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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Daniel Monardo
Titolo: Racconti privi
Genere Racconti brevi
Lettori 3366 30 61
Racconti privi
Non mi sono mai nascosto dagli altri per compiere atti di vitale importanza. Respiro, mangio e prevedo di morire davanti a qualcuno. Ora, nello specifico, sto pisciando per strada e la naturalezza con cui lo faccio non sconvolge i passanti che quasi non mi guardano. Con la stessa disinvoltura potrei cagare, ma non ne sento il bisogno e così procedo sulla mia strada che so già dove mi porterà. Il solito prato, del parco vicino casa, mi vede distendermi mentre un insetto mi si conficca in un occhio senza infastidirmi. Siamo nati per sopportare! In qualcuno l'insetto provocherebbe agitazione psicomotoria, mentre io rimango impassibile ad aspettare che manifesti le sue intenzioni di cui forse è privo. Il sole mi sbatte in faccia e il mio naso suda e cola. Faccio cadere il muco sul prato senza provare ad arrestare il suo incedere e nessuno ci fa caso. Belle e solite giornate. Non chiedo di meglio, cazzo!
Frank, il mio migliore amico invece sì! Non si accontenta mai lui, pare sempre cercare un'emozione diversa e se per più giorni fa la stessa cosa si sente morire. Gli sembra di sprecare tempo ed è paradossale poiché, con molta probabilità e per questioni genetiche, di tempo ne avrà più del sottoscritto. Mi domando che fretta ha e gli dico: - Goditi il sole, cazzo! - . Ed eccolo pronto a stendersi e a soccombere anche lui alla bellezza solare non prima di usare la solita accortezza: un plaid sul prato per non inumidire i suoi vestiti. La genetica è venuta in soccorso a lui e ad altri come lui che perdono tempo in queste inutili pratiche. Tutto calcolato. È stato concesso più tempo a quelli che senza un extra time morirebbero vergini, intenti a distendere plaid o a farsi un bidet prima di accoppiarsi. L'importanza di genitali puliti, mah!
Io fermo e Frank che non trova una posizione comoda, e cambia decubito ogni mezzo minuto, stiamo in questo parco senza avere uno scopo. Siamo uguali a quelli che uno scopo pensano di averlo, con la sola differenza che noi, per colpa di Frank, sembriamo tristi. Sì! per rendere una coppia triste basta una persona. Io so che non c'è un senso reale nella nostra esistenza e la cosa non mi dispiace. Senza obiettivi si sta bene, non si può rimanere delusi. Frank, invece, vuole sempre capire cosa ci fa in questo mondo, eccetto quando vede Pat. Lei è il suo antidepressivo, la sua fase maniacale, l'elemento per cui se la vita non ha senso...Sticazzi! Se veniamo ogni giorno in questo parco un motivo c'è ed è sperare d'incontrarla. Credo che Pat venga qui per lo stesso motivo, è attratta da lui e lo capisco dall'odore di mutande bagnate che emana quando si avvicina. Frank, per le solite ragioni genetiche, ha un olfatto meno sviluppato del mio e al massimo percepisce il profumo artificiale di cui Pat fa abbondante uso. È lento il mio amico, gli servirebbero mille vite per portarsela a letto. Io, invece, per scoparmi la sua migliore amica Connie non ho avuto bisogno neanche di un materasso.
Il sole si fa sempre meno caldo e illumina sempre meno la nostra solita giornata grigia. Frank è nero e sporca il mio candore ma io gli sono fedele e non lo abbandonerò. Il grigio sembra destinato a scurirsi quando, ormai senza speranze, Pat entra nella nostra giornata. Anche la presenza di Connie migliora tangibilmente il mio umore che non ha poi tanto bisogno di essere scosso. Mentre di Pat posso già sentire il suo odore di bagnato, Connie sembra non avere lo stesso interesse nei miei confronti. Cerco di lavorarmela con lo sguardo mentre ascolto il mio amico Frank che prova ad approcciare con Pat.
