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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Gennaro Amarante
Titolo: Il cuore dalla parte giusta
Genere Romance
Lettori 3305 12 19
Il cuore dalla parte giusta
Era l'inizio di una bella giornata, una di quelle diverse da tutte le altre, di quelle che rimangono impresse nella memoria e per tutta la vita. Dora stava facendo jogging, indossava calzoncini neri, una canotta fucsia, scarpe da tennis e un grazioso cappellino da running. Osservava il paesaggio intorno a sé, ascoltava il richiamo dei gabbiani e il movimento gentile delle onde che si rompevano sulla riva. Pur essendo in vacanza, si era alzata all'alba per correre e abbattere qualche chilo di troppo. Nel giro di un paio di ore la spiaggia si sarebbe riempita di turisti, avrebbero aperto gli ombrelloni e stesi i teli da mare per coccolarsi sotto il caldo sole. A Dora piaceva la sensazione di correre sulla sabbia compatta e levigata dal ritiro della marea, a differenza della strada asfaltata, la sabbia cedeva quel poco che bastava per non affaticare le ginocchia. Le era sempre piaciuto correre, un'abitudine mantenuta fin dai tempi del liceo e pur non facendo più competizioni, era uno dei pochi momenti che si ritagliava in cui poteva isolarsi dal mondo per ascoltare i suoi pensieri.
Ma quei pensieri cominciavano a rimbalzarle nella testa già da troppo tempo e a generare domande e quella domenica mattina avrebbero trovato finalmente le risposte giuste. Mentre correva pensava a come avrebbe trascorso quella giornata, dopo la messa era sua intenzione aiutare la mamma in cucina per preparare il pranzo preferito da suo padre, fusilli fatti in casa con il pomodoro e melanzane ripiene, ma sicuramente doveva digerire il sermone di suo padre sull'incidente stradale, rassicurandolo che non le era accaduto nulla di grave e che un angelo le era venuto incontro al momento giusto.
Pensava a come i suoi genitori si fossero conosciuti prima di sposarsi, due caratteri opposti, suo padre un romantico inseguitore di sogni ma un gran lavoratore e la madre una gelida e razionale compagna, una donna che aveva a cuore più il senso pratico delle cose e che non amava mostrare le sviolinate sentimentali.
Dora aveva preso il carattere del padre, il rapporto tra loro era più che armonioso, al contrario di quello con la madre burrascoso e ostile ma alla fine tutto quello che lei faceva le veniva approvato senza alcuna difficoltà. L'idea di presentare Giovanni al padre poteva essere allettante e sicuramente gli avrebbe suscitato simpatia e approvazione, ma il pensiero di essere giudicata troppo frettolosa la frenava. Per molto tempo si era ritenuta una ragazza molto fortunata, era cresciuta in una famiglia con sani principi cristiani, e con un generoso tenore di vita, all'università aveva ottenuto il massimo rendimento e la parrocchia concludeva il suo mondo.
Tutto perfetto, o quasi. Quella realtà a cui era abituata e che sembrava il modello di vita ideale come quello di altre ragazze di buona famiglia era stato messo in discussione due anni fa. Le tornarono a mente le parole del suo parroco che spesso le ripeteva durante le sedute di catechesi: “... l'incontro tra due persone non può riassumersi in una sterile casualità di eventi, in realtà è l'espressione di un disegno più grande, scritto prima della nostra nascita e che sta a noi saperlo leggere, interpretare e accogliere con gli occhi del cuore “.

Queste parole le risuonavano nella testa, quell'uomo a differenza di lei aveva avuto molto poco dalla vita, ma quel poco era tutto quello che a lei mancava. Giovanni aveva nella sua semplicità, una innata capacità di rassicurarla, e tutto quello che argomentava non scendeva ma ad un tono di banalità. Amava pensare che si erano scelti inconsapevolmente e che in quel preciso istante, il destino aveva colto il momento giusto per unire due persone apparentemente diverse ma per un inspiegabile motivo simili, pronte a donarsi l'uno all'altra.
In fondo al parcheggio della piazza le imbarcazioni ormeggiate lungo la sponda, ondeggiavano sotto il lento scorrere dell'acqua, come lenti e precisi erano i gesti e i movimenti di due vecchi pescatori intenti a riparare le reti. Anche la piccola coda di capelli che spuntava dal cappellino ondeggiava ritmicamente ad ogni falcata sulla spiaggia, il sudore le scorreva dalla fronte lungo il viso, ma continuava a contemplare il mare, era cristallino, trasparente come lo stavano diventando i suoi pensieri sempre più chiari e determinati. Avrebbe desiderato fermarsi, togliersi le scarpe e bagnarsi i piedi, ma la sua meta era a poche centinaia di metri, oltre il ristorante la Caupona, fu in quell'istante che lo vide, era lì, fermo sulla battigia, di spalle, come sempre, con i jeans risvoltati e i piedi immersi nell'acqua. Gli si avvicinò rallentando il passo fin quasi a camminare. Lui non si accorse di niente quando gli passò davanti. Dora lo guardò, aveva gli occhi chiusi e avrebbe voluto immergersi nei suoi pensieri se ne avesse avuto la possibilità. Imitò la stessa cosa anche lei, si tolse le scarpette e si avvicinò all'acqua, era tiepida, avvolgente e avanzò verso di lui provando l'irrefrenabile desiderio di allungargli quell'agognato primo bacio, ma indugiò nel gesto quando lui si accorse della sua presenza.
Non si sa come sia accaduto, ma senza vederla Giovanni aveva sentito il profumo dei suoi capelli biondi, aveva immaginato i suoi occhi chiari su di lui, ed era certo che appena si sarebbe girato l'avrebbe vista lì dinanzi al suo viso. - Ti aspettavo - pronunciò lui con gli occhi ancora chiusi.
Il viso di Dora cominciò ad arrossirsi e il suo corpo a tremare rendendosi conto di essere arrivata al traguardo. Lei che era una appassionata lettrice, sognava di innamorarsi come le protagoniste dei romanzi, ma è risaputo che la realtà è a volte ben lontana da quello che gli autori descrivono nei libri, ma si chiedeva, per una volta al mondo, poteva esserci un'eccezione?
A volte anche la realtà della vita può superare la fervida fantasia di uno scrittore, e per lei questa poteva essere la sua migliore se non l'ultima occasione - Ti prego non dirmi che mi sono sbagliata - .
Giovanni le se avvicinò e seguì con lo sguardo il taglio dolce dei suoi occhi.
