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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Effe Pi
Titolo: Lo Smeraldo
Genere Fantasy
Lettori 3103 15 23
Lo Smeraldo
Il vento della rivoluzione.

l regno di Argon occupava l'emisfero settentrionale del pianeta Prima Madre. A sud un'enorme estensione quasi invalicabile di foreste lo divideva dalla gente del mare che viveva in una stretta zona costiera e nelle tante isole dell'immenso oceano che occupava quasi interamente l'emisfero meridionale.
Gli abitanti di Prima Madre, per una strana coincidenza, erano del tutto simili agli abitanti del nostro pianeta, se non per poche differenze: più veloci ed elastici nei movimenti possedevano una forza maggiore negli arti inferiori che permetteva loro di fare balzi di due metri, gli occhi erano più grandi, i denti più piccoli e appuntiti, avevano sei dita nelle mani e nei piedi, ma per il resto avrebbero potuto passare per un terrestre dalla pelle bianca con un po' di cipria a nascondere i riflessi azzurri e oro dell'incarnato.
Una persona stava abbeverando al fiume il suo prumo, animale erbivoro simile a una magra zebra rossa e bianca con zampe dotate di artigli adatti a muoversi nei terreni più accidentati.
L'animale era molto assetato perché aveva percorso diverse miglia nel bosco per perlustrare la zona e beveva avidamente l'acqua scura di quello che era solo un piccolo torrente che scorreva quasi completamente nascosto dalla vegetazione.
Il condottiero aveva lasciato libero il prumo e lo stava aspettando poco distante, seduto su un masso mentre giocherellava con un filo d'erba. Era vestito di un verde scuro simile al fogliame che lo circondava, pantaloni larghi legati alla caviglia e una maglia di tessuto vegetale. I capelli biondissimi arrivavano poco oltre le spalle e aveva gli occhi di un turchese intenso incastonati in un volto ancora giovane ma non più di ragazza. Perché sì, era una femmina della sua specie malgrado vestisse abiti maschili.
"Capo, gli uomini sono pronti per trasferirsi, hai trovato un luogo adatto per sostare qualche giorno senza rischiare di essere individuati?" chiese un uomo dai capelli corvini e gli occhi neri come la pece appena arrivato.
"Come ricordavo c'è una radura sotto quel roccione che fa al caso nostro, è distante solo quindici minuti dal sentiero principale ma è ben nascosta e bisogna passare il torrente e un tratto scosceso per giungervi, lì nessuno ci disturberà." Elisabeth indicò la parete rocciosa che si stagliava scura contro il cielo quasi bianco illuminato dai due grandi soli.
"Non capisco perché sei voluta andare tu stessa a fare la ricognizione," disse l'uomo alzando un sopracciglio, "non avresti potuto mandare qualcun altro? "
"Conosco bene questa zona, è un luogo infido, percorso da bande di ladri e, cosa che mi preoccupa maggiormente, dall'esercito di Saron. È importante accamparsi in un posto sicuro ed io conoscevo il luogo adatto, sono solo andata a controllare che il passaggio fosse ancora percorribile," spiegò Elisabeth mentre faceva cenno all'intelligente animale che era tempo di ripartire.
"Sei molto sicura ma, ammetto, avrei preferito continuare verso Apris evitando di fermarci."
"Tu non vuoi mai fermati," rise Elisabeth, "devi imparare a considerare le esigenze degli altri, gli uomini sono molto stanchi."
"Nessuno li ha obbligati a scegliere questa vita, non possono aspettarsi sempre le comodità di una locanda. Onestamente preferivo quando eravamo in pochi e ci muovevamo più velocemente," aggiunse Mark mentre si avviavano a passo svelto verso il luogo dove stavano sostando i loro compagni.
Elisabeth continuò a sorridere ma non aggiunse altro, anche lei apprezzava la facilità di muoversi in pochi ma non rimpiangeva lo sparuto gruppetto con cui anni prima percorreva il continente quando adesso guidava un drappello di trentun uomini tra i migliori guerrieri di tutti i regni.
Dalla gente di Argon venivano chiamati la Compagnia dello Smeraldo e lo Smeraldo era proprio lei. L'epiteto era dovuto al mantello color verde acceso dotato di un cappuccio che indossava in battaglia e quando poteva essere vista da qualcuno. Nessuno infatti, al di fuori di una cerchia ristretta, doveva sospettare che non fosse un uomo.
