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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: MGL Valentini
Titolo: Cristalli - Quando amarsi è un peccato
Genere Dark Romance
Lettori 3351 29 57
Cristalli - Quando amarsi è un peccato
Iniziò a piovere pochi minuti prima che terminasse la lezione e gli studenti si voltarono verso le finestre, distraendosi dal discorso del docente. Il pezzo di cielo che si intravedeva attraverso i vetri sporchi e ombrati dal fumo delle sigarette non lasciava presagire niente di buono per il resto della giornata: pesanti nuvoloni neri tuonavano minacciosi, mentre lampi e fulmini si rincorrevano squarciando per pochi secondi il plumbeo colore del cielo.
Il professore si rese conto della mancanza di concentrazione da parte degli studenti e decise di porre fine alla lezione, concludendo:
- Bene, ragazzi. Per oggi è tutto. Durante il weekend rivedete sul libro quello che vi ho spiegato e se trovate qualcosa di poco chiaro ne riparleremo la prossima volta. Buon divertimento. -
Pioveva sempre più forte e sui marciapiedi e sulle strade si formarono veri e propri laghi, una recrudescenza del rigido inverno appena trascorso. Ormai l'estate era alle porte e le giornate si susseguivano calde e soleggiate, infondendo calore e allegria sui volti della gente. Quell'improvviso temporale primaverile colse tutti di sorpresa, mentre ognuno correva in cerca di un provvisorio riparo.
Sbuffando, Alan Wild si assicurò i libri sotto il braccio e si mise a correre in direzione degli alloggi universitari. Scivolò sull'asfalto bagnato e riuscì a tenersi in equilibrio per puro miracolo, schivando all'ultimo istante una macchina che sfrecciava veloce e che lo schizzò fino al collo. Imprecò ed entrò nel portone dell'edificio, facendosi a piedi i due piani per arrivare al suo appartamento.
Con gesto stanco posò i libri sul tavolo della cucina e si diresse verso il bagno per farsi la doccia, fischiettando il motivo di una canzone. Si fermò davanti allo specchio e si mirò a lungo, voltando la testa ora da un lato ora dall'altro, finendo col fare l'occhiolino alla propria immagine. Mio caro Alan, si disse con orgoglio, ancora tre esami e la tesi ed è fatta: poi potrai goderti tutti i fine settimana che vorrai, alla faccia della pioggia.
Sorrise soddisfatto e studiò la propria figura. Anche così, con i folti ricci castani che gocciolavano, il maglione e i jeans infangati e bagnati, rimaneva un ragazzo attraente che, con una sola occhiata, riusciva a far cadere tutte le donne ai suoi piedi.
Era sempre stato narcisista fino all'esasperazione. Con i coetanei non perdeva mai occasione per esercitare il suo egocentrismo, esacerbandoli oltremodo, col solo risultato di rimanere con pochi amici; con le ragazze sfoggiava tutto il fascino che possedeva, pavoneggiandosi e scrutandole dall'alto in basso, come se fosse stato un dio, un Apollo redivivo. E tutte lo adoravano, facevano cerchio intorno a lui, sommergendolo di complimenti ed effusioni.
Scosse la testa, come per accantonare i ricordi e s'infilò sotto la doccia, crogiolandosi a lungo al tepore dell'acqua. Quindi indossò l'accappatoio e prese l'asciugamano per frizionare i capelli.
Il solo tornare indietro nel tempo, a quando era piccolo, lo fece ridere. Anche allora si poneva davanti allo specchio e si mirava a lungo, alzando la testa con orgoglio, aggiustandosi un ricciolo ribelle e facendo finta di essere un cow boy, un guerriero, un paladino del bene. E ad osservarlo in tutte le sue pose c'era sempre stata la sua dolce sorellina che batteva le mani, rideva e lo incitava a continuare, senza mai stancarsi di lodarlo e di fargli complimenti. E accanto a lei c'era sempre...
