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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP, ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo già formattato che per la copertina.
Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Pietro Di Gennaro
Titolo: Il Terzo Livello
Genere Narrativa
Lettori 3708 58 65
Il Terzo Livello
- Pronto? ci sei? come stai? Max e dai! mi rispondi? ti ho mandato anche trecento euro per il compleanno, li hai ricevuti? potevi mandarmi una conferma, almeno farti sentire! ma si può sapere come stai? - - chiamo da ore e finalmente mi ha risposto, fa sempre così, si fa desiderare.
- Ma mi prendi per il culo? ho visto gli sms ma gli altri soldi dove sono? i soldi mi servono per la patente e per la palestra, me ne devi dare di più! - - sta già gridando senza motivo e non smette - - me li devi dare, hai capito? conosco i miei diritti che ti credi, me li devi dare, hai capito? se no ti faccio vedere io! -
- Cosa? ma che dici? diritti? diritti di cosa? ma che stai dicendo? cosa mi fai vedere? - - da ben cinque anni ha i soldi per la patente su un conto corrente che gli ho aperto per la maggiore età, ancora non guida legalmente l'imbecille, lo devo fermare se no questo snaturato esagera.
- Tu non sei niente, non sei nessuno, Berlusconi ne campa mille di figli - - solitamente non scantona, penso al volo - - e allora? cosa c'entra? che cazzo dici? non ci credo e che diamine calmati, ragiona, ma che ti prende? - - mi sto innervosendo ma riesco ancora a controllarmi.
- Paura eh! me li devi dare, hai capito? se no vengo li, ti aspetto sotto casa e ti meno, ti faccio male! ti buco le gomme della macchina, vedrai! ti faccio male, paura, eh? - - non grida più, si da un tono da duro metropolitano, non mi piace, il nervoso mi sale in testa, lo immagino tra gli amici che ridacchiano alle sue spalle, lo vedo, un bullo tatuato tra bulli tatuati, palestrati e senza cervello.
- Incredibile! sono senza parole, ma che stai dicendo? paura? ma paura di chi? paura di cosa? ma che dici? ti rendi conto? mi minacci? mi fai una estorsione? - - il cellulare mi brucia l'orecchio o è l'orecchio che mi brucia la mano, non lo so, so che ho la pressione a mille, il cuore batte come un martello pneumatico sull'asfalto, mi muovo come un epilettico, mi incazzo di brutto - - ti servono? ti servono soldi? benissimo è ora che alzi il culo e ti li vai a sudare, lavorare vai a lavorare! - - adesso sono io a gridare, senza freno, urlo nel cellulare come un indemoniato. Poi respiro, respiro e respiro ancora, dal telefono non sento repliche. Mi rilasso con uno sforzo tremendo - - va beh, dai, calmati tu e mi calmo anch'io, facciamo così, ringrazia che hai un grande padre, la prossima volta, mi chiami tu, mi chiedi scusa, mi dici che ti servono soldi e me li chiedi per favore e con gentilezza, poi quando li ricevi mi dici anche grazie! Ciao, stammi bene! -
- click -

Sento il cuore che mi sfonda il petto. Mi trema la gola. Sento tremare le braccia e le gambe: - respira! - ordino a me stesso. Gonfio il petto e respiro una, due, tre, la quarta volta con calma chiudendo gli occhi in una espirazione infinita: - sono un grande padre? mi sento un grande? Mah, mica tanto, anzi una grande chiavica se questo è il risultato - .
Ancora una volta questa telefonata di merda. Sono anni che mi tormenta. Si, tremenda come la prima volta...
Prima giorni, poi settimane. Poi mesi e mesi ancora. Oggi è tornata. Improvvisamente mi rimbomba nella mente. Mi perseguita. Ogni volta ricordo parole nuove e ne dimentico altre. Ogni volta rimescolo l'ordine delle frasi. Me la racconto nella mente. Mi agito. Ho brividi mentre i nervi mi fremono dentro la carne. Serro le mani, e i muscoli fanno male. Poi respiro e mi calmo: - no, non posso chiamarlo io, l'ho sempre fatto, sempre io per primo, no! basta! - , ragionando da solo a volte cerco scuse a me stesso: - forse era fatto? no, ma no! era lucido, si, lucido, cinico e cattivo. Erano parole urlate di rabbia ma precise e ragionate, urlate ma precise, distinte, rabbiose. Adesso basta! Se vuole dovrà chiamare lui - .
Mi ripeto in continuazione assoluzioni mentre desidero un falso placebo come otto gocce di oramorph che comunque, lo so, niente possono contro questo dolore che non so spiegare. Non è un dolore fisico, è un dolore dentro, una sofferenza neuronale che quando si accende mi manda in tilt il cervello. Sarà colpa mia. Sarà anche colpa mia ma non mi preoccupo: - basta! - , sono tormentato ma non preoccupato. I sensi di colpa li ho cancellati da tempo. Da tanto tempo. Sono anni che non chiama: - aspetto che lo faccia lui, questa volta il primo passo deve farlo lui - .
Non è più un bambino che cresce per diventare un uomo. Io avevo ventiquattro anni quando Max è nato di parto naturale in ospedale. Piangeva nero di collera. Nei film quando te lo fanno vedere appena nato è quasi sempre in una doppia inquadratura idilliaca: un visino disteso che dorme o che guarda meravigliato la tua meraviglia. Lui no, non smetteva di piangere nero di collera. Poi ti raccontano che anche il figlio fa i conti lo stress del parto. Ti convinci che è normale ma quella scena a me resta indelebile. Non è un ricordo, è sempre presente.
Ribelle come tutti i figli di questo mondo. Infatti, non è mai stato un figlio facile ma paragoni non ne posso fare, al momento resta l'unico. Gli altri non sono figlio mio. Però chi può mai dire che fare il padre è facile? Figurati, come se essere figlio non sia anche più complicato.
Quando sei ferocemente incazzato con un genitore, relazionarti a forza contro la tua volontà è come una tortura da cui vuoi scappare. Però io non ho mai calpestato il confine del rispetto che si deve ai vecchi. Forse. Non così almeno. Chi potrebbe smentirmi non c'è più ma non è una consolazione. Anzi li vorrei ancora qui, gli parlerei dei conflitti interiori dei genitori nel XXI secolo e di come mi vergogno oggi al pensiero di tutto quello che mi hanno sempre perdonato.
Ai loro tempi i bambini, maschi e femmine, lavoravano già duramente la terra, nelle stalle, sugli alberi. Però io grazie lo dicevo spesso, mi ricordo eccome, forse non spesso ma lo dicevo, eccome se lo dicevo, mi hanno educato bene ma non basta dire le cose per fare educazione, ci vuole l'esempio. Evidentemente il mio esempio è stato una schifezza.
Il lavoro duro da bambino, grazie a loro, l'ho visto solo come un gioco durante le vacanze estive, a quei tempi, i piedi dei signorini della città indossavano scarpe tutti i giorni, invece era un lusso dei giorni di festa per i miei cuginetti che volavano tra gli alberi come scimmie adulte. I giovani acrobati della campagna divoravano e lanciavano da piante altissime, ciliege nere e sode, migliori di qualsiasi cioccolatino industriale, erano frutti lucidi e corposi dal gusto prezioso dell'impossibile. Meravigliato, invidiavo la loro normalità; crescevano nella palestra naturale della madre terra, a noi cittadini che invece razzolavano solitamente sull'asfalto tra palazzoni di cemento, mangiare quelle ciliege direttamente sull'albero era un paradiso vietato.

Il ricordo di quella nostra telefonata violenta, mi destabilizza. Ogni volta mi scoppia dentro all'improvviso di giorno, e a volte, dal sonno mi butta fuori prima della sveglia, come adesso.
Intanto un'altra notte è passata. Non le conto più da anni. Se fosse una commedia di Eduardo non finirebbe mai. Altri giorni, mesi e un altro anno ancora è passato: - starà bene e non ha bisogno di me - , ecco mi assolvo ma non basta. Di compleanno in compleanno sono passati anni. Ancora oggi, la nostra ultima discussione è un ricordo come un petardo improvviso lontano dalle ore di festa. Proprio così, un momento di fragore non previsto, non voluto, che mette in rivolta la massa encefalica nel mio cranio: il nervoso continua a spaventarmi, è una maledetta ossessione violenta. All'agitazione poi faccio seguire la respirazione e poi la calma. Rifletto un po' e mi assolvo da solo: - non c'è solo lui nella mia vita, starà bene e non ha ovviamente bisogno di me, altrimenti mi avrebbe cercato - dico a me stesso bisbigliando come in un mantra religioso.
Così mi difendo dal tormento di una chiamata che comunque non arriva mai: - aspetterò ancora un po', adesso ho da fare - , passo oltre ad altri pensieri. Il tempo non si ferma, il mondo non aspetta, anzi, se ne frega delle ossessioni umane, fa un giro veloce ogni ventiquattro ore, se ne frega delle questioni personali, il tempo è spietato, è un senso unico senza ritorno: - il tempo e il mondo sono variabili indipendenti dall'umanità - .