- Ciao Connie! - dice salutando prima la sua amica. Connie si distrae un attimo da me per poi, senza accennare risposta, tornare repentinamente a fissarmi. Non curante della scarsa considerazione della mia Connie, Frank si rivolge a Pat la quale, senza nemmeno calcolarmi, abbraccia e bacia due volte quel mio amico coglione che neppure a quella distanza ravvicinata riesce a percepire quel profumo di bagnato. Connie, invece, rimane inodore e comincio a pensare che non è aria.
Si accomodano insieme sul plaid mentre io e la mia preda restiamo a scrutarci in silenzio. Non capisco cosa non va in me, sembra quasi infastidita dalla mia presenza ma tenterò comunque di farmela, nonostante il suo atteggiamento non certo affabile. Ma perché quel coglione non le salta addosso e le dà ciò che vuole? penso invidiando Frank. Chi ha il pane non ha i denti. Io, invece, di denti ne ho da vendere e con Connie sarei dovuto essere un molosso e non lasciare la presa quella prima volta.
I due decidono di fare una passeggiata. È lui a proporla per togliersi dall'imbarazzo dei suoi silenzi e a Pat non è rimasto che annuire vista l'incapacità di quel maschio remissivo. Gli camminiamo tre o quattro metri davanti e riusciamo a sentire i loro discorsi sul nulla cosmico mentre io evito di sprecare fiato, quel fiato che mi servirà per possedere Connie.
- L'università come va? Ti manca poco vero? -
- Dopodomani ultimo esame, poi la tesi e se tutto va bene... manca poco -
- Dai, dai -
- Eh sì! Ci siamo finalmente -
Io, invece, mi domando: - Ma finalmente cosa? Finalmente si scopa? - .
È davvero così rilevante ciò che uno studia, cosa diventerà o qual è il suo film preferito? È così importante sapere com'è andata la giornata lavorativa del proprio compagno? Dovreste imparare dai bambini, che quando tornano da scuola non hanno alcuna voglia di parlare della giornata appena trascorsa. Loro sono presente e futuro. Fanculo quello che è successo, non interessa a nessuno, è perdita di tempo. Le giornate spesso sono irrilevanti. Cosa pensate o sperate sia successo in una delle tante giornate uguali? Quanti discorsi senza senso, plaid, bidet e domande inutili. Vuoi scoparti una ed è davvero importante il suo ruolo sociale? Il suo titolo di studio? La sua igiene intima? Dovreste tornare primordiali, dovreste ricordarvi da dove venite: siamo stati tutti tra le budella delle nostre madri e ora credete che basti una laurea per ripulirvi da quei visceri fetidi, mucosi e sanguigni.
Mangia, scoreggia, scopa e non pensare troppo al resto perché rischieresti di vivere un'esistenza che vedrà come punto d'arrivo comunque la tua morte ma senza godimento. Possibile che non senti il suo odore? Mi volto per capire se ha maturato qualche consapevolezza ma devo constatare che morirò senza saperlo felice.
Torno egoisticamente a me. Lancio un'occhiata a Connie preannunciando le mie intenzioni. Non andrò via senza averla, lo sa e non mi risponde, ma per me non fa differenza. I due si fermano, costringendo anche noi all'immobilità. Uno di fronte all'altro assumono il tono di chi sta scambiando le ultime parole prima di salutarsi. Entrambi vorrebbero continuare a stare insieme ma entrambi devono, non so perché, tornare a casa. Non indugio ulteriormente e mi scaglio su Connie. Finge resistenza ma il suo desiderio diviene presto evidente e, mentre i due continuano a parlare, ci avvinghiamo l'un l'altro sotto lo sguardo della loro invidiosa indifferenza. Questo è il giusto modo di vivere e anche i passanti, che se ne erano fregati del mio pisciare per strada, ora si fermano curiosi sorridendo delle nostre gesta. Fare l'amore all'aperto, in pubblico e senza limiti, è fatto che non può sconvolgere perché vitale. Sarebbe come stupirsi per uno che mangia un panino per strada o per uno che respira in pubblico.
