte di riposo, l'indomani, tutti insiemi, con diversi taxis, il mezzo di trasporto più comune e più economico di Singapore, ci recammo sul posto di lavoro. Sull'isola ci sono sei o sette compagnie di taxis e tutte prosperano poiché il costo delle corse, alla fine, diviso per i vari elementi che ne usufruiscono, è inferiore al costo di una corsa in autobus in Italia. C'è anche una metropolitana molto efficiente e conveniente che attraversa tutta l'isola ma ha solo il difetto che bisogna raggiungere a piedi le varie stazioni.
Non voglio prolungarmi sul tipo di lavoro che facevo, ma mi sto dilungando su quella trasferta perché, fu abbastanza faticosa, impegnativa e gratificante ma anche perché fu l'ultima, veramente importante, che portai a termine per la società per cui lavoravo. S'iniziava a lavorare alle sette del mattino e si finiva alle sette di sera ma la ricordo ancora con nostalgia, anche perché è stato uno dei posti più belli in cui ho lavorato. La sera, per cena, ci riunivamo a gruppi, secondo il tipo di cucina che volevamo gustare perché a Singapore si possono trovare tutti i tipi di cucina del mondo. Chi si orientava per la cucina cinese, chi per quella tailandese, chi per la tradizionale e chi per quella giapponese o per quella malesiana. C'era solo l'imbarazzo della scelta, della fantasia e dei desideri del momento. C'era anche un ristorante, dove si potevano assaggiare degli italian's spaghetti, abbastanza passabili. Il nome era Spaghetti House ma, d'italiano, aveva soltanto la parola - Spaghetti - dell'insegna.
Singapore è un immenso mercato disseminato di centri commerciali, negozi d'ogni tipo e come ho già detto, di ristoranti di tutte le nazionalità. Scoprii un negozietto, nascosto nei meandri di un immenso centro commerciale, che vendeva copie di orologi di grandi marche tra i quali, Rolex, Cartier, Officine Panerai, Vasceron-Costantin e via discorrendo. Ne comprai una mezza dozzina per fare dei regali ai ragazzi e a qualche parente. Anche in cantiere, nei pochi momenti di break o nella pausa pranzo, gli argomenti principali di discussione erano le novità elettroniche che ciascuno riusciva a scovare e farne partecipe i colleghi con i relativi pregi e prezzi stracciati rispetto a quelli con i quali, la stessa merce, si poteva trovare a casa. Per la verità io non ero molto interessato a tali rarità perché non sono un patito delle innovazioni tecnologiche, ma anche perché non rimaneva molto tempo da dedicare allo shopping, poiché la sera ero abbastanza stanco e anche perché, tra il tempo di rientrare in albergo, fare una doccia e poi uscire per cenare, si facevano le nove e la maggior parte dei negozi, anche a Singapore, incominciava già a chiudere. La domenica, però, l'orario di lavoro era ridotto e potevo dedicare qualche ora all'acquisto di qualche regalo che, come al solito, mia moglie si aspettava sempre quando sapeva che andavo in qualche posto decente. Pensate che una nostra vicina, conoscendo il tipo di lavoro che facevo e che mi portava in varie parti del mondo, mi pregasse di procurarle, da ogni nuovo posto in cui andavo, un ditale, si proprio quell'attrezzo che si mette sul dito per spingere agevolmente l'ago. Faceva collezione di tali oggetti e ogni volta che m'incontrava, mi diceva.
– Vincenzo, non dimenticarti di me al tuo prossimo viaggio! –
Uno zio di mia moglie poi, era ed è un patito della numismatica e mi chiedeva sempre di portargli delle monete da qualsiasi posto in cui andavo.
Le persone che più si sono rammaricate per il mio cambio di lavoro, penso sia stata proprio loro.
Potete benissimo immaginare che non tutti i posti in cui ho prestato la mia opera siano stati belli come Singapore. Infatti, la maggior parte delle mete dei miei viaggi, sono state località disperse nei vari deserti del mondo, dove c'erano solo i pozzi petroliferi e in qualche caso, impianti di separazione e stazioni di pompaggio e si dormiva in trailer in condizioni veramente disagiate con delle mense cui la guida Michelin avrebbe accordato al massimo una stella sì, ma cadente.
Ricordo che una sera, uscito dall'albergo per andare a cenare, sulla stessa Orchard's road, fui attratto da uno spettacolo di artisti acrobatici cinesi che si esibivano sullo spiazzo antistante a un centro commerciale e ricordo che era giapponese e il suo nome, se non ricordo male, era - Thoshigawara - o qualcosa di simile. Rimasi così incantato e rapito ad ammirare quelle loro acrobazie eseguite sopra delle alte colonne, in un precario equilibrio e intabarrati con fluenti e variopinti costumi di animali piumati, che quasi mi dimenticai di andare a cenare.
In un'altra occasione scoprii che vicino alla Spaghetti's House che frequentavo, c'era un importante Hard Rock Cafe e quando lo dissi ai miei figli, tutti si prenotarono per avere una maglietta da sfoggiare con gli amici da un posto così lontano e mitico. Quell'anno era un anniversario speciale per l'Hard Rock Cafe e le magliette commemorative erano di colori ultra sgargianti e con disegni molto fantasiosi e a prezzi stratosferici. A me sembravano - murales - ,
quei dipinti sui muri dei quali non ci capivo niente, ma per loro furono qualcosa di eccezionale e ne furono letteralmente entusiasti quando le ricevettero.
Ogni mattina, come ho detto, ci servivamo di diversi taxis che impiegavano circa quarantacinque minuti per portarci all'altro capo dell'isola, in uno dei tanti cantieri navali, dove era in allestimento la nave sulla quale lavoravamo. Questa era una costruzione enorme lunga trecento metri, larga più di sessanta e alta non so quanto, perché non era nelle notizie tecniche che ebbi in mio possesso, so soltanto che salivamo con un ascensore che non finiva mai di sollevarsi. Era impressionante guardare dal basso quella costruzione enorme che incombeva sopra di noi mentre aspettavamo il nostro turno per salire. Di quella nave conobbi solo il percorso che facevo per raggiungere il posto dove stavamo istallando i generatori dal punto in cui l'ascensore ci depositava e nient'altro. Questo perché eravamo così presi dal nostro lavoro da non poterci permetterci distrazioni di nessun genere, anche se mi sarebbe piaciuto visitare quella mega costruzione su cui lavoravamo.
Dalla murata di dritta, vicino alla quale lavoravamo, si poteva vedere benissimo la costa della Malesia. L'isola è collegata alla terra ferma da un ponte che ho attraversato un paio di volte utilizzando dei taxis, addetti proprio a questo scopo, perché il visto di soggiorno di cui ero in possesso, durava circa un mese e, per rinnovarlo, bisognava uscire dal Paese e poi rientrare, per avere così, col nuovo timbro di entrata, la possibilità di soggiornare per un altro mese circa. Un'altra caratteristica che mi meravigliò, fu che le migliaia di operai, in maggioranza Indiani e Filippini, che formavano le maestranze di quei cantieri, erano costrette, prima di iniziare il lavoro, a fare ginnastica, tutti insieme, sulle strade, incolonnati come tanti scolaretti della scuola elementare. Un giorno ci capitò di essere in ritardo per il traffico e il nostro taxi fu bloccato, all'arrivo in cantiere, dagli uomini della sicurezza e non ci permisero di muoverci finché tutta quella gente non ebbe finito l'esibizione mattutina che durava una ventina di minuti.
Rammento ancora che, l'ultima settimana che rimasi in quella stupenda isola, scoprii un ristorante che si trovava proprio in Orchard's road, a pochi passi dal mio albergo ma dall'altro lato della strada, che era qualcosa di fantastico. Non avevo mai visto niente di simile eppure ho girato un po' il mondo e qualcosa, l'ho pur vista. Era seminascosto nell'interrato di un altro grande centro commerciale e si accedeva da una scaletta che non dava proprio l'idea di dove si stesse andando ma io, la prima volta, scesi sicuro, perché seguivo le indicazioni che mi avevano dato alcuni miei colleghi. Ai piedi di tale scaletta, c'era uno spiazzo dal quale si accedeva al locale dove si doveva fare, di solito, una fila abbastanza lunga pima di accedervi. Quando finalmente entravi, ti consegnavano un tesserino elettronico che, ai vari banchi, consegnavi come denaro contante e gli addetti elettronicamente caricavano ciò che ordinavi e, alla fine, quando uscivi, il tesserino passava sotto un lettore elettronico che batteva lo scontrino direttamente col totale delle consumazioni fatte e la cassiera ritirava l'ammontare speso. Il ristorante era concepito a isole: quella del pesce, della carne, delle verdure e anche una della pasta, ma io non ho avuto il coraggio di avvicinarmi a quell'isola in compenso però, sono stato un assiduo frequentatore dell'isola del pesce. Gamberoni, polpi, calamari, filetti di pesci vari, aragoste e tanto altro ben di Dio, erano preparati e serviti a richiesta. Insomma tanto ben di Dio che, a casa, sarebbe stato oltremodo dispendioso e quasi pazzesco pensare di ordinare in un qualsiasi ristorante specializzato in tali ghiottonerie.
Al centro del locale, c'era l'isola delle bevande, dove si poteva ordinare birra, vini, liquori e qualsiasi altro tipo di bevande immaginabili ed erano servite con i relativi bicchieri consigliati dagli esperti e dalla moda. Mi sono fatto una cultura in questo campo, che non pensavo proprio che esistesse, centellinando aperitivi e vini delle più disparate nazionalità, senza per questo dimenticare vini francesi e italiani, americani, australiani, serviti in appropriati calici di degustazione delle più svariate forme e dimensioni. La cosa che più rimpiansi di quell'isola, quando ritornai in patria, fu proprio quel ristorante.
Spesso pensai che a Singapore, mia moglie, si sarebbe divertita un mondo, sempre se avesse avuto, a portata di mano, una carta di credito classe oro. A lei dissi tante volte dopo, quando era già ritornato, - Se tu fossi stata lì con me, conoscendoti, ti saresti divertita un mondo e non penso che ti saresti staccata volentieri da un posto che è il paradiso dello shopping ed io sarei andato sicuramente in rovina. -
Cosa mi stava succedendo? Stavo ricordando tutto questo perché lo rimpiangevo? Non lo so. So soltanto che quella era una vita varia e discretamente sicura dal punto di vista economico, senza lo stress che subivo in quel momento. Non che nel mio lavoro fosse tutto rose e fiori, intendiamoci, anche allora avevo i miei problemi ma, alla fine, li risolvevo o attingendo alla mia esperienza o telefonando in ditta dove l'ufficio tecnico s'impegnava a trovare la soluzione giusta al problema che ponevo e la responsabilità ricadeva sulle loro spalle.
Ciò che io stavo attraversando, era diverso, i problemi che mi attanagliavano, non potevo risolverli attingendo alla mia esperienza. No! Erano problemi d'ispirazione che non avevo più, d'idee che avevo smarrito, d'immaginazione che si era esaurita, di trame che non riuscivo a ideare. La mia mente era secca come uno di quei deserti in cui sono stato spesso a lavorare, non avevo niente da mettere sulla pagina e guardavo con terrore il mio computer e cercavo di starne quanto più lontano possibile. Più volte, in quel periodo, mi passò per la mente di buttare tutta la mia postazione di lavoro, come la chiama mia moglie, alla spazzatura, ma un residuo di orgoglio mi trattenne sempre.
Non passava ora, in quel periodo nero, che non mi chiedessi - Che cosa devo fare? - . Una vocina, dentro di me, mi sussurrava - Torna al tuo lavoro, lascia stare questa stupidaggine dello scrivere. Non è per te! Tu sei un tecnico non un intellettuale. La vecchia ditta sarà felice di riprenderti tra i suoi dipendenti, se glielo chiederai - .