A trecento metri dal fiume i cavalieri erano radunati per la partenza. I prumi e due piccoli carretti erano carichi delle merci che dovevano consegnare, oltre che delle tende e degli altri oggetti indispensabili per affrontare lunghi viaggi. Ogni uomo portava con sé la borraccia, e una corta spada legata al fianco. L'arma era a doppio filo ed era lunga poco più di un pugnale per esse maneggevole e adatta a combattimenti ravvicinati in terreni impervi e boscosi.
Elisabeth fece cenno di partire e il gruppo si avviò verso il costone roccioso. Gli uomini parlarono amabilmente lungo il breve tragitto, chi di donne, chi del tempo e chi di politica, come fa un gruppo di amici in gita. Erano invece un piccolo esercito al soldo di chi aveva bisogno di trasportare lettere e beni oltre l'immensa zona boscosa o necessitava di protezione. La differenza tra la compagnia dello Smeraldo e gli altri gruppi che offrivano lo stesso servizio era che loro sceglievano gli incarichi e avevano portato a buon fine ogni impegno preso, malgrado i banditi, gli ostacoli naturali e il terribile Saron, re del regno di Argon, che da tempo cercava di liberarsi di loro.
Arrivati alla radura ci volle poco a sistemare l'accampamento e subito dopo Elisabeth chiamò a se gli uomini e, riuniti intorno al fuoco, li aggiornò sulla loro missione.
"La capitale non è lontana ma è protetta dall'esercito che pattuglia le vie di accesso e che, dalle informazioni a nostra conoscenza, ha delle guarnigioni stanziate all'esterno qui, qui e qui," toccò con la punta di uno stretto coltello multiuso, che aveva sfilato dallo stivale, la cartina che aveva steso di fronte a sé e riprese, "dovremo aggirare la città e giungere da nord per evitarle, a quel punto ci divideremo. Ad Apris fra tre giorni ci sarà l'incontro delle forze ostili al regime di Saron e non possiamo mancare. Saranno Mark e Brain a rappresentarci, mentre noi continueremo verso est per consegnare il nostro carico alla taverna di Veen.”
Nel silenzio si alzò un sospiro di stizza e al contempo di rassegnazione, era Brain evidentemente non felice della scelta fatta dal capo. Mark si limitò a fissare Elisabeth, ma dal suo sguardo la sua opinione era altrettanto chiara.
"Qualcosa in contrario?" chiese il capo con tono duro.
Brain alzò le spalle e, appoggiato mollemente su una coperta che ricopriva un masso, continuò a intagliare una figurina in legno con il coltelletto che aveva in mano. Poi aggiunse, "perché?"
"Tutti sappiano il perché, dobbiamo essere presenti alla riunione, quindi immagino che la domanda sia perché dovete andarci solo tu e Mark. Due uomini sono sufficienti e, anche se il trambusto per il mercato annuale che si sta tenendo in questi giorni ad Apris rende più difficoltosi i controlli da parte dei soldati di Saron, non è il caso di entrare in più persone in città, l'incontro è troppo importante e non possiamo metterlo a rischio. Quindi chi sperava in qualche giorno di svago dovrà pazientare ancora un po'. La scelta di te e Mark è la migliore ed è superfluo spiegare il motivo, ma se proprio ci tieni, dopo le tue bravate a Ricas hai raggiunto una discreta fama come il gay del gruppo e la presenza di rappresentanti dei guerrieri alati è un'occasione unica per cercare un accordo. Come sapete manca sia la stima che la fiducia tra la maggioranza dei dissidenti e i guerrieri alati che però sono combattenti formidabili. Abbiamo bisogno del loro appoggio e la partecipazione all'incontro di un uomo che non disdegni il loro stile di vita è essenziale. E tu Mark è inutile che continui a guardarmi con quegli occhi minacciosi, devi andare perché sei il mio uomo più fidato, conosci molti dei capi delle varie delegazioni e devi controllare che Brian non combini guai inimicandosi tutta la gente dell'emisfero boreale."