Si rabbuiò all'improvviso, disgustato. Con stizza buttò via l'asciugamano e si pettinò i ricci arruffati. Ecco: si era rovinato la giornata andando a rimuginare nei ricordi. Non doveva pensarci: lui non esisteva. Maledizione! imprecò con rabbia. Accidenti a te! Hai il potere di rovinare l'esistenza altrui anche quando non ci sei più!
A passi lunghi e risoluti raggiunse la propria camera e dall'armadio prese un paio di jeans e una camicia, mentre dall'ingresso qualcuno chiamava:
- Alan? Sei già arrivato? -
Con un profondo sospiro cercò di assumere un tono di voce tranquillo prima di rispondere:
- Sì. Ti sei bagnata? -
Sentì chiudere il portone e i passi di sua sorella che si dirigevano verso la cucina.
- Non molto. Ho atteso che diminuisse di piovere prima di muovermi. Che tempo matto! - commentò la ragazza con vivacità.
Alan abbozzò un sorriso mentre raccoglieva gli abiti bagnati e li posava nel cestino dei panni sporchi. Raggiunse la sorella in cucina e rimase sulla soglia della porta a osservarla mentre lei metteva l'acqua nella pentola e accendeva il forno per scaldare l'arrosto.
- Ehi, dico! Hai finito di startene lì impalato a fissarmi? -
Alan si scosse dalle proprie riflessioni e rispose al sorriso che gli era rivolto. Prese la tovaglia e si mise ad apparecchiare, mentre una gradevole fragranza di arrosto si diffondeva per l'appartamento.
Fuori continuava a piovere; il vento si faceva più impetuoso e freddo, trascinandosi dietro grosse nubi nere cariche di pioggia che parevano rincorrersi tra loro come protagoniste di una gara perenne, mentre gli alberi si inchinavano al loro passaggio facendo cantare le foglie come un lungo battito di mani. Per le strade non si scorgeva più nessuno; solo un cane guaiva in lontananza, un lamento triste e pieno di solitudine.
Hilda curiosò dietro le tendine della finestra e quel grigio paesaggio le mise addosso una grande malinconia. Appena aveva iniziato a piovere si era sentita pervadere dalla tristezza, accompagnata da un vago senso di impotenza. E lei era impotente davanti al corso della vita, della sua vita.
Con un sospiro tornò ai fornelli e si concentrò sul pranzo per non ricadere nel vortice di ricordi dolorosi.
- Ehi! - esclamò Alan studiandola corrucciato. - Non dirmi che ci pensi ancora! -
Lei sussultò appena e si voltò verso il fratello, replicando risentita:
- Sei veramente così sicuro di te? -
- Non è così? - insistette irritato. - Riconoscerei quell'espressione anche se ti vedessi lontana mille miglia! -
Hilda gli lanciò un'occhiata fulminante, pronta per la guerra verbale che sarebbe scoppiata di lì a poco, ma prima che avesse la possibilità di rispondergli qualcuno suonò alla porta, spezzando la tensione che si stava creando.
- Vado io, non ti scomodare. - borbottò Alan.
Mentre andava ad aprire, lei fece una smorfia e lo scimmiottò sottovoce:
- Vado io, non ti scomodare! -
Incuriosita, avanzò verso l'ingresso e vide Sandy sulla porta, il ragazzo dell'ultimo piano. Era l'unico, in tutta la palazzina, ad avere il telefono e, di conseguenza, ogni volta che qualche parente o amico chiamava, era costretto ad avvisare l'interessato giungendo nelle ore più disparate della giornata.
Hilda lo salutò con un sorriso e Alan si voltò verso di lei, spiegando:
- È una chiamata per noi. Pare sia la zia. Vado a sentire cos'è successo e torno subito. -
- Ok. La pasta è pronta. - l'informò lei con un'alzata di spalle.
Sandy la salutò e se ne andò insieme ad Alan, mentre lei rimaneva a guardare la porta che si chiudeva alle loro spalle.
E rimase immobile a lungo, al centro dell'ingresso, nel più totale silenzio, senza pensare a niente. Poi, lentamente, chinò la testa e incurvò le spalle, mentre una lacrima scendeva a rigarle la guancia pallida. Pianse in silenzio, consapevole di avere solo quel breve lasso di tempo per lasciarsi andare, prima che Alan tornasse.
