Writer Officina Blog
Ultime Interviste
Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
Altre interviste su Writer Officina Magazine
Ultimi Articoli
Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP, ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo già formattato che per la copertina.
Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
Home
Blog
Biblioteca New
Biblioteca All
Biblioteca Top
Autori
Recensioni
Inser. Romanzi
@ contatti
Policy Privacy
Writer Officina
Autore: Yuri Giangrande
Titolo: L'odio di una mente diabolica
Genere Thriller Giallo
Lettori 3411 31 60
L'odio di una mente diabolica
L'intro di chitarra di Slash squarciò il silenzio presente in camera da letto. Eppure non bastò a spezzare il sonno del vicequestore Stefano Masini. Dovette intervenire la voce al vetriolo di Axl Rose a completare l'opera. Mentre Sweet Child o Mine, uno dei più grandi capolavori della storia del rock, prendeva forma, spalancò svogliatamente gli occhi. Attirato dalla voce del frontman dei Guns n' Roses, il suo gruppo preferito, si avvicinò alla fonte da cui la musica era partita. Portò il cellulare all'altezza degli occhi. Il display recitava numero sconosciuto. Ogni residua traccia di sonno scomparve. Imprecò ad alta voce per quel brusco risveglio.
Esitò ancora un attimo prima di rispondere. Guardò l'ora. Le cinque e trentasette.
Solitamente, quando riceveva una chiamata a quell'ora del mattino, qualche povero cristo aveva fatto una brutta fine e a lui spettava il difficile compito di fare chiarezza sull'accaduto. Vista la sua intricata situazione personale, dubitava che il motivo della chiamata potesse essere quello.
-Pronto -
Quando finalmente si decise a rispondere, fu tutto quello che riuscì a dire.
-Alla buon'ora vicequestore! Stavo per venirle a suonare a casa - Disse la voce cavernosa di un uomo, con un marcato accento siciliano.
-Chi parla? - Chiese Stefano, cercando invano di associare un'identità a quella voce.
-Sono Alfio Laganà, e di mestiere faccio il sostituto procuratore. Mi scuso se l'ho svegliata così presto, ma ho bisogno di lei -
-Di me? - Chiese Stefano incredulo.
-Sì. È lei il vicequestore Stefano Masini, dico bene? -
-Certo -
-E allora parlo con la persona giusta. Senta, un paio d'ore fa ci è arrivata una segnalazione che ci informava del ritrovamento del cadavere di una giovane ragazza in Calle Comello-
-E allora? -
-Come “e allora?”. Ma lei ci è o ci fa Masini? Secondo lei mi sono preso la briga di tirarla giù dal letto alle cinque del mattino perché non avevo altro di meglio da fare? -
-Direi di no -
-Che perspicacia! Comunque sia abbiamo questo caso di omicidio sul groppone. La faccenda è parecchio delicata. Da quel poco che abbiamo appreso non si tratterebbe di una vittima qualunque. Non so se mi spiego... -
-Continuo a non capire cosa centro io in tutto questo -
-Incredibile! Eppure ho sentito parlare un gran bene di lei. Molti la descrivono come un valido investigatore, per giunta molto intelligente. Mi pare evidente che le voci che circolano siano alquanto gonfiate. Senta Masini, le sto chiedendo di recarsi quanto prima sulla scena del crimine in modo da prendere le redini dell'indagine -
-Com'è morta? - Chiese Stefano sentendo affiorare la consueta curiosità professionale.
-Pare le abbiano piantato due pallottole in testa. Ora non posso e non voglio stare a perdere troppo tempo al telefono, dilungandomi in spiegazioni interminabili. Anche perché i fatti che mi sono arrivati sono piuttosto frammentari. Quello che le chiedo è di raggiungere la sua squadra, che si trova già sul posto. Il suo vice ha tutte le informazioni del caso e non appena arriverà, la aggiornerà, fornendole i vari dettagli -
Stefano aggrottò la fronte, non riuscendo a capire quello che stava succedendo. Soltanto fino a pochi istanti prima era sospeso dal servizio a tempo indeterminato, e ora era stato svegliato di soprassalto da un magistrato che non conosceva per indagare su un caso di omicidio. Ripensò a quel nome, Alfio Laganà. Non era la prima volta che lo sentiva. La lampadina si accese qualche istante più tardi. Laganà era il sostituto procuratore arrivato all'incirca cinque mesi prima da Palermo per sostituire Alessio Tonucci che, dopo una longeva ed onesta carriera, se n'era andato in pensione. In quell'ultimo anno Stefano si era completamente estraniato da tutto. Se non fosse stato per l'articolo scritto da una sua amica giornalista, che evidenziava il passaggio di testimone tra i due magistrati, non avrebbe saputo alcunché.
-Freni un attimo Laganà. Mi sveglia alle cinque del mattino e mi chiede di recarmi sulla scena di un crimine, ma forse non sa che non ho l'autorità per farlo. Io non l'ho mai sentita nominare. Evidentemente dev'essere arrivato a Venezia da poco. Attualmente sono sospeso dal servizio. A quanto ne so, nessuno si è preso la briga di annullare gli effetti della sospensione, per cui non vedo proprio come potrei esserle utile -
-È qui che si sbaglia. Ho letto il suo fascicolo. So già tutto. E poi che cosa sono tutte queste domande? Se l'ho chiamata e le ho mosso determinate richieste è per un motivo ben preciso no? Coraggio, la smetta di tergiversare e faccia quello che le ho chiesto. Sempre che non abbia di meglio da fare, cosa di cui dubito data la quantità di tempo libero che ha a disposizione. Detto questo, gradirei se si vestisse e portasse il culo in Calle Comello entro mezz'ora. Crede di potermi accontentare? -
-E il questore, come l'ha presa? Sa, non corre buon sangue tra noi e considerando l'impegno profuso per riuscire a sospendermi, non credo che sarà entusiasta di rivedermi in pista -
-Le importa davvero cosa pensa Mascagni? -
-Sinceramente no, ma... -
-E allora mi dia retta e vada a prendere visione di quella benedetta scena. Comunque sia lei non si deve preoccupare di nulla. È tutto regolare. Ho appena parlato con Borelli. L'ho dovuto spremere come un limone, ma alla fine ha acconsentito al suo reintegro con effetto immediato. Mi ha assicurato che redigerà oggi stesso una relazione attestante il suo completo recupero -
Luca Borelli era lo psicologo a cui era stato destinato dal momento in cui la sospensione era divenuta effettiva. Era da più di un anno che quell'uomo dai modi pacati si era appropriato degli aspetti più intimi della sua vita, nel disperato tentativo di mettervi un po' d'ordine. Se fosse dipeso da lui, non avrebbe acconsentito al suo rientro. Era ancora presto. Il percorso riabilitativo che avevano intrapreso non era giunto alla sua conclusione. Gliel'aveva detto giusto la settimana prima, durante il loro ultimo incontro. Evidentemente le pressioni del magistrato erano state tali che lo psicologo aveva dovuto cedere, acconsentendo a un reintegro che, in condizioni normali, non si sarebbe mai sognato di vidimare.
