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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Sergio Bertoni
Titolo: La Ribelle dell'Est
Genere Thriller
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La Ribelle dell'Est
Quando Alfonsina si destò, erano quasi le otto del mattino, il lungo viaggio affrontato per raggiungere Torrecinuso l'aveva affaticata. Prima di aprire gli occhi aveva sbadigliato a lungo e distese le braccia per stiracchiarsi, poi si era guardata intorno, stranita. Solo qualche secondo dopo si rese conto di trovarsi in Sicilia e non nel proprio letto a Valdrusina.
Il nonno l'aveva convocata con urgenza pochi giorni prima con una telefonata. Sorpresa e preoccupata aveva temuto che il vecchio stesse male, ma questi l'aveva rassicurata pur non rivelandole per quale motivo volesse vederla con tanta fretta.
L'inverno aveva già fatto la sua comparsa sulla Sicilia ma un prepotente venticello caldo, proveniente da sud-est, gli aveva impedito di infierire troppo, e nel cielo, appena velato da qualche nuvola, un pallido sole illuminava e riscaldava il grande terrazzo dell'abitazione di Don Saru. L'anziano boss, sprofondato nella sua prediletta poltrona di cuoio, si trovava nel salone della villa. Aveva già ottenuto da Ciccio Surace, il suo fedele braccio destro, un resoconto sulle ultime novità del paese e su quelle provenienti dai diversi fidati informatori, attivi in tutta penisola e in particolare in Val d'Aosta, Puglia, Calabria, e Campania. Ora, in paziente attesa dell'arrivo della nipote per fare colazione insieme, aveva già convocato e salutato con cordialità Synar Duka e Masha Balisha: guardie del corpo e fedeli amici di Alfonsina.
Con un torrente di parole in siciliano stretto si era rivolto a Duka per informarsi su come andassero gli affari a Valdrusina. Il giovane l'aveva ascoltato, stranito, poi si era stretto nelle spalle e, disperato, aveva guardato la compagna implorando il suo aiuto. Masha, parlava molto bene la lingua italiana ma a sua volta aveva compreso solo poche frasi, si rivolse perciò con deferenza al boss:
- Don Saru, ci perdoni, forse ha dimenticato che siamo albanesi e non comprendiamo bene il vostro bel dialetto. Credo che lei ci abbia chiesto notizie sull'attuale situazione. È tutto tranquillo, sua nipote Alfonsina si è dimostrata in grado di dirigere senza problemi le attività del suo defunto padre, del quale soffre molto la mancanza. La sartoria è attiva, noi stiamo bene e non c'è alcuna novità di rilievo. Ad Aosta, Kobaisi controlla tutto come lei gli ha ordinato, e anche Yelena, che ci aiuta in ogni cosa, è diventata una grande amica della signorina e anche nostra. -
Il vecchio sorrise, bonario. Fece un gesto vago con la mano come per scusarsi della sua distrazione. Invitò entrambi a sedere e li squadrò con curiosità.
- Siete venuti così tante volte che ho quasi dimenticato che la vostra patria non è quella dei miei picciotti. Sono contento che siate qui e ancor più della fedeltà e dell'amicizia che avete dimostrato verso la mia Fufetta. Credevo che anche quella ragazza, la rumena, sarebbe venuta con voi. Come mai non è qui? -
- Don Saru, la signorina Alfonsina la voleva portare con sé, ma Yelena è molto responsabile e ha insistito per restare a Valdrusina. Vuole assicurarsi che tutto proceda senza problemi. -
- Ha fatto bene. Non bisogna mai dimenticare che abbiamo molti nemici; anche una situazione in apparenza tranquilla può a volte cambiare da un momento all'altro. Ora riposatevi e consideratevi come sempre miei graditissimi ospiti. Prepariamoci per l'arrivo di Alfonsina, lei forse se n'è dimenticata, ma io vi ho riuniti tutti qui per un motivo particolare: oggi la mia bella nipote compie diciotto anni, una data molto importante che voglio festeggiare con lei. -
I due albanesi si rasserenarono, dopo la convocazione avevano temuto l'arrivo di qualche problema e invece li attendeva una festa. Si sedettero su alcune eleganti sedie, stile barocco, e si guardarono intorno stupiti e un poco intimiditi. Era tutto molto diverso da come lo ricordavano: l'ambiente semplice e spartano della loro ultima visita era stato cambiato e rinnovato. Lungo le mura del salone, il vecchio arredamento contadino era stato sostituito da pregiati mobili antichi provenienti dal castello del defunto barone Licio di Torre dei Goti. Quelle masserizie, che erano state messe all'asta dagli eredi del barone, ora conferivano alla stanza un'aura di ricercatezza e nobiltà, accentuata da un grande tavolo di quercia posto al centro e da numerosi quadri d'autore che ricoprivano le pareti.