Si maledisse per essersi tradita, risvegliando i sospetti del fratello che lei, con enorme sforzo, era riuscita a sopire già da alcuni anni. Alan le aveva ripetuto infinite volte di dimenticarlo, di non considerarlo più un fratello e lei, per evitare le sue continue scenate, gli aveva fatto credere di essersi rassegnata, evitando di pensare a Siegfried in sua presenza. Ma come posso dimenticare di avere un altro fratello? Un fratello che continuo ad amare, anche se sono trascorsi otto anni dall'ultima volta che l'ho visto?
Si asciugò le lacrime e tornò in cucina, dirigendosi verso la finestra e scostò le tendine per osservare il paesaggio grigio, senza vederlo realmente, trascinata ormai nel vortice di ricordi tristi e dolorosi che avevano segnato la sua infanzia.
La sua mente rievocò immagini lontane, quando lei, Alan e Siegfried giocavano insieme, ridevano, scherzavano e si volevano bene. I suoi due fratelli facevano a gara nel ricoprirla di baci e carezze perché, dicevano, era la piccola di casa e aveva quindi bisogno di tanto affetto. E lei, a sua volta, considerava i suoi fratelli come due cavalieri che l'amavano e la proteggevano.
Quel gioco era durato fino a quando Alan, a quindici anni, aveva deciso che era meglio far sfoggio del proprio fascino con altre ragazze anziché con lei, lasciando campo libero al suo più diretto e acerrimo rivale. E lei, abituata per undici anni a essere il centro delle attenzioni dei fratelli, aveva riversato tutto il suo amore su Siegfried.
Quella sorta di abbandono da parte del fratello maggiore aveva avuto il potere di farla star male e, come era naturale in una bambina, aveva pensato che un dolore così grande non l'avrebbe mai più provato. Viziata e coccolata fin da quando era nata, amata e sommersa di complimenti da parte di entrambi i fratelli, considerò il voltafaccia di Alan come una pugnalata data a tradimento e faticò molto a perdonarlo.
A tredici anni Siegfried era già conosciuto in tutti i peggiori ambienti della città. Con i suoi amici si divertiva a molestare la gente, a commettere furti, a fare a pugni con i coetanei, a perpetrare veri e propri atti di vandalismo e teppismo; fin da piccolo aveva mostrato una palese tendenza ad amare le armi e ogni volta che gli si presentava l'occasione, non si faceva scrupoli nell'usarle. In particolare aveva una debolezza per le armi bianche che, come avrebbe sempre sostenuto in seguito, avevano la facoltà di risvegliare la parte più aggressiva e abile di chi se ne serviva.
Di tutto questo Hilda non aveva mai saputo niente.
Con lei Siegfried si era comportato sempre con premura e gentilezza, ricoprendola di maggior affetto dopo che Alan gli aveva lasciato il campo libero per correre dietro alle ragazze. E lei aveva continuato ad adorarlo, forse più di prima, concedendogli tutto l'amore che in precedenza aveva dovuto scindere in parti uguali tra lui e Alan.
Si era resa conto fin da piccola che non le era concesso amare più un fratello dell'altro; quella rivalità tra loro le faceva paura. Se, per distrazione, mostrava più attenzione a uno dei due, l'altro subito scoccava un'occhiata micidiale in direzione del fratello e immediatamente si mettevano a litigare. Per evitare che quella rivalità sfociasse nell'odio, aveva sempre bilanciato in maniera uguale il proprio affetto, sebbene, nel suo intimo, fosse più incline ad amare Siegfried. L'improvviso allontanamento di Alan l'aveva lasciata libera di dedicarsi al fratello preferito.
Ma anche la più totale abnegazione alla fine costringe ad aprire gli occhi e Hilda aveva iniziato a intuire che qualcosa non andava. Se con lei Siegfried era dolce e affettuoso, con i suoi genitori, invece, non faceva altro che litigare. Anche se troppo tardi per poter rimediare, avevano scoperto che frequentava delinquenti in erba, sempre pronti a commettere malvagità di ogni genere e a nulla erano valsi gli schiaffi paterni per ricondurlo sulla retta via.