"Non è colpa mia se nel regno di Argon abitano dei bigotti," commentò Brain senza distogliere lo sguardo dal suo lavoro, un prumo alato in legno bianco quasi terminato.
Qualcuno nel gruppo si morse la lingua, Brain non era visto di buon occhio quasi da nessuno e il motivo principale erano i suoi gusti sessuali. La sua arroganza, poi, rendeva ancora più difficile il rapporto con gli altri ma il capo era stato chiaro: Brain faceva parte della squadra e non avrebbe tollerato comportamenti irrispettosi nei suoi confronti. Invero era un guerriero eccezionale e tutti si rendevano conto che era meglio averlo come amico che come nemico.
"Allora, è tutto chiaro? Ci accampiamo per due giorni e poi procediamo come vi ho illustrato," concluse Elisabeth.
Tutti annuirono e tornarono alle loro faccende. Alcuni rimasero a discutere intorno al fuoco, altri andarono ad allenarsi poco distante. Elisabeth si ritirò nella sua tenda prima del solito, doveva riflettere, era certa di aver scelto gli uomini giusti da mandare ad Apris ma l'indomani avrebbe dovuto parlare con loro separatamente perché la situazione era delicata e doveva prepararli nel migliore dei modi all'incontro. Sarebbe voluta andare lei stessa ma non avrebbe potuto indossare il cappuccio al chiuso ed era essenziale che chi non sapeva il suo genere continuasse a pensare che fosse un uomo. Senza considerare il fatto che in quella riunione ci sarebbe stato chi avrebbe potuto svelare la sua identità, e questo era inammissibile. Per il bene del popolo di Argon doveva fidarsi dei suoi guerrieri.
Elisabeth versò l'acqua di fiume dalla brocca in una piccola bacinella di rame e si sciacquò la faccia, poi prese alcuni fogli nascosti sotto il giaciglio e s'immerse nella lettura.

Mark guardò allontanarsi il resto della compagnia e fece cenno a Brain di sbrigarsi. Dovevano giungere ad Apris in tarda mattinata, quando le strade della capitale sarebbero state affollate dalle genti di tutto il regno arrivate per scambiare le merci durante i giorni del sole, la settimana con le giornate più lunghe dell'anno.
Brain sembrava non avere fretta, stava accucciato a sistemare le sue cose nello zaino e si alzò solo quando fu pienamente soddisfatto del risultato.
Sarebbero andati a piedi così avrebbero dato meno nell'occhio. Il piano era quello di confondersi tra la gente della contea di Stia; un loro aggancio li avrebbe fatti passare come uomini che lavoravano per lui. Trovarono Panu, un contadino di mezza età dall'aspetto ordinario, insieme ai suoi braccianti e alle loro famiglie nel luogo stabilito e dopo due ore erano entrati in città e percorrevano soli la strada principale.
La folla era impressionante ed era faticoso farsi strada tra la gente che andava in entrambi i sensi di percorrenza e che spesso si fermava per guardare i banchetti che si susseguivano senza soluzione di continuità ai due lati della via. La calca era formata soprattutto da uomini che vestivano per lo più in verde, marrone e nero. C'era chi indossava i tipici pantaloni larghi usati da chi era uso cavalcare il prumo o lavorare la terra, ma la maggioranza era in tunica. Questa era considerata più elegante e i cittadini la preferivano ai pantaloni. Le donne erano poche, vestivano con lunghe maglie gialle che coprivano pantaloni più stretti di quelli utilizzati dai maschi. Portavano al collo collane di pietre dure e i capelli raccolti in code o trecce. Le più ricche avevano maglie che arrivavano fino alle ginocchia, nastri colorati e impreziositi da pietre che cingevano la vita e trine tra i capelli.
Mark e Brain erano rimasti con i pantaloni e la maglia che utilizzavano abitualmente, il primo era in verde, il secondo in nero che era il colore preferito dai giovani e dagli artisti. Data l'importanza dell'evento Brain avrebbe scelto di indossare la tunica se non ci fosse stata l'esigenza di passare per un contadino e di essere pronto a una fuga a dorso di prumo in caso di bisogno. Ma anche senza non passava inosservato: la tenuta nera faceva un forte contrasto con i corti capelli biondissimi e mal celava un corpo possente e muscoloso. Mark era cinque centimetri più basso e con una struttura ossea meno imponente ma ugualmente muscoloso. Potevano passare per due contadini ma, se qualcuno si fosse fermato a osservarli, si sarebbe accorto che il loro era un fisico da guerriero.