- Oggi sono quell'uomo fortunato, perdonami per averti fatto aspettare tutto questo tempo -
Sollevò una mano, sfiorandole delicatamente il viso e poi con un dito continuò a percorrere quelle linee soffici delle labbra. Prese quel coraggio che non aveva mai avuto in passato, ma stavolta era tutto completamente diverso, era con una vera donna. La circondò con il suo corpo, lei rispose inclinando la testa su un lato della sua spalla, mentre sentiva la sua mano salirle lungo la schiena, affondata tra i morbidi capelli.
Rimasero abbracciati, stretti a lungo, da troppo tempo stavano aspettando quel momento. Quando si staccarono si guardarono ancora con il desiderio negli occhi. Cominciarono a passeggiare, in silenzio, fianco a fianco, le parole sarebbero state superflue per descrivere i loro stati d'animo. Apparve evidente che fu più la complicità degli sguardi a fare chiarezza su quello che stava per muoversi dentro di loro, mentre le dita delle mani si sfioravano, si cercavano, fino a quando fu lei a stringere le sue.
Il sole si stava alzando, lei si voltò davanti a lui affondando il viso sul suo petto, immergendosi completamente in quella magia. Rabbrividì al contatto con la sua pelle. - Se non mi ami adesso, non lo farà nessun altro - .
Giovanni avvertì il suo respiro affannato e sentì il suo corpo vibrare e fu colta di sorpresa quando lui le alzò il mento e iniziò a baciarla. Dora si rese conto di quanto avesse aspettato e sognato quell'istante. Lei non ebbe il tempo di riprendere fiato, quando Giovanni la baciò una seconda volta e intuì che una donna così avrebbe potuto cercarla solo nei sogni e che non sarebbe bastata tutta la vita per trovarne una che gli assomigliasse solo vagamente. Il sapore che rimase sulle sue labbra lo persuase all'idea che non le avrebbe più posate su nessuna altra all'infuori di lei.
Dora si chiese se finalmente era riuscita ad abbattere quello scudo che si era costruito intorno. - Posso farti una domanda? -
Lui le scostò i lucenti capelli dalla fronte. - Che cosa vuoi chiedermi? -
- Cosa ci fai tutte le mattine qui da solo? -
- Mi piace passeggiare e osservare il movimento lento del mare -
- Osservi solo il mare? -
- Se ti svelassi tutti i miei segreti, non avresti più niente da scoprire. - Gli sorrise. Un sorriso di uomo che accentuava alcune piccole rughe, ai margini di quegli occhi profondi, pronti a leggere tutti i suoi più reconditi pensieri, gli ricordava per certi aspetti ad alcuni tratti del padre.
Lei gli accarezzò il viso. - In tutto questo tempo mi sono sempre chiesta a cosa pensi -
Giovanni iniziò a raccontare di tutto ciò che si aspettava dalla vita, speranze e progetti per il futuro, e lei l'ascoltava con un'intensità fuori dal comune, le prometteva che un giorno tutto si sarebbe avverato.
E il tono carnoso della voce in cui lo diceva ispirava completa fiducia, Dora gli credeva e sapeva quanto ormai lui contasse per lei. Di quando in quando, se lei glielo chiedeva, Giovanni parlava di sé, del periodo difficile dell'adolescenza, quando un gruppo di ragazzi più grandi non persero occasione per tormentarlo con ogni sorta di offese e angherie, oppure spiegava perché avesse smarrito l'autostima e scelto di camminare a testa bassa, senza guardare le persone nel viso, con la consapevolezza di non poter raccontare niente ai genitori per la loro rigidità educativa. O ancora si limitava a fissarla con quella sua particolare intensità, in cerca di quel calore umano a cui si era dovuto sottrarre per anni. - Adesso sai quanto sia timido, permaloso e pieno di rabbia e che ho dovuto strappare la vita a morsi - Giovanni sapeva che quelle confessioni lo avrebbero reso vulnerabile, ma non era un uomo che sarebbe sceso facilmente ai compromessi e a alle menzogne, e benché gli fosse costato molto aprirsi, qualora si fosse impegnato in una relazione stabile, intendeva iniziarla su solide basi.
Dora apprezzò la sua onestà, ma al contempo si domandò se mai fosse riuscita nel tempo ad ammorbidire quel cuore martoriato.
- Se è l'amore che cerchi allora resta qui con me. Non ho il fisico da modella e non sono perfetta, ma posso darti baci e carezze quando tu lo vorrai. A volte sono insopportabile e non trovo sempre le parole giuste, ma mi impegnerò a farti sorridere e a renderti felice e di questo ne sono sicura. -
Giovanni rimase in silenzio rimuginando su quelle parole, e continuò a fissarla, era vera, si era arditamente messa in gioco e nessuna donna prima di allora si era mai spinta oltre, esprimendo i propri sentimenti con una sincerità disarmante, ma pensava anche che non sarebbe stato facile farsi accettare dalla sua famiglia - Hai pensato a quello che diranno i tuoi? -
- Arriveranno le giornate buie e ci saranno, ma quando si accorgeranno che siamo una cosa bella ci lasceranno in pace. -
Il loro sguardo seguiva il volo di una coppia di gabbiani e si rasserenarono promettendosi ogni bene, e anche Dora affidò a lui i suoi sogni, raccontandogli che avrebbe desiderato costruirsi una famiglia e una casa in montagna, magari ristrutturando una vecchia baita nei pressi di Ramsau in Baviera, il luogo di residenza dei nonni dove aveva trascorso la sua infanzia.
Giovanni accompagnò Dora verso casa, lasciandosi a metà strada e durante il tragitto di ritorno, fu assalito da mille pensieri, da una parte era felice, da un'altra avrebbe volentieri preferito sbattere contro un palo dell'illuminazione pubblica, come del resto in passato gli capitò veramente, guardando altre ragazze.
Dora arrivò a casa e corse subito in bagno senza farsi vedere, di lì a poco sarebbe arrivato il padre. Mentre camminava a piedi nudi sul pavimento, si domandò che cosa stesse facendo Giovanni in quel preciso momento, forse stava ancora sulla spiaggia oppure aveva deciso di farsi un giro con la sua barca, come era sua abitudine. Non si era sbagliata, era lì con un barattolo di vernice rossa in mano mentre scriveva il nome della sua lei sulla prua della barca, con la lettera iniziale maiuscola, ben visibile.