-Ci sarà anche lei sul posto? -
-No, ho una giornata piuttosto impegnata. Una volta che avrà finito il sopralluogo, mi raggiunga pure nel mio ufficio. Facciamo per le nove in punto. Così potrà aggiornarmi come si deve. Se ha finito con le domande la pregherei di smetterla di farmi sprecare tempo e parole -
-Come faccio con il tesserino e la pistola? -
-Andiamo Masini, per chi mi ha preso? Lei davvero crede che prima di chiamarla non abbia pensato a tutto? Il suo vice, Durando, ha tutto con sé. Non appena arriverà sulla scena, le ridarà il suo benedetto tesserino e la sua benedetta pistola. C'è altro? -
Pronunciate quelle ultime due parole, Stefano lo sentì trarre un profondo respiro, segno che stava cercando con tutto se stesso di mettere a tacere l'incondizionato bisogno di mandarlo affanculo per il tempo che gli stava facendo perdere.
-No. Il tempo di una doccia e raggiungo la mia squadra sul posto -
Il magistrato interruppe la comunicazione senza prendersi la briga di salutarlo. Stefano rimase in silenzio per alcuni secondi, metabolizzando gli ultimi accadimenti. Quando si riebbe, mosse verso il bagno. Si spogliò e si introdusse all'interno del box doccia. Attese paziente che l'acqua venisse calda, poi si lasciò accarezzare dal corroborante effetto del getto a contatto con la pelle tesa.
Aveva di nuovo un caso su cui indagare. Ormai era da più di un anno che era stato sospeso a tempo indeterminato, e, francamente, non pensava che la cosa si sarebbe risolta tanto presto. Doveva essere piuttosto complicata quell'indagine, se il magistrato si era esposto al punto di fare annullare gli effetti della sospensione.
Non si trattava di una ragazza qualunque. Così aveva detto Laganà. Leggendo tra le righe, Stefano immaginò che il cadavere potesse appartenere a una giovane ragazza dell'alta società veneziana. In passato gli erano capitati casi simili per le mani, e doverli trattare si era rivelato ben più complicato del solito. In primis perché quelle a cui appartenevano le vittime erano famiglie potenti, e averci a che fare era tutt'altro che semplice. Poi c'era la questione legata ai giornalisti. Le pressioni e le insistenze che palesavano di solito erano niente se paragonate all'atteggiamento opprimente con cui si approcciavano a questo genere di casi. L'assassinio di una giovane ragazza dell'alta società veneziana rappresentava lo scoop per eccellenza, la notizia che si vendeva da sola, e questo li rendeva delle vere e proprie belve ingestibili.
I pensieri lo portarono a incagliarsi sulla sgradevole sagoma del questore di Venezia. Maurizio Mascagni era un uomo borioso, arrogante e ottuso. Un vero stronzo, per quel che lo riguardava. Stefano aveva avuto modo di scontrarsi con quell'individuo supponente in più di un'occasione. A Mascagni non piacevano i suoi modi, talvolta violenti e sopra le righe. E poco importava se quegli stessi modi violenti gli avevano permesso di risolvere un'alta percentuale di omicidi.
Tra loro non era mai corso buon sangue, eppure si tolleravano per il bene comune. La verità era che Mascagni non aspettava altro che il minimo pretesto per farlo fuori dalla polizia. Stefano ricordò di aver scorto un insano trionfo nei piccoli occhi neri del questore quando gli aveva comunicato la sospensione.
Certo che Alfio Laganà doveva avere più di qualche santo in Paradiso per essere riuscito a farlo reintegrare, nonostante il risentimento che Mascagni covava nei suoi confronti.
Stanco di torturarsi con quei pensieri, uscì dalla doccia. La consapevolezza di avere nuovamente un caso per le mani accrebbe gradualmente in lui, e la ruggine prodotta dall'inattività cedette il passo all'adrenalina.
Immobile davanti allo specchio della cabina armadio, Stefano guardò la propria immagine riflessa. L'anno d'inattività aveva sicuramente inferto dei colpi al suo spirito, ma non poteva dirsi lo stesso del corpo, che allenava strenuamente almeno quattro volte alla settimana. Sebbene avesse toccato i quarantadue anni, i muscoli si presentavano ancora tonici, e ogni fibra del corpo era agile e scattante. Tutto merito del suo passato da pugile, che non solo gli aveva insegnato il valore del duro allenamento ma anche della costanza e della tenacia, due virtù che ne avevano fatto l'uomo che era.
Stefano indossò le mutande, rigorosamente boxer, odiava gli slip. Poi si frizionò i capelli, che portava rasati sui lati e leggermente più lunghi sulla parte alta della testa. Diversi capelli bianchi cominciavano a presentare il conto di un'età non più verde come un tempo, ma lui era pronto ad accoglierli senza grossi problemi. Non temeva di invecchiare, era una persona pratica. La vita procedeva spedita scandendo inesorabile le sue fasi, ciò che contava era viverle appieno in modo da non dover collezionare grossi rimpianti. E lui poteva dire con orgoglio di non averne. Davvero.
Riempì il suo metro e settantacinque di altezza con una camicia bianca, sopra la quale appose una giacca blu scuro. Vi abbinò un paio di pantaloni fatti su misura dello stesso colore della giacca. Completò l'operazione di vestizione con delle francesine lucide nere. L'eleganza era da sempre stata il suo marchio di fabbrica. Anche in questo era un poliziotto atipico. La maggioranza dei suoi colleghi vestiva sportivo.
L'alta moda lo aveva sempre affascinato. Potendoselo permettere, provenendo da una famiglia agiata, si faceva commissionare i capi da una delle più famose sartorie di Venezia.
Era pronto. Ma lo era per davvero? Era una domanda a cui, ora come ora, non sapeva proprio dare una risposta. Il dubbio lo colse di sorpresa, creando una crepa nel muro della sicurezza che lo aveva sempre contraddistinto. Non era la prima volta che gli capitava una cosa del genere. Nell'ultimo anno era successo diverse volte. E in quei casi una domanda si ergeva sulle altre a tormentarlo: era ancora in grado di svolgere il suo lavoro come si doveva? Col tempo aveva imparato a gestire quelle insicurezze, a spazzarle via, tornando padrone delle proprie ansie, e così fece, cercando un po' di quiete nel suo porto sicuro, ovvero la terrazza di casa sua. Così ci si fiondò, impedendo alla mente di torturarlo ancora. Quando vi giunse, gettò uno sguardo su Venezia, che si stagliava maestosa davanti ai suoi occhi, e ogni dubbio svanì all'istante.
Una sensazione di calma rasserenante prese a cullare i suoi nervi, mentre un'aria frizzante lo investì con quella sua spinta pungente. Non che facesse freddo.
Era da poco iniziato il mese di marzo e il clima, fino a quel momento, si era mostrato clemente. Eppure la brezza che spirava su Venezia in quel periodo dell'anno più di qualche brivido riusciva a causarlo. Era una sensazione che amava. Gli ricordava una delle tante peculiarità della sua amata città.