Mentre si facevano strada tra la folla, a un tratto si creò uno spazio di fronte a loro. Un gruppetto di soldati stava procedendo nella loro direzione e la gente si spostava al loro passaggio inchinando la testa.
Mark per un secondo temette che stessero cercando loro, ma si rasserenò quando si accorse che erano tre reclute giovanissime mandate solo a fare presenza nel mercato con lo scopo di disincentivare qualsiasi comportamento inappropriato da parte dei tanti stranieri presenti in città.
I tre giovani gli passarono accanto e vide Brain fissare con un mezzo sorriso il primo della fila, un ragazzo alto dalla pelle levigata come un petalo di un fiore e gli occhi di un verde acceso. Impettito, passo sicuro, sguardo fiero e vestito nell'elegante divisa dell'esercito, pantaloni marroni e casacca nera con i bordi dorati, era oggettivamente bellissimo.
I soldati li superarono e Mark si avvicinò a Brain che guardava allontanarsi il giovane con sguardo lascivo. Gli sussurrò all'orecchio, "che cazzo fai? Ti sembra il comportamento da tenere in queste circostanze?"
"Che suscettibile. Gli occhi sono fatti per guardare e penso anche di aver fatto colpo."
"Mi prendi in giro? Le conosci le punizioni per il reato di adescamento. Anche solo mostrarsi in atteggiamenti gay è passibile di frustate e tu fai gli occhi dolci a un soldato nella capitale, in mezzo a tutta questa gente, quando dal successo della nostra missione dipende il futuro dell'intera nazione?!" bisbigliò a denti stretti il moro.
"Già, meglio continuare verso la nostra meta, d'altronde all'incontro ci saranno uomini che se ne fregano delle leggi oscurantiste del regno di Argon. Questa volta sarai tu a restare in bianco, mio caro amico latin lover."
Mark ignorò il commento del compagno e la nota canzonatoria con cui aveva pronunciato le parole ‘caro amico᾿; non potevano considerarsi tali, al massimo colleghi.
A Mark piacevano le donne e parecchio, aveva amanti in ogni paese, nella capitale ve ne abitavano tre e a nessuna aveva rivelato la sua identità. Se aveva tempo comunque preferiva cercare nuove conquiste e per sfizio frequentava le prostitute. Andare a donne era il piacere massimo della sua vita e non aveva mai capito perché un uomo dovesse cercare la compagnia di un altro uomo. Ma non era l'omosessualità di Brain a dargli fastidio, i gusti sessuali degli altri non gli erano mai interessati, piuttosto non sopportava la sua alterigia, l'arroganza, il suo considerarsi superiore a tutti, anche al capo.
I due procedettero in silenzio altri duecento metri sulla strada principale verso il palazzo reale, poi presero una strada laterale anch'essa con le bancarelle ai lati, si fermarono davanti a una che esibiva orologi a parete, una moderna invenzione che era di moda nelle case più ricche. La bancarella copriva alla vista dei passanti uno stretto vicolo che scendeva in direzione del quartiere povero della città. Mark e Brain lo imboccarono e, dietro una curva, entrarono in un'osteria, scesero la scala che portava ai bagni ma non vi entrarono. Aprirono invece la porta adiacente su cui era scritto ῾locali di servizio, vietato l'accesso᾿ oltre la quale c'era una specie di dispensa semivuota dal cui fondo partiva un corridoio sotterraneo illuminato da candele che li condusse al luogo dell'appuntamento.
Mark si frugò nelle tasche, ne tirò fuori un sasso su cui erano incise alcune croci e lo appoggiò su una lastra di ferro che sporgeva da una piccola porta anch'essa in ferro che sembrava essere l'accesso a un altro corridoio. Un meccanismo fece ruotare la lastra portando il suo contenuto all'interno.
"Ciao, Luca," disse Mark al ragazzo che gli aprì, "come ti sei fatto grande! Sono già arrivati gli altri?"