Allungando un braccio, don Saru prese da un tavolinetto un campanellino e l'agitò. Due minuti dopo il volto della cameriera Concetta fece capolino dalla porta con aria interrogativa.
- M'aviti chiamatu? -
- Cettina, me niputi si risvegghiò o sta ancùora durmennu? Jè pronta a colaziuni? -
- Sissignuri, prontissima jè, e macàri a signurina sta arrivannu. -
Subito dietro la donna apparve, infatti, la figurina alta e snella di Alfonsina.
L'ingresso della nipote, che ansiosa di recarsi in fretta dal nonno aveva fatto una doccia veloce, fu accolto da un fragoroso battimani dei presenti che la sorprese. Don Saru si alzò in piedi e abbracciò con affetto la ragazza stampandole due bacioni sulle guance, quindi, preso un enorme fascio di rose rimasto celato dietro la poltrona, lo porse alla stupefatta nipote insieme con un pacchetto, infiocchettato con un gran nastro rosa, sussurrando:
- Infiniti auguri, Fufetta, picciridda mia! -
Solo allora la ragazza si rammentò che quello era il giorno del suo diciottesimo compleanno. Distratta e sconvolta dai numerosi avvenimenti che avevano messo a soqquadro gli ultimi mesi della sua vita, tra i quali un rapimento e in seguito l'assassinio del padre, se n'era del tutto dimenticata. Il vecchio, contemplandola con dolcezza, mormorò:
- Sapevo che per te sarebbe stata un'improvvisata, è per questo che... zitto, zitto, vi ho fatti venire subito a Torrecinuso e quando siete arrivati, a tarda ora, ti ho fatto dire che stavo già dormendo e che ci saremmo visti oggi. Non volevo rovinarti la sorpresa. -
Subito dopo la porta si aprì ancora, e fece il suo trionfale ingresso Cettina spingendo un carrello con dei vassoi ricolmi di brioche col “tuppo”, croissant con crema di pistacchio, cannoli, cassatine, e cuccume d'argento ricolme di latte caldo e di caffè.
Felice e frastornata, la ragazza depose il fascio di fiori e si precipitò ad abbracciare il nonno e i suoi due fedeli amici, poi con un sorriso radioso sciolse il nastro e aprì il pacchetto. Apparve una collana di oro rosa con un pendente composto da un diamante che sorreggeva un'onice rosso-bruna a forma di goccia.
- È stupenda, nonno, non avresti dovuto, ti sarà costata una fortuna... -
- La mia fortuna, Fufetta mia, è stata quella di avere ‘na nipotuzza bedda, forte e intelligente cum'a tia! Come puoi vedere qui è stato cambiato tutto in tuo onore, spero che ti piaccia perché tutto questo un giorno sarà tuo. Ma ora non perdiamo altro tempo, la colazione si raffredda. -

***

Nel pomeriggio, Alfonsina volle fare una passeggiata per il paese. Masha e Duka si affrettarono a seguirla. Lungo il cammino tutte le persone che incontravano la salutavano con deferenza, togliendosi la coppola o accennando un inchino. Ormai non vi era persona che non sapesse che la ragazza era la nipote prediletta di Don Saru.