Ero combattuto, la mia anima era divisa in due, una parte di me voleva cedere ma l'altra, era soffocata dall'orgoglio, dalla caparbietà di non cedere, di mantenere duro, di non gettare la spugna, di non arrendermi. Un dualismo manicheo che mi stava distruggendo l'anima e che mi conduceva, più che a un esaurimento nervoso, verso un vero e proprio annichilimento psichico. Qualche volta ho anche maledetto il momento in cui, incoraggiato da mia moglie, inviai quel mio primo romanzo storico a vari editori che, inaspettatamente per un neofito, fu accettato da uno di essi che mi offrì la possibilità di pubblicarlo. Dopo il primo romanzo l'editore, confortato dal successo inaspettato che avevamo ottenuto, mi spinse a scrivere ancora e fui così preso da tale compito, che mi fu impossibile far convivere le mie due attività, una tecnica e l'altra letteraria e così, a un certo momento, decisi di abbandonare la mia professione per dedicarmi, a tempo pieno, a scrivere e credo che non sia stata una scelta sbagliata, visto i benefici economici che ho ottenuto. A onore del vero, come ho già detto prima, anche il lavoro che avevo abbandonato mi piaceva ed era anche abbastanza ben remunerato e la mia famiglia non mancava di nulla. Allora perché mi ero messo in questo pasticcio? Forse la causa era un po' la vanità? Io, però, non mi sento vanitoso. C'entra forse la libertà? Nel mio lavoro non subivo nessuna costrizione né mi sentivo dipendente da qualcuno anzi, avevo piena libertà decisionale e di movimento perché, sul campo, ero io sempre il capo di me stesso e negli intervalli tra un lavoro e l'altro, io ero in aspettativa tra le mura domestiche. Perché allora mi trovavo in questo tunnel? In questa prigione psicologica di cui non vedevo nessuna via di uscita? Mi sentivo in trappola, senza speranza, senza via di scampo, come se fossi stretto in un angolo da un branco di lupi famelici. Nei rari momenti di lucidità pensavo - Se la mia vita continua ancora un po' in questa maniera, diventerò certamente pazzo - .
Fu in uno di quei momenti di sconforto che mi ricordai di ciò che mi aveva suggerito mia moglie e dissi dentro di me - Forse è meglio che segua il consiglio di mia moglie e che mi allontani un po' dalla solita routine giornaliera, che rompa questo circolo vizioso che mi attanaglia la mente e mi fa perdere il sonno - .
La notte, infatti, mi giravo e rigiravo nel letto senza riuscire a dormire disturbando anche mia moglie che poveretta, aveva bisogno di riposare dopo tutto il lavoro che faceva durante il giorno per accudire me e i nostri quattro figli. Alla fine presi la decisione che in quel momento mi parve la più consona e dissi tra me. - Andrò in montagna, me ne starò un poco da solo, lontano da tutto ciò che possa ricordarmi il mio lavoro e cercherò di raccogliere i pezzi in cui è finita la mia esistenza - .
Raggiunta questa decisione, la comunicai a mia moglie che approvò immediatamente e mi disse.
– Finalmente hai preso una saggia decisione. Sono sicura che, nella calma della nostra casetta, nel verde dei boschi che la circondano e con un po' di pazienza e buona volontà, da parte tua, riuscirai a risolvere i tuoi problemi –.
Com'era prassi in tale circostanza, immediatamente s'incaricò della logistica collegata al trasferimento in montagna che prevede principalmente di informare Stefano, un nostro amico bottegaio del paesino vicino alla nostra casetta, della nostra decisione e lui s'incaricava di farci trovare, il frigo pieno, la casa pulita, il bombolone del gas rifornito e tutto ciò che è necessario per viverci comodamente per qualche giorno. Tutto questo era possibile, oltre per la sincera amicizia che ci legava, anche per quello che gli passavamo annualmente, come custode dell'abitazione.
La costruzione è relativamente distante dal paesetto, nascosta nella boscaglia che si abbarbica sul costone della montagna. Isolata, silenziosa, quasi un eremo immerso nel silenzio e nella quiete dei boschi che ricoprono quella zona di paradiso terrestre. È solida, sicura, protettiva come una madre col suo bambino e quando sono lì, mi sento così, proprio come un bambino nel grembo della propria madre.
La casa non è grande, per i canoni cittadini, ma è funzionale e intima. Entrando, si è subito in una grande stanza con un camino enorme da un lato e un angolo cottura dall'altro. Il resto della stanza è tutto soggiorno-pranzo, pratico e funzionale. Vicino al camino io ho voluto un divano, due poltrone e un tavolinetto per passarci le serate in pace e tranquillità sia per leggere e sia per discutere del più e del meno sia con mia moglie sia con qualche sporadico amico che, in qualche occasione speciale, abbiamo ospitato. Sulla parete di fronte alla porta d'entrata ci sono sul lato sinistro le stanzette da letto dei ragazzi e nel destro la nostra stanza da letto. Nel mezzo c'è un bagno per tutti. Sotto la casa c'è un interrato che è collegato con l'esterno da una finestra per scaricare materiali di consumo e tutto quello che è necessario per soggiornarvi. Funge anche da cantina e di deposito viveri, se il nostro soggiorno, qualche volta, si protraeva più del solito. C'è, infine, un generatore elettrico, azionato da un motore a benzina, che serve specialmente d'inverno, quando durante qualche tempesta, la corrente viene a mancare per lunghi periodi. Avevo installato il generatore personalmente, in modo che non ci fossero problemi con i gas di scarico e avevo montato un tubicino di rame da sei millimetri con una valvola d'intercettazione, collegando direttamente il serbatoio del motore a una grossa tanica in plastica, all'esterno della casa, per evitare di avere liquidi infiammabili in giro. Una botola, con relativa scala a chiocciola, all'angolo, dalla parte del camino, collega il soggiorno con l'interrato per accedervi direttamente e prendere, all'occorrenza, quello che può servire. Avevo fatto installare anche una caldaia abbastanza capiente da aver acqua calda e riscaldamento a volontà ma, la funzione del camino, rimaneva fondamentale sia per un fattore psicologico che una fiamma guizzante può dare e sia per il benessere fisico che mi dava la sensazione di calore che percepivo su tutto il corpo sprofondato in una comoda poltrona vicino ad esso.
Il bagno di servizio è ricavato in una stanzetta a parte, abbastanza grande da essere utilizzata anche come lavanderia. Ovviamente, la fognatura non c'è, perciò avevo fatto predisporre una fossa biologica che era più che sufficiente per le nostre esigenze. Fuori, attaccata alla casa, c'è una tettoia, chiusa da tre lati, che funge da garage e da deposito attrezzi. La costruzione, fatta in cemento, è rivestita con tronchi grezzi, scortecciati e impregnati, che danno l'impressione di essere una baita. A me piace molto e anche a mia moglie perciò, due o tre volte l'anno, ci rechiamo lì per passarci una diecina di giorni per ritemprarci, lontani da tutto e da tutti, in perfetta tranquillità e pace. I ragazzi invece non apprezzano la solitudine e la pace che si respira. Preferiscono altri lidi più chiassosi e la compagnia dei loro coetanei. Non avevo mai apprezzato tanto l'utilità di quella casa, come nel momento in cui decisi di andarci.
Presa la decisione, volevo partire il più presto possibile così, appianati i problemi più urgenti, due giorni dopo, di primo mattino, ero già in viaggio e arrivai alla meta, verso le cinque del pomeriggio, quando il sole stava già tramontando. Normalmente, per arrivare dalla mia città alla nostra casetta, s'impiegano circa sei ore, senza guidare a rotta di collo, ma io, quella volta, me la presi abbastanza comoda, non avevo nessuna fretta né alcun programma da rispettare, nessun amico da intrattenere e perciò, impiegai più di otto ore, immerso com'ero nei miei pensieri. Volevo stare lì per qualche giorno allo stato brado e se fosse stato possibile, senza neanche scendere in paese, ma questa mia idea non credo che avrei potuto realizzarla, viste le relazioni sociali che ci legavano a una quantità di conoscenti sul posto e se avessero saputo della mia presenza in paese, si sarebbero meravigliati alquanto se non fossi sceso, almeno, per salutarli.
Quando entrai in casa, come ho già detto, incominciava a far buio e l'aria era abbastanza frizzante. Quell'anno la primavera tardava ad arrivare e non sarebbe stato inopportuno accendere il camino. La casa era fornita di tutto il necessario, come mi accorsi dopo una rapida perlustrazione e dopo essermi liberato del soprabito, scesi subito nel seminterrato e risalii con una bracciata di legna. Mi piazzai vicino al camino e dopo dieci minuti, avevo un bel fuoco che vi scoppiettava che mi trasmise una certa calma e serenità. Mi sedetti in poltrona a contemplare le lingue guizzanti della fiamma senza fare niente, senza pensare a niente. Trascorse così un po' di tempo, forse un paio d'ore o forse più o forse meno, non lo so, ma non è vero che non pensassi a niente, c'erano sempre i soliti pensieri che mi torturavano, che mi arrovellavano il cervello e che m'inebetivano completamente. Mi ponevo sempre le solite domande alle quali non riuscivo a trovare le risposte.
- Che cosa mi era successo? Come mai ero in condizioni mentali così nere ed estreme, da debellarmi anche nel fisico? -
Queste mie introspezioni finivano sempre allo stesso modo e con le stesse considerazioni; avevo solamente perso la mia ispirazione, non ero più in grado di immaginare nessun intreccio plausibile che potesse creare un qualcosa di letterariamente credibile. Quello che sino a poco tempo prima era la mia forza, ora era la mia vulnerabilità. Ero consapevole di tutto ciò e per questo mi trovavo là, ma sapevo dentro di me, che c'ero andato anche per fare un'analisi ponderata e cosciente della mia vita e per prendere, in ogni caso, una decisione definitiva che avrebbe coinvolto tutto il mio futuro. Mi scossi dal torpore perché avevo un po' di fame, un eufemismo garbato per dire che avevo una fame da lupo che mi ottenebrava la vista. Era dalla mattina, da quando ero partito da casa, che non mettevo qualcosa sotto i denti. Mi ero fermato sulla strada solo per fare carburante e prendere un caffè, perciò mi alzai per prepararmi uno spuntino, abbastanza sostanzioso, che potesse mettermi in sesto.
Quando finii di cenare, erano già passate le ventuno e accesi il televisore. Avevo perso il telegiornale, poco male, tanto sono sempre le solite notizie che non mi sorprendono più e non mi fanno neanche più scandalizzare. I programmi televisivi poi, sono quello che sono, un'accozzaglia di stupidaggini studiate apposta per obnubilare la mente dello spettatore. È più importante parlare della dieta di quella star, o degli amori di quell'altra gallina che dei problemi reali che attanagliano il nostro Paese o almeno di notizie più serie e meno frivole, a voler usare un aggettivo non offensivo per nessuno. Perciò spensi il televisore e, stranamente, mi avviai verso il letto che, come un magnete, mi attraeva. Dopo meno di un quarto d'ora, ero a letto, steso supino con gli occhi che fissavano il soffitto, cercando di non pensare ai miei problemi.