"Quasi tutti, sono la in fondo, dietro la tenda rossa, mio padre era già preoccupato del vostro ritardo," disse il giovane indicando dietro di sé.
Oltre la tenda una cinquantina di persone stavano discutendo raccolte in piccoli gruppi in un'enorme cavità con le pareti di roccia irregolari arredata con un grosso tavolo centrale e innumerevoli teche di armi e bauli appoggiati ai lati.
L'entrata di Mark e Brain attrasse l'attenzione dei presenti e il capo dei ribelli della città andò loro incontro.
"Ben arrivati. Onestamente speravo di avere l'onore di accogliere lo Smeraldo in persona ma vedo che è venuto il mio caro amico a farmi visita." Mario dette una pacca sulla spalla a Mark.
"È un piacere vederti in salute e nella stanza riconosco molti altri amici ma soprattutto sono lieto di vedere facce nuove che condividono la nostra causa, gente venuta anche da molto lontano. Lo Smeraldo vi manda il suo saluto, non è potuto venire ma scenderà sul campo di battaglia ed io, oggi, parlerò a suo nome," dichiarò il moro mentre restituiva con affetto la pacca sulla spalla.
"Anch'io," disse Brain mentre, superati i due amici, raggiunse il tavolo e si versò un bicchiere di vino.
Un uomo dalla tunica bianca con decori e fascia in vita azzurri fece un passo nella direzione del biondo e gli chiese di spiegare ai presenti le intenzioni dello Smeraldo. Era un rappresentante dei guerrieri alati, un gruppo di uomini dichiaratamente gay che viveva su una montagna nella grande foresta e che da molti veniva considerato solo una leggenda.
Brain lanciò un sorrisetto compiaciuto verso Mark e iniziò a parlare.
"Il nostro gruppo è pronto ad attaccare l'esercito di Saron in qualsiasi momento ma lo Smeraldo è preoccupato che, senza l'appoggio del popolo, anche una nostra vittoria avrebbe vita breve. La sua idea è di attaccare su più fronti il nostro nemico, possibilmente in modo simultaneo e contemporaneamente lavorare per incrinare la cieca ubbidienza e sudditanza del popolo. Proprio per questo è indispensabile un'intesa tra tutte le forze dissidenti anche se le nostre idee e i nostri scopi non coincidono. Nessuno di noi, da solo, è in grado di scalfire lo strapotere di Saron ma insieme lo travolgeremo."
Un applauso si diffuse per la sala ma gli uomini in bianco e alcuni ceffi dall'aspetto poco raccomandabile che stavano in disparte si astennero.
"Detto in parole povere, dopo anni in cui ci avete ignorato e avete maledetto la nostra esistenza, ora pretendete che noi scendiamo dalle montagne per darvi man forte," disse quello che aveva chiesto a Brain di parlare, "ma io mi domando che cosa cambierà per quelli come noi se dovessimo vincere..."
"Cosa ti aspetti Manius? L'accettazione del vostro stile di vita aberrante?" sputò con rabbia un uomo vestito in marrone che faceva parte del gruppo che stava in disparte.
L'uomo dal portamento austero che veniva dalle montagne si voltò, la mano poggiata sulla spada legata in vita, pronto a rispondere all'offesa. Mario s'intromise prima che la discussione degenerasse.
"Penso proprio che questo sia il genere di discussioni che dobbiamo evitare se il nostro scopo è giungere a un accordo."
Mark alzò la mano e iniziò a parlare.
"Ben detto, il nostro nemico comune auspica che le opposizioni al regime rimangano divise. Sono molte le differenze che ci separano ma, dimmi Manius, restare isolati vi servirà a qualche cosa quando l'esercito di Saron sarà abbastanza forte da venirvi a scovare tra le montagne per sterminarvi? E la tua gente Pito, è già alla fame a causa delle confische del governo centrale. Sei disposto a far morire i tuoi figli d'inedia per questioni morali? Lo Smeraldo è stato molto chiaro con me e Brain: questo incontro non si deve trasformare nella ricerca dell'accordo più conveniente per questa o quella fazione, dovete astenervi dal richiedere condizioni e concessioni in cambio della vostra partecipazione. Dobbiamo solo essere uniti contro il nemico comune, rispettarci e prometterci che nessuno approfitterà della situazione per imporsi sugli altri. Lo so che in questo momento molti di voi diffidano della persona che hanno accanto, ma dovete accettare di aiutarvi vicendevolmente se volete giungere alla vittoria e noi della compagnia dello Smeraldo saremo i garanti, controlleremo che nessuno tragga vantaggi a spese degli altri. Quindi lasciamo le nostre convinzioni politiche e le antipatie personali fuori da questa sala."