Si allontanò di qualche passo per ammirare il lavoro finito e poi con una mano sfiorò gli assi di legno dove si era seduta il giorno precedente e pensò a lei.

Mentre continuava a fantasticare a occhi aperti nella vasca da bagno, Dora si insaponò le gambe, cominciò a raderle, poi si fece scivolare giù fino al mento rilassandosi nell'acqua calda. Nel frattempo pensava ai suoi genitori e a come avrebbero giudicato il suo comportamento.
Dopo aver terminato di asciugarsi si avvicinò allo specchio e iniziò a perlustrare centimetro su centimetro il suo corpo nudo, alla ricerca di qualche imperfezione, in verità era ben proporzionato nonostante la statura e i caratteri dell'adolescenza erano ormai alle spalle, la pelle morbida luminosa, le gambe affusolate, il ventre piatto, i capelli biondi delineavano il corpo di una donna adulta, ed anche la vista di profilo ne confermava la sua bontà, voleva essere perfetta per quella serata per stoccare l'ultimo colpo di seduzione.
Aveva già in mente il vestito che avrebbe indossato e quando andò nella sua stanza aprì l'armadio e perlustrò tutti i suoi abiti, erano tanti, ma ne scelse subito uno, quello che avrebbe imbarazzato Giovanni, un vestito lungo verde con sfumature gialle e con un accenno di scollatura e dei sandali con il tacco alto, quel tanto per raggiungerlo all'altezza della sua bocca e del suo naso.
Lo indossò e specchiandosi frontalmente e di profilo si accorse che la sua femminilità si era accesa ben al di là dei suoi desideri e un po' la spaventò pensando di essere troppo eccessiva, ma al tempo stesso pensò “quando è guerra è guerra”. Forse i suoi avrebbero disapprovato, specialmente la mamma, quali che fossero le sue giustificazioni.
Il sole disegnò la sua linea immaginaria nel cielo e le ore sembrarono trascorrere veloci, quando la sfera di luce si fermò nel punto più alto, Dora e i suoi uscirono dalla chiesa. Il padre si allungò fino all'edicola per acquistare una copia del “Mattino” e la madre si fermò a parlare con alcune conoscenti che elogiavano i progressi della figlia solo per accaparrarsi un buon partito per i figli. Dora invece cercava con lo sguardo Giovanni, che per un istante pensava di averlo intravisto con la coda degli occhi affacciarsi alla porta della chiesa, e sebbene avesse chiesto ai suoi amici se mai l'avessero visto passeggiare sul lungomare, si era volatilizzato nel niente, nessuno l'aveva incontrato.
Se ne fece una ragione, tornò a casa in auto con i genitori, ma lungo la strada rimase con il viso appiccicata ai finestrini per un'ultima controllatina. Il padre la guardava dallo specchietto retrovisore e sorrideva sornione: - Quando me lo farai conoscere? - .
- Di cosa stai parlando papà? - divenne rossa in viso.
- Martedì prossimo è Ferragosto lo invitiamo a pranzo se non ha altri impegni, tu cosa ne pensi amore? - condivise il suo desiderio alla moglie, mentre lei si passò una mano sulla fronte senza rispondere.
L'occhiata di fuoco non riuscì a desistere il marito che continuando a sorridere colse il silenzio della moglie come un “si” rassegnato. - Bene, anche mamma è d'accordo, allora Dora siamo felici di incontralo, va bene? - Il padre le fece un occhiolino dallo specchietto e lei rispose sorridendogli.
Le ore del pomeriggio trascorsero e Dora si chiuse nella sua stanza. Si era portata diversi libri di narrativa, ma il pensiero di sfogliarne anche una sola pagina con quei sentimenti che le ribollivano dentro, le avrebbe procurato un'orticaria, ma sapeva che al termine dell'estate doveva prepararsi al suo primo giorno di lavoro e la cosa benché la entusiasmasse, le generava ansia. Rimase stupita che il padre non l'avesse rimproverata più del dovuto per l'incidente, anzi durante il pranzo si dimostrò particolarmente premuroso e affettuoso, e di questo non se ne spiegò subito la ragione anche se in seguito se ne fece un'idea.
Dora non avrebbe voluto raccontare bugie ai suoi genitori per incontrare furtivamente Giovanni, preferiva dichiarare ai suoi quello che realmente stava accadendo senza troppi giri di parole. Non era più una ragazzina e quello non era un semplice amore che si sarebbe assopito con la fine dell'estate e non voleva rinunciarci per niente al mondo, costasse quel che costasse.
Giovanni trascorse gran parte della giornata al mare, si abbronzò in barca e quel colore lo rendeva ancora più interessante. Arrivato a casa si cambiò velocemente, era carico, pieno di entusiasmo, fece una doccia e si preparò la cena, del pane biscottato con i pomodori e una mozzarella erano più che sufficienti per affrontare la serata.
Si pose davanti allo specchio chiedendosi quali fossero i vestiti più adatti alla serata; una polo, una camicia e una giacca?
No la giacca la odiava, era troppo formale, un buon pantalone ed una polo e delle sneakers ai piedi andavano più che bene, una pettinata ai corti capelli, barba rasata e un po' di profumo della serie come me non c'è nessuno.
Scese in piazza, si appoggiò con i gomiti sulla balaustra del lungomare, quella era la tipica posizione da galletto che si assume quando un ragazzo è pronto per sfoggiare tutte le tattiche seduttive. Aveva la testa fra le nuvole, ancora non riusciva a realizzare quanto fosse accaduto, la speranza era di trovarla in giro magari da sola, oppure in compagnia delle amiche, come aveva del resto detto, comunque trascorsero tre quarti d'ora, e quell'appoggio non era alquanto comodo, ogni tanto alternava la posizione della gamba per evitare il formicolio agli arti e cominciò a credere di essere ridicolo.
Nella piazza del paese, la sera, per rinfrescarsi dalla calura estiva del giorno, si formavano capannelli di persone che si incontravano per stare insieme e per conversare.
Ma la folla di persone per lui non era un problema, aveva una vista da falco e quando allungò lo sguardo la vide distintamente, aveva un vestito lungo, con una trama floreale verde con sfumature gialle e alcune margherite infilate su un lato tra le ciocche dei capelli, questo la rendeva ancora più attraente e ne esaltava ancora di più il suo carattere puro e semplice.
Giovanni cercò di avvicinarsi a lei ma quando la vide conversare con le amiche esitò, ma anche lei si voltò per cercarlo tra la folla e nonostante portasse le scarpe con dei generosi tacchi si spinse in alto con le punte dei piedi.