Mi svegliai all'alba, confuso, disorientato, incapace di capire dove mi trovassi ma, con mia grande sorpresa, riposato e disteso. Dopo quell'attimo di disorientamento, mi ricordai dov'ero e per quale motivo c'ero venuto. Mi alzai senza fretta, feci una doccia ristoratrice e dopo una frugale colazione, mi equipaggiai per fare una passeggiata. Impugnai il mio bastone, un robusto pollone di faggio che avevo scortecciato e levigato personalmente, e mi avviai per il sentiero che dalla mia casetta, s'insinua nella boscaglia. Non era mia intenzione rimanere molto nel bosco che, oltretutto, non conoscevo molto bene e per questo, non portai niente con me, nemmeno una bottiglia d'acqua. Quei sentieri li avevo battuti un po' accompagnando il mio amico Stefano alla ricerca di funghi ma non li conoscevo abbastanza bene da avventurarmi da solo nel bosco, ala loro ricerca. Dopo un po' che camminavo, sbucai in una radura tra gli alberi che sembrava un laghetto verde. Mi fermai sul bordo di quello splendore per non contaminare quel meraviglioso tappeto di smeraldo con le mie impronte. Mi sedetti e appoggiai la schiena al tronco dell'albero, all'ombra del quale mi ero fermato, incantato da cotanta meraviglia che il Signore ci ha donato con tale generosità.
Mi svegliai che il sole aveva già superato da parecchio tempo lo zenit, perciò mi alzai, mi stiracchiai e mi avviai per tornare a casa. Avevo fame e sete e, appena arrivato, per prima cosa, dopo aver deposto il mio bastone al suo posto, dietro l'uscio, bevvi mezza bottiglia d'acqua e poi mi diedi da fare per prepararmi qualcosa da mangiare. Non sono certamente uno chef, però mi destreggio abbastanza bene tra i fornelli proprio per il lavoro che ho svolto che spesso, mi ha costretto ad arrangiarmi e a ingegnarmi, per mangiare qualcosa che soddisfacesse i miei gusti. Dopo meno di mezz'ora, ero seduto a tavola, che divoravo letteralmente un piatto di spaghetti come piacciono a me, conditi con un sughetto improvvisato, sbrigativo e molto saporito, accompagnati da una mezza bottiglia di vino di cui ho, in cantina, una piccola scorta ma ben assortita, che mi premuro di mantenere sempre rifornita sia nel numero delle bottiglie, sia nella varietà delle case vinicole nazionali. A queste aggiungevo, di tanto in tanto, qualche bottiglia estera che mi era capitato di assaggiare nei miei viaggi. La mia personale predilezione va ai rossi corposi, ai quali concedo facilmente le mie preferenze senza disdegnare, in qualche speciale occasione, taluni bianchi di chiara fama nazionale e internazionale.
Subito dopo aver lavato quelle poche stoviglie che avevo usato, come mia abitudine, mi sedetti in poltrona a centellinare un rhum giamaicano che, se non è il migliore, regge molto bene il confronto con il rhum dominicano, che a mio parere, considero il migliore. Presi in mano il libro, che non avevo scordato di portare con me, e mi dimenticai dei miei problemi. All'ora in cui trasmettono il TG, accesi il televisore per vedere il notiziario. Niente di nuovo sotto il sole, soliti stupri, omicidi, corruzione, evasione fiscale, mafia, cataclismi, terremoti e, dulcis in fundo, il nostro esimio presidente del consiglio che fa bunga-bunga con le minorenni. Specialmente questo tipo di notizie mi fa andare in bestia come quant'altri mai. Costatare che la nostra dignità di nazione, antica e orgogliosa, è in mano a un poveretto che si crede ancora un giovincello di primo pelo e oltretutto, se ne vanta spudoratamente, senza capire il ridicolo cui si espone. Purtroppo la colpa è nostra che, col voto che spesso mal utilizziamo, permettiamo a certa gente di rappresentarci squalificandoci completamente in patria ma soprattutto, all'estero. Proprio per il lavoro che ho svolto in giro per il mondo, ho avuto parecchie occasioni di rendermi conto che viviamo in un villaggio globale per cui le nostre stupidaggini sono oggetto di salaci commenti, di derisione e di sarcasmo fino agli estremi confini del mondo. Acclarato che raramente si assiste a qualcosa di buono in tv, in modo speciale su certi canali televisivi, la compagnia di un buon libro diventa il miglior modo per passare qualche ora in pace e serenità.
A una certa ora mi venne voglia di dormire, strano per uno che, avendo un libro in mano, faceva facilmente le ore piccole. Mi soffermai un attimo a pensare che, da quando ero arrivato in quel posto, il mio scopo principale fosse solamente dormire, cosa che a casa, mi era diventata oltremodo difficile fare. La mattina dopo mi alzai con comodo feci una doccia, come mia abitudine e, dopo una buona colazione, decisi di recarmi in paese per salutare Stefano, al quale non avevo fatto neanche una telefonata, per dirgli che ero arrivato e per ringraziarlo della sua usuale premura ed efficienza. In paese ci andai a piedi, cosa molto insolita per un cittadino come me che, di solito, prende la macchina anche per andare, come si suole dire, al gabinetto. La scarpinata durò molto più di un'ora, perché me la presi comoda, sentendomi, dopo tanto tempo, tranquillo e rilassato. Andai direttamente al negozio di Stefano poiché so che lo abbandona raramente ed entrato, lo salutai.
- Ciao Stefano come va? –
Sentendo la mia voce, il mio amico si voltò subito verso di me e, lasciato il bancone, mi raggiunse e mi strinse la mano calorosamente, cosa che io ricambiai con la stessa enfasi.
- Oh, Vincenzo, che piacere vederti, questa mattina mi proponevo di fare un salto da te per vedere se fossi arrivato o avessi cambiato idea all'ultimo momento. Non ti sei fatto sentire come le altre volte, quando sei arrivato? Stai bene? È successa qualche cosa? Perché tua moglie non è con te? Ti serve aiuto? Questa tua puntatina, fuori stagione, mi ha dato qualche pensiero che mi ha disorientato e anche un po' preoccupato –.
Cercai di frenare la foga del mio amico che mi subissava con le sue domande.
- Piano, piano, Stefano! Quanta foga! Sto bene, non mi è successo niente, non mi serve aiuto, non mi sono fatto sentire perché ero molto stanco, mia moglie non è con me perché primo era impegnata e poi, perché desideravo stare un po' da solo per riordinare le mie idee. Ho risposto a tutte le tue domande? -
- Vincenzo, scusami se ti ho accolto in maniera così irruenta, ma la richiesta di tua moglie è stata inaspettata e mi ha un po' disorientato e ho pensato a qualche problema. Con i tuoi, tutto bene? Spero che tu non stia attraversando qualche crisi coniugale? –
- Non devi assolutamente scusarti, anzi mi fa piacere che tu tenga tanto a me e ti ringrazio per il tuo interessamento. Non ti preoccupare con mia moglie non c'è alcun problema, anzi è stata lei che ha insistito perché io venissi qualche giorno qui per riordinare le mie idee –.
- Che cosa ti è successo raccontami anzi aspetta, Marco! – disse rivolgendosi al suo dipendente, - esco un attimo pensa tu a tutto –.
Poi rivoltosi di nuovo verso di me, m'invitò a uscire facendomi strada verso l'uscio.
- Andiamo a prendere un caffè, Vincenzo, così potremo parlare con calma -.
Così dicendo mi afferrò per un braccio e mi guidò fuori dirigendoci verso il bar lì vicino.
Eravamo quasi vicini a mezzogiorno, un tiepido sole faceva capolino tra le nuvole candide e ci siamo seduti fuori del bar occupando un tavolinetto a ridosso del muro. Stefano ha ordinato prontamente due caffè
- O desideri qualche altra cosa, un aperitivo per esempio? -.
- No grazie, un caffè va bene –.
Intanto mi guardava con aria interrogativa ma non osava chiedermi niente aspettando che fossi io a parlare. Di Stefano si può dire tutto ma quando si tratta di cose personali e delicate, ha come un sesto senso che lo fa diventare molto intuitivo ma, in compenso, molto discreto. Ero restio a confidarmi con lui perché, in definitiva, non faceva parte del mio mondo, della mia cerchia familiare o degli amici intimi. Anche se la nostra amicizia era vecchia di qualche anno, non poteva dirsi certo affiatata. Io lo rispettavo come persona onesta e sapevo che lui aveva una certa stima di me, ma nient'altro. In quel momento consideravo tutte quelle cose ed ero molto combattuto se confidarmi o no con lui. Notai che si era accorto della mia titubanza ma stranamente si mantenne calmo e distaccato come se non volesse forzare la mia decisione. Rimasi in silenzio per un po' di tempo ma poi decisi di parlare, in fondo, aveva sempre avuto molta considerazione e stima di me anche se, alla fine, ero parecchi anni più giovane di lui e decisi perciò di parlare.
- Ascoltami Stefano, io sto attraversando un momento molto particolare della mia vita. Sono in una crisi totale e non riesco più a capire cosa devo fare. Ho perso tutto il mio slancio di scrittore, non ho più un'idea, non riesco a scrivere più una sola parola. Sembra che la mia vita di letterato sia finita, sto pensando seriamente di ritornare a fare il mio vecchio lavoro -.
- E che lavoro facevi prima di metterti a scrivere? -
- Ero uno specialista di manutenzione meccanica, giravo il mondo riparando compressori, pompe, centrifughe insomma macchine rotanti in genere ma, in particolare, la mia opera era richiesta per riparare compressori alternativi –.
- Un lavoro abbastanza interessante e vario che ti ha permesso di vedere una buona parte del mondo, immagino -.
- Sì, è proprio così, ho girato quasi mezzo mondo e ho avuto abbastanza soddisfazioni dal punto di vista lavorativo. Poi mi è venuto l'uzzolo della scrittura e ho lasciato il vecchio lavoro, mi sono messo a scrivere e ho riscosso, con un po' di fortuna, un certo successo e con esso, sono arrivati un po' di soldi che mi hanno permesso di venire qua e togliermi il desiderio di avere una casetta in montagna, che desideravo da sempre, dove ti ho conosciuto -.
- Ed io ringrazio Iddio di avermi dato il piacere di incontrarti -.
- Sono io che ringrazio te per quanto hai fatto per rendermi piacevole la vita in questo paradiso. Ora mi sembra che tutto stia finendo, ritornerò al mio vecchio lavoro e, certamente, dovrò privarmi, con mio grande dispiacere, di questa casa che sarebbe troppo onerosa per me mantenere e darei così addio pure a te Stefano, che mi sei stato amico fin dal primo giorno che sono arrivato –.
- Non essere pessimista, Vincenzo, vedrai che tutto si sistemerà, ritornerai com'eri prima. Leggerò ancora i tuoi libri, come e migliori di quei tre che hai già scritto. Ti ricordi che quando venisti la prima volta qui, io avevo già letto il tuo primo romanzo, senza che ti conoscessi e poi ho letto gli altri due per sapere a chi davo la mia amicizia. Credimi, hai fatto bene a venire qua, la nostra quiete, i nostri boschi, il nostro clima, saranno sicuramente la soluzione che desideri. Qui ritemprerai il tuo spirito e ritornerai come prima, anzi, meglio di prima. Riposati, fai lunghe passeggiate, distraiti, non pensare a niente e vedrai che ritornerà l'ispirazione che avevi. Se hai bisogno di me, ti basta farmi uno squillo e sarò subito da te o se ti pare, puoi scendere a trovarmi quando vuoi. È quasi ora di pranzo, posso avere il piacere di averti mio ospite? Mia moglie sarebbe ben felice di salutarti -.
- Ti ringrazio, Stefano, preferisco fare due passi, non volermene sarà per la prossima volta. Adesso ti saluto, ci vediamo al più presto e salitami Gianna -.
- Va bene, Vincenzo, non me la prendo perché sono stato io a consigliarti così. Ci vediamo, non dimenticherò di salutarti mia moglie, a presto –.
- Arrivederci Stefano -. Salutai
Stefano ritornò al suo negozio ed io rimasi ancora un po' seduto al tavolinetto del bar sempre immerso nei miei pensieri. Dopo un po' di tempo, mi alzai, mi scrollai un po' di pensieri che mi attanagliavano e m'incamminai con l'intenzione di ritornare a casa.