I continui litigi le avevano fatto intuire la verità e quando aveva chiesto ad Alan di spiegarle cosa stava accadendo, il ragazzo le aveva sussurrato sconsolato:
- Siegfried è un delinquente. -
Rabbrividì al ricordo di quel particolare momento della propria infanzia e si appoggiò alla finestra.
Per una bambina di undici anni quella verità fu difficile da accettare. Si sentì malissimo e per diverso tempo si rinchiuse in se stessa, piangendo e maledicendo Siegfried. Nel breve periodo di un mese era stata tradita prima da Alan e poi da colui nel quale aveva riposto tutta la sua fiducia. Reagì nell'unico modo che le era possibile, iniziando a diffidare dei suoi fratelli, a ignorarli, sentendo crescere dentro di sé rabbia e solitudine.
Ma quello stato di cose durò poco: cinque mesi più tardi i loro genitori morirono in un incidente stradale e i tre orfanelli furono accolti in casa della zia materna. Con loro, Alan e Hilda rimasero fino a quando il ragazzo non si iscrisse all'università, mentre Siegfried pensò bene di sparire dopo poche settimane.
Otto anni. Da otto anni non ti sei più fatto vedere, pensò con tristezza, continuando a guardare la pioggia che cadeva incessante.
Con un enorme sforzo ricacciò indietro le lacrime e passò una mano sulla fronte, mordendosi le labbra. Come un automa si avvicinò ai fornelli e si accinse a togliere la pasta dal fuoco.
Alan, senza dubbio, aveva ragione quando le ripeteva di dimenticarlo eppure, nonostante tutti gli sforzi, non ci riusciva. Il passato apparteneva al passato e così doveva essere, anche se seguitava a ripensare ai momenti più tristi della sua vita come se avesse voluto cambiarli in un ultimo, disperato tentativo.
- Continuare a pensarci non risolverà niente. - le aveva detto Alan con rabbia, dopo che Siegfried se ne era andato per sempre. - Non è colpa di nessuno se ci è capitata la disgrazia di avere un fratello delinquente. Non vale la pena di pensare a lui: dimenticalo e ti sentirai meglio. -
L'aveva guardata a lungo, studiando quegli occhi tumefatti e rossi per le tante lacrime versate, quindi aveva continuato con più calma:
- Non preoccuparti. In fin dei conti, alla tua età si dimentica facilmente. -
E lei aveva dodici anni quando Siegfried se ne era andato senza dire una parola.
Ma io non ho dimenticato. Non potrei mai. Lui è mio fratello e continuerò a sperare che un giorno ritorni. Sospirò tristemente, pensando che quell'attesa le era già costata molto.
Oddio, basta! Basta! Non posso continuare a torturarmi così in eterno! Siegfried ha scelto da solo la propria vita: a modo suo sarà felice.
- Hilda! -
La ragazza sobbalzò al tono imperioso e improvviso: immersa nei ricordi non aveva udito Alan rientrare. Lo guardò timorosa e quello che vide non le piacque. Alan la fissava torvo, le mani nelle tasche dei jeans, a testimonianza che era da un po' lì a studiarla.
- Quante volte ti ho ripetuto e continuo a ripeterti che non devi pensarci? - urlò inviperito, dando sfogo alla collera feroce che il solo pensiero del fratello gli procurava.
- Scusami. - mormorò lei chinando la testa.
Il ragazzo inspirò a fondo, cercando di ritrovare il controllo delle proprie emozioni. Maledetto! imprecò con stizza. Possibile che debba sempre combattere contro il tuo fantasma? Con rabbia si sedette a tavola e ringhiò:
- Allora? Non avevi detto che la pasta era pronta? -
Hilda annuì e si precipitò a preparare i piatti col cuore che le batteva impazzito. Gli improvvisi e violenti scoppi d'ira del fratello iniziavano a preoccuparla e ogni qualvolta lo vedeva pronto a esplodere evitava con ogni mezzo possibile di far precipitare le cose. Così se ne rimase in silenzio per l'intera durata del pranzo, ascoltando con malinconia la pioggia che batteva contro i vetri con un ritmo sempre uguale.