Dopo aver camminato a lungo, giunsero nei pressi di un piccolo bar e si sedettero a uno dei tavolini per gustare la famosa granita di caffè siciliana. I due albanesi ancora non la conoscevano e l'apprezzarono moltissimo.
- Restate ancora qui e fatevi portare qualche pasticcino, quelli siciliani sono squisiti. Io voglio arrivare fino al porticciolo per vedere il mare. - disse Alfonsina.
- Veniamo anche noi con te, sai bene che non possiamo lasciarti sola. -
- No, Duka, non preoccuparti, in questo paese mi rispettano tutti e sono al sicuro. Del resto mi conosci e sai che sono in grado di difendermi. Adesso vorrei restare un poco da sola e godermi il profumo e la vista del mare. -
Il porticciolo era deserto. Era ripreso un vento molto forte e il mare agitato, s'infrangeva con nuvole di schiuma contro gli enormi blocchi di cemento posti a protezione della cala. Le barche dei pescatori erano state tirate tutte in secca o ancorate ai ceppi della banchina. In disparte, quasi nascosta da un capannone, là dove il molo formava una piccola rientranza, era ormeggiata un'imbarcazione. Era un grosso battello di quasi ventiquattro metri, sul quale sventolava una bandiera a bande orizzontali di colore giallo, blu e rosso. Incuriosita, la ragazza si avvicinò, le sembrava che all'interno della cabina s'intravedessero le sagome di due uomini che confabulavano tra loro.

***

“El Campeador” quella mattina aveva rischiato di affondare. Quasi senza preavviso il mare si era ingrossato e la prua si era più volte immersa tra le onde. l'acqua aveva spazzato il ponte e quasi trascinato via l'inesperto Ramon, al quale Carlos aveva ordinato di fissare con delle funi alcune casse. Era stato necessario cambiare la rotta, per evitare che i marosi colpissero il battello sulla fiancata rischiando di capovolgerlo. Bestemmiando la mala sorte, Carlos, un omaccione calvo, dal volto abbronzato e incartapecorito dal sole e dalla salsedine, si era aggrappato al timone e aveva indirizzato l'imbarcazione verso il porto più vicino.
- Non capisco perché questa baracca, che sembra così solida, balla in questo modo e rischia di capovolgersi. È sempre così quando si va per mare? Odio il mare e preferisco avere la terra sotto i piedi, se non l'avesse ordinato il capo non sarei mai venuto. Ma perché cazzo ha scelto proprio me? - aveva berciato Ramon.
- Perché tutti i compagni erano impegnati in una importantissima imboscata a un furgone dei carrubba, mentre quel coglione di Jean, il mio secondo abituale, si era fatto beccare dalla pula a spacciare, e ora sta al gabbio. Anch'io avrei preferito che il capo mi assegnasse almeno un paio di uomini esperti e non uno stupido pappa come te. Non è stato possibile e non potevo fare questo lavoro da solo. Ti chiedi perché l'imbarcazione balla? Balla perché la stiva è vuota, non abbiamo potuto fare il carico e quindi siamo ancora leggeri. È così difficile da capire, per una testa di cazzo come te? -
Indispettito e offeso, Ramon si era allontanato mentre, continuando a imprecare, Carlos aveva governato con forza il timone. In quel pomeriggio era riuscito a fatica, dopo alcune ore, a raggiungere il porticciolo di Torrecinuso. Gettata l'ancora e attraversata la passerella, aveva fissato con una gomena il battello a un anello di ferro posto sulla banchina. Era stato in grado di riuscire a salvare la pelle e l'imbarcazione, e adesso, rinfrancato, aveva cercato di scaricare la fatica e la tensione nervosa sdraiandosi sulla cuccetta. Dopo qualche minuto si era scosso, accorgendosi di aver preso sonno e che si era fatto tardi. Controllato l'orologio, aveva afferrato il satellitare per informare il capo sull'attuale situazione, poi, chiusi gli occhi si era massaggiato le tempie. Era esausto e il rumore dei passi del suo compagno, che aveva incaricato di controllare che tutto fosse a posto sul ponte, lo innervosì. La compagnia di quell'ometto grasso e viscido lo irritava sempre. Temeva che nel momento in cui si fosse entrati in azione questi non si sarebbe mostrato all'altezza. Sbuffò. –Quali altre chiacchiere inutili sputerà fuori, adesso?–
- Carlos, hai già informato El Jefe che il mare grosso ci ha costretti a cambiare rotta e a sostare qua? -
- Ramon, che cazzo di domande mi fai, non vedi che ho ancora il satellitare in mano? o pensi che abbia passato il tempo chiacchierando con quella puttana di tua madre? Ovvio che l'ho avvertito. L'importante è portare a termine il lavoro come ci è stato ordinato, anche se ci impiegheremo di più e non sarà facile. Con questo mare in tempesta saranno ben poche le imbarcazioni di quei migranti stronzi che cercano di sbarcare in Italia. -
L'ometto si guardò in giro, distratto e pensieroso. Quel tipo di lavoro, per lui del tutto nuovo, lo preoccupava.