Sentì che stava tornando a carburare. Non vi era più traccia di insicurezza in lui. Era una persona incasinata, piena di problemi, ma se c'era una cosa che sapeva fare bene era il suo lavoro. Sulla scia di questa ritrovata consapevolezza, si prese un minuto per perdersi nello spettacolo che soltanto Venezia ammantata dalle prime luci dell'alba era capace di offrire. Guardò in direzione di piazza San Marco. A quell'ora del mattino la confusione che la caratterizzava per gran parte del giorno era solamente un lontano ricordo. Immaginò il silenzio dominare la piazza, incrinato appena dai gabbiani e dai piccioni che, approfittando dell'assenza dell'uomo, sciamavano da ogni direzione per litigarsi le briciole di pane a suon di lamenti gracchianti. Di lì a breve i primi turisti avrebbero fatto capolino, riempiendo ogni anfratto della città dei loro schiamazzi eccitati. L'idillio si sarebbe inevitabilmente spezzato, e avrebbe dovuto attendere l'alba del giorno successivo per potersi ripetere, dando vita a quel ciclo infinito che faceva della sua amata città un luogo unico nel suo genere.
Era il momento di andare. Come alla ricerca di un auspicio positivo, volse un'ultima volta lo sguardo in direzione di San Marco e finalmente si sentì pronto. Prima di uscire di casa indossò il suo cappotto preferito, cacciando una mano in tasca, proprio dove solitamente si trovava il tesserino. Sorrise amaramente per quel gesto istintivo. Avvertirne la presenza, subito prima di recarsi sulla scena di un crimine, gli infondeva coraggio. Sperò che non raffigurasse un cattivo presagio e, senza indugiare oltre, si tuffò tra le caratteristiche vie della Serenissima, pronto a rendere giustizia alla povera ragazza che era stata assassinata.

Il vicequestore Stefano Masini si lasciò alle spalle Fondamenta Moro, piegando a destra per Calle Zancani. Mentre camminava spedito tra le Calli di Venezia, la mente andava costantemente alla telefonata di Laganà. Il sostituto procuratore lo aveva svegliato alle cinque del mattino per affidargli il comando di un'indagine. Doveva essersi servito di tutta la sua influenza per riuscire a farlo reintegrare con effetto immediato. Persino Borelli, al quale spettava l'ultima parola, aveva dovuto piegarsi alla sua volontà. Questo la diceva lunga sul potere che quell'uomo era in grado di esercitare.
Giunto al fondo di Campo Santa Fosca, prese a sinistra per Strada Nova. Trattandosi di una delle principali arterie pedonali della città, in quanto collegava la stazione di Santa Lucia con Rialto, nonostante l'ora, la via presentava già un certo fermento.
Faticava ancora a credere che gli eventi dell'ultima ora fossero accaduti realmente.
L'ultimo anno era stato un calvario. L'allontanamento forzato dalla polizia aveva scavato in lui ferite profonde. L'inattività stava seriamente rischiando di farlo impazzire. Poi era arrivata la chiamata del magistrato, e attraverso la cappa di buio che ottenebrava la sua esistenza aveva visto emergere i primi raggi di un sole luminoso.
Quel groviglio di pensieri svanì una decina di minuti più tardi, quando vide in lontananza l'imbocco della Calle. La scena del crimine era delimitata dal classico nastro giallo.
L'adrenalina si propagò rapidamente, aggredendo ogni fibra del suo corpo, regalandogli quel misto di tensione e concentrazione che era solito provare quando si approcciava a un caso.
A presidiare l'imbocco della lunga e stretta via vi erano due agenti in uniforme, che si dannavano l'anima per riuscire a tenere a bada i giornalisti e i curiosi assiepati lì intorno, che sembravano avvoltoi pronti a calare sulla preda. Guardò tra la piccola folla alla ricerca di una persona in particolare. A una prima occhiata non la vide. Rimase sorpreso. Non era da lei mancare a una scena del crimine di quella rilevanza.
-Stefano, aspetta! -
In quel preciso istante evinse di essersi clamorosamente sbagliato. Si lasciò vincere da un sorriso divertito riconoscendo il tono di voce, squillante e perentorio insieme. Sapendo per esperienza di non poterne eludere le attenzioni, attese che la figura di una donna dalle fattezze minute e dal piglio deciso emergesse tra la massa indisciplinata.
-Alessandra, come mai non sono sorpreso di vederti qui? -
-Ero convinta che fossi ancora sospeso. Se vogliamo dirla tutta, sono io ad essere sorpresa di vederti qui - Rispose la giornalista con la schiettezza che l'aveva sempre contraddistinta.
-Che vuoi che ti dica? Sono stato reintegrato proprio stamane. A quanto pare ci è toccato un caso particolarmente complicato. Ai piani alti devono aver capito che senza il loro migliore investigatore non sarebbero riusciti a combinare niente di buono e così eccomi qua - Disse Stefano spalancando le braccia, in un gesto volutamente arrogante.
-Avevo dimenticato quanto potessi essere detestabile vicequestore. A parte gli scherzi, hai qualcosa da dirmi? -
-Con ogni probabilità, al momento, ne so meno di te. Inoltre siamo appena alla fase preliminare. Lo sai che, anche volendo, non potrei dirti niente -
-È vero che la vittima è Alessia Peron? Rispondi almeno a questa domanda e giuro che ti lascio stare -
Quel nome gettò Stefano nello scompiglio più totale. Alessia Peron era una delle ragazze più ricche dell'intero panorama nazionale. I genitori erano titolari di una catena di alberghi di lusso presenti in tutto il mondo. Se il cadavere fosse realmente appartenuto a lei, riusciva a spiegarsi il motivo per cui Laganà si era dato tanto da fare per rimetterlo in sella.
-Che tu ci creda o no, Alessandra, il nuovo sostituto procuratore mi ha tirato giù dal letto stamane per dirmi che ero appena stato reintegrato e mi era stato assegnato un caso. Purtroppo non si è sbottonato granché per telefono e devo ammettere che, al momento, brancolo nel buio tanto quanto te. Anzi, considerando il fatto che sembri conoscere l'identità della vittima, direi che sei più informata di me riguardo ciò che è accaduto qui. Ora scusami, ho una scena da esaminare -
Stefano ritenne chiusa la conversazione. Alessandra stava diventando troppo insistente per i suoi gusti, e poi non aveva davvero altro da aggiungere. Così fece segno a uno dei due agenti di sollevare il nastro giallo, addentrandosi nella scena del crimine.
-Non fare lo stronzo, Stefano! Ricordati che ho l'esclusiva - Disse la donna vedendolo sparire in lontananza, tradendo una certa impazienza nel tono deciso della voce.