Tutti ci stanno guardando e forse ammirando. Assesto bene i miei colpi e Connie gode come una maiala. Guardo ad intervalli irregolari Frank cercando di invitarlo a copiare le mie mosse, nulla da fare! Frank è un caso disperato, nemmeno si accorge di noi che senza sprecare tempo in chiacchiere inutili stiamo facendo l'amore. Non so se Connie rimarrà in città, non so quanti esami le manchino e in realtà non so neppure se a scuola c'è mai andata, non so nemmeno se la ingraviderò. Conosco però il suo culo e questo mi basta per dichiararmi innamorato. I miei colpi si fanno sempre più forti mentre i discorsi di Pat e Frank sono sempre più loffi. Il suo cazzo lo è! Lo capisco dall'odore che ora sovrastava quello di lei che si è seccata in tutti i sensi.
Altri passanti ci lambiscono questa volta con facce schifate. Probabilmente sono disgustati dalla loro incapacità di vivere ma io sono troppo concentrato su me stesso per pensare ai giudizi degli altri sugli altri.
Connie ti amo! Connie voglio dei figli nostri! Connie sto...
È l'ultimo mio pensiero prima di sentire uno strattone sul collo che mi fa balzare indietro di un paio di metri. Ormai distanti deduco che a lei è toccata la stessa sorte.
- Dannato collare! - provo a dire mentre cerco di mordere il guinzaglio per liberarmi. Connie, invece, sembra rassegnata alla nostra interruzione. Ridono di noi e provo tanto odio quanta pena per loro e per le loro vite. Si salutano e ci salutano sempre ridendo.
Le loro sei zampe e le nostre prendono strade differenti. Abbaio e ringhio per la frustrazione, mentre Frank appare inspiegabilmente sereno. È spesso la disgrazia altrui a provocargli gioia e questa volta la disgrazia è la mia, suo fedele e migliore amico.

Claustrofilia

Avrei dovuto capirlo dall'incubatrice che mi ha ospitato nei primi giorni di vita. Nasci chiuso, vivi in gabbia e la cassa da morto è la logica conseguenza di una vita blindata. La claustrofobia è una constatazione della realtà, i claustrofobici hanno semplicemente capito. Le altre fobie sono solo negazione di fatti, un concentrarsi su ciò che non esiste, utili a non sentirsi imbrigliati. Chi non ha paura è il vero pazzo ma i pazzi non esistono.
Ripenso ai giorni in cui ogni fatto transitava indifferente accadendo senza manifestare alcunché, impercettibili perdite di annessi cutanei non mi facevano pensare alla calvizie e sereno vivevo senza il timore di ciò che sarebbe stato.
Ieri si è rotto un uovo. Il fatto mi ha creato non poco disagio. Devo aver posizionato male la confezione nel sacchetto ed è successo, mi è toccato togliere l'appiccicume dal pacco di biscotti mentre maledicevo me stesso. Venti centesimi sprecati. Ne avessi avuti, mi sarebbe caduto un capello.
C'è chi ha perso più capelli tutti in un colpo e finiti in gola non è più riuscito a respirare. Càpita anche di perderne a ciocche e ad alcuni riempiono la bocca che annaspa tartagliando. Succede questo e succede quello e ciò che accade ora si manifesta nel divenire, tutti fatti irrilevanti a cui però l'organismo deve reagire per raggiungere l'omeostasi: come un equilibrista su un filo, prima o dopo, cado. Il divenire finisce, sei ancora vivo e quel che resta sono solo poche certezze e molte convinzioni.
Lei si fa leccare e spera che la mia mascella si stancherà ma è questa lingua ipertrofica a tenermi in vita e vorrei, senza entrare, che questo piacere le bastasse. Un solo muscolo per parlare, mangiare e scopare, qualcuno ci cammina e ne fa di strada muovendolo con sapienza. Succedanea al mio cazzo, la lingua tenta di rianimare quel che resta di me per salvare quel che rimane di lei e mentre la bocca comincia a essere dolente, tra le gambe sento il solito inutile vigore. Mi guarda esitando, colpevole di quel suo sguardo ingrigito in cui vedo ancora una supplica lasciva. L'assecondo. La mia carne entra nella sua, geme incerta mentre io ripenso al mio uovo rotto. Vorrei una bara della stessa consistenza, un guscio da cui poter scappare con facilità.