- Sarà una chiamata dal terzo livello? - , mi chiedo dubbioso. Questa è la domanda che mi sono fatto ieri, dopo aver sentito il maresciallo al telefono. Forse è la tensione inconscia di una novità che stanotte mi ha fatto ritornare la voce di Max nel sonno. L'incubo filiale mi mancava da un bel po'. Prendo atto di uno stato ormai perenne, come l'ultimo ghiacciaio del Monte Bianco, metto a verbale: - anche per oggi restiamo sconnessi, off-line l'uno per l'altro - , penso ad alta voce sorridendo allo specchio che guarda la mia espressione rassegnata: - prima o poi mi cercherà, adesso voglio prepararmi, sono le cinque, troppo tardi per dormire ancora; scendo prima, faccio una bella passeggiata per rilassarmi, senza fretta - , mi ripeto senza parlare: - il tempo c'è anche per una bella rasata fatta bene, dai, forza e coraggio! - , così ritrovo l'umore giusto per domare il tempo delle mie azioni.
Recupero la bomboletta di sapone al mentolo nell'armadietto, in alto a destra alle due terribili occhiaie bluastre che vedo nello specchio. Scelgo con cura una lametta nuova nel cassetto. Solitamente faccio una barba ogni lunedì, questa settimana è la seconda. Il maresciallo Gradone mi aspetta in caserma alle dieci.
- Sarà una chiamata dal terzo livello? - , lo vedremo, sarà lui a parlare, certo che una convocazione così veloce, rapida, sbrigativa senza spiegazioni non promette bene; mi ero rassegnato alla pensione ed invece forse sono ancora in servizio. Oggi sarà una giornata diversa dal solito e tanto mi basta per riprendere fiato.

La prima volta

Sono nel treno con destinazione Roma per una missione che durerà solo un giorno. La mia prima missione è semplice, veloce e anche divertente. Giocherò una partita di tennis per farmi vedere. Mi gioco un futuro da atleta professionista. Nel borsone ho due racchette Dunlop, quelle di MacEnroe. Due magliette, due costumi, due pantaloncini, polsini e calzini, tutto marchiato Fila, un libro, il Capitale di Marx, acqua e panini per il viaggio. Ho ai piedi le scarpe Diadora di Borg che sto consumando da tre settimane. Non me le tolgo mai, ci vado a scuola, ci gioco a pallone e le sto usando anche a tennis per il corso che mi hanno regalato. Vesto una meravigliosa tuta Fila, bianca e rossa: è proprio quella di Borg. Mi sarebbe piaciuta di più quella Sergio Tacchini di John, ma è bella lo stesso. Siedo rilassato con la testa appoggiata al finestrino, guardando fuori tutto quello che non ho mai visto. Non ho mai preso il treno prima di oggi, sabato 4 luglio 1981.
Il viaggio è lungo ma passa veloce leggendo, dormendo, sognando la voce di Giampiero Galeazzi che commenta le mie micidiali volée sulla terra rossa del centrale.
Ho poche istruzioni precise con ora e binario del treno per l'andata e per il ritorno.
All'uscita della stazione Termini, individuare un pulmino azzurro Fiat 900 con scritta bianca: ITALIA Federazione Nazionale Tennis. Marco ti aspetta.
Infatti, Marco mi attende, attira subito la mia attenzione con un fischio, è vestito come me, capelli lunghi come i miei ma lisci come quelli di Bjorn. Muscoloso il doppio di me, più alto ma di poco, Marco è molto più grande, sotto la trentina, un veterano, io sono un ragazzotto, ancora minorenne ma già tutto sviluppato o quasi.
Mi dice di salire e mi mette a mio agio parlando di tennis per tutto il tempo. Lavora a Parigi e come me riparte subito in serata, però lui da Fiumicino.
Realizzo al volo che non vedrò nessun campo da tennis e che non ci saranno set da vincere. In treno ho studiato con scrupolo una bella piantina della capitale che ho recuperato alla Libreria Internazionale qualche giorno prima.
Anche Marco ha poche istruzioni precise. Conosce Roma ma da 10 anni vive in Francia, anche lui è in missione. Chiacchiera poco, praticamente niente. Con un tono rassicurante ed amichevole comincia a parlare senza inutili preamboli né raccomandazioni.
- Al bar ti aspetta Roger. Il tuo borsone lo prendo io, quando esci torna qui dove mi fermo adesso. Io vado a prendere l'aereo per casa. Stai tranquillo, ascolta e non parlare. La prossima volta, se ci danno un po' di tempo, palleggiamo e vediamo che sai fare. Ciao, stai calmo, vedrai che andrà tutto bene! -
Sono le cinque del pomeriggio. Marco parcheggia in un posto riservato alle federazioni sportive, scendiamo. Marco lascia le chiavi a un tipo che tutto sembra tranne che un posteggiatore, indossa la divisa blu della sicurezza. Scambiano un saluto veloce, non si conoscono. Marco mi fa un cenno e andiamo. Camminiamo come due veri atleti della nazionale, entriamo e ci dividiamo.
Vedo Roger da lontano. Sembra un gemello di Marco solo che ne è una versione scura, ha i capelli neri, sempre lunghi ed è vestito come me. Siamo giocatori italiani di tennis che nessuno conosce.
Roger al bar è sbrigativo, senza convenevoli, non è solo, è con un agente di polizia con divisa e pistola, anonimo, uno qualunque ma imponente. Beviamo qualcosa senza parlare.
Mi portano dentro l'aeroporto, attraversiamo spediti una serie infinita di corridoi, sale e depositi. Mi perdo ma seguo calmo la mia squadra. Nel tragitto mi istruiscono con poche parole.
- Interessati solo del volo internazionale AZ339 da Nizza. Guarda il rullo trasportatore. Appena esce, prendi il borsone bianco che riconosci facilmente, non puoi sbagliare, c'è anche un cartellino con la tua foto, lo metti in spalla con naturalezza, guarda dove siamo, ci raggiungi e ce ne andiamo - .
Da una porta anonima, in fondo ad un lungo deposito pieno di scatoloni, sbuchiamo nella sala del ritiro bagagli.
Sul nastro tra le tante valige che girano lentamente vedo vari borsoni, ce ne sono tre bianchi. Il mio è l'unico con il logo della nazionale italiana di tennis. Non ho nessuna esitazione e lo prendo.
Il banco del controllo dei passeggeri è affollato.
C'è agitazione.
Una discussione animata coinvolge un direttore e una commessa della dogana. Sono finanzieri in divisa. Sta succedendo qualcosa di importante. Una bella ragazza alta e snella è stata fermata.
Nessuno ci guarda. Nessuno ci ferma.
Noi tre passiamo indisturbati. Ci dividiamo mentre torniamo al Fiat 900 della Federazione. L'agente prende il borsone, stacca il cartellino con la mia foto e sorridendo me lo consegna: - prendilo, tienilo per ricordo, sei stato bravo. Ascolti e parli poco. Mi piaci. Continua così, magari ne facciamo un'altra! - , si congeda senza saluti, con lo sguardo.
Roger mi riaccompagna alla stazione Termini, non capisce niente di tennis e quindi nel tragitto parliamo di pallone. Io gli racconto di aver giocato con Peppe Nanu Galderisi quando militava nel Vietri Raito, pochi settimane prima del suo trasferimento a Torino. Cresciuto nel vivaio juventino, ha già esordito in prima squadra e quest'anno parte titolare al posto di Bettega che è infortunato. Nanu è un grandissimo. Roger invece bestemmia sul calcio scommesse e sull'avidità dei calciatori che già guadagnano un - fottio - di soldi. Ha un accento misto, a momenti siciliano, a momenti romano, è laziale e gli tocca un altro anno di purgatorio in serie B mentre il Milan è tornato in A, bestemmia con parole che non conosco.
Arrivati nel parcheggio della stazione mi dice di prendere il borsone che è sul sedile dietro di noi. Il borsone è identico a quello che avevo portato da casa, però nuovo lucido, è gonfio di tutto quello che un ragazzo appassionato di tennis può desiderare. L'impossibile. Tutto firmato, tutto nuovo insieme a molte foto con autografo di John, Bjorn e Adriano Panatta. Un tesoro inestimabile.
Roger mi saluta senza fronzoli, è sbrigativo, ha fretta. Ingrana la marcia e se ne va sgommando.
Un pilota non un tennista.
Al ritorno sul treno pieno di pendolari emigranti diretti al sud, scarico di adrenalina, costruisco castelli in aria: - è stato un lavoretto facile, facile - mi dico rilassandomi seduto sul mio fantastico borsone zeppo di meraviglie nel corridoio affollato di anime sudate e puzzolenti come me, voglio una doccia mentre penso che questo tipo di lavoro, pagato molto bene, veloce e pulito, mi piace.