- Stavo pensando che imbarcare solo giovani donne e respingere uomini e bambini potrebbe essere abbastanza difficile e anche pericoloso. Non credi? -
- Difficile? e poi perché mai dovremmo respingere i bambini? Non sai che tra accattonaggio e donazione di organi i bambini valgono molto più di tutte le tue puttane? -
Ramon sbuffò, l'allusione al suo mestiere e l'insulto che aveva ricevuto in precedenza gli bruciava ancora.
Un pappa, mi ha chiamato “pappa”,–pensò– ma come si permette? chi cazzo si crede di essere? Io sono un manager, un manager che dirige e protegge una grande quantità di donne. Vorrei proprio vedere se un rozzo bestione come lui sarebbe mai in grado di svolgere un lavoro delicato e faticoso come quello che faccio io. Già, secondo lui tutti quei negri sono un branco di fessi e si lasceranno portar via le loro donne senza protestare? Che illuso...
- Kalašnikov. -
- Che cosa? -
- Dall'espressione della tua brutta faccia ho capito che cosa stai pensando. Ti chiedi come faremo se gli uomini cercheranno anche loro di salire insieme con le donne e si ribelleranno se saranno respinti. Ti ho risposto: Kalashnikov! Secondo te perché ce li saremmo portati? -
- Cazzo! Dovremo sparare contro di loro? -
- Non sarà necessario, se fanno storie sarà sufficiente esplodere qualche colpo in aria, se poi dovessero insistere... beh, in quel caso sarà peggio per loro. Del resto, prima di andar via, dovremmo comunque affondare il loro gommone; non possiamo lasciare testimoni. -
- E se fosse qualche donna a ribellarsi? -
- Bombolette. Abbiamo le bombolette spray con il gas narcotizzante, non te ne sei accorto? Non preoccuparti, coglione, non è la prima volta che faccio questo lavoro ed è stato previsto tutto. -
Ramon fece una smorfia e si strinse nelle spalle, quell'incarico non gli piaceva e odiava sentire lo scafo che ondeggiava. Il violento rollio e il beccheggio che aveva sopportato in precedenza gli avevano sconvolto lo stomaco costringendolo più volte a rimettere. Uscì sul ponte e osservò con nostalgia la terraferma e i tetti delle case che si scorgevano in lontananza. Spaziò con lo sguardo lungo il molo e sussultò: qualcuno si stava avvicinando. Si precipitò all'interno.
- Carlos, ehi Carlos... -
- Che altro cazzo c'è? Perché mi devi rompere i coglioni ogni due minuti? -
- C'è una donna, una donna sola, e sta venendo qui! -
L'omaccione schizzò dalla cuccetta e raggiunse il compagno sul ponte.