La mia testa sembra un uovo e in questo cranio ben suturato, difficilmente espugnabile, c'è un cervello albume che potrebbe strapazzarsi da un momento all'altro e disertare questa scatola fuggendo sotto forma di muco dalle orecchie o dalle coane nasali. Non potrei neppure mangiarlo e altri venti centesimi andrebbero sprecati.
Mi domando dove sono finiti i miei capelli ora che sento un pelo in bocca che non può essere mio. Risalgo la china che mi ha portato dentro di lei e la lingua gioca con quel filo nero restituendomi una consapevolezza: i miei capelli sono sulla sua vagina e fanno una gabbia per il mio uccello. Uno ad uno riuniti, formano un cespuglio facilmente penetrabile che mi fa prigioniero. Sto scopando i miei capelli e mi sento trapanare la testa. Ho paura di farmi male ma tutti abbiamo paura e nessuno è pazzo. Il suo sguardo è preoccupato ma io lo supero e punto alla sua chioma ancora folta che non ha sprecato. È un labirinto fitto, profumato e senza calvizie. Le donne non sperperano i loro capelli per ingabbiare uccelli, io invece ho costruito inconsapevole una trappola per il mio pene sul monte di venere.
Mi sento soffocare, il mio uccello è cianotico e così si libera dalla sua prigione. Il cazzo è salvo. Il cazzo ha semplicemente capito. La lascio sola con la sua lussuria stantia che anche oggi ha fallito.
Cinque uova e una testa calva piena di albume che vorrei ficcare nello spazio vuoto di quel contenitore di cartone. Sei fratelli simili, io più grande e più duro.
Rompo il primo guscio e ne lascio cadere il contenuto in un bicchiere. Io, fratello maggiore, ho capito e agisco per il vostro bene. Frantumo il secondo a cui tocca la stessa sorte. Vedo finalmente due sorelle libere e unite. Prendo il terzo e il quarto che rompendosi l'uno contro l'altro si aprono alla vita. Ci siamo quasi, presto saremo tutti fuori. Sbatto il quinto sulla mia pelata. Si accartoccia mentre la mia testa calva non beneficia della stessa sorte. Cinque sorelle libere ed io che ammiro felice la loro libertà.
Apro la finestra della cucina e una crepa si schiude sul mio cranio, devo raggiungere i miei fratelli ora che la sua gabbia non può più trattenermi. Il cazzo non è più l'unico detentore della verità.
Cinque sorelle libere ed io, venti centesimi sprecati.  

Il linguaggio metafisico di rutti e scoregge

Una scoreggia! Una scoreggia e per giunta inodore. Sebbene non avesse sprigionato puzza, a causa di quel rumore fui esiliato dalla sua vagina e il tentativo di sdrammatizzare, eruttandole in faccia, non fece che peggiorare le cose.
Non riuscivo davvero a comprendere il motivo di tanta ostilità verso quelle forme d'aria ma cercavo di comprendere il suo punto di vista. Quel - fai schifo - in risposta al mio - che ti prende? - aumentava in me la confusione. Non le piacevo più e cercava un futile motivo per lasciarmi? O davvero non sopportava quelle emissioni fisiologiche che non le avevo mai manifestato? Ripensandoci, anche la mia adorata non aveva mai dato espressione palese ai suoi odori viscerali ma di certo io non l'avrei respinta o insultata per un fatto del genere. Quel rumore era stato forse la causa del suo mancato orgasmo ma anche questa ipotesi mi sembrò incredibile: il mio pene all'interno della sua vagina produceva spesso rumori decisamente poco erotici che, simili a peti tonanti, non erano mai stati un problema tra noi, anzi erano un incentivo a scontrarci e unirci con più enfasi.
Continuavo a interrogarmi sul suo respingermi e così la memoria mi riportò a quando, durante la nostra vita insieme, rutti e scoregge avevano abitato le nostre giornate.