Con un pallido sorriso accettò l'aiuto che Alan le offrì al termine del pasto e quando il ragazzo si ritirò in camera sua, Hilda sospirò di sollievo, chiudendo la mente a qualsiasi pensiero.

~

- Hilda, io vado da Sandy. Devi uscire? -
Dalla propria camera, alzando la voce per farsi udire, lei rispose:
- Ho un appuntamento con LA per studiare. -
Alan fece una smorfia di disprezzo e bofonchiò:
- Tornerò per cena. Vedi di farti trovare a casa per quell'ora. -
Appena sentì chiudere la porta di casa, Hilda si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo e aggiustò una piega invisibile sulla gonna. Quindi si diresse in bagno per prepararsi e iniziò a spazzolare i lunghi capelli corvini.
Sorrise pensando alla sua amica. Alan la disprezzava e questo LA lo sapeva, nonostante per un certo periodo di tempo fossero stati insieme. Ma LA non se ne curava. Hilda la conosceva già da cinque anni, in pratica da quando si era trasferita lì con Alan e poteva giurare di non averla mai vista pensierosa o con un problema da risolvere: LA era sempre allegra e spensierata; niente riusciva a sminuire la voglia di vivere che la sosteneva.
Una puttana dal viso d'angelo, dicevano di lei. Poteva avere tutte le virtù di questo mondo, però le piaceva troppo divertirsi e per questo era stata marchiata.
Già, pensò Hilda, fa presto la gente a giudicare. Possono dire tutto il male che vogliono su di te, ma per me sei semplicemente magnifica. Sei la mia unica vera amica e non ti cambierei con nessuno. Solo tu hai saputo aiutarmi e comprendermi senza che io ti chiedessi o dicessi niente.
Si voltò verso la finestra con un'espressione intensa sul volto pallido, le sopracciglia aggrottate e i capelli che le ricadevano voluminosi e ondulati sulle spalle. LA, pensò, non è minore la bellezza anche se cade a un soffio di vento.
All'improvviso il ricordo di quella domenica mattina le fece venire le lacrime agli occhi e si morse le labbra per non cedere alla debolezza. Il passato le tornava troppo spesso in mente, crudele e ossessionante, malgrado facesse sforzi enormi per dimenticare.
Scosse la testa e decise di fare due passi prima di andare da LA e, afferrato l'impermeabile, uscì senza pensarci oltre.
Da poco aveva smesso di piovere, anche se la città era ancora avvolta da un cupo grigiore e un leggero vento la fece rabbrividire all'improvviso. La sua mente era un continuo via vai di ricordi che si susseguivano con velocità dirompente e che la perseguitavano ormai da cinque anni, tenendola segregata nella prigione di se stessa.
L'uomo è come un fiore portato dal vento, si ripeté per la centesima volta. È il Karma.
Lasciò spaziare la mente in un luogo da fiaba, dove si rintanava quando voleva fuggire dalla realtà. E quel luogo così cristallino, incontaminato, dove solo a lei era consentito l'accesso, rifletteva una luce abbagliante, fatta di miriadi di cristalli iridescenti. Cristalli che rilucevano sopra una cascata di capelli biondi che svolazzavano liberi e che sembravano trasparenti, tanto erano chiari. I capelli di Siegfried, così biondi da meritarsi il soprannome di Dagr, il mitico dio del giorno. E lui le sorrideva, col suo volto da bambino, circondato da un velo di nebbia.
Otto anni.
Rabbrividì, mentre alcune gocce di pioggia ricominciavano a cadere. Osservò il cielo plumbeo e decise di rientrare. Era anche ora di andare da LA.
Ritornò sui propri passi e mise il cappuccio dell'impermeabile in testa. Tra meno di un mese doveva dare un esame ed era meglio non pensare ad altro. Se si fosse dedicata allo studio, sarebbe riuscita a superare la prova facilmente; la media dei suoi voti era buona e non avrebbe permesso ai ricordi di rovinargliela. E anche volendo, non si sarebbe potuta permettere il lusso di prendersela comoda.
