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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Writer Officina
Autore: Sophie Rouzier
Titolo: Terremoto nel cuore
Genere Romanzo Rosa Chick lit
Lettori 3623 39 56
Terremoto nel cuore
Chantal in Nepal.

Mi chiamo Chantal. Non chiedetemi perché mi hanno dato questo nome. Sì, è antiquato. Sì, non è molto glamour come nome. Lo so bene. Ma questo nome mi calza a pennello. Anch'io sono vecchio stile, noiosa, una che segue sempre le regole. Non attraverserei mai la strada con il semaforo rosso, non guiderei mai sulla corsia di sinistra per far ridere gli altri passeggeri, come faceva mio padre. Non sono funky. Mangio soia, faccio jogging tutte le mattine e non bevo alcolici. Mi alzo presto perché trovo fantastico godermi una giornata lunga e ben organizzata. Sono il tipo che si fa sfruttare in ufficio, lavoro più di quanto dovrei. Parlo solo quando ho qualcosa di interessante da dire, non sono abituata a perdere tempo e vado subito al punto. Sono sempre puntuale e adoro i libri molto descrittivi che gli altri ritengono soporiferi. Una persona che definireste insignificante? Sono io! Sono la ragazza che non noterete mai durante una serata, ma io mi ricorderò di voi, del vostro nome e del logo sulla vostra maglietta, anche senza avervi rivolto la parola. Eccomi qua. Sono Chantal. So cosa state pensando ora... - Bene, questa storia sarà proprio simpatica, questa Chantal ci farà dormire - E invece no! Aspettate un po'. Vale comunque la pena che voi mi ascoltiate!
Sto solo cercando di spiegarvi chi sono, in modo che voi possiate identificare il personaggio. È un gioco da ragazzi. Tutti hanno incrociato una prima della classe durante la scuola. Il tipo di ragazza che aveva lunghi capelli neri sottili, legati dietro la testa in una coda da cavallo bassa. Quella che aveva gli occhiali orribili, scelti dai suoi genitori, e che adesso sono tornati di moda. Sì! Proprio quei vecchi occhiali brutti, spessi, e con la montatura in tartaruga. Io sono quel tipo di persona! Ok, siete riusciti a inquadrarmi meglio?
Se faccio sport, è per cercare di avere una silhouette. Sono alta, magra e insignificante, ma questo l'ho già detto. Volete sapere qualcosa di nuovo, qualcosa che vi stupirà? Nonostante questo fisico, che considero ingrato, ho un ragazzo. Certo, è noioso come me, ma ne ho uno. A volte faccio fatica a crederci.
Chi è questo fortunato, vi chiederete? Ecco una breve descrizione non esaustiva delle sue principali attrattive e caratteristiche: gli piace il cinema italiano degli anni '50, il jazz, il tai chi e condivide con me la passione per il tofu. Fa yoga ogni mattina al sorgere del sole. Non viviamo insieme, è ancora a casa di mamma e papà. In parte, a causa della loro religione. Comunque, il mio ragazzo è quanto meno più moderno dei suoi genitori. Ha provato più cose di quanto la Bibbia consenta prima del matrimonio e ha addirittura consumato... non è il caso di farne un dramma. Solo lui si è divertito... Quando vi ho detto che è noioso...
Vi racconterò del nostro incontro... perché è stato mitico. La mia compagna Theresa, una fan delle discoteche, tra due ripassi per il nostro esame di chimica, mi aveva trascinata a una festa studentesca. Si era preparata per bene, avreste potuto pensare che sarebbe andata a lavorare sulla strada, tra la gonna corta, il trucco pesante, i collant con la riga e i capelli fluenti. In breve, eravamo appena arrivate che aveva già una mezza dozzina di spasimanti ai suoi piedi che, grazie alla luce soffusa, non potevano vedere l'opera d'arte che era il suo viso. Ben presto mi sono sentita di troppo. Ma Theresa mi coinvolgeva nelle conversazioni, continuava a parlare di me, cercava di farmi fare bella figura. Era la mia protettrice, cercava di convincere qualcuno dei ragazzi a interessarsi a me. Ma io non ero andata per quello. Avevo accettato di accompagnarla a questa festa solo perché volevo bere alcol fino a ubriacarmi. Volevo prendere una sbronza per la prima volta nella mia vita, sentirmi, come si suol dire, - partita - , essere libera e fare cose che non sarei mai stata capace di fare da sobria. Al primo sorso di birra, mi sono ripromessa di non berne mai più fino alla fine della mia vita.