- Merda! Avevo ormeggiato la barca in disparte, quasi nascosta dietro quel capannone, perché speravo che nessuno ci notasse. Con il nostro mestiere meno persone ci vedono e meglio è. Facciamo finta di nulla e torniamo dentro. Il vento è calato e anche se il mare è ancora agitato, al massimo tra un'ora potremmo ripartire. -
Ramon, con gli occhi sbarrati, lo afferrò con foga per un braccio.
- Carlos, ma non capisci? Questa è la nostra giornata fortunata! La ragazza è sola, e se la guardi bene è davvero un pezzo di gnocca. Portiamocela via e così cominciamo a riempire la stiva. Senti a me, che me ne intendo, quella è oro puro e non vedo l'ora di sbatterla da qualche parte e farmela. Non perdiamo quest'occasione! È un'opportunità speciale, un guadagno assicurato, non lo capisci? -
L'uomo si grattò la pelata, riflettendo.
- Forse sei meno fesso di quello che pensavo. Hai ragione, ed è anche una testimone da mettere al sicuro, scendiamo a terra sorridendo e senza spaventarla, vediamo che cosa si può fare... -
Alfonsina, osservando quei due brutti ceffi scendere dalla passerella, si fermò di botto a distanza di sicurezza.
Ramon, senza fretta, si avvicinò per primo alla ragazza, tendendole la mano, e con un viscido risolino stampato sul faccione.
- Hola niña, ¿quieres visitar el barco? - vedendo l'espressione perplessa della donna, esitò, cercando le parole. - Te, vuole vedere nostra barca? Hai piacere? -
Alfonsina fece finta di non vedere quella mano tesa, l'atteggiamento, in apparenza cordiale, non la ingannò e con aria indifferente assunse una posizione di guardia, accarezzandosi, come per caso, la spalla sinistra con una mano e poggiando l'altra sul fianco.
- No. Grazie, non m'interessa, buona giornata a voi e buon viaggio. - iniziò ad arretrare, pronta a girare con cautela le spalle e andar via.
Ramon comprese che la preda era intenzionata a sfuggirgli e non poteva permetterlo, con un balzo scattò in avanti tentando di afferrarle un braccio.
- Ahora vienes con nosotros. ¿Entendiste? - ringhiò.
- Ma certo, perché no, venire con voi è il sogno della mia vita! - lo derise, ironica, la ragazza.
L'ometto, anche se robusto, era panciuto e molto più basso di lei. La necessità di fargli fronte non le creava alcuna preoccupazione, quello che invece richiedeva maggiore attenzione era il suo compagno: una specie di colosso, robusto e bruciato dal sole, che stava avanzando veloce con chiare intenzioni aggressive.
Liberarsi di Ramon fu davvero uno scherzo: un veloce scarto di lato, uno strattone in avanti sul braccio proteso verso di lei, un colpo di taglio alla nuca e una ginocchiata nello stomaco lo scaraventarono in terra boccheggiante. Anche la difesa contro Carlos fu fulminea. Questi era arrivato di corsa cercando di tirarle un diretto in pieno viso. Alfonsina si scansò di lato abbassando la testa e difendendola con i gomiti sollevati. Sfruttando l'energia usata dall'uomo afferrò il polso di quel pugno andato a vuoto e fece leva piegandolo verso il basso. Il braccio finì dietro la schiena dell'omaccione e sollevandolo con uno scatto e con entrambe le mani verso l'alto glielo disarticolò dalla spalla. Un violento calcio sul retro di un ginocchio lo fece ripiegare sulle gambe e un secondo calcio all'inguine lo fece crollare in terra, imprecando, e ululando per il dolore.
Uno scrosciare di mani la fece girare, stupita. Uscendo da dietro il capannone dove si erano nascosti, Masha e Duka si fecero avanti sghignazzando e continuando ad applaudire.
- Cazzo, eravate là dietro e non siete intervenuti? - si lamentò la ragazza, con tono semiserio.