Quando sua zia aveva telefonato, li aveva avvertiti che quanto i loro genitori avevano lasciato in banca si stava consumando e se Alan non si fosse sbrigato a laurearsi e a trovare lavoro, si sarebbero ritrovati senza fondi e lei avrebbe dovuto abbandonare gli studi. In parole povere, si sarebbero ritrovati sul lastrico e sua zia aveva lasciato chiaramente intendere che lei non avrebbe potuto far niente. Meglio ancora: nei tre anni che li aveva mantenuti aveva fatto anche troppo.
Ma che bella prospettiva! pensò Hilda con sarcasmo.
Accelerò il passo, mentre la pioggia cadeva con maggior insistenza.
Fu in quel momento che qualcosa attrasse la sua attenzione. A prima vista sembrava un fagottino grigio e peloso, abbandonato per la strada e se non fosse stato perché tremava, non l'avrebbe neppure notato. Incuriosita, si avvicinò accucciandosi e allungò una mano, quando un guaito la fece sobbalzare. Fissò il fagotto e subito dopo sorrise, prendendolo in braccio: era solo un cucciolo di cane inzuppato come un pulcino che tremava per il freddo. Lo strinse a sé cercando di trasmettergli un po' del proprio calore e il cucciolo la guardò drizzando le orecchie.
- Dimmi: chi ha avuto il coraggio di abbandonarti sotto questa pioggia? - mormorò accarezzandolo piano.
Mossa a compassione, decise di portarlo a casa e si mise a correre, arrivando a destinazione con un violento batticuore. Senza curarsi di togliere l'impermeabile che gocciolava, si diresse in bagno, posò il cucciolo a terra e aprì l'acqua per riempire la vasca.
- Mi auguro che tu non abbia paura di un bel bagnetto caldo. - commentò osservando il batuffolo bianco che a mala pena si teneva sulle zampe.
Ridendo si sbarazzò dell'impermeabile, cercando un nome da dargli e quando l'acqua giunse al livello desiderato, prese il nuovo amico e gli fece un bagno caldo, insaponandolo e frizionandolo a dovere. Ci impiegò quasi un'ora a lavarlo e asciugarlo, lottando per tenerlo fermo ma, alla fine, il risultato superò ogni aspettativa: del cucciolo inzuppato, infreddolito e maleodorante non c'era più traccia; al suo posto c'era una massa gonfia di peli lunghi e brillanti che risplendeva sotto la luce del neon.
Hilda lo sollevò per osservarlo e, contenta, esclamò:
- Sei perfetto! Non immaginavo che una volta rimesso a nuovo saresti stato così carino. Vediamo... Ti chiamerò Hols. Sì, suona bene. Hols. -
Un lampo saettò negli occhi gialli del cucciolo, occhi obliqui e sottili, così diversi da quelli di ogni cane. Il suo pelo era folto, la coda grossa e voluminosa, il muso più allungato del normale e le orecchie dritte e aguzze.
- Devo riconoscere che come cane sei abbastanza strano. - commentò rigirandolo da tutte le parti. - Ma mi piaci così come sei. -
Sorrise felice e l'abbracciò, stampandogli un bacio in mezzo al muso. Siamo entrambi soli, amico mio; ci faremo compagnia.
Lo lasciò libero di girare per casa, mentre si dirigeva in cucina per preparargli una ciotola con l'acqua e un piatto con alcuni pezzi di carne avanzati a pranzo. Hols mangiò con avidità e lei lo guardò con affetto, ripromettendosi di comprargli un guinzaglio e un collare.
Per la prima volta dopo tanti anni, Hilda riuscì a dimenticare il passato che l'ossessionava e fu contenta di essere ancora viva.
Ancora viva.
Erano trascorsi cinque anni, eppure, all'improvviso, le parve solo un sogno, una cosa irreale e si ritrovò a chiedersi se veramente fosse stata lei a compiere quel gesto.
Il suo sguardo si posò sui polsi: benché sottili, le due cicatrici c'erano e ci sarebbero rimaste per sempre.