Dopo poco tempo, Theresa aveva deciso di interessarsi a uno dei suoi pretendenti. Questi ne aveva già avuto abbastanza che io stessi incollata a loro.
— Ehilà —disse a uno studente che se ne stava da solo al bar—. Prenditi cura della ragazza. Ha bisogno di compagnia.
E fu così che l'altro, preso alla sprovvista, si sentì in dovere di fare conversazione con me. E poi a quel punto, per forza di cose, anch'io mi sono adeguata. Non volevo più continuare a fare da tappezzeria. Adoro parlare con gli estranei e raccontare la mia vita, riempire gli spazi vuoti e lanciare degli argomenti di conversazione! Questo giovane era arrivato al momento giusto! Onestamente, avrei preferito restare a casa sotto il piumone con il pigiama in pile, i calzini e il gatto al mio fianco. Sto forzando un po' l'immaginazione, perché in realtà non ho un gatto. Insomma, insisto e sottoscrivo: guardare l'ennesima replica di un adattamento di un romanzo di Jane Austen in televisione e nella sua versione originale sarebbe stato molto più piacevole. Beh no, ero in presenza di un giovane caduto dal cielo, lungi dall'essere ripugnante, che cercava di parlarmi, timido come me e che sembrava molto colpito dalla mia mancanza di prestanza e di sex appeal (e di seno). È sicuramente un geek, mi sono detta. Un ragazzo che passa le serate al computer con i videogiochi. Le cuffie avvitate sulle orecchie, chiacchiera con i suoi amici virtuali mentre mangia la pizza. Un vero cliché. O forse è un serial killer, ho pensato, che vuole mettere le mani su qualsiasi ragazza che non abbia l'aria troppo maschile. Fortunatamente, non era niente di tutto ciò. Ecco una trascrizione delle prime parole che ci siamo scambiati:
— Ehm, ciao —mi ha detto.
Wow, questo sì che è un approccio.
— Ciao —gli ho risposto convinta quanto lui—. Vuoi la mia birra? —gli ho chiesto.
— No, non mi piace.
— Neanche a me.
— E allora, perché l'hai ordinata?
Vi risparmierò il resto della conversazione perché, per i primi dieci minuti, è stata di scarso interesse. Poi abbiamo trovato un paio di cose in comune e abbiamo finito per scambiarci i nostri numeri di telefono, sperando che nessuno dei due cercasse di chiamare l'altro.
Due mesi dopo, gli ho inviato inavvertitamente un SMS ed è così che è iniziata la nostra love story. Certo, ho dovuto ignorare il fatto che indossa camicie a scacchi con pantaloni a righe. Non ha stile. Neanch'io, ma almeno conosco le basi. Ho dimenticato di dirvi che si chiama Louis. Chantal e Louis, suona davvero borghese. Louis non può negare le sue origini, emergono nel suo modo di esprimersi. Ecco una frase tipica che potrebbe pronunciare: - Chantal, oggi ho fatto una follia! Sono uscito cinque minuti prima della fine della lezione di matematica per far capire al professore che era noioso. - Con Louis arricchisco il mio vocabolario, mi eleva.
Dicono che chi si assomiglia si piglia. Sembra che gli opposti si attraggano... che i brutti si riproducano tra di loro. Non posso dire quale di questi detti sia stato accertato (come vero ). Comunque sia, quelli erano i tempi dell'università. Adesso, sia Louis che io siamo entrati nella vita lavorativa. Non sorprende che, grazie al nostro zelo, siamo stati assunti dalle società in cui abbiamo svolto il nostro tirocinio di fine studi. Per me, è una rinomata azienda farmaceutica a Strasburgo, e per Louis è un istituto di statistica. Ciascuno di noi due lavora davanti al proprio computer, evitando il contatto con i colleghi e la macchina del caffè.