Sulla mia strada trovai la trattoria in cui ho mangiato diverse volte con la mia famiglia. Ci entrai automaticamente, forse perché sentivo gli stimoli della fame e mi sedetti a un tavolo d'angolo. Quando mi tolsi il soprabito e il cappello, il padrone mi riconobbe subito e corse a sedersi di fronte a me.
- Vincenzo, come mai sei qui in questa stagione? Non siete mai venuti in questo periodo dell'anno, c'è qualche novità? Avremo presto il piacere di leggere qualche tuo nuovo lavoro? –
Quell'invasione nella mia privacy, m'infastidì un poco ma sapevo, che la persona che stava parlando, lo faceva solo per cordialità, senza nessuna forma d'intromissione curiosa o quanto meno, invasiva.
- Sì, sono qui per raccogliere le idee. Adesso dammi da mangiare altrimenti, se muoio di fame, non potrò finire il mio prossimo capolavoro -.
- Sì, sì, certo. Lascia fare a me, ti servirò un piatto eccezionale che ti leccherai i baffi che non hai. Dammi solo qualche minuto e non te ne pentirai –.
Scomparve in cucina ed io rimasi solo e adocchiai un giornale sul tavolo vicino. Mi alzai, lo presi e mi misi a leggere. Come tutte le altre volte che ho aperto un giornale, ne rimasi deluso sia dai contenuti e sia dal modo di porre le notizie che hanno tutti i giornalisti, in maniera così faziosa, unilaterale e strumentalizzata, per soddisfare gli indirizzi dei loro editori. Per questo motivo non compro più quotidiani, mi limito a leggere qualche rivista di divulgazione scientifica che, almeno, solleticano la mia mente e appagano, parzialmente, la mia curiosità. Dopo un po' che ero intento a sfogliare il giornale, arrivò Carlo, credo che si chiami così il padrone della trattoria, a interrompere le mie elucubrazioni con un piatto che emanava un gradevolissimo profumo.
- Assaggia questo sugo fatto con cacciagione locale. È una ricetta speciale che conservo molto gelosamente e di cui sono molto fiero e la pasta è fatta in casa, da mia moglie. Conoscendo i tuoi gusti sono sicuro che ti piacerà moltissimo e, come ti ho detto prima, sono più che sicuro che ti leccherai i baffi -.
Effettivamente era un piatto veramente eccezionale, una vera specialità, una leccornia casereccia senza i fronzoli della presentazione dei ristoranti alla moda, ma che non avesse niente da invidiare, a questi, in quanto al gusto. Quando ebbi finito e ripulito il piatto con qualche pezzo di pane casareccio, dissi:
- Carlo, la prossima volta prima di venire da te, mi faccio crescere i baffi così potrò leccarmeli con molta soddisfazione -.
Lui si mise a ridere tutto contento per il complimento ricevuto. Il secondo fu all'altezza del primo e il vino locale, che mi servì, era di una bontà incredibile. Dopo un po' di riposo, che mi concessi dopo il pasto veramente gradito, sorseggiando una buona grappa, anche quella casareccia, ringraziai Carlo per il trattamento ricevuto e mentre pagavo il conto, questi mi disse.
- Vincenzo tu non sei un ospite, ma uno della casa, perciò sei sempre il benvenuto, in qualsiasi periodo dell'anno, come un familiare –.
Uscii dalla trattoria che mi sentivo veramente soddisfatto e anche contento di aver fatto quella sosta. In quello stato di blanda euforia e con lo stomaco pieno, mi accinsi ad affrontare la risalita verso casa, ma non avevo fretta né impegni urgenti da sbrigare. Ero calmo e rilassato e impiegai molto più tempo della mattina, anche perché mi soffermai sovente ad ammirare qualche scorcio di quei bellissimi posti. Arrivai a casa un tantino stanco e toltomi il soprabito, mi stesi sul letto e tiratomi un plaid addosso, mi addormentai di sasso senza neanche accorgermene.
Quando mi svegliai, il sole era tramontato da parecchio tempo e la temperatura era calata di parecchi gradi tanto da farmi sentire freddo. Mi diedi subito da fare per accendere il camino e la vista della fiamma guizzante, mi confortò il cuore e nella stanza incominciò a spandersi un piacevole tepore. Non avevo fame perché il pranzo da Carlo era stato veramente soddisfacente e abbondante perciò mi sedetti in poltrona, vicino al camino, con il libro in mano e m'immersi nella lettura, cosa che facevo sempre con grande piacere, dimenticandomi quasi, dei problemi che mi angustiavano.

L'incontro

Ero così assorto nella lettura da non accorgermi del tempo che passava quando, a un certo momento, un rumore alla porta mi fece trasalire. M'impensierii un po' perché non aspettavo nessuno e poi, la gente normale, non è solita fare visite nel cuore della notte e per giunta, inaspettata. Mi sentii abbastanza preoccupato anche perché la casa, come ho già detto, è isolata e in sovrappiù, non avevo nessun mezzo di difesa su cui potessi fare affidamento, tranne il mio bastone da escursionista. Mi alzai e con molta circospezione, mi avvicinai all'uscio. Impugnai la mia arma impropria che era sempre appoggiata al muro al lato della porta, ma non sentii più alcun rumore e pensai che qualche animale avesse urtato la porta mettendomi in allarme e stavo per ritornare a sedermi, quando sentii come se qualcosa grattasse l'uscio. Mi girai e aprii di scatto la porta sperando, almeno così, di disorientare chiunque ci fosse dall'altro lato dell'entrata. Dapprima non vidi niente poi, abbassando lo sguardo, notai una figura stesa per terra illuminata dal chiarore che veniva dalla stanza, che necessitava, sicuramente, di aiuto immediato. Mi chinai, gli posai una mano sopra la spalla e la scossi in po' per causare qualche reazione dell'individuo. Sentii un lamento e mi accostai ancora di più, ma la figura era bocconi e non potevo vederla in volto. Posai il bastone al suo posto e cercai di sollevarlo e costatai che era molto pesante. Misi tutto il mio impegno e lo tirai dentro chiudendo subito la porta perché fuori faceva veramente un freddo pungente e tale apertura influiva negativamente sul tepore che regnava in casa. Poi lo sollevai per le spalle e lo trascinai, con notevole fatica, riuscendo a sistemarlo su di una poltrona vicino al camino. Ero totalmente disorientato dalla presenza improvvisa che mi era capitata e non immaginavo proprio cosa fare per aiutarlo. Mi spostai nell'angolo cottura per preparare qualcosa di caldo che potesse rinfrancarlo, senza però togliergli gli occhi di dosso. Mentre armeggiavo vicino ai fornelli per riscaldare dell'acqua, notai che lo sconosciuto incominciava a muoversi. Ritornai sui miei passi e vidi che l'uomo iniziava a muovere la testa che aveva reclinato, sulla spalla destra. Potei così vedere la faccia di chi avevo soccorso e costatai che aveva dei lineamenti marcati, duri, come quelli di un uomo abituato a vivere all'aria aperta, sotto il sole e le intemperie, che gli aveva cotto la pelle. Emise dei lamenti e per rendermi utile, gli chiesi.
- Posso fare qualcosa per lei? Posso darle del the, caffè, del latte caldo? -
Non mi rispose subito, forse cercava di riorganizzare le idee e di capire anche dove si trovasse. Poi sentii che mi rispondeva con voce fievole.
- La ringrazio di cuore per tutto ciò che fa per me. Non credo che molte persone si sarebbero comportate come lei se uno sconosciuto si fosse presentato alla loro porta, di notte, con un tempo simile come ho fatto io. Mi scuso sinceramente ma non ero in condizioni di fare diversamente, ero così stanco da non potermi reggere in piedi. Questo freddo improvviso mi ha prostrato e non so neanche come sia riuscito a raggiungere la sua porta e a bussare -.
- Veramente lei non ha bussato, dal rumore che ha fatto, ho creduto che si trattasse di qualche animale che volesse intrufolarsi in casa. In tutti i casi se ha bisogno di qualcosa, parli pure, cercherò di accontentarla. Posso darle una tazza di caffè intanto? -
- Qualcosa di caldo non mi dispiacerebbe perché questo freddo improvviso mi ha gelato fino alle ossa ma, sarebbe molto più gradito, se posso permettermi, qualcosa da mettere sotto i denti perché non ricordo bene da quanto tempo non mangio –.
La cosa mi sorprese molto perché non sembrava il solito barbone coperto di stracci. Anzi, in lui c'erano una certa dignità e una certa aura che suscitava rispetto anche nelle condizioni in cui si trovava. Ci pensai sopra un po' e poi risposi.
- Bene adesso le preparo un buon the e poi ci concederemo un piatto di spaghetti perché anch'io non mangio dall'ora di pranzo. OK? -
- La ringrazio moltissimo, lei è veramente molto gentile e caritatevole, non so proprio cosa dire per ringraziarla -.
- Non dica niente e si metta a suo agio. Tra mezz'ora staremo entrambi meglio -.
Mentre lui sorseggiava il the, io mi diedi da fare vicino ai fornelli per preparare ciò che avevo promesso. Lentamente il nuovo arrivato si rimise un po' e si tolse il soprabito, riscaldato anche dal calore che veniva dal camino. Intanto io preparai da mangiare e mi distrassi un po' dal mio ospite concentrandomi su ciò che avevo promesso. Partendo dall'affermazione fatta dal mio ospite, fui previdente e misi a cuocere molti più spaghetti della quantità necessaria a due persone, perché il mio ospite fece, non il bis ma il ter. Avevo stappato anche una bottiglia di vino rosso che ci scolammo completamente, anche se, come ospite non dovrei dirlo, più lui che io, per accompagnare l'abbondante pasto. Dopo la cena lo invitai a sedersi con me in poltrona vicino al fuoco, cosa che vedevo, gradiva moltissimo, e servii un po' di quel rhum della Giamaica, che il mio ospite mostrò di gradire abbastanza, come aveva fatto col vino.
Per un po' rimanemmo seduti sorseggiando il nostro drink senza proferire parola. La buona educazione prevede che il padrone di casa, non debba essere curioso ed essere assillante con domande, che potrebbero essere indiscrete e mettere così in imbarazzo l'ospite. Io, però, ero curioso e impaziente di conoscere un po' della sua storia o almeno, come mai si trovasse al mio uscio, così fuori mano, a quell'ora della notte.
Come se mi avesse letto nella mente, in quel momento quello strano individuo, disse.
- Credo che sarebbe doveroso da parte mia spiegarle almeno come mai mi trovassi alla sua porta in piena notte con un tempo da lupi come questo –.
Io, anche se ero preso dalla curiosità che mi rendeva impaziente di conoscere la sua storia, risposi in maniera distaccata e cortese.
- Non è assolutamente necessario. Se lei non desidera parlare è libero di non farlo. Una delle cose più importanti, per me, è la libertà sia individuale sia come concetto filosofico, perciò si ritenga dispensato da qualsiasi obbligo sociale e si comporti come meglio crede -.
- È strano che lei mi stia parlando di libertà, se conoscesse la mia storia, saprebbe che ho combattuto diverse battaglie nel suo nome e spesso e volentieri, ne sono uscito con le ossa rotte. Questa sera, penso mi sia successa la più incredibile coincidenza della mia non breve vita. In casa di uno sconosciuto ho incontrato una persona che la pensa come me, che sarebbe disposta ad anteporre la libertà altrui alle proprie esigenze personali –.
- Beh sì, questo è un principio dal quale non derogo. Ogni uomo dovrebbe poter esprimere ciò che pensa e fare quello che desidera nell'ambito, s'intende, del consentito, del lecito e nel rispetto dell'altrui privacy -.