- Stavo per farlo - disse Duka, rinfoderando la sua Beretta, - ma Masha me l'ha impedito. Ha detto che non potevamo privarti di questo divertimento. Comunque non hai corso alcun pericolo, erano entrambi sotto tiro fin dal primo momento. -
- Come mai siete qui? Vi avevo detto che volevo venire da sola per guardare il mare. -
Duka allargò le braccia sorridendo.
- Abbiamo rispettato il tuo desiderio e ti abbiamo seguita da lontano e senza farci vedere. Conosci gli ordini di tuo nonno: non dobbiamo mai, e per nessun motivo, perderti di vista. Ora occorre stabilire chi siano queste carogne e perché siano venuti a Torrecinuso. Penserò io a interrogarli e stai sicura che con me canteranno come tanti uccellini. -
Tratte dalla tasca alcune lunghe fascette da elettricista, Duka legò, dietro la schiena, le mani dei due colombiani che lamentandosi si erano ripresi. Risalirono tutti su “El Campeador”. Alfonsina e Masha furono lasciate a ispezionare la plancia e le cabine mentre l'albanese trasferiva i prigionieri nella stiva per interrogarli, cosa che sapeva fare molto bene. Dopo circa un'ora Duka risalì sul ponte con la faccia cupa e con le nocche imbrattate di sangue. Alfonsina gli rivolse uno sguardo interrogativo.
- Sono trafficanti di schiavi, agli ordini di un capo che chiamano El Jefe. Catturano le giovani donne dei migranti, che attraversano il mare su gommoni e barconi, e le rapiscono per farne delle prostitute, gli uomini vengono abbandonati o soppressi, ma la cosa più orribile è che rapiscono anche tutti i bambini: i più fortunati sono avviati all'accattonaggio mentre gli altri sono venduti come donatori di organi. Che devo fare di questa feccia, li porto al largo e li elimino entrambi? -
Alfonsina, nell'udire la sorte riservata ai bambini rabbrividì e strinse gli occhi, contraendo il viso e passandosi una mano sulla fronte. Poi estrasse di tasca il cellulare.
- No. Se lo meriterebbero, ma adesso voglio far venire Ciccio Surace con due picciotti per sorvegliare questi criminali. La decisione della loro sorte non spetta a noi. Appena arrivano i ragazzi, torneremo da mio nonno che deciderà che cosa si deve fare. -

***

Don Saru, seduto nella sua poltrona con la testa appoggiata sullo schienale e con gli occhi chiusi, ascoltò con cura il racconto della nipote senza mutare espressione. Solo la contrazione dei muscoli della mascella rivelò il suo sdegno.
- Se dipendesse da me - mormorò Duka, - li porterei al largo e li getterei a mare con una pietra legata ai piedi -
- No. Nun vogghiu chi nuddu r'i mia carusi si sporchi i mani. Datemi carta e penna. -
Con molta calma, il vecchio inforcò gli occhiali, prese una penna e un foglio, e scrisse una lunga lettera provvedendo che ogni parola fosse ben leggibile. Poi, sempre con grande attenzione. La rilesse ad alta voce.
- Jè tuttu chiaru? sunnu chisti i fatti? - domandò.
- Sì, è perfetto. I fatti sono questi. - approvò Alfonsina. Anche Duka e Masha annuirono.
Don Saru inserì i fogli in una busta che chiuse con molta cura e sulla quale annotò un indirizzo. Poi chiamò uno dei suoi picciotti:
- Turiddu, otinni o portu e trova Ciccio Surace supra 'na varca, digli ri pigghiari u largu cu i prigionieri e iri a Vigata. Quannu vèni dovrà consegnare chista lettera di persona o commissario Montalbano nzemi cu i dui prigionieri e cu a varca. Iddi poi ritorneranno cu 'n taxi. -
Il giovane prese la lettera e uscì di corsa.
- Il nonno - spiegò Alfonsina ai suoi due amici, - ha preso la decisione migliore, raccontare i fatti e consegnare la barca con i due delinquenti al commissario Montalbano della questura di Vigata. Sarà la polizia a prendere i provvedimenti necessari e noi ne usciremo con le mani pulite. -
Sergio Bertoni
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