Sono felice di stare con Louis. È serio, posso contare su di lui. È sempre di buon umore. Non mi deluderà mai, ne sono sicura. Tuttavia, vorrei aggiungere un aspetto negativo, se me lo permettete. Tra noi manca la passione, come la conosciamo nei romanzi o nelle commedie romantiche e un briciolo di follia, solo un briciolo mi basterebbe. Siamo entrati in una routine. Allora io sogno con i miei libri grandi storie d'amore e spero segretamente di essere qualcun'altra. Un'eroina vittoriana, una principessa russa? E perché no, una di queste stelle di RnB che muove il suo didietro senza complessi ed eccita la razza maschile facendo scorrere la lingua sulle sue labbra carnose? Desidero essere una donna seducente su cui si concentrano tutti gli sguardi quando entra in una stanza. Vorrei essere sicura di me. Vorrei indossare un vestito attillato con tacchi di diciotto centimetri e un rossetto scintillante. Vorrei riempire questo vestito, che si vedano le forme, i fianchi e un seno arrotondato rifatto grazie a un amico chirurgo. Vorrei anche essere simpatica. Vorrei che le persone si ricordino di me e che, in segreto, sognino di stare come me. Vorrei che tutti mi ascoltassero quando apro la bocca e che non mi interrompessero. Vorrei essere un modello, un riferimento. Vorrei far parlare di me perché sono bellissima e non solo perché la mia azienda risparmia qualche euro grazie al mio intervento. Sono stanca di essere la dipendente dell'anno anche se lavoro in una società da soli due mesi. Nessuno conosce il mio nome, ma tutti sanno chi è il topolino da laboratorio. Stanca di avanzare su questa strada che è stata tracciata per me! Questa strada dove passo sopra le insidie senza problemi. Voglio azione, pericolo, voglio essere un'altra. Non sono fatta per questo corpo. Il mio vero temperamento non si può esprimere, è imprigionato. Brucio dentro e nessuno se ne accorge. Soffoco. Fortunatamente per me, questa sensazione non durerà ed è questa la storia che vi racconterò...
— Chantal, hai dimenticato di abbottonarti la camicia fino in cima —mi dice Louis, alzando a malapena lo sguardo dal giornale.
Cercare di essere sexy con un ragazzo del genere...

Ho paura di farvi fuggire. Restate, restate. Ho tanto bisogno di voi. Non lasciatemi da sola di fronte al mio destino. Sento che potete aiutarmi a trovare la strada che devo seguire. Ma, per prima cosa, venite al lavoro con me. Vi porto sulla mia bici, è un mezzo ecologico... proprio come me. Visitiamo insieme il mio posto di lavoro. Edifici a perdita d'occhio, una delle più grandi aziende farmaceutiche in Europa. Noi studenti di chimica la sognavamo. E naturalmente, io lavoro qui. Sono l'orgoglio dei miei genitori. Se voi sapeste... si vantano con chiunque voglia ascoltarli, che la loro figlia scoprirà il vaccino contro l'AIDS o sconfiggerà la fame nel mondo (abbiamo bisogno di medicine per sconfiggerla?). Ma in realtà questo non è affatto il mio campo. Infatti, nessuno ricorda in quale ramo lavoro. Li ho sentiti raccontare che lavoro nelle nanotecnologie. Beh no, ancora no. Invece sono tra coloro che controllano il lavoro degli altri e cercano di farli produrre di più, meglio, e a un costo inferiore. Sono un ingegnere del controllo qualità. Quindi il premio Nobel per ora non mi tocca.
Ogni mattina mi viene il mal di stomaco quando inizio a legare la bici davanti al mio laboratorio. Ho paura. Dovrò ancora salutare tutti, sorridere, fingere di credere di appartenere a questa azienda, a questa vita ben scandita da uno stipendio alla fine del mese. Io non sono come loro. Cammino rasente alle pareti dei corridoi, sperando di non incontrare nessuno, non voglio stringere mani e fingere di essere interessata ai loro weekend, quando in realtà non me ne frega niente. Almeno quando inizio a lavorare sono da sola davanti al mio computer. Quello che mi preoccupa di più sono le riunioni: ascoltarli parlare di stupidaggini per ore e ore. E quello che parlerà di più passerà per il più intelligente di fronte agli altri. Ci manca solo che vogliano una caramellina come premio!