Con quell'ultima frase, Alessandra Reccese aveva voluto mettere l'accento sul tipo di rapporto che li legava. Ogni giornalista che si rispettava possedeva una fonte all'interno della questura che, a tempo debito, lo informava sugli sviluppi dell'indagine. Stefano rappresentava la sua. In più di un'occasione aveva contribuito alla realizzazione dei suoi pezzi. Per contro, la donna gli aveva fornito svariate dritte che si erano rivelate fondamentali per la risoluzione di alcuni casi. A Stefano piaceva la sua schiettezza, ma più di tutto, ciò che l'aveva spinto a fidarsi ciecamente di un esponente della carta stampata, era il fatto che Alessandra non avesse mai cercato di fregarlo. Era una persona autentica e leale, il cui unico scopo era quello di giungere alla verità. Era merce rara, se rapportata all'ambiente di avvoltoi di cui faceva parte. Tra loro aveva sempre aleggiato una certa tensione sessuale. Lui la trovava una donna molto sexy. Le esili fattezze raccolte all'interno degli eleganti tailleur che indossava nascondevano delle forme invitanti. Se c'era una cosa poi che meritava una menzione particolare era il sedere. Una vera opera d'arte, uno dei fondoschiena più invitanti che avesse mai visto. E Stefano sapeva che l'attrazione che covava per lei era ampiamente ricambiata. Non ci voleva un genio per capire che si piacevano a vicenda. Gli indizi erano fin troppo chiari, e non avevano mai fatto niente per mascherarli. Eppure, per il bene del rapporto lavorativo che li legava, nessuno dei due era disposto a correre il rischio che una possibile relazione lo contaminasse, per cui avevano sempre dominato i propri istinti, fingendo di accontentarsi di un rapporto di amicizia che in realtà non soddisfaceva proprio nessuno.
Presto o tardi avrebbero dovuto affrontare quello che c'era tra loro. Era solamente una questione di tempo e lo sapevano entrambi.
Stefano cominciò a percorrere la cinquantina di metri che lo separava dalla scena vera e propria. Il cadavere, infatti, si trovava in fondo alla via. Il passaggio stretto ed angusto era delimitato su entrambi i lati da una sfilza interminabile di condomini, che sembravano sfiorare il cielo talmente erano alti.
Portoni d'ingresso e finestre di diversa grandezza si riproponevano a ripetizione. La prima cosa da fare era interrogare gli abitanti della Calle. Con tutte quelle finestre, la possibilità che qualcuno avesse visto qualcosa era concreta.
La strada curvava leggermente, sino a tracciare un rettilineo che proseguiva per una ventina di metri, esattamente dove la Calle andava a finire. Di fronte alla via era situata un'imponente palazzina che avrebbe avuto bisogno di una rimodernata. La struttura fatiscente presentava anch'essa un campionario di finestre. Nel mezzo scorreva il flusso instancabile del Rio dei Santissimi Apostoli, che faceva da spartiacque tra la palazzina e il limitare della Calle.
Gli uomini della scientifica, che erano in tre, si dividevano faticosamente il poco spazio a disposizione, analizzandone ogni singolo anfratto, alla ricerca di prove. C'era un quarto uomo oltre a loro, che si teneva in disparte. Era il suo vice. Lo stava aspettando. Era voltato di schiena e non lo vide arrivare.
Il fotografo della scientifica sostava inginocchiato sul bordo del marciapiede, oltre il quale era attraccata una piccola imbarcazione. Il cadavere doveva trovarsi al suo interno, e lui stava facendo le fotografie di rito in tutte le angolazioni. Stefano vide il sostituto commissario Luca Millico, il capo della scientifica, chinarsi accanto al suo uomo. Ebbero un rapido scambio di battute, poi il fotografo gli mostrò gli scatti appena effettuati.
Il volto di Millico faceva trasparire una certa insoddisfazione. Lo conosceva abbastanza bene da capire che non erano stati in grado di ricavare granché da quella scena del crimine.
-Stefano! È bello rivederti in azione. Ero proprio stanco di prendermi tutti i meriti -
La voce profonda era quella di Marco Durando, il suo vice, un ispettore dotato di un certo acume. I capelli erano sparati verso l'alto disegnando la spinosa forma di una spazzola. Una barba spessa ma curata finemente ornava gran parte del viso. Era sempre andato fiero della sua barba. L'espressione sicura era sporcata dalla solita aria di superiorità, che a tratti lo rendeva detestabile. Sul suo viso albeggiava un sorriso sincero, mentre protendeva la mano, dandogli il bentornato.
Provava un profondo affetto nei confronti di quel ragazzo. Lo considerava un ragazzo perché era più giovane di lui. Durando aveva appena trent'anni ma era già sposato, con una svedese mozzafiato, con figli. Due per la precisione.
Quando lo avevano sospeso dal servizio, era stato uno dei pochi a non voltargli le spalle. In lui Stefano aveva trovato un paziente ascoltatore, pronto a farsi carico delle sue inquietudini. Nelle loro serate, fatte di introspezione e sincerità, il Jack Daniels scorreva a fiumi, e lui si era messo a nudo come non aveva mai fatto con nessun altro nella sua vita. Ciò che gli piaceva del giovane sottoposto, era il fatto che non lo avesse mai giudicato. Capiva i patimenti e le sofferenze che aveva dovuto affrontare e, in qualche maniera, lo aveva sempre spalleggiato in ogni sua scelta, giusta o sbagliata che fosse. Certo aveva l'abitudine di fargli pesare la propria opinione. Non aveva peli sulla lingua Durando, e diceva apertamente quello che pensava. Nonostante questo gli aveva sempre mostrato una fedeltà totale. Aveva preso le sue parti, difendendolo a spada tratta, anche quando aveva quasi pestato a morte il reo confesso di un omicidio su cui stavano indagando. Era stato quell'episodio a costargli la sospensione dal servizio. Il questore sembrava non aspettasse altro. Percependo il potere mediatico del caso, desideroso di distruggere la sua carriera, lo aveva gettato subito in pasto ai giornali, sulle cui prime pagine giganteggiava la sua immagine. Gli articoli delle principali testate nazionali riferivano pressoché la medesima storia, e non si facevano grossi problemi nel gettargli addosso fango e discredito. L'unica voce fuori dal coro era quella di Alessandra Reccese. La sua amica continuava a dipingerlo come un poliziotto integerrimo, spingendo per il beneficio del dubbio fino a prova contraria, producendo tutte le attenuanti del caso. Poi era arrivato il processo. La reputazione di Stefano era stata fatta a brandelli e l'espulsione dalla polizia sembrava ormai cosa decisa. Con grande sorpresa di molti, che già pregustavano la sua cacciata, compreso il questore, il giudice optò per una sospensione a tempo indeterminato. Per non essere licenziato, Masini avrebbe dovuto sottoporsi a delle sedute di psicoterapia. Su questo il giudice era stato categorico. Così era iniziato un lungo percorso riabilitativo che durava da poco più di un anno. La sua carriera era finita nelle mani di un uomo che poteva disporne come meglio credeva. A suo modo di vedere, era solo una perdita di tempo. Eppure il coltello dalla parte del manico ce l'aveva proprio lo psicologo. Sarebbe stato lui a decidere quando fosse giunto il momento del suo reintegro. Poi era arrivata la chiamata di Laganà, e l'inferno in cui era stato catapultato nell'ultimo anno sembrava essersi dissolto come per magia.