- Sono assolutamente d'accordo con lei. Questa è una causa che mi troverà sempre dalla sua parte e posso dirle che, spesso e volentieri, ho messo la mia vita a repentaglio per tale principio –.
- Mi fa piacere discutere con una persona come lei, con la quale condivido un principio basilare della mia vita. Posso avere l'onore di sapere con chi sto parlando? Io mi chiamo Vincenzo –.
E col nome sciorinai cognome, stato sociale e non so che altro e stesi la mano per stringere la sua, come si usa tra gente educata. A questo punto, però, notai una certa titubanza nei suoi occhi e una certa reticenza a porgermi la mano da stringere, che sinceramente mi sconcertò e non riuscii a capirne la ragione. Poi allungò il braccio e mi strinse la mano dicendo con voce quasi imbarazzata.
- Sono veramente desolato di non poterle dire il mio nome primo, perché non desidero shoccarla e secondo, perché sono più che sicuro che lei non mi crederebbe. Potrei benissimo presentarmi con un nome falso, ma mi sentirei veramente un ingrato e un ipocrita verso la persona che è stata così caritatevole e gentile con me e per questo, preferisco tacere sulla mia identità –.
- Su queste sue certezze io non ci scommetterei molto, perché non si può essere sicuri di niente, se non si dimostra prima il contrario. Vediamo mi dica chi è lei e dopo potremo costatare se ciò che lei ha detto, può essere vero o no -.
- Mi ascolti e lasci correre, per il suo bene. Io la conosco solo da qualche ora e come ho detto, nutro un certo rispetto nei suoi riguardi, ma non vorrei dover polemizzare con lei per ciò che potrei dirle. Lasciamo stare le cose come sono, continuiamo la nostra conversazione su un piano non personale che ci possa coinvolgere soltanto culturalmente senza implicare faccende di carattere privato. Le conversazioni sono scambi culturali che arricchiscono entrambe le parti in causa, a patto che si svolgano con educazione e rispetto –.
- A parte il fatto che ogni scambio d'idee deve essere civile e rispettoso, cosa le fa pensare che io sarei così maleducato da dirle che non le credo o litigare con lei per quello che potrebbe dirmi? Lei è libero, come ho detto pocanzi, di dire quello che pensa senza che nessuno glielo possa impedire. Al massimo si può confutare, con prove contrarie, ciò che si ascolta o dire di non essere d'accordo con le affermazioni del proprio interlocutore senza per questo essere irrispettosi o maleducati -.
- Lei mi sta tirando per i capelli, specialmente quando parla di libertà in questa maniera. Mi colpisce al cuore, mi commuove e lei non può minimamente immaginare quanto -.
- Quello che le ho detto prima, io lo penso realmente per questo, se lei desidera parlare, è il benvenuto e se non desidera farlo, è altrettanto ben accolto per quanto mi riguarda. Stia certo che non eserciterei mai nessuna forma di coercizione per sapere qualcosa da lei o da un qualsiasi altro mio ospite contro la sua volontà -.
- Lei mi deve fare la cortesia di smettere di parlare in questa maniera, perché m'induce in una situazione di profonda crisi. Non mi è mai capitato di discutere con qualcuno come lei. Il suo rispetto per gli altri è quasi commovente, ma la mia coscienza si è troppo indurita nel corso della mia lunga vita e sono diventato troppo scettico per arrendermi facilmente a un simile invito -.
– Lei parla con molta leggerezza della sua lunga vita quando posso costatare che lei non dimostra più di trenta al massimo trentacinque anni di età. Io sono più vecchio di lei di un buon lustro, ma non mi sento di dire di essere vecchio e non provo ancora tanto scetticismo, di fronte alla vita, come lei dimostra di avere -.
- Lei ha ragione a fare queste considerazioni perché non sa niente di me, ma nel caso dovesse venire a conoscenza di qualcosa che mi riguarda, sono convinto che cambierebbe completamente opinione. Sarei molto tentato di confidarmi con lei ma credo sia più conveniente, per la sua tranquillità, che lasci stare le cose come si trovano. Cambiamo discorso, per favore, è vero lei mi ha detto il suo nome ma non mi ha detto nient'altro. Per esempio: che cosa fa, se è sposato, perché si trova qui da solo, insomma tutto ciò che si dicono delle persone civili durante una convenzionale e anonima conversazione -.
- A quanto pare, lei vuole sapere tutto di me ma non è disposto a dire niente di se. La sua curiosità procede in maniera proporzionale alla sua reticenza ma per me, va bene lo stesso e non mi causa alcun problema e non ho nessuna remora in proposito e rispondo senza riluttanza alle sue domande. Il mio nome gliel'ho già detto, sono sposato, ho quattro figli e mi trovo qui, da solo, perché voglio ritrovare me stesso. Sono uno scrittore o meglio credevo di esserlo, poiché penso di aver perso completamente la mia ispirazione, le mie capacità creative. Mi sono inaridito come un deserto, non sono più capace di mettere giù due parole, una di seguito all'altra, con un senso compiuto, logico. Ho paura di avvicinarmi al computer per il terrore che provo nel vedere la pagina bianca che mi aspetta. È una sindrome che attanaglia tutti gli scrittori falliti, come io penso di essere diventato. Ho pubblicato un paio di libri che mi hanno dato una certa notorietà e dei benefici economici, ma ora più niente e questa crisi, mi sta distruggendo fisicamente e psichicamente e sono venuto qua per ritrovare me stesso e spero, anche un po' della mia capacità di scrivere. Come può vedere, in quattro parole le ho sintetizzato tutta la mia vita e i miei problemi, cosa che non ho fatto neanche col mio editore. Ho avuto subito un'istintiva fiducia in lei, ma non gliene voglio se, per lei, non è la stessa cosa. Ora però si è fatto molto tardi, lasciarla andare via, mi sembra un'inutile scortesia perciò, questa notte la invito, se le fa piacere, a rimanere mio ospite. Domani, col sole, vedrà sotto un'altra ottica, i suoi problemi e potrà proseguire il suo viaggio. Venga, che le mostro dove può riposare –.
Ascoltando il mio invito, il mio interlocutore, notai, fu molto meravigliato e palesemente contento. Mi alzai e lo invitai a seguirmi guidandolo verso la camera dei ragazzi e aperta la porta, gli dissi.
- Scelga il letto che vuole, adesso le porto degli asciugamani e poi le augurerò la buona notte. Il bagno è la porta a fianco. Se ha bisogno di un pigiama, non deve fare altro che chiederlo. Per qualsiasi altra cosa che dovesse necessitarle, me lo faccia sapere perché lei, da quanto posso vedere, viaggia molto leggero –.
Avevo notato che non portava nessun tipo di bagaglio con sé perciò andai a prendere due asciugamani e glieli consegnai. Vedevo però che era molto perplesso, dopo la mia requisitoria, forse credendolo un rimprovero per il suo comportamento. Era ammutolito e soprappensiero, non aveva pronunciato più una parola, mi sembrava quasi di sentire il ticchettio del suo cervello che lavorava a pieno regime e dopo un attimo di riflessione disse.
- Grazie per tutto quello che sta facendo per me, non speravo, neanche lontanamente, di ricevere un trattamento simile da una persona appena conosciuta. Devo prendere atto, con piacere, che lo spirito di carità cristiana non è completamente svanito. La ringrazio veramente di cuore e spero di poterla ricambiare in qualche altro modo, poiché non ho soddisfatto la sua curiosità. Buona notte -.
- Abbia una buona notte anche lei. Domani mattina, non abbia premura di alzarsi presto, si riposi quanto vuole e se la prenda con comodo –.
Dopo un poco, me ne andai a dormire anch'io perché si era fatto veramente molto tardi. Dentro di me avevo la sensazione di essermi imbattuto in un tipo molto strano ed enigmatico perché non riuscivo a catalogarlo e a inquadrarlo caratterialmente. Dopo poco mi addormentai di sasso con quel pensiero che mi frullava in testa.
La mattina dopo mi ero proposto di alzarmi presto ma quando mi misi in piedi, costatai che, il mio ospite, era già fuori seduto sulla veranda, a contemplare il tratto di bosco che circonda la casa. Anche se l'aria era leggermente frizzante, un tiepido sole riscaldava il mattino e il mio ospite.
- Buon giorno, ben alzato, ha dormito bene? -
- Grazie sì, non dormivo così da diverso tempo e buon giorno anche a lei. -.
- Preparo la colazione cosa preferisce? -
- Oh per me non ha molta importanza, prendo quello che preparerà per lei -.
- Io preferisco mantenermi leggero la mattina, prendo innanzitutto un buon caffè, quello preparato con la macchinetta, come al bar, non con la moka e poi un cappuccino con qualcosa da inzuppare dentro, sono un tipo molto tradizionalista per la colazione. Va bene anche per lei? -
- Sì, sì. Non si preoccupi eccessivamente per me, non voglio darle altro disturbo –.
- Non mi da alcun disturbo, anzi, lo faccio volentieri perché ciò rientra nei compiti di un ospite che si voglia definire tale -.
Ancora una volta il mio ospite mi guardò con aria sorpresa e dubbiosa, senza per altro proferire parola.
Facemmo colazione muti, immersi nei nostri pensieri, tanto che mi sembrava molto imbarazzante la situazione in cui ci trovavamo quando, a un tratto, il mio ospite ruppe quella cappa di silenzio che incombeva su di noi, pronunciando queste parole.
- Sono veramente un maleducato se ricambio la sua cortesia e la sua ospitalità, con questo mio modo di comportarmi così sgradevole e poco socievole, ma vede, io cerco di proteggerla da se stesso. Se dovessi confidarmi con lei, non farei certamente il suo bene e poiché sto incominciando ad apprezzarla, ciò mi procurerebbe un profondo disagio –.
Lui si accorse, da come lo guardai, di un certo scetticismo che trapelava dai miei occhi e dal mio atteggiamento e mi disse.
- Vedo dal suo sguardo, che è molto incredulo su ciò che le sto dicendo, ma mi creda, è solamente per il suo bene e la sua tranquillità –.
Un po' infastidito da quel suo calcare la mano su ciò che potesse essere il mio bene, gli risposi con una certa puntigliosità.
- Mi permetta di precisarle, che sono un uomo adulto, responsabile delle mie azioni e dotato di un certo grado di discernimento. Lei non è obbligato assolutamente a dire niente di cui non si sente convinto. Io, come le ho detto ieri sera, non la torchierò perché non è mio costume forzare la gente a dire ciò che non vuole anzi, per sua informazione, le dico che qualsiasi cosa lei faccia o dica, per me va sempre bene poiché mi sforzo di rispettare la libertà degli altri. È vero, sono scrittore e per questo, abbastanza curioso, ma so trattenermi di fronte alla volontà e alla determinazione altrui. Non mi piace essere invadente e appiccicoso, anzi aborro queste che, per me, sono qualità prettamente femminili, senza con questo denigrare il gentil sesso -.
- Con queste sue affermazioni, lei mi tira ancora di più per i capelli, come le ho detto ieri. Ciò mi fa molto male nel profondo della mia coscienza ma contemporaneamente, mette un dubbio nella mia mente che mi fa pensare che forse lei potrebbe essere la persona giusta che aspetto da un tempo così immemorabile, che lei proprio non può immaginare, per confidarmi, per sgravare la mia coscienza da un peso enorme che la schiaccia e la opprime inesorabilmente -.
- Queste sue considerazioni sul tempo immemorabile, mi sembrano un po' azzardate, esagerate e forse un po' fuori luogo ma, se lei crede che io possa esserle di aiuto, disponga pure e nel mio piccolo, cercherò di fare il possibile per rendermi utile -.