— Ciao Chantal! Come va? —mi chiede un collega con più interesse del solito.
Questa è la domanda a cui devo rispondere affermativamente, anche se mi sento esattamente il contrario. Faccio yoga con Louis, mangio bene, dormo le mie otto ore, bevo abbastanza acqua e non ho bisogno di togliermi il trucco perché non mi metto neanche il fard sul viso. Quindi sì, il mio corpo sta bene. Sicuramente vivrò più a lungo di te. Quindi sì, devo rispondere che sto bene. Ma non conosco la gioia. Sono in modalità sopravvivenza. I giorni si succedono tutti uguali, io li subisco.
Quando affronto l'argomento con Louis, lui non mi ascolta. Sono solo le riflessioni di una bambina viziata. Ho tutto per essere felice. Dovrei guardarmi intorno, le persone che chiedono l'elemosina, i migranti, i malati, le famiglie lacerate, la difficile situazione degli orsi polari, i pesci pieni di plastica. Io ho da mangiare a sufficienza. Dovrei essere felice, quindi sto zitta. Soffro in silenzio. Non voglio deprimervi con la mia negatività. Non sono nemmeno al punto di voler lasciare questo mondo. Sento che c'è ancora speranza. Beh, probabilmente, da qualche parte, se si cerca bene... Mi sono forgiata questa vita da sola, devo sopportarne le conseguenze.

Entro nel mio ufficio. Sono appena tornata da due settimane di ferie e vedo tutti i miei colleghi riuniti. Ho un solo desiderio, quello di girare i tacchi verso la porta di uscita. Mi osservano con insistenza. Ho una macchia sul cappotto? I baffi a causa della mia cioccolata calda biologica del Guatemala? Diluirla nel latte è una vera sfida al mattino.
— Bentornata tra noi, Chantal! Dai, siediti e raccontaci un po' della tua vacanza.
Vogliono davvero sapere del Comic-Con ? Mi prenderebbero per una ragazzina. E poi, non riuscirebbero mai ad immaginarmi travestita da Principessa Zelda, è troppo funky per me. Eppure è stato così. Il mio vestito sembrava più un pigiama che una versione sexy di questo personaggio dei videogiochi. Non ho avuto problemi ad indossarlo, perché sapevo che nessuno mi avrebbe riconosciuto, figuriamoci negli Stati Uniti! In quanto grande fan dei supereroi, Louis ci teneva a partecipare a questo evento. Anche lui sogna di essere qualcun altro e indossare calzamaglie strette, ma questa è un'altra storia. Prima di poter dire qualsiasi cosa, una collega dice:
— Non ci posso credere che tu l'abbia fatto! Chantal! Wow! Non pensavo fosse il tuo genere. Tu che hai l'aria tanto, ehm...
Casalinga? Ho l'aria da eremita, da topo di biblioteca, da fifona? È un indovinello? Lei non osa finire la frase.
— Uh... —balbetto.
— Fino in Nepal! Ad aiutare la gente!
— Falle vedere, falle vedere. È appena tornata, potrebbe non averlo ancora visto!
— Ma di cosa parlate? —chiedo, intimidita da tanto interesse intorno a me.
E allora cercano su YouTube un reportage sul terremoto che ha avuto luogo in Nepal due giorni prima. Ne ho sentito parlare al telegiornale, non potevo non saperlo. Le immagini sfilano davanti ai miei occhi. Vedo persone che soffrono, altre che piangono. Ci sono anche quelli che si sono persi, e sullo sfondo gli edifici crollati, i detriti, la polvere... E poi lei. Non mi sarei mai aspettata di rivederla un giorno. Mi viene voglia di vomitare. È così bella, così sicura di sé. La giornalista le pone alcune domande. Lei risponde in un buon inglese e spiega le azioni dell'associazione di cui fa parte come volontaria. Parla del lavoro titanico delle autorità per trovare le persone tra le macerie. Mi salgono le lacrime agli occhi. Non può essere. Non riesco più a seguire il reportage.
— Oh! Chantal, scusa, non volevamo ricordarti quei momenti. Devono essere stati terribili! Avresti potuto dirci comunque che stavi andando in Nepal. E poi, interrompere le tue vacanze per fare la volontaria!