Questa volta tutti i rappresentanti dei popoli soggiogati da Saron applaudirono e subito dopo si riunirono intorno al tavolo dove venne stesa una carta geografica e si concentrarono sul piano da attuare. Erano mesi che messaggeri percorrevano in lungo e in largo il continente per mantenere il contatto tra i vari gruppi e scambiare così le informazioni, ma solo adesso tutti venivano a conoscenza dell'intero piano. L'idea base era un attacco simultaneo in aree remote e distanti tra loro che avrebbero costretto Saron all'invio di armate lasciando scoperte zone cruciali del regno. Brain stava illustrando gli ultimi dettagli quando entrò nella stanza un'altra persona.
"Fatemi vedere," disse il nuovo arrivato facendosi spazio tra gli uomini chini sulla cartina.
"Sempre puntuale Mirna," commentò Brian.
"Non ho tempo da perdere, ditemi semplicemente quale ruolo ha assegnato lo Smeraldo a me e le mie sorelle," rispose con aria scocciata la donna appena entrata. Indossava un mantello nero e aveva appena tolto il cappuccio svelando una lunga treccia dello stesso colore e un volto dai lineamenti duri.
"E come sempre hai lasciato a casa grazia e educazione," continuò Brain.
"Chetati coglione," lo rimbrottò la donna.
Brain si zittì e nessun altro perse tempo a commentare l'atteggiamento della nuova arrivata perché tutti conoscevano il suo pessimo carattere. Era il capo di una ventina di donne guerriero che si nascondevano poco lontano dalla capitale, erano fedeli alla causa comune ma si facevano vive raramente, quindi nessuno si era preoccupato di aspettare la loro rappresentante.
Mark riassunse i punti cardine del progetto e chiese se qualcuno aveva dei dubbi o voleva suggerire delle variazioni. Tre mani si alzarono per chiedere la parola ma Mirna la prese senza aspettare il permesso, "allora me ne posso andare, ci vedremo al segnale," si allontanò senza indugi dal tavolo, riposizionò il cappuccio e sparì dietro la tenda rossa senza aggiungere altro.
Qualcuno borbottò, altri scossero la testa, Brain la ignorò e dette la parola al rappresentante delle tribù che vivevano a sud della grande foresta, oltre il confine del regno. L'uomo aveva fatto un lunghissimo viaggio per arrivare a Apris e voleva sapere ogni cosa sulle armi e lo stile di battaglia dei soldati di Saron. La riunione continuò per altre due ore e al termine gli uomini si trattennero ancora un po' per parlare tra loro e bere insieme.
Mark era seduto accanto a Mario e a suo figlio che gli stavano raccontando le vicissitudini della loro famiglia e i fatti successi in città negli ultimi mesi. La situazione era grave, Saron aveva inasprito molte pene e fustigazioni, esecuzioni ed espropriazioni di case e negozi erano all'ordine del giorno. Anche il fratello di Mario, che non aveva legami con la resistenza, era stato trascinato al centro della piazza di fronte alla dimora reale perché una spia aveva riportato alle guardie di averlo sentito parlar male del sovrano. Per fortuna, se l'era cavata con dieci frustate. Il racconto era preoccupante e molto interessante ma Mark veniva a tratti distratto dal comportamento di Brain. Il biondo stava ridendo smodatamente insieme ai guerrieri alati che si chiamavano così perché le strisce azzurre nel retro della loro tunica assomigliavano vagamente a un paio di ali ma anche perché avevano la capacità di dileguarsi improvvisamente. La loro fama, ammantata dall'aura di mistero che li avvolgeva, aveva fatto sì che le montagne, in cui si raccontava ci fosse il loro nascondiglio, prendessero il loro nome.