La ragazza arrestata è Maria Grazia Gelli, figlia del venerabile Licio Gelli, ha 25 anni, il suo borsone marrone è stato sequestrato, contiene documenti scottanti, scandalosi, divisi in cinque buste sigillate e occultate in un doppio fondo. Nei giorni seguenti un terremoto politico e giudiziario scuoterà tutta l'Italia, isole comprese.

La prima missione per il terzo livello è stata uno spasso, non tutte le prime volte sono così, a volte, la perdita della verginità sembra un inganno innocente.

Rosa

Solitamente un giorno qualunque è un giorno di lavoro. Il lavoro e le storie intorno ci riempiono di vita e di morte, - oggi è diverso - , rifletto mentre la caffettiera sul fuoco pippea fragranze arabiche, nere e profumate. Solitamente mi sveglio e trovo tutto pronto, è sempre una colazione ricca di frutta fresca, secca e cereali con semi oleosi, uno spettacolo di colori e di sapori, ci pensa lei, la moglie della mia vita che oggi lascio dormire, le lascio due righe sul tavolo, anche lei sa che non sarà una giornata normale ma dorme tranquilla. Esco silenzioso senza fare rumori inutili, scendendo le scale mi viene in mente Rosa, la vita e la morte, la morte di giovani figli, e con lei, la vita di genitori ormai vecchi lavoratori stanchi.

Sassano (Sa), 29 settembre 2014, LA STAMPA.
Lessi la notizia su internet: - cose da pazzi, non può essere vero - , eppure a qualche km da una nostra sede, al centro di una strada comunale, un giovane ha fatto una strage di giovani con una BMV che è volata sopra una rotonda costruita da poco nel paese di Rosa. L'auto senza controllo, si è sfasciata contro un gruppetto di ragazzi seduti fuori ai tavolini del loro solito bar.
Pochi giorni dopo la tragedia, incontrai la collega nelle scale: - ciao Rosa, buongiorno, sei sempre in formissima e come sempre mattiniera, anche oggi puntuale come una svizzera! tutto bene? - , Rosa è una impiegata modello, è una tipa densa di empatia con il mondo e con sé stessa, non nasconde mai le sue emozioni: - insomma - , mi rispose mogia mogia: - l'altro giorno hanno fatto il funerale di quei poveri ragazzi, hai sentito la notizia? che sciagura, ha ucciso anche suo fratello, ha solo ventidue anni, guidava senza patente, lui si è salvato, questa è la sua condanna, conosco bene i genitori, non si danno pace. Antò è una storia straziante -
- Si, ho letto la notizia online, una disgrazia inspiegabile, assassino ma ubriaco al volante, hanno scritto i giornali, ma i tuoi figli come stanno? si conoscevano? -
- Si, per forza, ci conosciamo tutti, è un paese piccolo, tu lo sai, i miei pargoli sono un po' più grandi, come il tuo Massimo, sono lontani e non sai che pensieri brutti faccio tutti i giorni, Olga è in Olanda lavora e ancora studia, Roberto ha trovato lavoro in Germania dopo il dottorato, stanno bene ma sono troppo lontani da me, fortuna che abbiamo questo lavoro sicuro che ci tiene impegnati, li sentirò con skype, stasera facciamo la solita call della buonanotte, mi chiamano ogni sera, sono la vita mia! - , il volto di Rosa si illuminò, dal buio alla luce, le bastò un pensiero bello per rimuovere il dramma dalla sua voce, così riprese a salire con veemenza le scale che portano nel suo ufficio: - ma tu hai timbrato? - , mi disse ansimando.
- Si Rosa, ho timbrato, grazie del pensiero, dai ci vediamo dopo, vai piano, non ti affannare, il lavoro non scappa! -
- Speriamo di averne il tempo, lo sai, parlare con te mi fa bene. Le liste urgenti del nuovo decreto sono un mare, ne ho tante bloccate perché il chiarimento sull'interpretazione non arriva, sono in scadenza e le liste sono ogni giorno più lunghe - , il tono di voce le diventò marziale, si fermò in mezzo alle scale, posò per terra due grosse buste piene di lavoro che s'era portata a casa: - sto lavoro mi ammazza, ho le lettere A, B, C e D, e mi hanno chiesto di chiudere il controllo di altre quattro lettere - , ogni lettera è una lista di cognomi di tutta la provincia, pensai mentre la sua voce irruente mi scuoteva l'attenzione: - se non scoppio prima e mi fanno ancora girare le palle li mando affanculo loro e i loro numeri! è una responsabilità, sono liste di persone! - , sono prestazioni per centinaia di migliaia di euro, è una responsabilità gravosa mica uno scherzo, disoccupazioni, assegni familiari, bonus bebè, malattie, maternità, bonus covid, casse integrazioni, bonus alla nascita: - se sbaglio mi gioco il posto per abuso o faccio del male a una famiglia che ne ha bisogno - , mica sono mozzarelle da imbustare pensai: - ma a loro interessano solo i numeri per fare bella figura con la direzione centrale, lo vogliono capire o no che ho un'età? pur volendo non ce la faccio più, devono prendere i giovani! - , lo sappiamo bene, a migliaia cercano un lavoro pagato decentemente, è un argomento troppo assente in televisione.
- Emigrano come hanno fatto i miei piccirilli, mentre qui ci frullano come limoni consumati, i giovani fanno la fortuna degli altri paesi, dillo ai sindacati, invece di farvi le pippe, fate qualcosa! - , le sue ultime parole si infuocarono di rabbia, ossigeno su una fiamma rovente di collera repressa. Rosa riprese in mano le buste piene di lavoro da fare e andò via senza salutarmi.
La mamma e collega premurosa era sparita, la lavoratrice orgogliosa della sua funzione sociale aveva preso servizio. Come una pentola a pressione, la sua valvola di sfogo mi aveva investito di collera bollente.

Così iniziano le mie giornate dal parcheggio all'entrata, dalle scale agli uffici. Incontri e conversazioni flash pesanti come il marmo. Dovrei replicare, entrare nel merito dei discorsi ma il tempo non c'è. Il lavoro non aspetta, si accumula mentre la giornata passa veloce.
Anche con Salvatore è così. Il tempo di salutarsi al volo.
Ormai è la prassi, ogni mattina di servizio indifferibile, la nostra guardia con la pistola, mi spara in fronte il laser per il rilievo della temperatura.
- Speriamo finisca presto sta pandemia - , dalla mattina alla sera è una frase che si ripete come un canto tribale, ovunque. Un refrain che si ripete mille volte al giorno. Lo sento e lo ripeto. Lo ripeto e lo sento ancora. Da quando mi sveglio a quando mi addormento. Anche nei sogni è diventato un incubo ricorrente.
Siamo tutti storditi da una litania continua che deve assomigliare alle preghiere dei rifugiati nei ricoveri sotto le bombe vomitate dagli aerei di guerra. Le nostre sono nell'aria, non cadono dal cielo, sono bombe che non esplodono subito ma che ti affogano i polmoni dopo giorni dal contagio.
Con una percentuale impressionante di casi difficili, anche in terapia intensiva, questo maledetto virus uccide, uccide ancora, in tutto il mondo, in Italia oltre centomila, in questo dannato venti venti, oltre tanti altri esseri umani, spirati a casa o in ospedale: la riduzione spazio/tempo della cura alle persone fa più cadaveri del covid, ma se ne parla poco in televisione.
- Porca miseria, ho dimenticato le mascherine! - sono già in strada, mi inchiodo all'istante, mi giro di scatto e torno indietro, prendo l'ascensore: ripensando a Rosa non mi va di ansimare salendo le scale. Ripensando a Salvatore che spara a lavoratori potenzialmente infetti, riprendo il controllo sulla necessità di proteggere me stesso e gli altri: - potrei essere positivo senza saperlo! non devo uscire senza mascherina! -

- E ti pareva, l'ascensore è fermo al settimo piano, ci metterà una vita ad arrivare - dico ad alta voce mentre tamburello sulla pulsantiera che andrebbe sanificata.