Eleonora si accorse che Dora non partecipava più alla conversazione. - É quello il tuo lui? - chiese lei.
Dora inarcò le sopracciglia: - Non ne vedo altri di più belli - .
Eleonora sfoggiò un sorrisetto tirato. - Hai capito la chiesina? Zitta, zitta -
Claudia la vide stringere la borsetta tra le mani e lanciò un'occhiata all'amica cercando di farle capire che se avesse proferito ancora un'altra parola fuori luogo l'avrebbe ammazzata. - Non stare qui con noi, vai da lui - ribatté l'amica.
Tutt'intorno ad un tratto, come per magia scomparve la scena, il languido gioco di sguardi, di sospiri e di silenzi lasciarono intendere molto di più di mille parole. I loro volti si incrociarono e si unirono per sempre in quello spazio profondo delle loro anime, fu in quel preciso istante che Giovanni capì che Dora sarebbe potuto diventare la sua compagna di vita.
Lei quella sera si era fatta bella per lui, mentre pensava a queste parole tirò su il fiato perché “wow!”, condividevano gli stessi pensieri, le stesse trepidazioni, questo segno era più di una percezione. Il suo profondo sguardo era così forte che non riusciva a trattenere l'emozione dalla felicità, ma allo stesso tempo lo turbava.
Aveva avuto altre storie, ma completamente insignificanti, sentiva che Dora lo apprezzava per quello che era, senza limiti o pregiudizi, ma il suo sentimento era ancora combattuto, come se una parte di sé volesse prendere il sopravento, per desistere da quella prorompente e inattesa ventata di gioia.
Le incertezze e i dubbi che lo assalirono lo indussero ad allontanarsi dalla piazza e quindi decise di incamminarsi con passo spedito sul lungomare verso la foce del fiume. Ogni tanto si voltava per vedere se lei avesse capito le sue intenzioni di appartarsi in un luogo più riservato, per esprimerle lontano da occhi indiscreti quello che stava provando, ma lei era una ragazza intelligente, aveva capito, si era staccata dal gruppo, camminava svelta, ma il vestito lungo le intralciava il passo e quelle scarpe non gradivano certamente le corse a cui era abituata, e lui continuava a voltarsi per guardarla, era uno schianto, e non sapeva ancora darsi una risposta perché mai si fosse meritato una ragazza così. Si fermò alla fine del lungomare, si accomodò su uno scoglio, lontano dalle luci dei lampioni e dai passanti e cercò di distendere il battito cardiaco facendosi cullare dal rumore delle onde.
Dora procedeva impacciata camminando tra un sasso e l'altro e sembrava che avesse il fiato un po' corto. - Perché sei andato via e non ti sei avvicinato? -
- Non volevo disturbarti, eri con le tue amiche ... e poi, come mi avresti presentato? - rispose Giovanni mentre lanciava piccoli sassi per dissipare la tensione.
Lei si avvicinò e si sedette accostandosi accanto a lui, e poi gli sussurrò ad un orecchio: - Sei uno sciocco! - .
La sua voce tremava e Giovanni percepì distintamente il suono dei loro cuori che battevano all'unisono, come le onde del mare che si rincorrono prima di incontrare la spiaggia. Non si sa perché, ma a volte le cose belle sono sotto gli occhi e non ti accorgi mai di vederle nel modo giusto.
Il cielo era limpido e la Via Lattea riluceva di miriadi di stelle, come una nube inondata dalla luce della luna e Giovanni cercava in tutti i modi di smorzare quei minuti interminabili di irrequietezza, quel tempo breve ma interminabile che lo separavano dalle parole che avrebbe pronunciato, sperando che la vista del firmamento lo avrebbe aiutato a schiarire i pensieri e a trovare delle parole dolci. Allora Giovanni si voltò verso di lei, la luce della luna le illuminava il viso, lui si rischiarò la voce: - Avrei voluto conoscere molto tempo prima la donna che mi ha fatto perdere la testa - .
Dora spalancò gli occhi più di quanto potesse, il suo sguardo brillava, era questa la risposta che attendeva e finalmente anche lui aveva risposto a sé stesso.
Dora sfiorò con le dita le sue labbra: - Ti ho capito dal primo sguardo e da allora non ho mai smesso di pensarti e mi sono sempre chiesta “perché proprio tu?” - .
- ... e ti sei data una risposta? - rispose lui con tono deciso.
Dora si strinse forte a lui e quando i suoi occhi si fecero sognanti, le sue mani si intrecciarono alle sue e lui con il suo sguardo le confermò il suo amore.
Vicino a loro arrivavano le note di una magnifica canzone, quella che incorniciò solennemente quel momento, sembrava scritta apposta per loro, iniziarono a ballare sulla spiaggia e quella musica divenne la loro colonna sonora. Quella sera fu indimenticabile, divenne questa, un'altra tappa della sua vita, perché adesso doveva prendersi cura della persona che aveva scelto di stargli accanto.

Dora faticò non poco prima di addormentarsi. Nelle prime ore della notte, si girò, si girò di nuovo e poi ancora. Stringeva a sé il cuscino, le parole che si erano scambiati la sera precedente l'avevano indotta in uno stato di meditazione profonda che le impedivano di prendere sonno. Allungò la mano al comò e accese la lampada, bevve un sorso d'acqua e poi si alzò avvicinandosi alla finestra, scostò la tenda dal vetro e diede un'occhiata fuori: il cielo era limpido, Giovanni le aveva detto che in qualunque luogo si fosse trovata, avrebbe ammirato le medesime stelle, come quelle che videro la sera del loro primo appuntamento e per sentirsi meno lontani se lei lo avesse pensato, lui avrebbe fatto lo stesso. Questo pensiero la tranquillizzò e le permise di ritornare a letto e riposare fino alle prime luci dell'alba.
Anche per Giovanni divenne impossibile prendere sonno senza pensare a lei e alla gioia che aveva portato nella sua vita, ma ancora non ammetteva a sé stesso, di essersi innamorato. Quella mattina si ripresentò alla casa della signora Müller, per terminare il lavoro di restauro, ma anche se Paolo gli aveva detto che l'attività lo avrebbe impegnato per due o tre giorni, cercò ad ogni modo di prendersela comoda, spendendo più tempo del dovuto, sarebbe stata così la scusa più ovvia per incontrare più spesso la figlia. Appena arrivato la vide appiccicata dietro il vetro di una finestra, aspettava con trepidazione il suo arrivo e vedendola Giovanni si sentì alquanto lusingato. Quando lei gli aprì porta, lui la guardò. Buon Dio, non aveva immaginato che sarebbe stato tanto smanioso. Lei illuminò quei grandi occhi chiari e le sue guance erano infuocate - Ti stavo aspettando Giovanni. Chiudi la porta - . Lo abbracciò stretto e rimasero così per qualche minuto sulla soglia di casa senza scambiarsi una sola parola.