-Ciao Marco. Hai la mia roba? -
-Certamente. Ecco qua. Tesserino e pistola -
Stefano li prese e sistemò il tesserino nella tasca interna della giacca e la pistola nella fondina. Quindi cercò istintivamente lo sguardo di Luca Millico. Il capo della scientifica sembrò intuire le sue intenzioni perché, pochi istanti più tardi, si voltò al suo indirizzo. La sua espressione nel riconoscerlo tradì uno stupore talmente accentuato da farlo sorridere. Poi lo sconcerto si dissolse e Millico lo salutò, muovendo impercettibilmente la testa, mostrandogli a sua volta un sorriso sincero.
-Il cadavere si trova all'interno di quel Caicio - Disse Durando indicando l'imbarcazione che aveva visto pocanzi, ancorata lungo Rio dei Santissimi Apostoli.
Il Caicio non era altro che una piccola barca a forma di guscio di noce con costruzione a clincker. In laguna non se ne vedevano quasi più. La sua peculiarità era che si vogava di punta, ossia guardando verso la scia dell'imbarcazione, con due remi per vogatore.
-Il pelato arrogante ha già esaminato il corpo? - Chiese Masini, facendo riferimento al medico legale, che lui e il suo collega erano soliti appellare in quel modo.
-Non ancora. Dovrebbe arrivare a momenti. Tu guarda, parli del diavolo e spunta la pelata - Disse l'ispettore indicando con l'indice della mano destra protesa in avanti un taxi che si avvicinava a velocità sostenuta. La barca attraccò e Valerio Biasin, il medico legale, scese dirigendo i suoi passi misurati nella direzione del Caicio con a bordo il cadavere.
Tutto in quell'uomo era irritante. Persino il suo modo di camminare, lento ed altero. L'espressione seccata del volto rivelava che avrebbe preferito essere in qualunque altro posto. Dotato di una supponenza proverbiale, Biasin era il classico tipo convinto di avere sempre ragione, qualunque fosse l'argomento in questione. Arroccato dietro le proprie convinzioni, non c'era mai modo di convincerlo del contrario. Era realmente una persona detestabile. Stefano aveva impiegato poco tempo a capire che stare a discuterci era un'inutile perdita di tempo e, forte di questa consapevolezza, aveva deciso di limitarsi a parlare dello stretto necessario. Il che si traduceva nel trattare esclusivamente gli aspetti lavorativi. Valerio Biasin era un uomo sulla quarantina. Aveva un fisico asciutto, conseguenza della passione per la corsa, che praticava almeno tre giorni alla settimana. Sul metro e ottanta, il cranio voluminoso completamente calvo era il suo maggiore segno distintivo. Gli occhi azzurri, che stonavano non poco con l'anonimato generale che lo caratterizzava, erano coperti da un paio di occhiali da sole, che sfoggiava con una certa strafottenza.
Stefano osservò l'ultimo arrivato scambiare un paio di battute con Millico. Poi lo vide aprire la borsa con i suoi attrezzi, e solo quando si chinò sulla vittima per esaminarla distolse lo sguardo, tornando a concentrarlo sul suo vice.
-Ascolta una cosa Marco, che sai di questo Laganà? -
-Non molto a dire il vero. L'ho incontrato un paio di volte. Considera che è qui da pochi mesi, e questa è la prima indagine degna di nota che gli sia capitata finora. Gira voce che Mascagni sia un chierichetto in confronto. Da quel poco che ho sentito, è meglio tenerselo amico. Che altro ti posso dire? Ah sì, ha una faccia troppo assurda. Sembra Jigen -
-Jigen? - Fece il verso Stefano, non riuscendo a capire.
-Eh, Jigen. Non hai mai visto i cartoni animati di Lupin? Jigen, il suo amico pistolero. Gli assomiglia un casino - Disse Durando facendosi una grossa risata.
-Da chi è arrivata la segnalazione? - Chiese il vicequestore, scuotendo la testa, riportando il dialogo sul binario dell'omicidio.
-Da una giovane coppia di ritorno da una serata trascorsa in un locale di piazza San Marco. Stavano rincasando quando la ragazza ha visto un qualcosa di indefinito giacere all'interno dell'imbarcazione. A quel punto si è avvicinata, rendendosi conto della presenza di un cadavere. In preda al panico è scoppiata a piangere. È stato il ragazzo a chiamarci. Erano passate le tre da qualche minuto> - Disse Durando.
Stefano rifletté su quell'ultima informazione. La polizia era stata informata del ritrovamento del cadavere intorno alle tre. All'incirca due ore e quaranta minuti prima rispetto alla telefonata di Laganà, che lo informava del suo reintegro. Il che voleva dire che il sostituto procuratore aveva smosso mari e monti in un lasso di tempo piuttosto ristretto, pur di averlo a capo delle indagini. La cosa gli diede un certo piacere.
-Dove sono adesso? Ci vorrei parlare -
-Non ce n'è bisogno, Stefano. Li ho già interrogati io. Al di là del ritrovamento del cadavere, non sono stati in grado di fornirci alcuna informazione utile. Il ragazzo mi ha assicurato di non aver visto nessuno di sospetto allontanarsi dalla scena del crimine, così li ho lasciati andare -
-Per prima cosa dobbiamo andare casa per casa. Bisogna cercare di capire se gli abitanti della via hanno visto o sentito qualcosa di sospetto. È pieno zeppo di finestre qui intorno. Magari qualcuno ha sentito lo sparo, se uno sparo c'è stato, o ha visto l'assassino o gli assassini allontanarsi. Potrebbero anche averla uccisa altrove, abbandonato il corpo in quel guscio per poi scappare via mare. Dobbiamo approfondire tutte le piste possibili -
-Di questo se ne stanno già occupando Caligara e Bechis. Ho detto loro di chiamarmi non appena avranno concluso gli interrogatori> - Disse Durando e aggiunse: -Accanto al cadavere c'era una borsa. Ne abbiamo già esaminato il contenuto. A parte il cellulare, pare non manchi niente. C'erano duecento euro all'interno del portafogli e non sono stati toccati -
-Ben fatto Marco. Quindi non si è trattato di una rapina -
-Direi proprio di no. Anche perché la vittima portava al collo una collana di diamanti piuttosto vistosa. Non me ne intendo assolutamente, ma credo di poter dire senza grossi dubbi che il valore sia piuttosto alto. Il fatto che l'assassino gliel'abbia lasciata avvalora ulteriormente l'ipotesi che non si sia trattato di una rapina -
-È vero che si tratta di Alessia Peron? -
-Tu come fai a saperlo? -
-Lascia perdere. Ora capisco perché si sono dati tanto da fare per rimettermi al mio posto. Vista l'importanza della famiglia in questione, è chiaro che non vogliano vedere alzarsi un polverone. Già me lo vedo Mascagni. Farà qualunque cosa in suo potere per tenere la stampa all'oscuro - Disse Masini che non faceva niente per dissimulare la poca simpatia covata nei confronti del questore.
-E così dovremo fare anche noi. Laganà è stato categorico. Questo caso va gestito con la massima discrezione. È di fondamentale importanza che non interagiamo con i giornalisti. In qualunque direzione ci porterà l'indagine, non dovremo dire loro alcunché. Spetterà a Mascagni il compito di affrontare i media in conferenza stampa, ma non gli dirà niente più dello stretto necessario - Disse Durando.