Il primo ricordo a riaffiorare riguardò proprio suo nipote: nato da pochi giorni, il poppante non faceva altro che mangiare, la madre lo attaccava al seno dalle dieci alle dodici volte al giorno, e tra una tetta e l'altra, il piccolo, sereno e appagato, si addormentava. Un pomeriggio, la tenerezza di quei momenti fu interrotta da un boato atteso quanto sorprendente: coppettato sulla schiena dalla mamma, il neonato produsse un poderoso rutto che ci sembrò impossibile potesse provenire da un esserino tanto piccolo. Increduli per quella eruttazione sproporzionata, lo stupore fu vinto dalle nostre incontenibili risate, mentre il pargolo riprendeva il suo sonno sereno.
Ai bambini tutto è concesso. Loro sono in grado di oscurare l'intero universo e per questo motivo, durante l'allattamento, mi era quasi impossibile notare gli enormi seni di mia cognata e per questo stesso motivo, probabilmente, i rutti dei bambini possono essere musica che mette allegria.
E allora un peto non è semplicemente un'emissione di gas fetido nell'aria, è piuttosto un'espressione che a seconda del contesto assume un suo valore ben determinato: gioia, nel caso del neonato. E nel mio caso?
Recuperai altre immagini dal cassetto della memoria e quel neonato, ormai cresciuto, in una domenica di primavera seduti sul divano di casa, mi scoreggiava praticamente addosso. Pure in quell'occasione, il rumore fu notevole ma decisamente meno prodigioso rispetto al rutto neonatale. Divertito da quella vibrazione insolita, onorai la flatulenza con una risata degna della sorpresa provocata. Mia cognata, madre dell'ormai ragazzo, e sua sorella, mia moglie, trovarono invece la circostanza molto meno esilarante e all'unisono rimbrottarono lo sgarbo. A quel richiamo inaspettato il mio nipotino petomane sembrò restare indifferente ma di certo lo inibì perché non partecipò alla mia incontenibile ilarità. Forse fu quello l'istante che modificò la sua considerazione circa le naturali emissione gassose. Qualcosa era cambiato e io, che me la spassavo bellamente, non ci avevo fatto caso? Scoreggiare è allora un discorso di età! Da neonato tutto è concesso, da ragazzo quasi tutto e da grande quasi nulla.
Cercavo altri ricordi per avvalorare la mia tesi. Su un letto di ospedale, privo di appendice, i medici mi chiedevano, con cortesia e preoccupante serietà, se avessi fatto dell'aria durante la notte. Senza rispondere preferii petare per dargliene prova. Risero tra loro senza guardarmi e li trovai sinceramente divertiti e rassicurati sul mio caso. Questo ricordo confutava inaspettatamente la mia teoria sull'età, e cominciavo seriamente a pensare che non avrei capito il senso della reazione di mia moglie la quale aveva smesso da almeno un'ora di parlarmi. Mi trovavo in una situazione di stallo e ogni mossa poteva essere sbagliata.
Meditai. Una scoreggia o un rutto possono portare gioia, rassicurazione, sdegno o esilio. Da cosa dipende il risultato di queste manifestazioni? Assodato che l'età non è la discriminante che può far divenire un peto o un'eruttazione sgradevole o conviviale, cosa ne determina il consenso? È forse un linguaggio metafisico e, in quanto tale, trascendente la normale razionalità? Forse rutti e scoregge, prendendo forme differenti in spazi differenti e provocando suoni diversi a seconda dell'entità, emettono frequenze percettibili dall'inconscio il quale elabora a suo piacimento la risposta da rivolgergli. Questo spiegherebbe tutto, poiché la teoria metafisica che sto elaborando, in sostanza, relega al caso le possibili reazioni umane. Eh già! Al caso. Perché sarebbe impossibile stabilire aprioristicamente, anche con scarsa approssimazione, la densità d'aria prodotta e il relativo sound. Chissà se un distorsore sonoro, in grado di modificare il suono originale della flatulenza al punto da renderlo gradevole, indipendentemente da età, contesto e altre variabili, potrebbe rendere gli esiti di peti e scoregge pronosticabili. Ma davvero può essere un fatto di modulazione di frequenza?