- Questa notte, prima di addormentarmi, ho pensato molto a lei e alla fine ho preso una decisione. Forse mi sbaglierò ma quel dubbio di cui le ho parlato, ora sta diventato una certezza che mi spinge a fidarmi di lei e farla partecipe del mio segreto. Come le ho già accennato, quello che le potrei dire ha dell'incredibile, per questo sia forte e non si spaventi anzi le suggerisco di prepararsi all'ascolto di qualche cosa d'impossibile e fuori del comune che certamente, esula dalla sua immaginazione che immagino, come scrittore, debba essere molto fervida. È pronto? -
- Sono pronto, credo –.
Dissi ancora più scettico che mai, incominciando a credere di trovarmi di fronte ad un megalomane presuntuoso che cerca, con tutti i mezzi, di fare colpo sul suo interlocutore. Pensai finanche che fosse un millantatore che amasse mettersi in vista, ma tacqui e aspettai con pazienza, di ascoltare ciò che avrebbe detto, prima di prendere una qualsiasi iniziativa e di emettere un qualche giudizio nei suoi confronti.
A questo punto il mio ospite, accomodandosi meglio sulla poltrona, si accinse a incominciare a parlare e mi sembrò che prendesse il coraggio a due mani per vincere la sua naturale riluttanza a discutere dell'argomento che si era deciso ad affrontare e finalmente, dopo essersi schiaritasi la voce, disse.










CAPITOLO III
LA RIVELAZIONE
- Signor Vincenzo, io sono Yeshua Bar Abba conosciuto meglio con il soprannome di Barabba nato, secondo il vostro calendario, poco prima dell'inizio della vostra era, nella Palestina occupata dai Romani. Sono stato uno Zelota, un combattente della libertà e un patriota che ha osteggiato aspramente e spesso con risultati disastrosi e devastanti, gli oppressori della sua Patria –.
Dopo di ciò tacque e mi fisso dritto negli occhi in attesa della mia risposta e presumibilmente, della mia reazione.
All'udire quell'affermazione del mio ospite, così inattesa e incredibile, fatta con tanto sussiego ed enfasi, rimasi, a dir poco, allibito e interdetto, altro che shoccato solamente. Mi sentii come uno che fosse scampato a un fulmine e quanto più quell'affermazione si consolidava e penetrava nel mio cervello, tante più emozioni si alternavano nel mio animo. Ciò che mi passò per la mente in quel momento, non sono ancora adesso capace di analizzarlo ma, di primo acchito, pensai - Questo è un pazzo, come faccio a liberarmene senza contrariarlo e senza scatenare in lui qualche reazione inconsulta che mi possa causare qualche danno? - In quel momento temetti seriamente per la mia incolumità a causa di qualche suo gesto inconsulto e maledissi, dentro di me, la mia educazione e il mio buon cuore, che mi avevano consentito di introdurre, un simile individuo, in casa mia. Poi, ripresomi un po' dall'iniziale sbalordimento, lo guardai con più attenzione e vidi che era serio, senza alcuna ombra di alterazione psicofisica, senza nessun sintomo che potesse indicare un certo grado di schizofrenia o d'instabilità psichica, anzi ebbi modo di costatare che era molto calmo e osservava il mio volto in attesa delle mie reazioni e della mia risposta. Cercai di calmare le emozioni che si agitavano dentro di me e di ragionare con freddezza, cercando di non far trapelare, sul mio volto, il travaglio interiore in cui mi avevano gettato le sue affermazioni e gli risposi sperando che, dalla mia voce, non trapelassero troppo le emozioni che mi sconvolgevano l'animo.
- Ciò che lei ha appena detto, esula da ogni mia concezione e immaginazione, come lei ha giustamente osservato poco fa. Devo convenire che le sue affermazioni sono, a dir poco, scioccanti per non usare altri aggettivi poco gentili, forse sconvenienti e forse anche irriverenti. Mi reputo una persona razionale e pragmatica perciò, prima di liquidarla frettolosamente come un millantatore e un bugiardo, le chiedo di esibire delle prove che corroborino quello che lei mi ha appena detto e se saranno convincenti, non avrò alcuna remora a crederle. Mi dica, come faccio a credere, così d'acchito, che lei sia quel Barabba di cui parla la Bibbia? In questo caso lei dovrebbe avere, a dir poco, più di duemila anni! –
Il mio ospite rimase imperturbabile, come se fosse sicuro che io avrei esternato tali dubbi e con la massima calma, continuò la sua esposizione.
- Se sarà così paziente da prestarmi la sua attenzione e di ascoltarmi, di prove gliene fornirò quante ne vorrà ed anche di più, se sarà necessario. Mi ascolti, per favore, con animo scevro da pregiudizi e aperto a qualsiasi eventualità e poi potrà giudicare me e quello che le dirò, come meglio crederà, fidandosi della sua intelligenza, della sua esperienza e anche della sua sensibilità, che sono convinto, non le fa difetto –.
Io ammutolii, non sapendo cosa rispondere e aspettai, con una certa apprensione, quello che avrei potuto ascoltare dopo un preambolo di tale genere. Il mio ospite si raccolse in se, come
se volesse riordinare le idee e poi cominciò a parlare, con il volto disteso, come se finalmente, il coraggio di dare sfogo ai suoi sentimenti più reconditi, gli avesse dato la calma e la serenità di cui necessitava.
- Nacqui in un piccolo paesino del nord della Palestina, il cui nome non ha più nessuna importanza, perché è scomparso da tanto tempo che neanche la storia ne ricorda più l'esistenza. Più che un villaggio, erano una manciata di casupole, fatte con fango e paglia, sparse in quella regione pietrosa che era la Galilea. Passai la mia infanzia e la mia fanciullezza lì, non dico felice ma, sicuramente, spensierata e tranquilla. L'anno della mia nascita fu il 3754 secondo il calendario Ebraico e, per farle capire meglio, nell'anno uno del vostro calendario come lo ordinò il vostro San Dionigi il Piccolo e poi, dopo svariati secoli, adottato nei documenti ufficiali, dal vostro San Beda, detto il Venerabile. Quel signore, però, commise qualche piccolo errore facilmente perdonabile visto l'impegno profuso nell'opera e la data vera, è il sesto anno prima della vostra era, quando era ancora in vita Erode il Grande e la mia terra era già, da diverso tempo, sotto il tallone dei Romani. I due monaci, di cui ho parlato prima, non li ho conosciuti personalmente, ma ho letto qualche loro scritto e in particolare del secondo e posso dire che, per il suo tempo, era un uomo molto colto, anzi riconosco che era all'avanguardia rispetto ai suoi tempi che, se non ricordo male, visse tra il 650 e il 740 d. C. secondo, come dicevo, la datazione che lui adottò ufficialmente.
Nel mio villaggio c'era un vecchio maestro che insegnava la Torah a noi ragazzini. Ogni mattina passavamo diverse ore seduti sul pavimento di terra battuta di una capanna, adibita ad aula scolastica, a sentire ininterrottamente le lezioni che ci ripeteva il nostro insegnante Azaria, ancora adesso ricordo il suo nome. Era instancabile, testardo e ligio al suo compito che interpretava come una missione, per instillare, nelle nostre teste dure, un po' di cultura. Devo alla sua tenacia se imparai a leggere, a scrivere e a fare di conto e ad avere, insomma, una mente aperta verso la cultura e alla conoscenza in genere che mi portò poi, durante la mia vita, a voler conoscere e sapere sempre di più. Ero incantato quando ci leggeva le gesta dei grandi eroi che portarono il popolo Eletto alla conquista della Terra Promessa. Il mio eroe preferito era Giosuè e conoscevo tutte le sue gesta e la sua dedizione al Popolo e a Jahve. Sono convinto che l'ascolto di quei brani generò in me l'amore per la mia patria, per la libertà e per la lotta contro gli oppressori, che tanti guai mi hanno procurato nella lunga e tumultuosa vita che ho vissuto -.
Fui molto colpito dall'enfasi che usava nell'esporre il suo caso, ma non potei tenere a freno la lingua e intervenni, interrompendo il suo racconto, dicendo con tono intriso di evidente incredulità e un po' d'ironia.
- Mi scusi se la interrompo, ma lei, mi permetta di dirlo, è descritta, nei Vangeli, come un brigante, un collerico e un violento che non disdegnava l'uso delle armi per risolvere i propri problemi mentre, mi sembra di capire da quello che mi sta dicendo, che lei si considera come un romantico difensore degli oppressi e uno strenuo patriota amante, della propria libertà e di quella della sua patria –.
Mi guardò con una certa commiserazione come se si aspettasse da me quell'osservazione così ovvia per lui.
- Mi lasci andare avanti e non mi giudichi così precipitosamente. I riferimenti della Bibbia che lei ha ricordato, in tutti e quattro gli Evangelisti, sono molto lacunosi e sintetici, anzi direi quasi irrilevanti. Anch'io ho letto quei brani, se così si possono chiamare, perché per me, sono semplici citazioni del mio nome, che non forniscono nessuna informazione sulla mia vita, su ciò che ero, su quello che pensavo e su ciò che ho fatto, per questo le dico che non possono assolutamente aiutarla a emettere un giudizio adeguato nei miei confronti. Mi ascolti, la prego, come le avevo consigliato prima, con pazienza e attenzione e forse dopo, mi potrà comprendere meglio e avere un'idea più globale e precisa nei miei riguardi. Se avrà la cortesia e la pazienza di ascoltarmi, le fornirò elementi più concreti e forse abbastanza sufficienti, perché lei possa giudicare in piena libertà me stesso e ciò che ho fatto. Ritiene che quello che le abbia detto sia corretto? Posso continuare la mia esposizione nella speranza di farle cambiare idea? –
Io, un po' risentito ma anche confuso da quel velato rimprovero, non potei che assentire alla sua richiesta.
- La prego di scusare la mia intolleranza, cercherò, in futuro, di tenere a freno la lingua e non la interromperò più. Quando vuole, può riprendere la sua narrazione –.
Dissi con tono sommesso e remissivo e mi zittii aspettando che il mio interlocutore avesse la cortesia di proseguire il suo racconto.
- Nacqui nello stesso anno di quell'altro Yeshua, il nazareno, che lei dovrebbe ben conoscere, credo. I nostri destini, erano legati insieme, senza che avessimo mai avuto alcun tipo di contatto tra noi. La nostra missione, in fondo, si rivelò essere la stessa, cioè liberare il popolo Ebraico dalla schiavitù, ma ognuno di noi due aveva le proprie idee, le proprie priorità e principalmente, i propri metodi. Procediamo con ordine, non voglio anticiparle niente per non confonderla e influenzare così, forse, negativamente. Al suo giudizio nei miei confronti, al quale, mi creda, tengo molto, è molto importante per me, poiché, come le dicevo, non ho mai aperto il mio cuore a nessun altro individuo.
Se ai tempi dei Profeti, Babilonia fu il Grande Satana, ai tempi cui mi riferisco, quel ruolo era ricoperto, secondo i nostri intenti, da Roma. Quando nacqui, ci fu una rivolta che fu anche indirizzata contro Erode poiché non era ben visto dal popolo, sia per la sua origine idumea e sia per il suo servilismo a Roma, ai nostri oppressori. Quella rivolta fu capeggiata da un certo Giuda Ben Ezechia e la prima azione che fece, fu di assaltare il palazzo di Erode, per procurarsi denaro e armi, per poi proseguire la lotta a Gerusalemme ma, come tutti i fuochi di paglia, la sua azione divampò improvvisamente e con altrettanta rapidità fu prontamente soffocata e i cospiratori, Giuda e compagni, pagarono con la vita la loro sete di libertà. Alla fine, quando fu sedata la rivolta, ci furono più di duemila croci erette ai lati delle strade della Galilea dove furono appesi i sopravvissuti di tale ribellione. La crocifissione è una morte che i Romani infliggevano agli schiavi, ai ribelli e ai sediziosi, perché è crudele, dolorosa e ha una lunga agonia che deliziava le loro orecchie e il loro spirito sadico e crudele. La lunghezza di tale agonia dipende dalla resistenza del condannato, che alla fine stremato, muore per asfissia e non per le ferite che tale supplizio possa causare. Il popolo giudeo però, sfidava con coraggio questa crudele pena di morte perché aveva nel sangue lo spirito indomito di libertà e accettava mal volentieri il giogo della schiavitù e dell'oppressione.