Chiuse gli occhi rabbrividendo e in quell'istante suonarono alla porta. Si riscosse dal passato e andò ad aprire, con Hols che le scodinzolava attorno felice e con la pancia piena.
La sorridente faccia di LA fece capolino e Hilda non ebbe la possibilità di aprir bocca poiché subito la ragazza esclamò ridendo:
- Ehi! Lo sai che ti sto aspettando già da un'ora? Ti eri dimenticata che dovevi salire da me? Allora? Ehi! Non dirmi che c'è un uomo in casa! Ho interrotto qualcosa? - domandò insinuante, squadrandola da capo a piedi. - Ma no, sei ancora vestita. Allora? Mi fai entrare? -
Quell'inatteso fiume di domande e constatazioni lasciò Hilda un attimo attonita, mentre la faceva entrare e richiudeva la porta alle proprie spalle. Quindi scoppiò a ridere e mormorò:
- Oh, no! Niente uomini. Ero uscita per fare due passi. -
- Oh, santo cielo! - sospirò LA. - Ed io che speravo di trovarti in dolce compagnia! Ho la vaga impressione che tu sia affetta da una grave, addirittura cronica fobia. Allora? -
Hilda sorrise, intuendo la muta domanda dell'altra e lasciò scivolare lo sguardo ai propri piedi. LA chinò la testa e vide Hols rannicchiato dietro le gambe dell'amica.
- Oh, cielo! Che amore! - esclamò chinandosi e prendendolo in braccio. - Dio, è dolcissimo! Dove diamine l'hai trovato? -
- L'ho trovato ora che sono uscita. Qualcuno deve averlo abbandonato e così ho deciso di portarlo a casa. Mi faceva tenerezza. -
- Pensi di tenerlo? -
- Sì. Gli ho già dato un nome: Hols. Ti piace? -
Si diressero in cucina e Hilda si diede da fare per preparare il caffè, mentre LA giocherellava con il cucciolo.
- Sì, mi piace. Direi che è perfetto. - rispose. - Alan l'ha visto? -
- Veramente no. - ammise Hilda in un sussurro, posando la caffettiera sul fuoco.
I grandi occhi nocciola di LA puntarono sull'amica, tuttavia non disse niente: il silenzio parlò per lei. In quegli anni aveva imparato a conoscere i due fratelli e già immaginava la reazione che avrebbe avuto Alan. Brutta faccenda, pensò.
Sentì Hilda sospirare e il suo sguardo si fece compassionevole.
- Bene! - esclamò con allegria, posando Hols a terra. - Dall'odore si direbbe che il caffè stia venendo buono. Penso io alle tazzine, tu prendi lo zucchero. -
Hilda la guardò mentre si muoveva per la cucina e sorrise. Sei una cara amica, pensò.
- Perfetto. - commentò LA sedendosi. - Ora ci gustiamo il caffè, quindi ci buttiamo nel ripasso, ok? -
- Ok. -
Per tutto il pomeriggio LA ascoltò le risposte che Hilda dava alle sue domande, fornendole maggiori spiegazioni, facendole ampliare o restringere vari concetti, dandole consigli e assicurandola che avrebbe superato l'esame con il massimo dei voti.
Una volta rimasta sola, Hilda fece mangiare Hols e si preparò all'arrivo di Alan.

~

- Cristo, Hilda! Siamo quasi ridotti alla fame e tu mi porti un animale in casa! Perdio! Non abbiamo soldi e tu mi sobbarchi della responsabilità di sfamare un'altra bocca! Che cazzo ti dice la testa? Eh? Cristo! Cristo! -
Con stizza Alan passò una mano tra i capelli e continuò a imprecare e bestemmiare con veemenza.
Da più di un'ora non faceva che urlare e camminare avanti e indietro, agitando le mani e strabuzzando gli occhi per l'ira. Era bastato che lei accennasse a Hols che subito l'aveva guardata dapprima allibito, poi con maggior furore fin quando non era esploso. Lei l'aveva lasciato sfogare, niente affatto intimorita dalla sua ira, seduta al tavolo della cucina con la testa reclinata in avanti, lasciando credere al fratello di avere timore di lui. Sì, aveva imparato che era meglio non dare prova che la sua violenza la lasciava del tutto indifferente.