Vedendo che si era addormentata scoreggiai ancora per sperimentare l'effetto del peto nel sonno. Io ne risultai divertito mentre lei si disperava e, muovendo freneticamente braccia e gambe, pronunciava a più riprese: - Puzza, puzzaaa, puzzaaaaa! - . Un rutto funzionò come antidoto, facendole riprendere il suo sonno sereno. Pensai di divertirmi alternando rutti e scoregge ma preferii farla riposare nella speranza che il suo rilassarsi le portasse anche la voglia di riavvicinarsi a me. Senza spiegazioni valide e con un gran desiderio di scopare, silenziati i miei pertugi, decisi di preparami una tisana che non avevo voglia di bere.
Si svegliò mentre sorseggiavo il mio infuso, e conservando un atteggiamento offeso si versò un po' di tisana sedendosi a tavola con me. Tentai di fare conversazione per sbloccare la situazione ma lei continuava a rispondere a mezza bocca e a me, quella bocca, serviva intera. Bevve senza ringraziarmi. Nel frattempo, ricominciai ad interrogarmi per risolvere l'enigma e aprire le sue cosce. Nulla! Pur ricordando altre situazioni simili, non riuscivo a comprendere quale fosse l'esatto meccanismo che regolava i relativi comportamenti umani. Lavai le tazze con lei impassibile anche dinanzi al mio servilismo. Deciso a tornare a letto, un suono familiare e inaspettato catturò la mia attenzione. Un rutto da manuale. Senza alcuno imbarazzo cominciò a guardarmi poco prima di scoppiare a ridere. Ecco di nuovo una reazione che mai avrei pensato possibile e che comunque stimolò in me non solo stupore ma anche un'incredula risata che si sposava alla perfezione con la sua. Quel rutto ci aveva inaspettatamente riavvicinato. Perché? Modulazione di frequenza? Capivo in quello stesso istante che un rutto non è sempre un rutto, come un vaffanculo non è necessariamente un'offesa. Ma perché il suo rutto in quel momento era migliore del mio peto? Smisi di chiedermelo e andai ad abbracciarla ma ebbi la strana sensazione che non fosse più la stessa persona di qualche ora prima. Non so se nella vita di coppia siete abituati a scambiarvi rumori e relativi odori. Pensate sia un segno di maggiore intimità? Era la prima volta che la sentivo rumoreggiare in quel modo e addirittura lo aveva fatto con fierezza. Se il rutto ci aveva dato qualcosa allo stesso tempo ci stava togliendo altro. Questioni metafisiche o no, ricominciare a scopare divenne complicato e durante l'amplesso scoreggiai più volte per farla desistere dal continuare. Nulla da fare! Il mio petare era divenuto musica celestiale ed effluvio divino che abbracciava i nostri corpi rendendo il nostro sesso amore. Un ultimo tentativo disperato mi vide spingere con tutto me stesso per produrre una scoreggia lunga e altisonante. Sporcai le lenzuola. Smise di toccarmi e senza parole mi guardò con disprezzo.
Non eravamo ancora pronti per quel tipo di intimità.

Gomme

Io, Guglielmo Sanna, sono l'ultima ruota del carro alla Gommelbell dove produciamo gomme, o meglio, pneumatici.
Per l'esattezza sono le macchine a produrre, con precisione estrema e velocità non consentita all'uomo, figuriamoci a me. Dopo le macchine e dopo gli pneumatici stessi ci sono io: ultimo e unico operaio in questo capannone di oltre tremila metri quadrati. Ricevo ordini dal mio superiore che - inconsapevole penultima ruota del carro - dalla sua abitazione controlla l'andamento della produzione e mi dirige dagli altoparlanti installati in fabbrica. Anche le macchine mi comandano impartendo ordini dai monitor in maniera talmente chiara che anche un bambino potrebbe prendere il mio posto. Conosco ormai a memoria le loro disposizioni e così mi è sufficiente leggere le prime righe di ogni messaggio per obbedire ai miei padroni. Le uniche direttive che faccio fatica a comprendere sono quelle del mio capo umano, il suo eloquio disorganizzato assieme alla sua disartria genera un mix di informazioni confuse. Ogni sua idea di coordinamento delle attività, messa in pratica, tende a rallentare la produzione: le disposizioni generano un notevole numero di messaggi di aggiustamento che le macchine producono in autonomia, e quindi un relativo aumento del mio carico di lavoro. Immagino che per colpa sua qualche gomma sia esplosa per strada e quel botto abbia provocato morti o sordità. Senza quell'incompetente le cose filerebbero lisce ma forse il suo capo, ammesso ne abbia uno, è più coglione di lui e così, in questo mondo in cui la piramide delle competenze è invertita, non mi resta che seguire questo carrozzone fino a quando un altro uomo, che verosimilmente ora è ruota di scorta su qualche banco di scuola, prenderà il mio posto.