Quella non fu la prima e neanche l'ultima rivolta che il mio popolo ha sostenuto contro gli oppressori a causa del nostro carattere indomito, della nostra sete di libertà e per lo spirito d'indipendenza che alberga nei nostri cuori e ci impedisce ancora oggi, di sopportare il giogo dell'oppressione straniera. Jahve diede ai nostri Padri la Terra Promessa perché potessimo vivere su di essa, da uomini liberi e non da schiavi.
Quando fui dell'età giusta, cioè quando avevo circa quattordici anni, lasciai il mio villaggio affascinato dalle parole di battaglie, di libertà e d'indipendenza di uno Zelota, il membro di una setta o come direste voi adesso, di un partito che, nel frattempo, si era consolidato in Palestina. Questi uomini si prefiggevano la cacciata di chi opprimeva la nostra Patria. Essi erano il braccio armato degli Esseni che ne erano la mente direttiva. Quell'uomo capitò al nostro villaggio quasi per caso ed io fui attratto da lui come una falena dal fuoco. Mi parlò tanto delle sue imprese gloriose contro i Romani, dell'amore che lo legava alla sua terra e della volontà di scacciare gli invasori o morire nel tentativo di realizzare il suo sogno e, senza pensarci due volte, quando partì, lo seguii. Lasciai la casa di mio padre, la relativa sicurezza del mio villaggio e così, senza troppi rimpianti, seguii quello Zelota ed egli mi accompagnò in un villaggio, nei pressi del Giordano, che era stato appena ricostruito dopo un terremoto che lo aveva completamente distrutto qualche decina di anni prima. Fui così proiettato in un mondo nuovo del quale non conoscevo nulla. Un mondo completamente dissimile da quello da cui provenivo, con prospettive totalmente diverse e orizzonti più vasti rispetto alle previsioni di vita che avrei avuto rimanendo nel mio villaggio. Fui sradicato dal mio anonimato, dalla vita grigia che avrei potuto avere nel mio ambiente forse come piccolo artigiano e fui proiettato verso più vaste prospettive, verso una vita piena e forse più appagante, ma con scarse possibilità di raggiungere, con sicurezza, la vecchiaia.
In questo villaggio c'era un centro di addestramento per giovani pieni d'ideali come me, dove erano educati sia dal lato fisico e sia da quello intellettivo. M'insegnarono il latino per capire la mentalità dei miei nemici e fui addestrato dal punto di vista fisico e all'uso delle armi per combattere al meglio delle mie possibilità. Era una vita dura e sfibrante, ma io ero sostenuto da una grande volontà e uno sconfinato idealismo e anche, se devo confessarmi, dai miei sogni di grandezza e di epiche avventure, generati, nella mia fantasia, fin da quando ero seduto sul pavimento di quell'aula, dall'ascolto delle parole del vecchio Azaria.
Rimasi lì diversi anni, progredendo negli studi e contemporaneamente diventavo un guerriero addestrato a colpire con ogni mezzo, sia materiale sia psicologico, come direste adesso, i nemici. Come può arguire i campi di addestramento ai fini sovversivi, esistevano già allora. È lì che conobbi il mio primo e grande amore.
Tra noi ragazzi si parlava tanto di donne e si sognava tanto su questo argomento come tutti i giovani, ma nessuno di noi aveva mai avuto esperienze in quel campo. Io fui fortunato e conobbi una ragazza, si chiamava Miriam, era dolce e timida come una colomba.
L'avevo conosciuta perché un giorno era passata vicino al campo dove, di solito, ci addestravamo. Io la notai subito e anche lei vide me. Da quel giorno mi accorsi che, quando eravamo sul campo di addestramento, anche lei passava ai limiti di quella zona e così m'illusi che lo facesse per me. Un giorno mentre correvamo per irrobustire il nostro fisico, feci finta di cadere e mi buttai a terra lamentandomi. L'istruttore si fermò vicino a me e vedendo che mi lamentavo stringendomi una caviglia, mi disse.
- Rimani qua e riposa, al nostro ritorno ti accoderai a noi se sarai nelle condizioni di poterlo fare -.
Lo vidi allontanarsi con i miei compagni e quando fui certo che nessuno potesse vedermi, mi sono avvicinato al bordo del campo dove, speravo, sarebbe passata la ragazza della quale, a quel tempo, non conoscevo ancora il nome. Attesi con pazienza per molto tempo tanto da credere, nella mia impazienza, che quel giorno non sarebbe più venuta, ma, a un tratto, la vidi spuntare da dietro una casa, che veniva correndo. Appena si accorse di me, si fermò di colpo, indecisa se tornare indietro o proseguire. Poi timidamente continuò ad avanzare. Io la seguii con la coda dell'occhio e quando finalmente arrivò vicino a me, le dissi con voce un po' strozzata dall'emozione.
– Shalom –.
Lei rimase confusa e impacciata ma alla fine dovette rispondere poiché è sconveniente non dare risposta, a chi ti augura la pace.
- Shalom a te - e proseguì a camminare.
Mi sentii perso, stavo perdendo l'occasione di conoscerla, di parlarle, allora mi alzai di scatto e le sono andato dietro dicendo.
- Aspetta, non andartene così in fretta, ti ho notato i giorni scorsi e speravo di poterti conoscere, parlarti. Io sono solo qui e a parte qualche amico con cui mi addestro, non conosco nessun altro, mi piacerebbe chiacchierare un poco con te -.
Dapprima non mi diede retta ma poi rallentò il passo e quasi si fermò ed io mi bloccai di fronte a lei facendola arrestare completamente. Solo in quel momento, riuscii a vederla bene in viso, per la prima volta. Aveva due occhi scuri che ha subito spostato verso terra, un faccino ovale e liscio che risplendeva con quel sorrisetto timido che aveva sulle labbra. I capelli erano neri per quello che potevo scorgere sotto la mantellina che le copriva la testa. La sua figura era esile, slanciata e leggermente più alta della media delle ragazze che avevo visto fino a quel momento. Aveva una brocca per l'acqua sotto il braccio ma la fontana era in paese non certamente lì. Ci guardammo, finalmente, io che le puntavo gli occhi addosso, e lei che, alzando timidamente la testa, dirigeva il suo sguardo nei miei.
- Shalom, - le ho ripetuto, - io mi chiamo Yeshua, posso sapere il tuo nome? -
Riabbassò la testa e ripeté il saluto rituale e mi disse con un sussurro.
- Miriam –.
Poteva avere al massimo quattordici anni, ma a quel tempo, sia detto per inciso, le donne alla sua età, erano già maritate.
- È un bel nome, splendido come lo sei tu. Perdonami se mi rivolgo a te in questo modo inconsueto e poco educato, ma ti ho notato i giorni scorsi è ho pensato che sarebbe stato stupendo poter scambiare qualche parola con te. Non mi giudicare una persona che non conosce le regole, ma io non sono, come puoi immaginare, di questo villaggio e non ho nessun familiare che possa aiutarmi a conoscere qualche ragazza. Mi piacerebbe incontrarti qualche volta per parlare con te se ti fa piacere -.
- Va bene - ha sussurrato ed è corsa via senza che potessi aggiungere altro.
Il giorno dopo la rividi che passava, come il solito, al confine del campo di addestramento, con la brocca dell'acqua sotto il braccio e mi è parso che mi facesse un cenno con la testa. Una notte la sognai che mi asciugava il sudore delle fatiche dell'addestramento, con una pezzuola bianca, sorridente e piena d'amore. Avevo diciassette anni e non avevo mai fatto un sogno così bello. Ogni volta che ci pensavo durante l'addestramento, mi venivano le ginocchia molli e mi distraevo e l'istruttore mi riprendeva aspramente.
- Concentrati su quello che fai, se vuoi continuare a vivere -.
Io però avevo un sorriso sulle labbra che, credo, mi faceva sembrare un po' ebete e in uno di questi momenti, in cui ero perso nei miei sogni fantastici, ricevetti un colpo in testa dalla spada di legno del mio antagonista, che mi fece cadere tramortito sul terreno. L'addestratore preoccupato mi fece trasportare da due miei compagni sul bordo del campo. Quando costatò che mi riprendevo e non era successo niente di grave, mi disse.
- Rimani qua e rinsavisci. Considera cosa può capitarti se ti distrai! Oggi è un colpo di spada di legno, ma domani potrebbe essere il fendente di una vera arma e non avresti sicuramente scampo. Devi essere sempre concentrato sul tuo avversario se ci tieni alla tua vita. Adesso resta qui e riposati un po' mentre noi andiamo a correre. Spero che la botta che hai ricevuto, ti possa servire da lezione per il futuro -.
Per poco non mi misi a saltare dalla gioia ma resistetti e anzi esagerai tanto a fare il morto, che per poco non ho rovinato tutto. Finalmente però se ne andarono poiché li rassicurai che stavo meglio. Quando tutti sparirono, mentre mi massaggiavo la testa indolenzita, arrivò Miriam che, vedendomi a terra, s'impaurì tanto, che per poco non le sfuggiva dalle mani la giara, che aveva con sé. Corse verso di me, posò il recipiente per terra e s'inginocchiò per sorreggermi il capo con un braccio.
- Che ti è successo, Yeshua, sei ferito? -
Così facendo mi toccò la fronte e a me, sembrò di essere trasportato nell'Eden. Sorrisi beato sentendo la sua fresca mano sul mio viso. Aveva un'espressione ansiosa ma io ero felice perché era preoccupata per me, io ero al centro dei suoi pensieri ma alla fine, per tranquillizzarla, le dissi.
- Oh non ti preoccupare, ho ricevuto solo una botta in testa, passerà subito –.
Mi sono toccato la testa e poi le ho preso la mano portandola sul punto colpito dove, un notevole bernoccolo, era spuntato tra i capelli.
Dentro di me ringraziai l'Altissimo per la sua benevolenza, con quella situazione, avevamo superato l'imbarazzo iniziale senza accorgercene. Lei mi guardava con espressione dolce con due occhi quasi umidi. Versò le ultime gocce dal vaso di terracotta su un angolo della mantellina che portava sul capo e mi massaggiò il punto, dove c'era il bozzo. Oh che meravigliosa sensazione, il mio sogno si era avverato. La guardai negli occhi e le ho appoggiato la mia mano sulla sua che mi massaggiava la testa. Si fermò, ma non liberò la sua mano dal mio tocco. Finalmente mi misi seduto, le appoggiai le mani sulle guance, l'attirai verso me e le sfiorai la fronte con le labbra. Lei posò la testa sul mio petto e rimanemmo così, senza dire una parola. Il mio cuore batteva all'impazzata, il mio corpo era tutto in trambusto. Rimanemmo così per non so quanto tempo poi, la posizione scomoda ci fece alzare e appena in piedi, l'abbracciai. Mi sembrò di essere diventato il padrone del mondo. Con la spontaneità e l'incoscienza dei miei anni le sussurrai all'orecchio:
- Ti amo, Miriam, fin dal primo momento che ti ho visto, il mio cuore è stato tuo e non sarà mai di nessun'altra donna -.
Lei con un filo di voce mi ha risposto:
- Anch'io ti amo, fin dalla prima volta che, per caso, passai di qua e ti vidi. Poi sono ritornata tutti i giorni per darti uno sguardo per un momento e ricordarti per tutta il resto del giorno. Quei pochi attimi mi bastavano per scaldarmi il cuore poiché non avevo nessuna speranza di conoscerti o di parlarti, ma come vedi, l'Altissimo è Misericordioso ed esaudisce i desideri dei suoi figli -.