Alan la costrinse a guardarlo, afferrandole con durezza il volto e lei assunse un'espressione prostrata e intimorita.
- Non abbiamo soldi, cristo! Mi spieghi come cazzo intendi nutrirlo? -
Hilda non rispose, ma continuò a guardarlo con attenzione. Ormai doveva arrendersi all'evidenza: Alan aveva problemi, seri problemi. Da troppo tempo perdeva la calma per un nonnulla e giorno dopo giorno peggiorava, proprio come le aveva fatto notare LA.
- Alan sta male. Non credo sia solo esaurimento nervoso. Non lo vedi anche tu? Sembra quasi che stia impazzendo. A volte mette paura. - le aveva detto un giorno.
- Sei tu la pazza! - aveva risposto con veemenza. - Alan sta benissimo; è solo stressato perché ha dovuto studiare molto, bisogna capirlo. Vedrai che si rimetterà presto. -
LA l'aveva guardata con compassione, quindi aveva scosso la testa mormorando:
- Lo difendi solo perché è tuo fratello. Ma te ne accorgerai presto. -
Oh, come avevi ragione! Ed io che non ho voluto crederti!
- Non guardarmi con quell'aria da scema! Rispondi quando ti parlo, perdio! -
Il ragazzo la scosse con violenza, facendola tornare bruscamente al presente.
- Alan, ti prego. - gemette per il dolore.
Lui la lasciò andare e rimase a fissarla con occhi iniettati di sangue e fiato corto. Lentamente, a testa bassa, Hilda si ricompose e passò una mano sulla fronte. Alzò il volto e studiò il fratello: il suo viso era sconvolto e tirato dall'ira ed era palese lo sforzo che faceva per dominarsi.
Per un lungo momento tutto tacque e all'improvviso, così come era esploso, Alan si calmò. Inspirò a fondo e bofonchiò qualcosa di confuso, fissando cupo la sorella. Per una frazione di secondo parve che volesse scusarsi, ma altro non fece che sedersi, continuando un sommesso e incomprensibile monologo.
Hilda continuò a tenerlo d'occhio con circospezione, cercando di intuire cosa gli stesse passando per la testa. Per un attimo rivide il piccolo Alan che le faceva le carezze e i complimenti; rivide un bambino dolce e premuroso che le voleva bene. Ma tornò subito con i piedi per terra, pensando con amarezza che quell'Alan era morto. Per sempre.
- Allora? Potresti anche farmelo vedere, ti pare? - l'esortò.
Quel tono di voce dolce l'impensierì. Solo un minuto prima stava urlando e bestemmiando come un forsennato e ora sembrava un cherubino innocente.
Sforzandosi di sorridere corse in camera e appena Hols la sentì entrare balzò giù dal letto e le andò vicino scodinzolando. Lei lo prese in braccio, ripromettendosi di non lasciarlo toccare da Alan: sarebbe stato capace di spezzargli il collo.
Sospirando tornò in cucina, tenendo Hols stretto al seno. Si fece forza e sorridendo disse:
- Eccolo qui. Ti piace? -
Alan fissò il cucciolo, alzandosi in piedi a rilento. Hols, a sua volta, puntò i propri occhi gialli in quelli neri del ragazzo e questi sussultò.
- Sei forse impazzita sul serio, perdio? - urlò Alan all'improvviso.
Additò il cucciolo e guardando con un barlume di follia la sorella sibilò minaccioso:
- Io me ne vado, ma tra un'ora, quando ritornerò, non voglio più trovare questo lupo in casa! Guai a te se lo vedrò ancora: butterò fuori a calci in culo te e lui! Sono stato chiaro? -
Fece una smorfia al genuino stupore di Hilda e si avviò verso la porta, ruggendo con rabbia:
- Sbarazzatene! -
Hilda rimase sbigottita a osservare Hols tra le sue braccia, riuscendo solo a ripetersi: oddio, un lupo... un lupo!
MGL Valentini
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