-Prima ho scambiato due parole con la Reccese. È stata lei a informarmi dell'identità della vittima. Se è già riuscita a scoprirlo lei, con ogni probabilità anche le altre principali testate nazionali ne saranno venute a conoscenza. Stando così le cose, non sarà facile tenere a bada i media. Non ci daranno respiro. Niente male davvero. Dopo più di un anno di inattività non poteva capitarmi un caso peggiore. Sarà dura venirne a capo. Vieni, andiamo a sentire il parere del pelato - Esclamò Stefano, muovendosi in direzione di Biasin.
-Ciao Valerio -
Il medico legale si voltò di scatto e stette a fissarlo con un'espressione indecifrabile per una manciata di secondi. Poi tornò a dedicare la sua attenzione al cadavere e soltanto allora rispose.
-Guarda un po' chi si è degnato di farci visita. Mio caro Stefano Masini, tu sei l'ultima persona che mi sarei aspettato di vedere qui stamattina. E dimmi, che cosa sei venuto a fare? Nostalgia del lavoro? -
-Già, più o meno. Devono essersi dimenticati di dirtelo. Sono appena stato reintegrato e, indovina un po' a chi sono state affidate le indagini? -
-Ai piani alti devono essere davvero disperati se hanno deciso di annullare gli effetti della sospensione per metterti a capo di quest'indagine. Dì un po', pazzo bastardo che non sei altro, ma almeno te lo ricordi ancora come si fa? - Disse Biasin voltandosi a guardarlo, mostrando in volto un'espressione divertita.
-Avevo dimenticato questo tuo lato ilare, Valerio. Davvero, se non avessi l'obbligo morale di trovare l'assassino di questa povera ragazza, rimarrei qui ad ascoltarti per ore. Adesso, se hai finito con le cazzate, mi piacerebbe sentire la causa della morte -
-La causa della morte è lampante, amico mio. Anche un inetto come te riuscirebbe a capirlo al volo. Vieni un po' a vedere - Disse il medico legale ritrovando in un lampo la propria serietà, invitandolo a osservare la tempia destra della vittima, che aveva cautamente girato per consentirgli di osservare due piccoli fori. -L'assassino le ha piazzato due pallottole in testa. A giudicare dall'impronta a stampo lasciata dalla bocca dell'arma, si tratta di due colpi da contatto -
-Che mi dici del corpo? È stata uccisa qui? -
-No, come puoi vedere tu stesso non c'è traccia di sangue sulla barca. Il che vuol dire che è stata abbandonata qui dentro in un secondo momento, dopo essere stata uccisa altrove -
-Ti sei già fatto un'idea dell'ora della morte? -
-Il corpo sta iniziando il processo di irrigidimento. Ad occhio e croce, credo di poter affermare senza grossi dubbi che la morte risalga a non più di sei ore fa. Ad ogni modo, potrò essere più preciso con l'autopsia -
-A quando i risultati? -
-Credo tre giorni, se riesco a fare un miracolo due. Tieni conto che siamo piuttosto oberati. Muore un sacco di gente in questa cazzo di città -
-È tutto? -
-Direi di sì. Anzi no, aspetta. Volevo mostrarti un altro paio di cose. La vittima ha entrambi i polsi segnati e presenta un vistoso ematoma sul polso sinistro - Disse Biasin mostrandoglieli, quindi riprese: -L'assassino deve averla rapita e legata, e soltanto in un secondo momento uccisa. Questa, se non altro, è la conclusione alla quale sono arrivato io, ma il compito di formulare ipotesi sul delitto non spetta a me. Il detective sei tu -
-Ho visto che non ci sono i fori di uscita. I proiettili devono essere rimasti all'interno del cranio. Se riuscissi ad accelerare i tempi dell'autopsia mi faresti un favore. Al momento mi pare di capire che quei proiettili siano tutto ciò che abbiamo. Non per metterti fretta, ma stabilire il calibro dell'arma è l'unico spunto da cui poter partire, per cui, se li estrarrai e li farai avere alla balistica il prima possibile, io e Luca te ne saremmo infinitamente grati -
-Sei il solito rompicoglioni, Stefano. Se avessi saputo che ci saresti stato tu a capo delle indagini, mi sarei fatto sostituire. Ma come avrei anche solo potuto immaginarlo? Fino a un'ora fa eri sospeso. Comunque sia vedrò quello che posso fare, ma non ti prometto niente, per cui non ti illudere a priori inutilmente - Disse Biasin, mostrandosi più irritato di quanto non fosse in realtà. Quindi aggiunse: -Direi che ho visto tutto quello che dovevo vedere. Cari ragazzi, i miei ossequi. Stefano, vorrei poter dire che è stato un piacere, ma mentirei e sai bene che se c'è una cosa che detesto è proprio mentire -
Stefano scosse la testa contrariato, vedendolo tornare a bordo del taxi da cui era sceso una ventina di minuti prima. Mentre osservava la barca allontanarsi pensò fiducioso che il medico legale, a dispetto della reazione infastidita, lo avrebbe accontentato. Lo aveva sempre fatto. Protestava e sbraitava, manifestando il suo dissenso per le pressioni che era solito mettergli addosso, ma finiva sempre per cedere, facendo la cosa giusta. Proprio perché, nonostante i difetti che lo caratterizzavano, fondamentalmente era un tipo giusto. Una cosa, se non altro, doveva riconoscergliela: il suo lavoro Biasin lo sapeva fare molto bene.
-Sono davvero felice che abbiano annullato gli effetti della sospensione, Stefano. È bello riaverti con noi - Disse Millico strappandolo ai suoi pensieri.
-E per me è fantastico poter tornare a indagare. L'inattività di quest'ultimo anno mi stava uccidendo. Ma dimmi, ti ho visto accigliato prima. Tu e i tuoi uomini non avete trovato niente di utile vero? -
-È così. La scena è immacolata. L'assassino non ha lasciato nessuna traccia - Disse Millico, la voce fiaccata da una cupa frustrazione.
Stefano rifletté sulla raffica di informazioni di cui era entrato in possesso. Le premesse iniziali erano tutt'altro che incoraggianti.
Desideroso di farsi una propria impressione sul cadavere, indossò un paio di guanti in lattice che teneva nella tasca interna del cappotto. Esaminò la ferita mortale presente sul cranio. Il medico legale aveva ragione. Si trattava di due colpi da contatto.
Dopo una prima fase di appannamento, sentiva di stare cominciando a carburare. La capacità analitica, di gran lunga la sua dote migliore, si era rimessa in moto, consentendogli di ricostruire gli eventi che avevano condotto Alessia Peron a quel triste epilogo. Passò ad esaminare la collana. Sebbene non conoscesse granché la materia, capì subito che si trattava di un pezzo di grande valore. La collana era tempestata da una serie interminabile di pietre blu. Ipotizzò potessero essere zaffiri. Anche il fiore con quattro petali posto esattamente al centro ne era rivestito interamente. La base era in oro bianco. Non c'erano grossi dubbi. Quella collana doveva valere parecchio. Eppure l'assassino se n'era disinteressato. Era un aspetto singolare, su cui sarebbe stato saggio riflettere.