Non seppi cosa rispondere, ma ero felice di sentirla sul mio petto e spinto dal sentimento che mi gonfiava il cuore, le dissi:
- Vorrei rivederti, Miriam, stare con te senza paura che qualcuno ci possa disturbare e senza fretta, è possibile? -
Si staccò da me e mi guardò fisso negli occhi:
- Lo sai quanto è difficile quello che mi chiedi? Ho mio padre e due fratelli che non mi permettono di avere un attimo di solitudine, d'intimità per me stessa, figurati allontanarmi per un certo tempo senza che sappiano dove sono, con chi sono e che cosa faccio. Adesso come le altre volte, sono alla fonte a riempire la brocca e rubo questi pochi minuti per vederti, dicendo poi che ci sono molte donne a prendere acqua, anzi adesso devo scappare perché mi sono attardata più del solito. Cercherò di trovare una scusa quanto prima –.
Ci pensò un po' e poi mi disse.
- Se un giorno mi vedrai fermare e cambiare posizione al recipiente dell'acqua, allora prima del tramonto aspettami alla fine del villaggio verso il deserto –.
Non disse altro e mi guardò a lungo con i suoi meravigliosi occhi, poi, corse via frettolosamente, per recuperare il tempo perduto. Io rimasi lì, frastornato e beato poi mi risedetti a terra e continuai la commedia a uso e consumo dei miei compagni che, presto, sarebbero ritornati, ma dentro di me, ero felice come un bimbo attaccato al seno di sua madre.
Quando i miei amici ritornarono, io ripresi a lamentarmi e tra i rimproveri dell'istruttore, la loro derisione e la loro commiserazione, ritornammo ai nostri alloggiamenti per il pasto. Nei giorni che seguirono, cercai di non distrarmi per evitare eventuali punizioni. Ogni giorno, all'incirca alla stessa ora, Miriam passava vicino al campo ma io non notai mai quel gesto che avevamo convenuto. Col passare dei giorni e non vedendo mai il segnale, mi demoralizzai sempre più, tanto da diventare cattivo durante le esercitazioni. Se i miei compagni si lamentavano, il mio istruttore invece se ne compiaceva tanto, da elogiarmi e portarmi da esempio per tutti.
- Ecco come si fa, così vanno trattati i Romani, quei porci oppressori. Bravo Yeshua, vedo che finalmente hai capito come ci si deve comportare. Dovete metterci tutta la vostra rabbia adesso nel bastone e poi nella spada se volete aver ragione di questi odiati oppressori –.
Quando, ormai avevo quasi perso la speranza, vidi Miriam che passava come sempre e inaspettatamente, si fermò e presa la giara, la spostò dal fianco sinistro a quello destro. Per poco non ricevevo un'altra randellata in testa ma, imbaldanzito da ciò che avevo visto, restituii, con estremo vigore e rinnovata baldanza, i colpi del mio avversario, tanto da costringerlo a indietreggiare ignominiosamente e a dire.
- Basta, basta ci stiamo soltanto allenando, non sono un romano io, fermati! Mi arrendo! –
A quelle esclamazioni mi fermai, svegliandomi dal mio sogno, rimettendo i piedi per terra e scendendo dall'Eden in cui ero asceso.
La sera cenai velocemente e per avere una scusa sia per cambiare la corta tunica che indossavamo noi giovani e sia per lavarmi un po' meglio, mi sono versato addosso, una parte della minestra che mangiavamo per cena. Subito dopo essermi rassettato, mi presentai all'istruttore e gli chiesi se potevo uscire a fare una passeggiata per distrarmi un po'. In quei giorni ero nelle sue grazie e non mi rifiutò il permesso che gli chiesi, ma si raccomandò severamente.
- Non fare tardi perché, voi giovani, avete bisogno del giusto riposo per rendere al massimo
delle vostre possibilità -.
Io promisi e annuii accondiscendente a tutte le sue richieste per sgattaiolare fuori, da quella che era il nostro acquartieramento, prima che avesse il tempo di ripensarci. Attraversai il villaggio velocemente, ma senza correre, per evitare di attirare l'attenzione di qualcuno. Arrivai sul posto dell'appuntamento, ma non c'era nessuno, un po' di delusione mi ha pizzicato il cuore e per non essere notato mi misi in un punto abbastanza defilato. Quei pochi minuti che aspettai mi sembrarono secoli poi la mia tortura finì perché vidi Miriam arrivare. Le andai incontro e lei si mise a correre. Quasi ci scontrammo e nello slancio, le nostre teste si sono avvicinate troppo e le nostre labbra si sono sfiorate. Fu una sensazione fugace e meravigliosa che mi diede una dolcezza tale da desiderare di ripetere quella gioia immediatamente. Mi feci coraggio e le presi il viso nelle mie mani e lo avvicinai al mio e con delicatezza e trasporto, la baciai. Lei non si sottrasse al contatto, anzi mi sembrò che anche lei desiderasse coscientemente ripetere l'esperienza appena fatta. Fu lei per prima a scuotersi e a tornare alla realtà.
- Sediamoci là, così dal villaggio non ci potranno scorgere –.
Disse indicandomi una sporgenza rocciosa che ci avrebbe riparato da occhi indiscreti. Ci sedemmo vicini come se non ci fosse più spazio intorno a noi. Rimanemmo così parlando di tante cose, ma il tempo passava ed eravamo coscienti che ci dovevamo separare senza la speranza di rivederci presto. La scusa per vedermi, per Miriam, era stata un'amica malata e la prossima volta chissà quando ci saremmo potuti vedere. La abbracciai con forza e lei mi mise le braccia intorno al collo e ci baciammo come se fosse l'ultima cosa al mondo che facevamo e forse, era proprio così. Il bacio fu dolce, lungo, appassionato, inebriante. Ci lasciò storditi e felici e ci separammo con infinite promesse di rivederci al più presto possibile. Lei si allontanò da sola, perché non potevamo correre il rischio di essere visti insieme ed io, poco dopo, ritornai euforico e baldanzoso in caserma. Passarono i giorni, i mesi e la nostra relazione ci riscaldava e ci riempiva il cuore e la vita, ma si mantenne sempre su un piano di correttezza, anche se molte volte corremmo il rischio di dare libero sfogo alla nostra esuberanza giovanile. Riuscii sempre a fermarmi in tempo perché, dentro di me, prevaleva sempre quel mio senso dell'onore che m'impediva di cogliere il fiore di una ragazza che sicuramente non avrei potuto sposare, visto la strada che avevo intrapreso.
Un giorno Miriam arrivò al nostro impossibile appuntamento piangendo, ne fui oltremodo turbato perché i nostri fugaci incontri erano sempre fonte di gioia per entrambi e tra lacrime e singhiozzi mi disse sconsolata.
- Mio padre ha trovato un marito per me. Presto andrò sposa a un uomo che non conosco e che non amo, mi sento persa, non so cosa fare. Ho parlato con mia madre, senza accennare a noi due, dicendole che vorrei sposare qualcuno che conosco, che amo. E lei mi ha risposto in maniera sottomessa, come se avessi risvegliato in lei amari ricordi -.
- Figlia mia, il mondo va in questa maniera, i padri scelgono i mariti alle figlie per evitare errori e forse anche per interessi personali. Noi donne siamo merce di scambio, nessuno tiene conto che, anche noi, siamo delle persone con i nostri sentimenti, i nostri desideri, i nostri sogni. È successo così anche a me, ma alla lunga ti abituerai e non ci farai più caso. Non ci pensare, ubbidisci e sarà meglio per te, in caso contrario rovini la tua esistenza senza ottenere alla fine, nessun risultato che ti possa soddisfare. Ascolta tua madre, figlia mia, il mondo è andato sempre così e sempre continuerà in questa maniera. È meglio piegarsi in caso contrario, l'altra possibilità è spezzarsi, ed io ti voglio troppo bene per vederti distrutta.
Vedrai col tempo ci sarà qualche lato positivo e poi arriveranno i figli che ti faranno dimenticare tutto, comprese le amarezze ingoiate e i sogni infranti della tua fanciullezza -.
Io non seppi cosa rispondere, l'unica soluzione sarebbe stata fuggire insieme lontano, dove i suoi non avrebbero potuto raggiungerci, ma io avevo la mia missione da compiere, il giuramento fatto, - Libertà o morte - , che mi legava alla causa per tutta la vita che avevo di fronte a me e non avevo nessun diritto di sacrificare un altro essere. Ero lì, a testa china, senza poter dire qualcosa che confortasse il mio amore e che la risollevasse un po'. Quello che forse lei avrebbe voluto sentire, io non potevo dirglielo. Penso che capisse tutto il mio travaglio perché, a un tratto, si sollevò sulla punta dei piedi, mi diede un bacio sulla guancia e scappò via. Da quel giorno non passò più vicino al campo di addestramento e non l'ho più vista. Ebbi, così, la mia prima delusione d'amore e il mio cuore ne rimase spezzato, distrutto. Il mio addestramento durò ancora per qualche mese e alla fine, quando i capi ritennero che fossi pronto, mi mandarono a nord ad affiancare altri patrioti nella lotta clandestina che ci impegnava contro gli oppressori.
Gli anni seguenti furono forieri di formazione per me e forgiarono definitivamente il mio carattere facendomi diventare quello che sono. Diventai un uomo duro, avvezzo alla fatica, scevro da formalismi, capace di grandi slanci e atti di generosità ma duro e inflessibile nel colpire sia il nemico e sia chi non si comportava secondo certi principi etici che io ritenevo fondamentali. Alla fine avevo rafforzato quel carattere che si era affacciato quando ero un bambino nel mio villaggio, quando sognavo di emulare le gesta dei grandi eroi che ci avevano condotto alla conquista della Terra Promessa che il vecchio Azaria ci raccontava. Sognavo, nella mia ingenuità, di essere il nuovo eroe che avrebbe liberato il suo popolo dalla tirannia degli oppressori. La mia testa, a quel tempo, era ancora piena di sogni di grandi imprese, di cruente battaglie che, nella mia ingenuità, riuscivo sempre a vincere. Incominciai a partecipare a qualche azione dimostrativa contro il potere e con la mia irruenza, avevo macchiato già le mie mani col sangue dei nemici, ma ancora nessuno era riuscito a incolparmi di qualcosa o a imprigionarmi. Conobbi l'amore, quello prezzolato, sfrenato, capace solo di soddisfare l'istinto animalesco che è in noi e rimpiangevo, nel mio cuore, quel sentimento puro che mi aveva legato a Miriam e che disperavo di poter ancora provare.
Passarono gli anni, nel movimento fui notato dai capi e lentamente ma, tenacemente, salii nella scala gerarchica. Diventai responsabile di altri uomini ed esecutore diretto di ordini provenienti dall'alto. Intorno a me avevo non colleghi o sottoposti ma amici e collaboratori che eseguivano i miei ordini con dedizione, felici quando io ero soddisfatto del loro comportamento e della loro efficienza. Perciò i miei capi decisero di mandarmi a Gerusalemme, dove si concentrava la maggior parte delle nostre attività sovversive, dove avrei avuto occasione di esprimere al meglio e mettere in luce, le mie qualità di combattente e di capo. Ero giovane, pieno di vigore fisico, di entusiasmo e di ideali, pronto a qualsiasi sacrificio per la Patria e per la Causa e partii per Gerusalemme, con mia grande soddisfazione, ma anche pieno di ansia, di dubbi, d'incognite e di un certo timore, per la vita futura che mi attendeva nella città simbolo per tutti gli Israeliti, nel cuore pulsante della mia Patria.
Vincenzo Corsa
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