Non riesco più ad ascoltarli. Mi siedo, mi manca il respiro. Mi circondano come zombie pronti a condividere il mio minuto di notorietà.
Non l'ho detto a molti, ma quella persona sullo schermo, che loro pensano che sia io, è mia sorella. Non può essere che lei. Non la conosco. In effetti, è stato tanto tempo fa. Ci assomigliamo sempre come due gocce d'acqua. L'unica differenza è che lei va avanti a testa alta e non porta il peso della sua vita sulle spalle.
— Chantal, sappi che siamo tutti molto orgogliosi di quello che hai fatto. Dopo aver parlato con il grande capo, l'azienda è pronta a sponsorizzare il tuo ritorno in Nepal, potresti prendere una specie di congedo per motivi di attività sociale e volontariato...
Stanno delirando. Loro credono che andrò in un paese dove mia madre biologica ha abbandonato me e mia sorella perché una volta aveva avuto una storia con uno straniero. Che sfortuna, è bastata una volta! Ogni giorno vedo le mie origini allo specchio, questo basta per ricordarmi da dove vengo.
Vogliono dare lustro al nome della loro azienda. Nei media si parla di aziende farmaceutiche che fanno soldi sulle spalle dei paesi in via di sviluppo. Mentre, invece, questi paesi poveri tentano, con i propri mezzi, di produrre molecole che possano salvare delle vite. Ai miei capi, di me non importa davvero niente. Non sanno cosa questo potrebbe significare per me.
— Io - io ci penserò... —balbetto.

Vi devo una spiegazione. Mi avete immaginata fisicamente in un certo modo ma io sono tutt'altro. Sono una bambina adottata. L'ho sempre saputo. Ho vissuto con mia sorella per due anni in un orfanotrofio in Nepal. Ci siamo lasciate con un addio straziante. Mi hanno strappato il cuore quel giorno. Lo ricordo come fosse ieri.
In Nepal, a quei tempi, non si potevano adottare due bambini dello stesso sesso, quindi siamo state separate. Io sono stato affidata alle cure di una famiglia adottiva. Sono partita per la Francia mentre lei è rimasta. I miei genitori hanno sempre cercato di rintracciarla. Lo hanno fatto per me. Non sono mai riusciti a sapere niente. Né il reparto maternità, né l'orfanotrofio hanno mai fornito informazioni utili. Mio padre biologico era un uomo importante, probabilmente un diplomatico in viaggio d'affari. Non voleva che sua moglie venisse a sapere della sua avventura. In realtà, non ne so niente, ma è quello che immagino. Mia madre biologica ha un nome così comune che è impossibile sapere che fine abbia fatto.
A dire il vero, non mi è mai importato. Ho avuto un'infanzia più che normale. Sono stata felice con la mia famiglia adottiva. Sapevo che mi mancava una parte di me, ma non ho mai sentito il bisogno di saperne di più. Certo, mi sono interessata al paese, alle mie origini, ma più per le domande dei miei compagni di scuola che per un'altra ragione. Sì, i miei occhi sono leggermente a mandorla e la mia carnagione è meno bianca di altre. I miei capelli sono neri e fini. Nelle foto di classe si vedeva bene che c'era qualcosa di diverso. È chiaro che non sono nata nel piccolo villaggio di Munster. I miei genitori volevano così tanto un figlio che hanno attraversato i confini per venire a prendermi, a salvarmi. Tuttavia, mi hanno strappato dall'unica persona che mi amava di un amore incondizionato, il mio doppio, la mia metà. Colei che, come me, era stata abbandonata. Per un certo periodo, abbiamo potuto contare solo l'una sull'altra. Ci mettevano nella stessa culla. Quando una piangeva, l'altra, con la sua presenza, la consolava. Non si può sottovalutare questa forza, questo legame che esiste tra gemelli.
Trovo difficile prendere una posizione, ma sono loro grata per avermi fatta uscire dall'orfanotrofio e per avermi portata nella loro vita. Mi hanno accettato senza conoscermi mentre mia madre mi ha rifiutato. Perché ci ha lasciate vivere per nove mesi nel suo grembo? Eravamo una parte di lei, e lo siamo ancora.