-Ha tutta l'aria di essere un'esecuzione - Disse Millico.
-Già, lo penso anch'io. Inoltre abbiamo a che fare con qualcuno che ha dimestichezza con l'uso delle armi da fuoco -
-Come fai a dirlo? In fin dei conti si tratta di due colpi da contatto. Non serve essere un cecchino per piazzare due palle di questo tipo - Rispose Durando, per nulla convinto dall'affermazione del collega.
-Invece secondo me Stefano ha ragione. Quest'uomo, sempre che di un uomo si tratti, non soltanto è un abile tiratore, ma è anche un criminale di prim'ordine. Non cerchiamo una persona qualunque, ma un individuo freddo e spietato che è abituato a sguazzare in ambienti malavitosi e la cosa non mi piace neanche un po' -
-Aspetta Luca, non pensi di correre un po' troppo con la fantasia? Sulla base di che cosa puoi affermare tutto questo? - Insisté Durando.
-In primo luogo il fatto che non abbia lasciato la minima traccia. E non si tratta di una casualità. Ogni singolo gesto compiuto dall'assassino è stato attentamente studiato a tavolino. Ogni sua scelta è stata scandita da una feroce premeditazione -
-A giudicare dalla dimensione dei due fori di entrata deve trattarsi di una pistola di piccolo calibro. Probabilmente una .22. I sicari utilizzano pistole di questo tipo - Disse Stefano avvalorando ulteriormente l'ipotesi tratteggiata dal capo della scientifica. E aggiunse: -L'assassino deve averla adescata da qualche parte. Non possiamo escludere che i due si conoscessero. L'ha rapita, le ha legato i polsi, e poi l'ha uccisa, sparandole alla tempia. Poi, in un secondo tempo, ha deciso di scaricare il cadavere qui, così da non lasciarci la minima traccia da cui partire. Con ogni probabilità dev'essere arrivato via mare, a bordo di una barca a motore di modeste dimensioni. Era il modo più semplice per abbandonare il cadavere e dileguarsi nel minor tempo possibile. A mio avviso le cose sono andate in questo modo. Voi che ne pensate? -
-È una ricostruzione plausibile. Stando alle parole di Biasin, il primo passo da compiere è quello di scoprire dove si trovava la vittima ieri sera - Disse Durando, convincendosi anch'egli della dinamica intavolata dagli altri due.
-Dove, ma soprattutto con chi ieri ha trascorso la serata. Direi che la scena non ha più nulla da comunicarci. Fa' una cosa Marco, chiama Bechis e dì a lui e agli altri di chiedere agli abitanti della via se hanno visto o sentito una barca transitare nei paraggi durante la notte. Con un po' di fortuna, magari salterà fuori un testimone che possa avvalorare la mia ipotesi. Comunque sia un tentativo va fatto. Io adesso devo fare un salto dal magistrato, poi andremo subito a dare la notizia ai familiari -
-Appena Biasin mi fa avere quei proiettili ti faccio sapere il calibro. Non sarà molto da cui partire, considerando che non abbiamo l'arma del delitto per un confronto, ma è pur sempre qualcosa. Per il momento vi saluto ragazzi, buon lavoro - Disse Millico abbandonando anch'egli la scena del crimine.
Prima di andarsene, Stefano tornò a posare il suo sguardo sul corpo esanime di Alessia Peron. Non vi era traccia di quel sorriso un po' smaliziato che aveva visto infinite volte sui rotocalchi nazionali. Osservandolo adesso, il suo volto esprimeva i grotteschi tratti della paura. In quei suoi occhi sbarrati, azzurri come la gradazione di un lago, riconobbe quell'oscuro terrore di chi sa di stare incontrando la morte. Lo sguardo gli cadde più in giù, sul miniabito blu scuro che aderiva perfettamente al suo corpo, esaltandone una bellezza che principiava già a sfiorire.
Dalla posizione scomposta in cui versava, si distinguevano nitidamente le mutandine di colore bianco. Se soltanto farlo non avesse guastato il quadro d'insieme, l'avrebbe coperta, restituendole almeno un briciolo di dignità.
Fu soltanto allora, in quel preciso istante, che andò ad impattare su quegli occhi ormai privi di luce. Sembrarono guardarlo intensamente, chiedendogli disperatamente aiuto.
-Prenderò chi ti ha fatto questo, Alessia. Te lo prometto. Riposa in pace -
Stefano bisbigliò quelle parole mentre si alzava e si sfilava i guanti, dando vita a un giuramento che avrebbe rispettato a qualunque costo.
-Che hai detto? - Chiese Durando, immaginando che il collega ce l'avesse con lui.
-Niente, non importa. Coraggio, abbiamo molto da fare e ogni minuto che passa ci mette in una posizione di svantaggio rispetto all'assassino, per cui vediamo di darci da fare. Lo prenderemo, su questo non dobbiamo avere dubbi, lo prenderemo! -
Quell'ultimo concetto Stefano lo espresse perlopiù per alimentare la fiamma che lo animava. Per accrescere ulteriormente le sue motivazioni. Non avrebbe mai e poi mai potuto tradire quello sguardo supplice. Aveva fatto una promessa e intendeva mantenerla ad ogni costo.


Capitolo 3

Stefano Masini lasciò il suo vice, dicendogli di raccogliere quante più informazioni sulla vittima. Terminata la visita al magistrato li aspettava la notifica ai genitori, e sarebbe stato saggio avere un quadro completo della vita della ragazza.
La sede della Procura di Venezia era un'imponente struttura, che si trovava in Santa Croce, a Piazzale Roma, rivestita esternamente in rame ossidato. Varcata la soglia, raggiunse l'imponente bacheca a muro, su cui erano annotati i nomi dei vari professionisti che operavano all'interno dell'edificio con accanto il numero del relativo piano. Come sarebbe stato ragionevole supporre, Alfio Laganà aveva ereditato il medesimo ufficio del suo predecessore. Stefano prese l'ascensore e digitò il tasto del sesto piano. Una volta emerso dalla cabina, girò a destra e percorse il corridoio fino alla sua conclusione, rimanendo alcuni secondi impalato davanti alla porta dell'ultimo ufficio presente. Quando finalmente si decise, sospirò come a voler esorcizzare la tensione e bussò energicamente un paio di volte. Una voce proveniente dall'interno gli diede il permesso di entrare e lui lo fece.
Il magistrato gli dava le spalle, e il suo sguardo era rapito dallo scorcio di Canal Grande che si poteva ammirare dall'imponente vetrata del suo ufficio.
-Buongiorno - Disse Stefano addentrandosi a passi lenti nella stanza.
-È davvero meravigliosa questa città. Palermo è bella per carità, è il luogo in cui sono nato e non potrò mai rinnegare le mie origini, ma questa città è semplicemente unica nel suo genere, lei non trova? - Disse il magistrato senza staccare gli occhi di dosso dalla finestra, totalmente ammaliato dal traffico che caratterizzava il canale.