Romina

Roma, 27 settembre 2014 (RaiNews), nell'ascensore, un collega ammazza a coltellate la moglie, madre dei suoi figli, assieme a chi crede amante di lei. Erano tutti e tre al lavoro in una nostra sede, quindi colleghi: - cose da pazzi, non può essere vero - , Romina, l'altro giorno mi ha ricordato il fattaccio. Il suo uragano di parole che si inseguivano alla velocità della luce, mi hanno tirato giù dalle scale. Mi ha colto alle spalle, è tremenda ma nonostante tutto mi sta simpatica.
- Antò ascolta... Antò vieni qui... Antoo scendii?... Antò hai letto? che tragedia assurda hanno vissuto quelle creature innocenti, te l'ho già raccontato? - , lei pensa sempre che io sappia tutto.
- Ho preso quell'ascensore ogni giorno per tre anni. Sono stata in direzione generale a fare la sguattera per tre dirigenti che rispondevano ad un direttore centrale che disponeva di ben dieci responsabili di team con altrettanti capi progetto speciale - , Romina ha l'arte della sintesi, con tre parole ti descrive lo staff di un intero palazzo.
- Mi hanno fatto impazzire ma pensa, li dovevo anche ringraziare - , ecco che adesso si fa la domanda e si da la risposta, fa sempre tutto lei.
- Perché? e beh, lo sai, perché dopo dieci anni di servizio al nord, mi avevano concesso una assegnazione provvisoria a Roma dalla sede di Sondrio. Per tre lunghissimi anni, sono stata a pietire un trasferimento aspettando la mobilità nazionale, adesso da dieci anni sono bloccata in una sede sempre sottorganico, non bastano un marito e tre figli, ci vuole un articolo tre, comma tre e anche convivente se no, non è un criterio che da punti, li possino... - , Romina non si smentisce mai, ha anche un modo pittoresco di riassumere la legge 104 per i permessi a chi ha persone invalide da accudire.
- Vavere i propri vecchi, autonomi e in buona salute è una colpa, è un demerito, capisci? dillo ai tuoi amici del sindacato a Roma, fatti sentire! digli che la vecchia Romina li saluta ma che è stanca di aspettare! -
- Buongiorno Romina!!! sempre in formissima, acuta e sprezzante, sempre a dissertare sulle contraddizioni dell'umanità, eh? - , l'ho fulminata con voce sarcastica, con lei bisogna fare così se no ti azzanna alla gola. Poi pacatamente l'ho rincuorata: - dai, ci vuole pazienza, lo sai, stiamo seguendo il tuo caso e tutti i colleghi che sono nella tua stessa graduatoria, c'è un nuovo direttore regionale che è anche donna nonché presidente del comitato delle pari opportunità, ci ha incontrato subito dopo il suo insediamento, si è detta disponibile! - , subito dopo l'ho incalzata affondando nell'argomento che lei ha scelto per ricordarmi la sua vertenza personale: - si, si, ho letto, è sulla homepage della nostra intranet, sono proprio loro, è il comitato che ha proposto la colletta per gli orfani di quell'orribile femminicidio! veramente una brutta storia, pura follia, terribile cronaca nera come quel fattaccio in Puglia di quella giovanissima collega medico appena assunta, trucidata in casa con il compagno, hai sentito? - , toccava a me assumere il tono severo delle questioni importanti per il presente: - ma che paese è questo? c'è troppa rabbia repressa tra noi, il fuoco cova sotto la cenere, e all'improvviso esseri normali diventano pazzi che ammazzano le persone più vicine; dobbiamo stare molto attenti, non dobbiamo sottovalutare - , sono questioni importanti per la funzione di responsabilità che sentiamo come dirigenti sindacali: - dobbiamo seguire chi si isola, aprire chi si chiude, dobbiamo ascoltare, guardare bene dentro le persone quando ci parlano, non stare solo a vedere o peggio fare finta di niente, dobbiamo fare attenzione ad ogni segnale che potrebbe essere una richiesta di aiuto o una minaccia - , è stato un tentativo riuscito di farle deviare l'attenzione con problemi più grandi dei suoi che, comunque, se non li raccontasse non sarebbe Romina.
- Ma tu che ci fai qui, ti hanno convocato in direzione? - , le ho fatto una domanda prima che scappasse via, lei non aspettava altro, è diventata un fiume in piena.
- No, nessuna convocazione della Direzione, è solo un gruppo di lavoro. Abbiamo una formazione urgente, una formazione in presenza, non credo nemmeno che sia legale, comunque non mi sottraggo, mi sarei risparmiata volentieri il viaggio ma siccome la nostra piccola sede è in sottorganico e i numeri sono bassi ci danno, in più, un nuovo lavoro in sussidiarietà così aiutiamo un'altra sede che è più in difficoltà della nostra, ma come? non sai niente? - , è lei, pensa sempre che io debba sapere tutto ma non oso interromperla, sindacalmente sono notizie che mi interessano molto.
- È una vera genialata! ci sono giacenze che aumentano ogni giorno ma invece di affrontarle, le dobbiamo mettere da parte, dobbiamo pensare a risolvere i problemi di altri, emergenze dicono, poi, a fine anno, vogliono da noi i salti mortali da fare di corsa per quadrare i numeri della produzione, un impazzimento - , ride mostrando una dentatura perfetta e bianchissima, abbassa la mascherina a posta per farsela guardare, gli è costata un botto ma ne va fiera: - se ho capito bene, la formazione che dobbiamo fare, darà razionalità al lavoro che dobbiamo fare in aggiunta, però, poi, mi devono spiegare chi farà quello che dobbiamo già fare ogni giorno? - , si incarta spesso con i doveri, il dovere è la sua passione, ridiventa seria con una serie di domande naturali alla sua solita retorica: - questa non è una riorganizzazione, hanno detto che è un reassestement, ne sai qualcosa? ma poi in piena pandemia? dai, Antò veloce, spiegami qualcosa, mi stanno già aspettando! tu che sai? -
- Ma come? - , le ho detto un po' urtato alzando anche la voce, con lei è sempre così, uno scontro mai un incontro: - abbiamo fatto comunicati regionali e nazionali, non li hai letti? abbiamo convocato un'assemblea, la facciamo in video conferenza venerdì, dai partecipa! i tuoi figli ormai sono grandi, fra poco diventi anche nonna per la seconda volta! e dai, ancora con sta storia dei tre figli e della tua famiglia allargata? i comunicati li hai letti? si o no? che ne dici? dai, solo un'oretta, ti colleghi e ci racconti cosa ne pensi, dai fermati un momento! - , è evidente che sono spazientito, ma lei non si ferma, per lei è innaturale stare ferma, Romina è un panzer che non conosce ostacoli, ho cercato di fermarla con uno strattone, con lei non si parla mai da fermo, non si ferma mai, è una multitasking frenetica.
- Leggere? Antò ma a chi ne ha il tempo... - , e impostando la voce da aspirante dirigente mi dice: - caro il mio rappresentante sindacale dai riccioli estinti, ho fatto una regola in outlook così tutti i vostri comunicati sindacali e dico tutti! vanno direttamente nel cestino, sono esasperata, ci arrivano centinaia di messaggi al giorno, pec, pei, ordini di servizio, circolari, chiarimenti sulle circolari, interpretazioni, solleciti, liste da fare, reclami, disposizioni di servizio, poi i contrordini, e poi ci sono le procedure in continuo aggiornamento, decreti a go go, un inferno! leggo e processo solo mail che mi interessano per lavoro, ormai continuo anche a casa e non ce la faccio, pensa, in smartworking poi è anche peggio, non ho più un secondo per me, io ho un marito e tre figli miei da governare, poi nuore e figli non miei, una casa, anzi no, un porto di mare da portare avanti e come dici tu, anche molto allargato, e questi ci chiamano furbetti del divano? che li possino... - , è una furia, donna manager dentro e fuori dal lavoro, dentro e fuori dalla famiglia, una matrona effervescente perfetta ed efficiente: - mhh... bocca mia stai muta... sono pur sempre una signora! dai Antò, non ho tempo adesso, appena possiamo tornare in piazza chiamami che vengo a dirne quattro a quei mangia pane a tradimento dei nostri politici, per non parlare della feccia giornalistica e accademica sempre pronta in televisione e sui giornali a sparare sui lavoratori, adesso non ho tempo, tanto lo so, signora o non signora questi sopra mica mi aspettano, the show must go on, dai, se ci vediamo dopo, ti faccio sapere cosa programmano ai piani alti, ti do qualche notizia in anteprima, se non ci vediamo ti chiamo, spero solo che non siano solo “chiacchiere con la manovella!” - , come dice il nostro governatore sceriffo o sceriffo governatore.
Lei mi manca, eccome se mi manca nel sindacato, si è defilata e mi ha scaraventato tutto addosso: - okay Romina, va bene, fammi sapere, ma all'assemblea partecipi? ci vediamo in call-conference, dai almeno un saluto, è importante! - , ho cercato di incastrarla ma niente, ha risistemato la FP2, nascosto le sue labbra carnose senza rossetto e si è allontanata sbuffando nella mascherina, correndo verso l'altro ascensore, quello della direzione, quello già sanificato: - l'altro lo spruzzeranno stasera - , mi sono detto pensando alla sicurezza.