Il pensiero di tornare a casa mi rasserena, la certezza di avere una moglie che mi aspetta mi riscalda l'anima. Non abbiamo bambini, lei non può averne ma per me non è un problema, anzi, non credo riuscirei a sopportare il caos generato da marmocchi chiassosi e urlanti che girano per casa. Mia moglie Gilda è una donna tranquilla e sicuramente la pensa come me. È nata in Germania, da genitori tedeschi che non ho mai conosciuto di persona, e sta qui con me da circa sei anni. Mai nessun problema tra noi, nessun litigio. È bellissima. Anche oggi, come immaginavo, la trovo silenziosa sul divano ad aspettarmi. La cena non è pronta, non la prepara mai ma non è questo ciò che conta, queste sono inutili accortezze da donna italiana.
Mi avvicino, le sposto i capelli dalla guancia e la bacio delicatamente per non distoglierla dai suoi interessi.
Mi preparo un piatto di pasta in bianco, non c'è altro. Gilda non fa la spesa ma non importa. Non credo nei ruoli sessisti che la società impone. Non amo le consuetudini. “Mogli e buoi dei paesi tuoi” ma io voglio la mia tedesca bionda, così com'è.
Qualcuno direbbe che sono suo succube ma io sto bene. Quanti possono dire che con la loro mogliettina fedele che stira, lava, cucina, spolvera, ricama e rammenda, sono altrettanto soddisfatti della propria vita coniugale? Per non parlare del sesso! Gilda non mi ha mai detto di no. Mai una cefalea, mai una nausea, mai troppo stanca da non desiderarmi. E poi la mia Gilda non ama lo shopping e non le piace uscire, e io che sono un fottuto pigro non chiedo di meglio. Con lei non sono mai l'ultima ruota del carro, insieme sorvoliamo il mondo, un mondo che ci vede ma non ci comprende.
Mangio la mia pasta insapore mentre guardo la mia Gilda, la trovo un po' invecchiata, forse ha perso qualche capello ma a me piace esattamente come il primo giorno in cui ci siamo incontrati. Abbiamo fatto l'amore dopo pochi minuti di conoscenza o forse abbiamo solo scopato quella volta, è stato comunque bellissimo e lo è stato tutte le volte successive come lo sarà stasera. Le verrò dentro e anche se non può avere figli, lo farò per il gusto di farlo.
Mi riavvicino e sembra non darmi retta, ma io so che una donna come lei vuole sentirsi desiderata e io la desidero più di ogni cosa. Seduto sul divano, inizio ad accarezzarla. È solo un modo per farle capire le mie volontà che lei già conosce. Le donne sentono tutto. Mi avvicino sempre più mentre continua a stare immobile e fissa sul televisore, potrebbe sembrare disinteresse il suo ma in realtà è solo un gioco di ruoli, lei mi vuole, eccome! Se smettessi di toccarla ora mi salterebbe addosso, ma io la venero e non mi farò desiderare. Mi piace così: fredda all'apparenza. Le avvolgo il mio braccio intorno al collo e la porto a me. Il suo odore mi fa impazzire. Le metto l'altra mano sui seni e comincio a sentire il suo eccitamento che cresce assieme al mio. La sollevo dal divano per buttarla sul nostro letto ancora disfatto. Nemmeno il letto ha sistemato il mio amore ma non importa, tanto lo avremmo comunque sgualcito nuovamente. Ordinare la casa, altra attività tanto amata dalla società. “Scusa se casa è in disordine!” è una frase di cui non ho mai compreso l'esatto significato. In casa nostra le scuse non basterebbero ed ecco perché non facciamo entrare nessuno.