La signora Müller non gradì per niente le smancerie romantiche della figlia, anzi quegli atteggiamenti melensi l'avevano infastidita a tal punto che cominciò a borbottare come una pentola di fagioli e a sbattere le ante dei mobili fino a quando urlò come una pazza. - Dora, raggiungimi nel salone, devo parlarti! -
La governante chiese alla signora Müller: - Signora Angela, posso servire la colazione? - . Il nome della signora non le rendeva giustizia, o forse i suoi genitori avevano sbagliato l'anno del calendario, chissà.
- Porta tutto indietro! Oggi niente colazione! - La signora con un colpo di mano fece rotolare il vassoio sul pavimento. Dora si diresse nel salone sbuffando e agitando le mani, ma quando varcò la soglia della sala trasformò l'andatura in quella sconsola di un tipico condannato a morte. Stavolta parlavano decisamente ad alta voce in italiano e a volte in tedesco con termini ben accentati, probabilmente quando si mandavano a quel paese.
- Dora! Che cosa ti sei messa in testa? - , la signora Müller era furiosa. - Che cosa pensi di fare? -
- Mamma hai visto con i tuoi occhi quello che faccio! -
- Sei una insolente! Se pensi che io possa accettare una situazione del genere, sei pazza! -
- Ho ventisette anni e sono abbastanza grande per prendere da sola le mie decisioni. E poi ... - rispose Dora appoggiando i pugni sul tavolo.
- E poi... poi cosa? Impertinente! Non ti sarai per caso invaghita di... di... quello? - la signora Müller lanciò un'occhiataccia puntando il dito verso la stanza dove stava lavorando Giovanni.
Lui se la rideva e vedeva riflessa tutta la scena dalla specchiera posta sulla parete di fronte, la mamma si accasciò sulla sedia con aria disperata, come se avesse perso una battaglia ancor prima di averla iniziata.
- Cosa pensi di fare con lui? È solo un garzone, non ti può dar niente. Un italiano e per di più meridionale! E con questo ho detto tutto! -
La madre era riuscita finalmente a vomitare quel rospo, quel boccone messo di traverso che le attanagliava la gola dal giorno in cui quel ragazzo avevo messo piede in quella casa. La mannaia del suo giudizio era calata impetuosa su di lui, non aveva neanche le attenuanti che di solito si formulano ad un condannato, insomma, era un niente, uno spiantato.
Dora cominciò ad affilare gli artigli. - Ti stai sbagliando. Intanto “Quello” ha un nome. Giovanni è una brava persona e un onesto lavoratore - , poi sbatté la mano sul tavolo: - Perché veniamo qui in Italia da cinquant'anni se disprezzi così tanto i meridionali? - .
La madre ancor più indispettita, rispose cinicamente: - Vengo solo per il mare ... gli italiani sono dei perdenti - .
Gli occhi di Dora si riempirono di lacrime, quella frase gli arrivò come un fendente, sapendo che alludesse al lavoro di Giovanni, ma lei continuò a tenerle testa. - Non ti facevo così meschina! Le persone sono tutte uguali, finiscila di avere sempre dei pregiudizi, molti italiani sono anche migliori di noi e lui ne è un esempio! -
- Non approverò mai questa tua scelta, immagina la vita che farai, dimmi quanto durerà? -
- Se è questa la vita, non me pentirò di averla scelta. - Dora sbatté di nuovo i pugni sul tavolo - É inutile che continui a propormi quel manager berlinese, vestito da baccalà a festa! Non me lo filo, l'hai capito? -
La mamma con calma serafica: - Un ragazzo colto e di buona famiglia, è quello che spetta ad una giovane come te - .
- Al diavolo la posizione sociale e tutte le tue aspettative! -
Madre e figlia rimasero per mezz'ora a colpirsi con frasi pungenti, avvalendosi la ragione l'un l'altra, la contesa si concluse alla pari.
Dora prima di ritornare nella stanza si ricompose, asciugandosi il viso dalle lacrime. - Hai sentito? -
Lui tentò di fare l'indiano, ma anche un sordo sarebbe stato in grado di ascoltare quell'animoso litigio. - Cosa? -
- Dai, hai sentito tutto, ma non le permetterò che ci distrugga! -
Quella ragazza, era brillante, forte, ma Giovanni desiderava rassicurarla, aveva superato prove più importanti nella vita, figuriamoci se chiamarlo perdente o meridionale lo avesse in qualche modo scalfito. - Tranquilla, sono abituato a queste considerazioni, non saranno le discriminazioni ad avvilirmi, un giorno tua madre cambierà idea e si ricrederà su queste parole ... è una promessa. -
Dora gli accarezzò il viso e intuì che le aspettative riposte in quel ragazzo avrebbero portato a consolidare sempre di più la loro unione. - Posso accendere la radio, oppure ti distrae? - chiese gentilmente Dora.
- Sei tu la mia distrazione! - annuì lui.
Lei sorrise, nascondeva una sottile timidezza, non era la solita ragazza sfrontata, anche se avesse potuto utilizzare la sola bellezza fisica per adularlo, aveva molto di più dentro che svelava a poco a poco.
- Amore mi porti a fare un giro in barca? - chiese Dora a voce alta per farsi sentire.
- Se me lo chiedi così non riesco a dirti di no! - Era la prima volta che lo chiamava così, ma non ce ne era bisogno di esser cosi sdolcinati, era sottinteso che lo fosse, e la madre sentendo quella espressione sì indispettì ancora di più.
- Va bene, ma stiamo fuori poco, devo continuare il lavoro - rispose lui.
- Mamma esco con il mio ragazzo e vado al mare! - Incalzò di nuovo, facendo impennare la pressione alla madre.