- Devo chiamare Romina!
Aspettando il mio ascensore e rifacendo le scale a scendere dopo aver recuperato le mascherine anti covid, non preparate all'uscita come la colazione cui ho stranamente rinunciato, il pensiero di Romina ha preso il sopravvento, mi ha ricordato che devo sempre concentrarmi sulle priorità delle persone, lei me la farebbe pagare amaramente ma comunque, all'occorrenza deve essere lei a sostituirmi, me lo deve!
Uscendo dal portone, il freddo che mi investe mi sveglia nuovamente, penso al fatto di non avere avanti un giorno qualunque di lavoro che si ripete comunque sempre diverso, come sono distinti e mutevoli i compagni e le compagne di lavoro, tra loro e da me. Rosa, Salvatore, Romina, la quotidianità non è mai piatta. In una sola giornata viviamo una moltitudine di giornate diverse: tutte quelle di chi vive nella nostra sfera personale, è una sfera che rotola e schizza come la pallina dei flipper degli anni ‘70. Sono giornate consumate nel proprio mondo, parallelo, singolare, sempre in movimento sotto la spinta e il richiamo di forze umane invisibili. Impossibile tenerne il conto. Impossibile non contaminarsi “strada facendo”.

È l'alba di un giorno nuovo, spero di non aver dimenticato altro, la città è ancora deserta, da pochi minuti è finito il coprifuoco della notte, ma deserta è la parola sbagliata, punto primo, il coprifuoco non vale per chi lavora, punto secondo, la città è sempre piena di anime, dietro le finestre di condomini e casermoni, di palazzi e palazzine, negli appartamenti, nelle stanze, nei bagni interni alle abitazioni (una conquista sociale ormai scontata ma maledetta quando si rompe). La città non è deserta, il popolo è vivo, il popolo è presente, si sposta dal letto sfatto alla cucina e inizia a popolare la realtà con gli sbuffi profumati delle macchine per il caffè, il popolo lavora aiutato da macchine elettriche, elettroniche o dalla sua manualità antica che trasuda di umano: - speriamo finisca presto sta pandemia - , fra qualche ora, anche oggi, il popolo tornerà a suonare e cantare sui balconi.

Mentre preparo la mascherina prima di indossarla, respiro a pieni polmoni l'aria fredda, già meno fredda del mattino e sorrido al pensiero che Romina detesta Baglioni: - dai forza e coraggio, oggi niente lavoro, niente colleghi, niente colleghe, niente capi e capetti, niente direzioni e dirigenti, oggi è peggio, mi aspetta Gradone! - , scendo dal centro storico, attraverso la città vecchia, una parte è pulita l'altra in poche ore di frenetica raccolta differenziata lo diventerà mentre vicoli secondari non brillano affatto per pulizia, come nelle case dei signori tirati, è pulito solo dove si vede e c'è tanta polvere sotto i tappeti.
Attraverso la grande piazza tra il Municipio e la Prefettura, la piazza delle adunate: mi hanno raccontato di folle immense ai comizi di Berlinguer e di Almirante.
Papà non mi portava ai comizi, papà non andava ai comizi, non guardava le tribune elettorali in bianco e nero, papà mi portava a prendere la befana in fabbrica, in mezzo alla città che non c'era, intorno c'erano aranceti infiniti, era la fabbrica che lavorava l'acciaio del commendatore D'Elia, dove, profilati a freddo, uscivano tubi di ferro che facevano la ruggine. Papà parlava poco, papà lavorava e basta, lavorava anche dopo il turno in fabbrica, lavorava il sabato e anche la domenica. Papà voleva pagarsi una casa tutta sua, di proprietà non in affitto.

Questa grande piazza, tra Palazzo di Città e la dimora del Prefetto si riempie ormai solo all'ultimo dell'anno con le folle di allora, quest'anno no, non avremo nemmeno il concertone, è vietato ogni agorà, ogni assembramento!
Scelgo la via del mare, è tutto deserto, le strade, le piazze, il lungomare, cammino e penso a come era bello addormentarsi con Carosello negli occhi.
Prima tappa il porto turistico.

Sindacalese

Ti diranno “è sindacalese” o peggio “è solo politichese”. Attento, giovane lettore, se sono mazzieri o peggio croupier, provano a tenerti fuori dal gioco: tu servi ignorante per scelta tua: - è solo sindacalese, non significa niente! - , niente? Scegli tra lana e seta: con discernimento godrai di stoffa buona.
Contratti e leggi non ammettono ignoranze.
Anche tu, giovane lettrice, non rinunciare a capire, anche la discriminazione di genere sembra niente.
Capire è un dovere faticoso, quando ne apprezzerai il piacere ti sentirai potente come l'architetto di Matrix e ti divertirai, finalmente, con la forza dell'oracolo, una donna.

Nella giornata di lavoro di ieri è successo qualcosa di inaspettato come imprevedibili sono i momenti della vita dei miei colleghi, personaggi originali, compagni di lavoro unici, veri, vivi. Sono lavoratori da dividere, da frammentare, da conquistare. Ecco cosa sono i lavoratori per chi si adopera contro di loro: una forza da dividere. Nelle mie giornate penso al lavoro di ognuno di loro, lavoratori e lavoratori che combattono il lavoro. Non è deformazione professionale anche se, spesso è anche questo un mio lavoro. Sono colleghi, compagni o avversari, amici o nemici, simpatici o antipatici, introversi o logorroici, belli ognuno a modo suo sia maschio che femmina. Potrei scriverci un romanzo lungo come “Guerra e Pace”. Difficile, complicato, sicuramente impossibile. Tempo perso: quelli bravi direbbero tempo improduttivo.

Invece scrivo questa storia per dire loro quello che non sanno e che nemmeno possono immaginare.
Perché mai questo dovrebbe essere interessante?
Dovrei trovare un modo per raccontare cosa si sente ad essere imprigionato in una dimensione di impotenza operosa ma senza sbocchi concreti se non la costruzione di una speranza, di una attesa che renda interessante ogni momento presente, e desiderabile il futuro.
Dovrei trovare il modo per raccontare la fuga e poi la conquista, attraverso ascese progressive di verità indecifrabili, nella forma e nella sostanza delle cose.
Sarà interessante perché ci sei tu presente, caro lettore, tu che sai cos'è il lavoro, cos'è l'abuso. Tra le tante sparse in queste pagine, ti sarà utile una mistificazione in più, di tre livelli: primaria, secondaria e l'università. Troverai domande e allora le soluzioni, quelle vere, saranno tue.

- Dovrei scriverlo veramente questo libro sul lavoro - , penso camminando mentre attraverso la piazza simbolo della città, ormai un parcheggio a pagamento per poche macchine, tra Municipio e Prefettura. Scendendo dall'alto del centro storico più antico, l'aria che si respira in questa piazza, accanto alla verdissima Villa comunale recintata da ferro e a due passi dal tenebroso Teatro Verdi, oggi senza programmazione, è aria di mare, salata senza sapore.
Penso che il lavoro sia come un ambiente vasto, un palco indefinito che si riempie di scenografie, di musica, di parole, di conflitti, di passioni, di unioni e divisioni, di solidarietà e cattiverie, di chiacchiere inutili o necessarie, di sudore a volte profumato e a volte sgradevole.
Penso al lavoro come insieme di uomini e donne, protagonisti e comprimari nella vita sociale di ognuno di noi, un noi che non recita mai ma che vive intensamente ogni sua bugia e ogni sua verità.
Penso al lavoro come tormento, come rifugio; vedo il lavoro pagato e non pagato, il lavoro appagante o alienante, il lavoro di chi sfrutta e di chi viene sfruttato, il lavoro raccontato e quello di raccontare l'esistenza umana che senza un lavoro da fare cosa esisterebbe a fare?
Le mie pause di riflessione sono di una tale presunzione che ogni volta mi rimprovero da solo e cerco la concretezza di un momento faticoso per smettere di pensare. Niente da fare non ci riesco. Non posso. La mente viaggia sempre anche senza mezzi, senza soldi né sicurezze per la notte, viaggia sempre anche chiusa in una prigione di parole.