Brain stava svolgendo il compito che lo Smeraldo gli aveva assegnato ma Mark trovava che le sue tecniche fossero molto discutibili. Mentre rideva cercava il contatto fisico con i suoi interlocutori e in un angolo Pito e i suoi scagnozzi lo stavano guardando e bisbigliavano tra di loro. E non erano i soli ad averlo notato. Come al solito stava dando spettacolo. A un tratto anche a Mark venne da ridere e Mario lo guardò costernato.
"Trovi che sia divertente far assassinare un funzionario di palazzo perché si è opposto all'aumento della tassazione sul grano?"
"Scusa Mario, non farci caso, mi ero distratto un secondo. Ti sei perso una scena divertente che si è svolta dietro di te. Prego, continua a raccontare," si giustificò Mark.
Quello che era successo dall'altra parte della sala era che Brain aveva fatto un'avance alla persona sbagliata. Al momento si stava massaggiando una mano che era stata colpita dal piatto di un pugnale. A quanto pare aveva offeso un uomo molto esperto a maneggiare l'arma poiché non lo aveva neanche graffiato. La faccia di Brain era uno spettacolo, era rimasto molto male del palese rifiuto da parte di quell'uomo che Mark riconobbe essere Sten, un magnifico guerriero a capo degli ex cavalieri di Oregon che però era famoso soprattutto per essere un musicista molto solitario; le sue canzoni erano struggenti e malinconiche, spesso cupe e il tema principale dei suoi componimenti era il suo grande amore finito con la morte dell'amato. ῾Proprio una bella scelta quella di Brain,᾿ pensò ironicamente Mark. Brain si accorse di essere osservato e lanciò al compagno d'armi un'occhiata stizzita.
Subito dopo, come se si fossero messi d'accordo con quello sguardo, i due salutarono i rispettivi interlocutori e si avviarono verso la tenda rossa. Si era fatto tardi ed era arrivata l'ora di andarsene. Tutti gli altri li imitarono, ma, per non dare nell'occhio, uscirono alla spicciolata e in silenzio per i tre percorsi differenti che collegavano la cavità sotterranea alla superficie.

"Quanto trambusto per scambiare derrate alimentari e cianfrusaglie. Non avrei dovuto ascoltarti e spostare il mercato fuori dalle mura," disse un uomo corpulento vestito in seta verde con decori in oro che guardava da una delle grandi finestre del palazzo reale. Da quella posizione c'era un'ottima visuale sulla principale piazza della città al di là dell'imponente cancello di accesso che in quel momento era gremita di gente.
"Il popolo avrebbe protestato, maestà," si giustificò Franco, capo delle guardie di palazzo e consigliere fidato di re Saron.
"Bah, il popolo ha sempre qualcosa di cui lamentarsi ma non è neanche in grado di capire quale sia il suo interesse; è come un gregge di borci, animali stupidi che si spaventano e scalciano alla vista di un insetto ma che si calmano quando vedono il bastone del pastore."
"Appunto sire, come il pastore lascia correre i borci per farli sfogare in modo che dopo siano più docili alla mungitura, il popolo ha bisogno di queste festività per diminuire la tensione che serpeggia in giro. Senza contare che le nuove tasse hanno messo in ginocchio centinaia di negozianti che hanno disperato bisogno dei soldi che questa fiera porta in città."
"Hai ragione," sbuffò Saron, "ma tutta questa gente mi innervosisce, i miei nemici potrebbero confondersi tra la folla. Mi è giunta voce che in città è stato visto Pito, il secondogenito della famiglia Mizuna che rivendica l'autonomia della costa occidentale. Sono luoghi troppo distanti perché sia venuto per interessi commerciali, sono certo che si stia alleando con i ribelli."
"Molto probabile, proprio per questo lo stiamo cercando per risalire ai legami che ha in città. Ma non è facile, oggi sono passate dalle mura migliaia di persone. E mi duole comunicarle che al mercato stamani degli informatori hanno riportato di aver visto anche Mark di Roman ma ormai è il tramonto, se ne sarà già andato."
Saron strinse i pugni e ringhiò.
"Quel maledetto! Abbiamo perso un'altra occasione per arrestarlo."
Franco fece per parlare ma il re alzò il braccio per fermarlo da qualsivoglia commento alla sua affermazione.