Il letto risulta comunque accogliente e così iniziamo a fare l'amore, fregandocene di chi ha un letto con lenzuola profumate e perfettamente stirate e che su quel letto può solo dormire poiché non ha le forze necessarie per fare altro, meglio un po' di polvere in più.
Gilda asseconda le mie voglie poiché è lei la prima a volere tutto. La volto e la prendo da dietro, entro dentro di lei senza provocarle dolore. Il suo buchino posteriore sembra fatto apposta per accogliere il mio pene: è un forellino perfettamente circolare e pulitissimo, anch'esso profumato, pare dedicato al solo atto sessuale. Le assesto dei colpi forti con ritmo incessante ma senza venire, so già che vorrò penetrare ogni suo pertugio, e conservo il mio orgasmo per concludere dentro la sua vagina e immaginare possa succedere il miracolo della vita. Sempre da dietro comincio a leccarle il culo fino a doverla girare per mettermi con la testa tra le sue gambe. La sua bocca aperta e muta che nemmeno emette un respiro mi fa intendere il suo piacere strozzarsi in gola. Non le do il tempo di chiuderla e ci infilo il mio uccello dentro fino a farlo scomparire. La guardo negli occhi che sostengono il mio sguardo e faccio fatica a trattenere il mio piacere. Mi sfilo dalla gola e lei non sembra provata da quella mia manovra potenzialmente asfissiante. È il sesso migliore che esista, penso mentre mi preparo alla mia ultima penetrazione: scendo col mio membro verso il basso e glielo ficco tra le cosce. Ci guardiamo. È amore e io lo dichiaro. Gilda ancora non proferisce parola. Mi eccita e mi spinge a scoparla più forte, sempre più forte e ancora di più.
Boooom!
Un boato interrompe il mio orgasmo e la sua vita. Gilda è rinsecchita e i suoi capelli giallo opaco le coprono il viso, parti di liquido gelatinoso e trasparente escono dalle sue cavità. Piatta giace sotto di me, incapace di darmi piacere. La vedo immobile e priva di forme, penso alla sua morte improvvisa cercando di valutare il lato positivo: è morta godendo. Verso lacrime inutili a riportarla in vita. Non c'è più nulla da fare. La prendo con due mani ed è davvero leggerissima, l'adagio sul divano per poi tornare sul mio letto disfatto. Chi mi rifarà il letto? Chi cucinerà d'ora in avanti? E chi pulirà la casa?
Gilda mi ha fatto un regalo: non mi ha lasciato in vita incapace di rimanerci. Sono un uomo autonomo, indipendente e questo soprattutto grazie a lei.
Decido di dormire. Sei anni sono sei anni ma anche la mia stanchezza comincia a farsi sentire. Mi addormento conservando una flebile speranza di poterla resuscitare.
Mi sveglio dal mio sonno rigenerante e sposto il mio sguardo socchiuso verso il divano da cui intravedo solo la sua chioma bionda. Mi preparo e una volta pronto la porto con me a lavoro auspicando di poter fare ancora qualcosa. Provo a immetterle aria nel corpo ma continua a sgonfiarsi, tento di riparare lo squarcio addominale subìto mentre penso alla sua ferita come a un taglio cesareo. Le macchine non possono aiutarmi e io, ultima ruota del carro, non posso aiutare lei. Anni di lavoro con la gomma e ora non riesco ad aggiustare questo pezzo di plastica di cui sono innamorato. La mia Gilda mi ha lasciato per sempre e mentre le porgo un ultimo saluto prima di cestinarla nella differenziata, dagli altoparlanti del capannone il mio superiore umano mi redarguisce: sono in ritardo rispetto ai normali tempi di produzione.
Lo maledico, e penso che se mia moglie è scoppiata è anche colpa sua e di chi ha prodotto la mia Gilda difettata. Un macchinario mi sputa addosso uno spillo, lo estraggo dalla mia coscia e abbassandomi i pantaloni nessuna perdita d'aria.
Intanto dai monitor “Nessun messaggio d'errore”.
Daniel Monardo
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