Ieri dovevo sbrigarmi. Dovevo impastare idee e convinzioni con l'esigenza urgente di dire qualcosa di sensato, di interessante. "Impastare prima che il lievito perda forza", come diceva mia nonna. Abbiamo convocato una assemblea per venerdì. L'assemblea è sempre importante e mai un evento facile da gestire. Un'assemblea di persone che pensano, si esprimono e prendono decisioni è un avvenimento complicato, quella di lavoratori e lavoratrici può essere un'arma micidiale, può incutere paura, esigere rispetto ma può anche diventare un cadavere scomodo se diventa noia mortale. Non potevo distrarmi con chi scappa e rifiuta le assemblee, dovevo concentrarmi per chi ne ha voglia, per chi ne sente la necessità. Interessarli per non perdere anche loro. Il momento e gli argomenti sono impellenti, per l'urgenza e per essere credibile non posso mai improvvisare.
Così ieri, buttavo giù un po' di appunti tanto per avere una traccia da seguire, roba pesante - Maschi e femmine? Come se i lavoratori potessero essere divisi in generi e separati dall'essenza stessa della vita umana che è il lavoro? C'è soluzione di continuità nel lavoro, c'è divisione di salario, di diritti, di bisogni, di dolore e di piacere. Questa pandemia non è uguale per tutti! - , questa mi è sembrata buona, me la sono segnata con la penna rossa.
Il bello delle mie pause non è pensare ma usare la penna biro, scrivere a mano mi piace. Usare la tastiera del pc è diventato alienante e distruttivo come la catena di montaggio, con il tempo le dita, il palmo della mano e anche i polsi fanno male.
Parliamo continuamente di lavoro tra colleghi. Quello che dobbiamo fare lo sappiamo bene ed è la priorità dell'orgoglio prima che un dovere, anche perché dal nostro lavoro dipende l'erogazione di prestazioni, soldi e servizi necessari alla vita di chi ne ha veramente bisogno - senza reddito o rendite non si cantano messe - , mi sono segnato anche questa frase. Per la verità sono quelli che ne hanno meno bisogno che si incazzano di più, anche con pensioni e liquidazioni da favola, per una virgola ci assalgono con diffide e ricorsi legali. Non sono tutte rose e fiori, anzi: - ogni giorno scopriamo nuovi sciacalli. Truffaldini, famelici, sciacalli senza pietà. Si infilano ovunque con false identità e in branchi, con la regia di complicate organizzazioni a delinquere. A rischiare è sempre l'ultima ruota del carro, subito additata e linciata per complicità o peggio per incapacità. I corrotti sono le eccezioni di ogni categoria, sono una sorta di condanna genetica del genere umano - .
Dei carichi di lavoro e dei rischi professionali ne discutiamo con veemenza in ogni occasione. In ogni assemblea. Ci sono fazioni naturali: da una parte le prostate e dall'altra le vampate di calore, poi ci sono fazioni innaturali create da sovrastrutture mentali e formali che ancora non hanno capito l'essenziale - una Ferrari e una 500 sono macchine, entrambe sono auto efficaci per il trasporto di una lettera ma, mi chiedo a voce alta: che senso ha farne un problema di efficienza? perché perdere tempo a valutarne implicazioni economiche, quando entrambe sono strumenti che non servono più? - , non male, ecco, potrei dire così per dare un esempio concreto e comprensibile all'intervento sul merito - da una parte la professionalità e dall'altra l'apologia del merito. Da una parte i diritti e dall'altra i doveri. Ci affliggiamo da soli creando tra noi conflitti che dovremmo rifiutare a priori. Sappiamo solo lamentarci, a chiacchiere non accettiamo le critiche velenose amplificate dai media attraverso personaggi al soldo dei potenti, ma poi, nei fatti, accettiamo una valutazione forzata ed inutile, senz'altro utile solo a chi deve tenere sottomessi i lavoratori con le catene del ricatto, alimentando la rassegnazione di chi già sa che gli spetterà, per merito, solo una mancia come misera gratificazione - , due paginette piene, va bene così.

Come solito, è nella mia pausa pranzo che penso a fare un po' di lavoro sindacale. Ieri è successo ancora. Mangio quasi niente, uno, due cracker consumati velocemente insieme ad atti, opere e missioni sindacali che sempre più spesso sento più pesanti del solito lavoro che stanca. Questa volta la discussione fatta in macchina con Giacinto mi aveva ispirato. Quando il lavoro non stanca, è un piacere, non è un lavoro. Con un presagio interiore, come se sapessi che sarebbe arrivata una novità, ieri ho chiuso tutto in anticipo. Cerco sempre di non rimandare niente per rispettare le scadenze. L'assemblea è per dopo domani, venerdì. Poi è arrivata la telefonata di Gradone.