-Sono nato e cresciuto qui, per me non c'è luogo al mondo che possa anche soltanto essere paragonato a Venezia. Ho sempre sentito un sacco di gente dire che Roma è la città più bella del mondo. Io ci sono stato e per quanto Roma sia un posto ricco di fascino, non è lontanamente paragonabile a Venezia. O almeno io la penso così -
-Se non ricordo male le avevo detto che l'aspettavo alle nove in punto nel mio ufficio. Sono le nove e dieci. È in ritardo - Disse il giudice cambiando repentinamente discorso, dimostrando una volta ancora di possedere una personalità mutevole.
-Arrivo adesso dalla scena del crimine. Ho fatto più veloce che ho potuto -
-Comunque sia io non amo i ritardatari. Se lo ricordi per le volte future. Se la convoco a una certa ora, veda di esserci. Mi parli della scena adesso. Che cos'ha scoperto? - Disse il magistrato che finalmente si voltò, andando a prendere posto alla scrivania.
Stefano dovette fare ricorso a tutto l'autocontrollo di cui disponeva per non ridergli in faccia. Durando aveva ragione. Quell'uomo era la copia sputata di Jigen Daisuke, il compagno d'avventure di Lupin, il ladro gentiluomo. Come rapito da quei tratti somatici a dir poco inusuali, si ritrovò a studiarli senza farsene accorgere. Il viso si presentava insolitamente allungato, e la barba abbondava stretta sui lati, per culminare in un pizzetto incolto sulla punta del mento. I capelli erano crespi e aderivano al cuoio capelluto secondo una legge propria. Mancavano all'appello la consueta sigaretta e l'immancabile cappello da gangster, e la somiglianza sarebbe stata totale.
-Che cosa fa lì impalato come uno stoccafisso? Che le serve il permesso? Si sieda! - Disse il magistrato facendo ampi cenni con la mano destra, invitandolo a sedersi.
-La vittima si chiamava Alessia Peron. Era l'erede dell'impero dei Morini. Sa, sua madre, Chiara Morini, possiede diversi alberghi di lusso in tutto il mondo e... -
-Cosa mi fa la lezioncina Masini? Queste cose le so meglio di lei. L'ho chiamata io ricorda? So bene chi è la vittima. Si attenga a quello che ha scoperto sulla scena per cortesia. Non ho tutto il giorno, grazie -
-Il cadavere era abbandonato all'interno di una piccola imbarcazione. Non c'erano tracce di sangue all'interno, per cui l'assassino deve averla uccisa altrove e poi scaricata lì dentro in un altro momento. Le ha piazzato due pallottole in testa. Due colpi da contatto, sparati da una pistola di piccolo calibro, probabilmente una .22. È morta sul colpo. Riteniamo che l'assassino possa essere un professionista, visto il modus operandi -
-Secondo lei quale potrebbe essere il motivo? -
-È troppo presto per formulare qualunque tipo di ipotesi. Una cosa è certa: possiamo escludere la rapina. Il contenuto della borsa non è stato toccato. C'erano più di duecento euro nel portafogli. Inoltre la vittima indossava una collana di grande valore e l'assassino se n'è disinteressato. Ci dev'essere altro dietro -
-A suo avviso come sono andate le cose? -
-L'assassino deve averla avvicinata ieri sera, magari al di fuori di un locale. Non è da escludere che i due si conoscessero. La vittima aveva i polsi segnati, segno che è stata legata e trascinata via a forza. A quel punto l'assassino l'ha uccisa e ha abbandonato il corpo all'interno della piccola barca in cui l'abbiamo trovata. Poi dev'essere scappato via mare, magari a bordo di una barca a motore, così da far perdere velocemente le proprie tracce. Badi bene, è solo una supposizione -
-Che mi sembra molto plausibile. Quali saranno le sue prossime mosse? -
-Appena avrò finito con lei, qui, io e il mio vice andremo a dare la notizia della morte di Alessia ai genitori -
-Che mestiere di merda il suo - Disse il giudice interrompendolo.
-Già, concordo. Poi il primo passo sarà scoprire dov'è stata la vittima ieri sera e soprattutto con chi. Cominceremo da lì -
-Molto bene. Mi sembra superfluo dirle che voglio essere aggiornato su tutto, eppure glielo ribadisco lo stesso. Ora, prima di lasciarla andare, ci terrei a chiarire un paio di concetti -
L'espressione conciliante del magistrato si fece d'un tratto torva. Sulle labbra affiorò un sorriso sinistro che non preannunciava niente di buono. Ecco che ci siamo, pensò Stefano, che aveva creduto invano di averla schivata quella pallottola.
-Da quando sono arrivato qui ho sentito tanto parlare di lei. Il vicequestore di Venezia sospeso dal servizio per aver quasi pestato a morte un sospettato di omicidio -
-Non era un sospettato. Era un assassino -
-Comunque sia un tutore dell'ordine non si comporta così. Siamo tenuti a farla rispettare la legge, non ad infrangerla. In quel modo poi. Lei è cosciente del fatto che avrebbero dovuto radiarla per quello che ha fatto? Altro che sospensione -
-Con il dovuto rispetto dottore, è lei che mi ha fatto reintegrare stamane, per cui non capisco davvero dove voglia andare a parare>>.
-Voglio soltanto farle capire che le sto offrendo una seconda opportunità, e gradirei che capisse che atteggiamenti come quelli che le sono costati la sospensione non saranno più tollerati. La sua carriera è appesa a un filo, e deciderò io se fare in modo che quel filo si spezzi oppure no. Ho reso l'idea? -
-Perfettamente - Disse Stefano tradendo una certa rabbia negli occhi.
-Vede Masini, lei ha risolto una marea di casi di omicidio. Ho visto le sue percentuali. Sono piuttosto alte. Questo mi dice che è un bravo poliziotto. E io ho bisogno di un bravo poliziotto per risolvere la difficile indagine che mi è capitata sul groppone. Lei pensi solo a rigare dritto e mi porti l'assassino di Alessia Peron, e vedrà che andremo d'amore e d'accordo. Chissà che alla fine in me non riuscirà a trovare un prezioso amico - Quell'ultima frase il magistrato la pronunciò col tono più allusivo che conosceva.
-Un amico, eh -
-Perché, ne dubita? Non dimentichi che è grazie al sottoscritto se ha potuto riprendere servizio. Ha una vaga idea di quanto abbia dovuto espormi per lei? Non è ben visto dalle personalità di spicco della sua amata città. Ho dovuto fare carte false per convincere Mascagni a dare anch'egli il suo consenso. Quell'uomo la odia, tra parentesi. Mi sono esposto in prima persona per lei. Avrà gli occhi di tutti puntati addosso, per cui la smetta con le cazzate! Siamo intesi? Dovrà rigare dritto come uno scolaretto -
-E io, indipendentemente dalle motivazioni egoistiche che l'hanno mossa, la ringrazio per quello che ha fatto. Significa molto per me. Non la deluderò -
-Lo spero proprio, per entrambi. E adesso si tolga dalle palle. Come le ho detto prima, sono molto impegnato stamattina - Disse il magistrato chinandosi sugli incartamenti che gli stavano davanti, informandolo che, per quanto lo riguardava, il colloquio era terminato.

Yuri Giangrande
Biblioteca
Acquista
Preferenze
Contatto