Che malsana idea quella di portare Dora sulla canna della bicicletta, sembravano una coppia di fidanzati usciti da una vecchia cartolina in bianco e nero degli anni '50, che cosa strana. Lei era leggera, la si poteva sollevare tranquillamente in braccio senza sforzo, ma lui era un perfetto imbranato costretto a pedalare a zig-zag. Mentre percorrevamo il rettifilo Dora teneva il naso all'insù come un cane da tartufi che annusava l'aria. I capelli mossi dalla brezza marina le ricadevano davanti al viso di Giovanni portando con sé una sfilza di ricordi dimenticati da lungo tempo, mentre il rumore dei pedali si accompagnavano con il frinire ritmico delle cicale.
- Dora non ti dimenare ... cadiamo come due salami! - aveva l'argento vivo addosso!
Per arrivare alla foce del fiume prima di arrivare in paese, bisognava prendere un ripido bivio sulla destra, la barca era sulla spiaggia riparata sotto un canneto vicino alla riva. Nascosero la bicicletta tra le frasche ma prima di tirare giù il telo dalla barca, Giovanni le chiese di chiudere gli occhi. Quando li riaprì rimase a bocca aperta dallo stupore, quando si accorse che il suo nome era inciso sul fianco della prua.
- Come fai ad essere così? -
- Così come? - rispose lui.
- Riesci sempre a stupirmi. -
Giovanni sorrise. In quell'istante Dora non riusciva a trattenere la gioia che provava e lesse nei suoi occhi il piacere di aver toccato il cielo con un dito. Chiamare con il nome di una donna una barca equivaleva a inciderla sulla propria pelle come un tatuaggio. Ma non sembrava affatto il tipo da tatuaggi o per lo meno non aveva ancora avuto l'occasione di perlustrare tutte le parti del suo corpo.
Solo di una cosa era convinta, che nonostante cercasse di nasconderlo, dietro la sua apparente freddezza c'era un'anima tormentata. Quel contatto giornaliero che lui aveva con la natura le faceva capire che anche la semplicità di un gesto, di una battuta erano in grado di regalarle momenti di colore, di gioia. Era diverso da tutti gli altri che aveva incontrato. Impettiti, impomatati, con una parlantina spietata e apparentemente forbita riuscivano a incantare le amiche ma non lei. Lei li definiva “cafoni”.
Dora trattenne il respiro prima di parlare. - Adesso cosa vorresti fare? -
Lui le prese le mani e la sospinse con la schiena vicino alla barca. Si avvicinò quasi a schiacciarla, naso contro naso, lui le strofinò le labbra contro le sue, ma nessuno di loro due si spinse oltre, le mani scivolarono sui fianchi. Lei acconsentì senza dire una parola. Le cinse le braccia al collo e iniziò a infilagli le dita nei capelli. - É meglio che mi allontano, sei pericolosa, Dora. - Era completamente persa dal suo fascino che esercitava consapevolmente sul suo corpo e sulla sua mente. Adagiò un paio di teli di mare sulla spiaggia, si sdraiarono l'uno accanto all'altra e lui la rassicurò quando colse dal suo sguardo il desiderio pronto ad esplodere. - Non aver paura, abbiamo ancora tempo per quella cosa, non corriamo -
Sebbene l'avesse desiderato, Dora tirò un respiro di sollievo: - Comunque ne sarei stata felice - .
- Sei una piccola birbante - mormorò lui.
Dora colse la palla al balzo: - Facciamo una scommessa? - . Gli sussurrò accostandosi al suo orecchio.
Giovanni la guardò stupito. - Che scommessa? -
- Scommettiamo che prima della fine dell'anno mi chiederai di fidanzarci? -
Dalla sua espressione Dora si accorse di aver corso troppo. - Ho paura della distanza che ci separerà quando finirà l'estate -
- Non è quella fisica a preoccuparmi, comunque scommessa accettata - rispose lui.
- Mio padre vuole conoscerti, domani ti ha invitato a pranzo. - Si sentì improvvisamente colto alla sprovvista. Si passò una mano sulla testa. - Vuoi che dica ai tuoi le nostre intenzioni? -
- Non diremo niente stai tranquillo, anche se qualcosa ha già intuito, ma è un invito informale, vuole ringraziarti per avermi soccorso e conoscerti un po'. Tutto qui. -
Giovanni scosse la testa: - Tua madre non mi sembra entusiasta di avermi fra i piedi, non è vero? - .
- A mia madre non sei simpatico, ma l'ultima parola spetta sempre a mio padre. -
Lei gli si appoggiò contro, posandogli la testa sul petto dimenticandosi del trascorrere del tempo. Giovanni le insegnò ad osservare le nuvole, spiegandole che era uno dei sui passatempi preferiti. La vista gli dava tranquillità e la speranza perché le nuvole secondo lui non muoiono mai e le diverse figure che assumono con il movimento del vento danno forma a nuova vita.

Ferragosto non è un giorno come un altro. Non è soltanto il giorno dei ricordi. Ferragosto è il giorno in cui ci lasciamo attraversare dall'innocenza di un sogno, dall'attesa di vivere momenti che si intrecciano alle nostre fantasie. È il giorno di festa custodita nella memoria del cuore. È lì il posto in cui magnifichiamo i giorni più belli della nostra esistenza dove un profumo, un sapore o il suono di una melodia ci lega ad un momento particolare della vita, a quella sottile emozione della bellezza del vivere. È il giorno che evoca il ricordo degli scherzi in spiaggia, delle battaglie dei gavettoni, quelli realizzati con palloncini dai mille colori, delle insalate di riso e dei cocomeri consumati sotto l'ombrellone. Come non ricordare le scampagnate, i barbecue, i pic-nic al monte Stella, i giochi notturni, i falò in spiaggia e i fuochi d'artificio a mezzanotte? È il giorno in cui si mangia così tanto e così a lungo che il pranzo si confonde con la cena. Si consuma solitamente all'aperto, in famiglia oppure in compagnia di amici.
Ferragosto preannuncia anche la fine dell'estate, con i suoi temporali pomeridiani e con le giornate che si accorciano velocemente. È il giorno che alimenta i sentimenti più contrastanti, da un lato l'aspettativa spensierata e gioiosa della festività e dall'altra lo sgomento per la fine delle vacanze, il termine della libertà solare e di quel sovrano pensiero di irrequietezza che prende il sopravvento, il ritorno alla quotidianità della città, il malinconico rimpatrio delle stagioni grigie.