Giacinto

In mattinata, ieri, come solito, Giacinto mi aspettava al parcheggio vicino alla tangenziale. Facciamo il viaggio insieme per andare al lavoro da tanto tempo. Durante il tragitto, spesso, facciamo chiacchiere inutili se non utili a noi stessi per non stare in silenzio. Lui non sopporta la musica che piace a me e allora è meglio parlare di sciocchezze. In questo siamo anche più bravi delle donne. Ieri invece eravamo seri.
- Abbiamo bisogno di altro. Dobbiamo contestare ma non a chiacchiere - , dicevo convinto con un filo di rabbia.
- Giusto come in una partita di pallone - , con fermezza Giacinto mi parlava con la convinzione del predicatore che legge la sua bibbia: - ci vuole intensità, bisogna attaccare con grinta e determinazione, però Antò, non ci sono regole precise per tutti, quindi il risultato è sempre falsato perché uno, non tutti possono permettersi campioni veri, due, devono essere campioni adatti a fare squadra e tre, ci vuole sempre una manciata di fuoriclasse per fare la differenza - , ero serio, attento a questa riflessione di Giacinto, mi facevo trasportare dalle sue parole fiere e determinate.
- Poi ci sono le variabili fuori dal campo, uno, non tutte le squadre hanno lo stesso budget e due, cambiano azionisti e dirigenti sportivi, quindi poiché la matematica non è un'opinione, cambiando protagonisti e soldi, si ottengono risultati diversi, però, Antò, poi ci sono le fratture, ci sono i miracoli, come il Napoli di Maradona, mi segui? ecco a noi lavoratori occorre un miracolo, serve un Maradona! -
Quando Giacinto riferisce un ragionamento che gli piace, si avverte la passione che ci mette, si capisce che è convinto. Non mi fa guidare in pace. Tocca lo sterzo, mi gira il volto per vietarmi ogni distrazione al suo discorso. Se fosse lui alla guida, accosterebbe subito per fermarsi, per non interrompere l'enfasi del suo racconto. Insopportabile come sempre. Quando succede, non mi va di ferirlo e allora lo istigo con cazzate ancora più grosse delle sue. Solo così mi posso difendere.
- Si, Giacinto ti seguo ma sei tu che non segui me, se ti dico Bruno Giordano tu pensi al Napoli di Maradona e solo di quello possiamo parlare. Io vorrei farti vedere le cose da una ottica diversa, esiste un Giordano Bruno che, nell'osare criticare il potere costituito, ha vissuto la sua condanna al rogo come una valutazione, non come vittima o eroe, ma come prova, come estasi nel raggiungere l'infinito fatto di infiniti mondi da amare infinitamente - , trattenevo le risate che vagavano nella mia testa per dare l'affondo definitivo.
- Ecco il vero obiettivo per tutta l'umanità di Bruno Giordano, frate rivoluzionario senza mitra e non calciatore miracolato da Maradona! -
Rimasto in silenzio, Giacinto ha fatto finta di pensare, si è calmato e ha provato a replicare. Ho contato fino a cinque, quattro, tre, due, uno: - perdonami ma come faccio a seguirti? tu mi vuoi solo confondere, tu butti il pallone in tribuna per paura di perdere: l'idea della valutazione dei lavoratori nasce per dare gratificazione al merito - , e allora? mi sono chiesto, come al solito Giacinto non capiva una mazza.
- Eccoti un altro esempio: la reintroduzione del consiglio di amministrazione è una restaurazione, Antò, dobbiamo andare avanti e non indietro, il catenaccio non lo fa più nessuno - , si? veramente? ecco la conferma, magari una mazza, non aveva capito manco quella.
Giacinto è un istintivo furbo, è una sua dote naturale, senza pensare aveva reagito cambiando discorso, volutamente per non darmela vinta, se non ha un leader da seguire non ha riferimenti e allora ho infierito con maliziosa cattiveria.
- Giacì, è semplice, Giacì, wikipedia? tu sai chi è stato Giordano Bruno? - , lo inchiodavo alle sue ignoranze che coltiva con pigrizia dolente.
- Lascia perdere Giacì, eppure l'ottica è facile: se la luce è avanti a te, dietro c'è l'ombra. Lasciamo perdere, cambiamo discorso che è meglio. Parliamo di calcio, tanto di donne e di motori stai messo peggio - , mi piaceva vederlo sorridere ma non aveva capito che non avrei smesso anzi.
- Caro Giacinto mio, tu sei conflittuale dentro e ti rode che Diego, pur avendo i tatuaggi di Fidel Castro e del Che Guevara, non si sia mai candidato a niente - , al nome Diego si è svegliato da un torpore indifferente.
- Il popolo avrebbe eletto Maradona in qualsiasi istituzione del pianeta. Solo così Diego avrebbe potuto fare politica vera, poteva spendere e spandere i soldi del popolo destinandoli al popolo. La tua contraddizione irrisolta è che lo amerai lo stesso perché con i suoi soldi personali, quelli del sistema capitalistico, ha fatto un mondo di beneficenza - , lo avevo colpito e affondato, avevo affogato Giacinto nella sua stessa complessità di comprensione dei ragionamenti inutili. Ci casca ogni volta.
- Vabbeh Antò allora dillo che stamattina vuoi massacrarmi i coglioni, ti sei alzato con il piede sbagliato e vuoi infierire sulle mie convinzioni che sono già fragili per conto loro, se è una tattica Antò, ti dico subito che perdi tempo, io non lascio il mio sindacato per il tuo, lo sai siamo compagni e ti voglio bene ma in politica e nel calcio siamo avversari, lascia perdere, con me non funziona, mo' muoviti, parcheggia che se timbriamo più tardi mi tocca recuperare all'uscita! -
- Questa volta si è proprio incazzato - , ho pensato.
- Giacì, smettila subito, perché? io non ti voglio bene? ma quale tattica e strategia del piffero, il comunicato del nostro “cubano” lombardo, lo hai letto? la dignità universale e non la carità! questo voglio dire, ma come al solito ti mostro la luna e tu vedi il dito, e poi ti offendi perché il dito tocca il grande Maradona, lasciamo perdere Giacì, sei più simpatico quando racconti barzellette, dai fatti una risata, l'hai vista? eccola li, la tua bambolina del secolo scorso, la vedi come s'è concertata? ogni mercoledì è perfetta per il red carpet, pronta per il bridge del pomeriggio con le sue amiche vip, in passerella, vistosa e sciccosa come piace a te anche senza tappeto rosso - , Giacinto ha riso con gusto.

Così ieri abbiamo timbrato ed iniziato la nostra solita giornata di lavoro, in pace e ritrovata sintonia, come sempre o quasi. Le discussioni con Giacinto ci riempiono di tensione, di pulsioni. Le riflessioni sulle fasi politiche e sociali del nostro paese sono epopee mitiche, campi di battaglia dove gli ideali prendono il posto dell'artiglieria pesante, le idee quello di aerei e contraerea, le parole diventano proiettili perforanti che alla fine, però, rimbalzano contro muri di gomma. Noi stessi siamo vittime e allo stesso tempo super eroi di gomma.
Siamo due bambinoni che giocano bene assieme.
L'altro giorno, tanto per cambiare, parlando del nostro nuovo presidente siamo tornati sui massimi sistemi: ricordavamo il vecchio socialista Treu.
Chi non conosce Tiziano Treu?
- Ma come? perché in quegli anni hanno nominato Treu? Giacì come diceva Agnelli, solo un governo di sinistra può fare politiche di destra, la nomina a commissario di Treu è stata una medaglia al valore, un riconoscimento, un tributo alla sua persona, al suo operato. Alla sua riforma del lavoro. Dai mi spiego meglio, tu declini l'anticapitalismo ma sei destro dentro, un tuo compagno non sarebbe stato peggio? quante volte te lo devo ripetere? a te piacciono i leader e gli porti l'acqua con le orecchie anche se le gocce che avanzano non riescono a dissetare chi ha più bisogno di bere, te per primo, poi non ti spieghi perché hanno nominato un professorone come Treu, dai dimmi la verità, da un governo che senti tuo, ti aspettavi la nomina di un ex-compagno di sindacato, vero? -
- No, Antò, ti prego, non è così, non è una questione di aspettative, devi avere fiducia nei compagni, lo meritano, anni fa abbiamo avuto un sindaco a Napoli che poi è diventato governatore, poi è diventato anche ministro, il nostro modello formativo funziona, hai visto? un altro sindaco è diventato governatore e nella pandemia è stato anche confermato, raddoppiando anche i voti per giunta, tutti e due, sebbene siano sempre stati cane e gatto tra loro, sono veri compagni cresciuti nel sindacato, il mio sindacato non il tuo, noi abbiamo fatto la storia, noi abbiamo sempre vinto, noi siamo dentro al potere, Antò voi invece che avete di concreto in mano? voi siete contrari a prescindere, alla fine siete sempre e solo opposizione, che per la verità, e questo lo sai, ammiro per la tenacia e rispetto per la coerenza che riuscite sempre a dimostrare... - .
- Vabbeh Giacì buonanotte, voi vincete sempre ma i lavoratori continuano a perdere, quando fai così sembri un invasato, lasciamo perdere, le fasi vanno e vengono, come nella corrente elettrica alternata, quelli che veneri tu, si portano appresso vecchi rancori di potere irrisolti, scosse e cortocircuiti che non si sanano e che, puntualmente diventano pretesti e proclami per nuove campagne elettorali, ti ricordi? me lo hai raccontato tu:“Meglio un Cesare che un Tiziano”, volevi che venissi anch'io a porgere omaggio al nuovo leader della sinistra della sinistra! -
- Si me lo ricordo eccome, abbiamo preso una tranvata storica, uno shock epocale, peggio della caduta del muro di Berlino nell'89' me lo ricordo come fosse ieri: “Meglio un Cesare che un Tiziano!” -
Quella sera, il vocione marziale del professore Salvi rimbombava sul silenzioso rispetto dei compagni, riuniti nel freddo marmo del consiglio comunale della città capoluogo di provincia. Le cronache raccontano che di li a poco svanirono le velleità di una rifondazione che si spegneva nei colori di un arcobaleno fallito prima di cominciare. Passerà dalla cronaca alla storia come l'estinzione dei comunisti nel Parlamento italiano.
- Giacì quante volte l'hai vissuta questa storia? sono solo campagne elettorali, questi pensano solo ad essere eletti, alla poltrona, al potere e a farsi le scarpe l'uno con l'altro, altro che compagni, quante volte te lo devo ripetere? Giacì questi ti usano e poi ti buttano, tu ti fai il mazzo per organizzargli il comizio, pregare i compagni per la presenza e poi? politichese, sindacalese, strette di mano e... “compagno mi raccomando il voto”, contiamo su di te! - , poi spariscono, quando vincono e quando perdono.
- Giacì hai capito? non puoi meravigliarti se, in un ministero fondamentale come quello che governa il lavoro, un tuo governo scelga un Tiziano e non un Cesare! E daiii... come enfatizza Giampiero le grandi verità, un altro tuo vecchio compagno che fa lo juventino estasiato in tv - .