"Non m'importa se non ci sono prove della sua collusione con lo Smeraldo, lo voglio veder penzolare da quel palo," aggiunse il re indicando il centro della piazza.
Saron era arrabbiato, il suo potere era continuamente minacciato da traditori che tramavano nell'ombra e c'erano poche persone di cui si poteva fidare. Aveva l'esercito dalla sua parte ma alcune famiglie nobiliari mettevano ancora in discussione il suo giudizio e i suoi metodi eppure aveva raggiunto risultati entusiasmanti. Durante i venti anni del suo regno aveva dimostrato la sua forza ampliando il territorio, zittendo il dissenso e costringendo i popoli più riottosi all'ubbidienza. Argon grazie a lui era divenuto un regno perfetto, abitato da popoli rispettosi delle regole e ligi ai principi morali cardine di una società equilibrata.
Saron rimase alcuni minuti in silenzio davanti alla finestra soppesando la situazione. Poi ordinò a Franco di convocare per il mattino seguente un consiglio di guerra e lo congedò. Decise che aveva bisogno di rilassarsi perché lo stress e la rabbia nuocevano alla sua salute.
Percorse l'immenso corridoio adornato da bassorilievi dorati e statue di prumi dalle gambe infuocate cavalcati da soldati con l'effige reale sulla divisa. Al posto degli occhi avevano dei rubini e di tale gemma erano fatte anche le spade che brandivano minacciosamente. Al termine del corridoio c'era una magnifica porta, con ante di legno spesse dieci centimetri ricoperte anch'esse da pietre preziose, che dava accesso alle camere reali. Saron entrò e trovò ad aspettarlo due giovanissime schiave.

"Come sono le notizie da Apris," chiese il capo a cavallo del suo prumo affiancandosi a Brain che si era appena unito alla carovana di ritorno dalla consegna del carico di pregiata fibra tessile proveniente dal sud del continente. Un loro committente, contro la legge che impediva gli scambi commerciali oltre la foresta, li aveva incaricati di acquistare la merce per suo conto e di portarla alla taverna di Veen.
"Ottime, è andato tutto come previsto," rispose Brain.
Mark sopraggiunse da dietro e si unì alla coppia che chiudeva la carovana.
"Confermo. Abbiamo raggiunto l'accordo desiderato. I vari gruppi addirittura scalpitano per impugnare le armi. Il popolo, invece, è completamente soggiogato e impaurito, molto più di quanto lo fosse solo sei mesi fa. Saron ha iniziato a giustiziare chiunque si opponga al suo volere."
"Tutto a nostro vantaggio, il popolo alla fine capirà che l'obbedienza non paga e insorgerà," commentò Brain spavaldo con un sorriso a cinquanta denti stampato in faccia.
"Dovresti prendere le cose più sul serio, stiamo parlando della vita di migliaia di persone. Comunque io dubito che possiamo far affidamento su un popolo così prostrato. Mario e gli altri stanno lavorando per allargare il fronte del dissenso in città, ma rischiano ogni giorno di essere vittime di una spia del re; ce ne sono a migliaia tra le strade della capitale. Fuori le mura invece abbiamo buoni alleati, i contadini si stanno organizzando, gli uomini della costa orientale sono pronti, così come la gente del freddo nord e quelli delle colline dell'ovest. Oltre il confine le tribù del sud sono pronte a far scoppiare la guerra e sono dei nostri anche i guerrieri alati e Mirna con il suo gruppo," espose Mark.
"Bene," sentenziò il capo, "sono felice che Manius abbia accettato."
"Grazie alla mia mediazione, aggiungerei!" si lodò Brian.
"Ho visto come sei stato efficace," rise Mark, "soprattutto quando il cantastorie ti ha dato quella bella coltellata di piatto sulla mano per farti stare al tuo posto."
Elisabeth ebbe un attimo di turbamento e distrattamente tirò troppo una redine del suo prumo che in risposta sobbalzo, ma subito andò ad accarezzare la fronte dell'animale che emise il caratteristico squittio che indicava calma e benessere.
Brain neanche se ne accorse. Si era risentito dalla presa in giro del moro e ora non era più così spavaldo. Aggrottò la fronte e ribatté: "Sten non sa cosa si è perso," poi spronò il suo prumo e si posizionò più avanti nella carovana.
Effe Pi
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