Se per molti la fine dell'estate rappresenta un senso di smarrimento, per Dora è l'arrivo di un mondo nuovo. La giornata era appena iniziata, Dora cominciò a fantasticare su tutte quelle sensazioni vissute insieme a lui, mettendole in ordine una ad una. Rimase colpita da quel suo modo delicato di resistere alle tentazioni carnali, mentre con gli occhi esaminava ogni centimetro del suo corpo senza mai scendere nella consueta volgarità. Appena alzata si ritagliò uno spazio di intimità in giardino, si rannicchiò su una panchina lontana da occhi indiscreti per parlare al telefono con la sorella. Sebbene fosse già al corrente dei suoi sentimenti, Dorà le raccontò con ricchezza di particolari del ragazzo della spiaggia, quello che gli aveva stregato il cuore. Greta fu felice di sentirla radiosa e appagata da quell'amore a cui aveva riposto così tante speranze. Terminata la conversazione si avviò in cucina per aiutare la mamma a preparare il pranzo di Ferragosto. Dalla finestra aperta arrivava un canto di uccellini, lei era così entusiasta e piena di gioia che era impossibile non notare quella espressione da ebete stampata sul suo viso che si accompagnava canticchiando sotto lo sguardo mesto della madre.
Anche la domestica aveva un'aria divertita, era vicina al lavello intenta allo spurgo delle vongole, Dora la ricambiò sorridendo, guardandola di sbieco come un cavallo da tiro che guarda il compagno di giogo - Mamma che ne pensi di fare le vongole con i cavatielli e i fiori di zucca? - . Non aveva la ricetta scritta da qualche parte, ma fortunatamente se la ricordava a memoria.
- Va bene, li vai a prendere tu i fiori? - chiese la madre.
- Dopo preparerò la pasta - rispose.
La cucina sembrava l'unico luogo in cui madre e figlia si potevano concedere una tranquilla e pacifica convivialità, probabilmente dovuta alla comune passione per la gastronomia e i sapori cilentani contribuivano ad ammorbidire e ad assopire i conflitti familiari.
- Stai attenta alle foglie, mettiti i pantaloni lunghi - le implorò la madre.
Tornò in camera per cercare dei vecchi jeans da indossare, questo le avrebbe evitato di essere punta dalle fastidiose foglie orticanti delle zucchine. Guardandosi intorno per la stanza si sentì attratta dalla vista del vecchio canterale, quello della nonna. La tentazione era forte. Lo aprì e fece scorrere le dita lungo le lenzuola cucite a mano, le federe dei cuscini, i copriletto lavorati all'uncinetto, gli asciugamani, tutto profumava di lavanda. Ritoccò le lenzuola, chiuse gli occhi e in quel momento si sentì attraversare dal brivido dei ricordi. Ripensò all'infanzia. La nonna paterna si chiamava Cristina e si ricordò quando quel giorno le consegnò tutta quella biancheria riponendola ordinatamente con cura in quella cassettiera: - Quando aprirai questo cassetto significa che avrai trovato un giovanotto degno di te - disse lei. Doveva significare qualcosa. Da bambina non aveva dato importanza a quelle parole, ma adesso sentì che gli occhi improvvisamente le si inumidivano. Nonna Cristina ci aveva azzeccato. Il primo cassetto era volato via con Greta che si era sposata tre anni prima e per lei la profezia di nonna si avverò. Cominciò a fantasticare pensando che quel giorno si stava avvicinando anche per lei.
In un altro mobile trovò i pantaloni adatti per entrare nell'orto, indossò anche dei lunghi calzini prima di mettersi ai piedi un paio di vecchie scarpe da ginnastica.
L'orto era curato dal giardiniere e dalla mamma che amava coltivare gli ortaggi, non era grande, ma abbastanza per soddisfare le esigenze familiari. Le piante di zucchina giacevano in fila come soldatini lungo il confine del terreno. Le ampie e frastagliate foglie si aprivano a raggera e creavano una sorta di difesa naturale per gli altri compagni orticoli. I San Marzano erano pronti per il sugo, i bulbi delle Tropea erano fuori terra con il fusto secco e abbassato, il profumo del prezzemolo arruffato si confondeva con le ampie foglie di basilico. Eccoli lì una spruzzata di fiori gialli e arancioni ornavano le grandi foglie. Le api danzavano tra l'esile stelo di un maschio e il frutto della femmina. - Signorina, vanno raccolti solo i fiori maschi e lasciarne almeno uno per pianta - le diceva il giardiniere facendole vedere come recidere il fiore.
- Se portiamo via tutti i maschi, le api non riescono a impollinare e quindi niente zucchine. - Mentre Dora le raccoglieva, pensava che la natura offriva sempre degli spunti di riflessione: “Viviamo grazie alla vita che ci viene data da altri esseri viventi che malgrado tutto muoiono nel donarsi all'altro”.
Dora si sollevò dalle ginocchia e si alzò con il cestino zeppo di fiori. - Grazie per i preziosi consigli. - Prima di rientrare a casa, ringraziò il giardiniere che ricambiò il saluto toccandosi l'asola del cappello con il fare gentile di un vecchio gentiluomo.
Anche la cucina era ben arredata, un tripudio di padelle in rame accuratamente lucidate, mestoli di legno di tutti i generi, ceramiche artigianali della costiera Amalfitana e le piastrelle con immagini di limoni e olivi ricoprivano la cucina in muratura.
Dora si mise a pulire le vongole per preparare i cavatielli con i fiori di zucca, mentre le altre si dedicavano alla preparazione della frittura di gamberi e calamari e al tonno da arrostire sulla brace, l'insalata completava insieme alla frutta di stagione il menù di Ferragosto.
Dal paese arrivava una musica, le note di un pianoforte accompagnavano le parole di un noto canto popolare1, lei comprendeva il dialetto, evocava la storia di un uomo che desiderava sposare una giovane cilentana, a costui non importava che cosa possedesse, gli bastava solo una fonte d'acqua in grado di dissetarlo. Dora si fermò, osservò la brocca d'acqua posta a lato della spianatoia, sollevò le mani dall'impasto e si immerse con il pensiero in quelle parole. In quel momento preferì sentirsi anche lei un po' cilentana, magari di adozione, facendo sua quella espressione canora pregnante di quella saggezza popolare che solo un territorio come il Cilento è in grado di esprimere.
Quando iniziò a vestirsi divenne agitatissima, non sapeva quale vestito indossare. Era indecisa tra qualcosa di sportivo oppure di più impegnativo, alla fine la scelta cadde su un tubino nero orlato di pizzo, è risaputo che il nero slancia, lo tolse dalla gruccia di ferro e lo stese sul letto guardandolo prima di lungo poi di lato, lo provò e riprovò più volte con aria non troppo convinta, posandosi di fronte allo specchio, lo ripose di nuovo sul letto. Andò in bagno pensando a come prepararsi, forse un trucco leggero avrebbe dato più luce e risalto al viso. Fu così, del resto aveva capito che troppo vistosa avrebbe imbarazzato oltremisura il suo lui.