Racconterei aneddoti su Giacinto per ore. La nostra è una gara infinita. Riunioni, assemblee, convegni, iniziative pubbliche e poi la stampa, i comunicati, le telefonate.
Io e Giacinto lavoriamo anche di più fuori dall'orario di lavoro. Proviamo a riflettere assieme ai colleghi appigliandoci ad ogni minima ancora di salvezza per non affogare nell'indifferenza generale.
Il maggior disprezzo è l'indifferenza ecco perché Antonio Gramsci odiava gli indifferenti.
Quando ci penso rido da solo, non per Gramsci, di Giacinto ovviamente!
- Antò hai letto la biografia di Roberto? Siamo ad una svolta storica! - , un giorno mi ha detto con entusiasmo.
- Roberto chi? - , gli ho subito risposto.
- Antò oggi stai proprio sconnesso. Gualtieri, il nuovo ministro dell'economia e chi se no? ascolta! allievo di storici marxisti, ha insegnato e scritto di Gramsci! -
- Giacì e allora? smettila di sognare, questo sicuramente, non vuole collettivizzare i mezzi di produzione, facciamo le solite chiacchiere ad un vento che non smette mai di fischiare solo per chi lo vuole sentire, e dai Giacinto, riprenditi! la verità è che il vento gira sempre o meglio il vento non può mai essere sempre lo stesso, tra la fredda tramontana dal nord e il caldo scirocco dal sud, ci sono mille eventi che ruotano cambiando la storia - , lui si concentra quando lo riprendo, dice che mi apprezza perché un vero amico ti deve cazziare se sbagli, e poi le mie metafore lo mandano in estasi, quasi in trans e mi lascia parlare senza interrompermi.
- Chi c'era e non c'era nella repressione di Genova al G8, cosa eravamo prima e cosa siamo diventati dopo le torri gemelle, Saddam, Gheddafi, ci manca solo la Rivoluzione Francese e le guerre d'indipendenza e poi possiamo andare in pensione! ma veramente vuoi far rivoltare Antonio nella tomba? veramente vuoi mettere in scena un atto sacrilego? questi cambiano Giacì! questi sono già stati rivoltati da dentro, hai presente quando ti levi un guanto per i piatti afferrandolo dall'apertura dove infili la mano? rivoltati è l'espressione giusta... - , questa volta però si intromette, aveva da ridire sulla metafora.
- Calzino, Antò, si dice rivoltato come un calzino! -
- Va bene Giacinto, va bene anche il calzino, ma comunque, Giacì desisti: “Gramsci e il nuovo governo di centro sinistra” è un titolo che non si può sentire, ma veramente ci credi? Giacì adesso basta! de-si-sti! te lo dico per il tuo bene! -
Pensava che il suo calzino potesse fermarmi, avrei voluto dirgli che il calzino si rivolta per rammentarlo e che quindi la metafora sarebbe cambiata, il calzino andava bene per gente logora, politici scassati e non per un professore universitario, ma non mi sono fatto distrarre da me stesso e ho continuato per centrare l'obiettivo.
- Lo sai, Giacinto, mi piace confrontarmi con te, sei un avversario leale però, ancora non ho capito perché ti affanni per la parte sbagliata, devo anche decidere se il tuo affanno è ottuso o ingenuo, per esempio, nella crisi cubana di Kennedy tu comprendi bene il tradimento imputato dal Che ai russi, però ancora non vuoi capire il tradimento che tu hai compiuto sostituendo un ulivo alla falce e martello, Giacì tu la chiami crescita, trasformazione critica della politica italiana, Giacì, tu sei rimasto alla Locomotiva di Guccini, io quando ho dei dubbi mi rigenero l'esistenza con gli Squallor, ti ho fatto mai sentire “Mi ha rovinato il ‘68”? Giacì, con me non c'è partita, rassegnati, domani in macchina ti faccio ascoltare tutto il cd, ti battezzo con un esorcismo estirpando il demone che è in te, vedrai ti faccio rinascere, ti faccio scendere dalla locomotiva e ti faccio viaggiare in freccia rossa anzi no, ti faccio riscoprire il piacere di stare fermo al sole quando in faccia ti arriva, fresco, il maestrale che viene dal mare... -
- Marò, mi fai morire Antò! se non conosco gli Squallor? lanci la prima pietra chi non non è mai stato un curnutone! -
Così Giacinto si è messo a ridere come un pazzo divertito alla follia. Così Giacinto mi torna complice e compagnone. Non ci stanchiamo mai l'uno dell'altro ma sempre a piccole dosi.
Ieri dopo l'uscita dal lavoro, lungo la strada del ritorno alle nostre residenze, dopo la telefonata del maresciallo Gradone, forse inconsciamente, avevo voglia di discorsi più intimi.
- Giacì adesso basta, parliamo di cose serie, comme stann' Gaia e Irene? - , gli ho chiesto con voce interessata.
- Antò, e che ti devo dire? lo sai la politica c'entra sempre, loro stanno bene ma mi fanno uscire pazzo sono ancora delle bambine e vogliono fare le grandi, più le chiamo e più mi preoccupo per loro e loro più mi mandano a quel paese - , mi ha risposto con un tono grave e triste.
- Giacì, me le chiami bambine? ma se hanno più di trent'anni? ma che c'entra la politica? - , l'ho stoppato con un tono scherzoso ma incuriosito.
- Antò, sembra ieri, ti ricordi quando i bocconiani, dopo Monti, hanno ripreso il potere? il professore Tito Boeri, te lo ricordi? il quasi giovane, renziano al momento giusto? aveva promesso, promesso e promesso ancora, ti ricordi? beh, niente da fare, sono passati anni e le mie piccerelle passano ancora da un incarico precario all'altro, fortuna che ho le mie buone conoscenze con compagni che contano, però le mie bambine sempre precarie rimangono, poi è successo quello che è successo, quello ha perso il referendum, ha perso il comando e ha lasciato il partito e ne ha fatto uno tutto suo, una catastrofe, una vita piena di sacrifici e povera di soddisfazioni, questo mi tocca alla mia età, dopo una vita di lotte e di battaglie, poi sti fidanzati vanno e vengono, ma io mi chiedo quando potrò vedere sistemate le mie meravigliose bambine? - , quando parla delle figlie gli brillano gli occhi.
- Questo mondo è sempre più cattivo con me, si accanisce, Antò, io non ci dormo la notte, le chiamo e quelle mi mandano a quel paese, parlano solo con la mamma che naturalmente mi tiene all'oscuro di tutto tranne che per le spese, Antò, spese ... e che spese! ma che ne parliamo a fare... - , mi ha guardato mogio per intenerirmi.
- Giacì ancora non hai realizzato? a te la politica fa male! ricordami domani che approfondiamo una cosa sui nomi Tito, Diego e Benito, il popolo chiama i propri figli Diego o Benito nei grandi momenti storici per ammirazione, la borghesia invece sceglie nomi già scolpiti nella storia per riproduzione di potere, perché, secondo te, i Boeri hanno chiamato un figlio Tito? tu pensaci e poi ne parliamo domani, dai Giacì forza, non ti scoraggiare, sei sempre il capo famiglia e hai delle responsabilità, fatti rispettare con la dialettica che sai tu, tu sei un maestro di dialettica, tu hai in mano il rubinetto, non lasciare che l'acqua scorra senza il tuo controllo! - , Giacinto mi ascolta con attenzione mentre alza e abbassa la testa per farmi capire che approva.
- Ascolta Giacinto, adesso però, ti devo proprio lasciare oggi pomeriggio, alle sedici, facciamo una nostra riunione in videoconferenza, vogliamo preparare bene l'assemblea di venerdì, non ti invito perché non sei dei nostri, mi spiace, tu sei di un'altra parrocchia ed è solo colpa tua, prima o poi, sono sicuro, i tanti bocconi amari che ti fanno ingoiare i tuoi compagni saranno così amari che sarai costretto ad abiurare, quel giorno verrai con noi e tornerai a lottare! - , Giacinto non si aspettava un concedo così drastico, si è ombrato, mi ha voltato le spalle e si è allontanato senza salutare. Non me ne sono preoccupato, tanto ci vediamo sempre al solito posto. Sarà ancora più puntuale, più frenetico e curioso del solito nel voler sapere a tutti i costi cosa ci siamo detti tra dirigenti che preparano una assemblea dei lavoratori. Vorrà sapere cosa abbiamo deciso. Ormai lo conosco bene, è tutto chiacchiere e distintivo, tiene il broncio per attirare l'attenzione, è un burbero romanticone, uno scassa minchia preciso. Forse gli voglio bene proprio per questo.
Giacinto venerdì, alla nostra assemblea ci sarà sicuramente, alle sue non si diverte più da anni e così ha smesso di organizzarle, la chiamano crisi delle vocazioni, spariscono gli iscritti, spariscono i dirigenti, spariscono le assemblee.
Pietro Di Gennaro
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