Le ore trascorsero è arrivò anche quella del pranzo, il campanello squillò con quel suono che solo quel giorno assomigliava a quello di un usignolo. - Vado io! - Gridò Dora, precipitandosi a scavezzacollo verso l'ingresso, mentre il sordo rumore dei tacchi risuonavano nel lungo corridoio.
Aprì la porta di scatto.
- Perché non ti giri? Cosa nascondi dietro le mani? - chiese lei rapita dall'attesa.
Lui si voltò e si prese tutto il tempo necessario per ammirarla, si era raccolta i capelli dietro la nuca con un'acconciatura a banana e un solo ciuffo le cadeva liberamente su un lato del viso, lui moriva dal desiderio di accarezzarla. Le ciglia allungate si appoggiavano su quegli occhi chiari e luminosi e poi sugli alti zigomi donandogli un aspetto straordinario. La bocca era leggermente socchiusa e le labbra erano morbidamente avvolte da un rossetto color carne. Lo sguardo si fece strada più giù, su quella scollatura che non lasciava spazio ad alcuna immaginazione. - Caspita sembri un angelo - , allungò la mano e aggiunse: - Le rose rosse sono per te, ho fatto un pensiero anche per tua mamma ed ho portato del vino - .
- Grazie dei fiori, questa volta sei riuscito a portarmeli personalmente - rispose lei, ma prima di annusarli si accorse che la sua bocca si increspò agli angoli in un modo particolare, come se avesse udito oltre quelle parole anche i suoi pensieri più profondi.
Il desiderio che nutriva per Giovanni, era sempre stato caratterizzato dall'attesa, dall'incertezza, dal fantasma di un rifiuto incombente, ma il legame che sentiva non poteva più essere messo da parte.
- Entra - mentre lei avvertì la sua esitazione, lo avvicinò a sé baciandolo sulla guancia, non un bacio qualunque ma promettendo a sé stessa di proseguire con quelli più arditi nell'intimità del pomeriggio. Lui la ricambiò baciandola con gli occhi e con quello sguardo che solo lei riusciva a coglierne il giusto significato, inondandola di quell'amore che avvertì immediatamente sulla pelle.
Per un istante lanciò un'occhiata dietro di sé, in fondo al corridoio gli occhi del padre si aprirono di luce regalandole un sorriso di approvazione, anche la madre sbucò incuriosita facendo capolino dietro le grandi spalle del marito.
Giovanni salì il primo gradino dell'ingresso. La seguì verso il salone con un'inconsueta scioltezza sportiva. Salutò cordialmente i genitori rammentando a sé stesso di farsi apprezzare e di mostrare il meglio di sé. Il suo istinto lo portava a credere di avere il pieno controllo della propria vita, senza doversi troppo preoccupare delle domande alle quali avrebbe dovuto rispondere, con quale tono scandire le parole o del timore di non soddisfare appieno le aspettative altrui.
Giovanni inarcò il busto porgendole il bouquet, cercando di fare del suo meglio per mantenere quel giusto tono di educazione e compostezza. - Questi sono per lei signora -
La signora scrollò i capelli ricci, ramati e ammiccò il marito con un cenno di sorriso. Giovanni lo avvertì come un segno di gradimento. Fu la prima volta che vide sua madre con un'espressione gioiosa e lei si accorse del suo compiacimento - Attilio, fai sedere Giovanni - . Il marito lo invitò con il gesto della mano a sedersi su una poltrona a due posti con lo schienale alto. - Prego, mettiti qui accanto a me vicino al tavolino da tè. - Lui appoggiò il vino sul tavolino e si adagiò mantenendo le spalle dritte e ben larghe appena appoggiate sulla poltrona.
- Greco di Tufo bianco, ottima scelta - osservò Attilio, girando la bottiglia in modo che potesse vedere l'etichetta. - Una buona annata il 2025 - ribatté lui, mentre Giovanni spostò lo sguardo su Dora pensando di aver fatto loro cosa gradita.
Attilio aprì il ‘Mattino', ignorò la cronaca locale e filò diritto a quella internazionale: - Hai letto le notizie? - . Chiese lui.
Giovanni non rispose, chiedendosi come gli fosse venuto in mente di sfogliare il giornale. Non sembrava quello il momento per discutere di politica o sulla notizia stampata a piena pagina di un imminente conflitto.
Attilio guardò sia lui che sua figlia. Dora batté le palpebre incrociando lo sguardo di Giovanni. Si erano capiti fra loro. Avevano imparato a raggiungere quell'intesa senza averne la piena consapevolezza, più complici di una coppia sposata da anni.
Dora ritornò in cucina ad aiutare la mamma e Giovanni nell'attesa si mise a scodinzolare nel salotto. L'arredamento della sala era simile a quello del corridoio e delle altre stanze, ma l'ambiente era molto più grande e Giovanni era pronto a giurare che una casa come quella non fosse l'unica posseduta dai Müller. I suoi piedi camminavano su un tappeto orientale fatto a mano e dalle pareti pendevano quadri e fotografie di famiglia. Al centro del soffitto c'era un grosso lampadario in cristallo di Boemia che sovrastava la grossa tavola apparecchiata con posate in argento e calici in vetro di Murano. Sulla credenza con la specchiera che occupava quasi tutta la parete c'erano degli altri orologi antichi, un vaso con una composizione di fiori secchi e altre fotografie a colori e in bianco e nero di varie dimensioni. Fu una foto in particolare a catturare la sua curiosità. Due uomini abbracciati, entrambi vestiti con una divisa militare, una tedesca e l'altra italiana. La cornice della fotografia era grande e posta al centro della credenza. Doveva essere un ricordo importante.
Giovanni si alzò e si avvicinò per guardarla meglio, - Lui si chiamava Franz era mio nonno - disse Angela. Giovanni non riuscì a distogliere lo sguardo dalla fotografia, l'uomo accanto a Franz gli sembrava che lo guardasse. - Era il suo inseparabile amico, la foto è stata scattata prima della partenza per la campagna di Russia - , proseguì Angela accarezzando il bordo della foto: - Sono stati strappati alla vita molto giovani - .
Gennaro Amarante
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