All'orfanotrofio, fanno di tutto perché i bambini non abbiano paura degli estranei. C'erano anche dei dipendenti bianchi che si prendevano cura di noi. Dei caucasici, pardon, voglio esprimermi in modo politicamente corretto. Li sentivamo parlare in una vasta gamma di lingue. Questo serviva per prepararci a lasciare il paese.
Del giorno in cui i miei nuovi genitori sono venuti a prendermi, non ho ricordi. Ho in mente solo le foto, quelle scattate in quel momento. Per loro, questi erano solo momenti di pura felicità. Per me la sensazione era tutt'altra: mi si portava via dalla mia unica famiglia.
Ho avuto bisogno di tempo per adattarmi a questa nuova situazione. Due anni sono certamente pochi, ma abbastanza da lasciare segni indelebili. Mi mancava mia sorella. Non capivo dove fossi.
I miei genitori volevano che imparassi un po' di nepalese, che mangiassi dei momos, una specie di ravioli. Mi hanno fatto ubriacare di tè allo zenzero, mi hanno parlato dell'induismo, di città con nomi favolosi come Kathmandu o Bhaktapur, mi hanno portato allo zoo per vedere gli animali del mio paese di origine. Da piccola, avevo paura degli elefanti e delle scimmie. Nei miei incubi, li vedevo scappare da me, portando via mia sorella che mi guardava con occhi pieni di lacrime.
Quello che volevo era essere normale. Volevo ottenere buoni voti, mangiare crêpes, indossare abiti da principessa. Il mio più grande desiderio era che smettessero di vedermi come una straniera e mi lasciassero vivere, respirare l'aria pura dei Vosgi. Non capivo perché mi facessero vivere ricordandomi costantemente chi ero. Per dei genitori adottivi, non deve essere facile. I miei non si sono mai sentiti all'altezza. Non sapevano come fare. È stato detto loro dell'impegno che l'adozione avrebbe comportato, che i primi momenti sarebbero stati cruciali per la nostra relazione futura. La fiducia, la sicurezza... un bambino adottato che piange deve essere confortato al più presto. Non bisogna lasciarlo urlare. Non deve credere che lo si abbandoni ancora. Un brutto sogno, i disegni, tutto viene analizzato. I miei temi a scuola, il mio comportamento in classe verso gli altri compagni... non un momento di tregua, tutto era sezionato. I miei genitori, io, gli psicologi... io volevo solo avere una vita normale.
Ho finito per averla. Ho fatto di tutto per dimenticare chi fossi. Ho rifiutato tutto il mio passato. Vengo dalla valle di Munster. Mangio torte di mirtilli e formaggio bianco con kirsch . Ho praticato danza classica e tennis. Suonavo il piano e volevo andare al catechismo come tutte le mie compagne. Mi sono costruita una gabbia, una tana. Una vita in cui non ci sono sorprese. Una linea ben tracciata che dovevo solo seguire. Ottenere il diploma di maturità, finire gli studi, trovare un buon lavoro, un compagno che si prendesse cura di me e soprattutto non avere mai figli. Come per rinchiudermi ancora di più in me stessa, mi sono rifugiata nei libri, un vero topo di biblioteca. Come Bilbo, uno dei miei personaggi preferiti di Tolkien, sono convinta che una vita per procura sia molto meglio di una vita piena di rischi e avventure. Una delle sue battute preferite riflette completamente il mio pensiero: - Noi siamo gente tranquilla e alla buona e non sappiamo che farcene delle avventure. Son cose brutte, fastidiose e scomode! Fanno far tardi a cena! Non riesco a capire cosa ci si trovi di bello! -
Per completare il mio profilo, devo anche confessarvi che scrivo. Piccole storie, niente di molto serio. Non sono destinate ad essere pubblicate, ma mi permettono di evadere senza uscire di casa. Se andiamo d'accordo, ve ne farò leggere una, un giorno, ma niente è sicuro.

In questa vita senza sorprese, ho sempre avuto bisogno di essere apprezzata. Volevo essere rassicurata e pensavo che, avendo buoni voti e non commettendo sciocchezze, sarei stata amata di più.
Crescendo, ho messo della distanza tra il Nepal e me. Non ho provato a scoprire chi fossi. I miei genitori mi avevano scelto, questo era ciò che contava. Il resto è solo un luogo di nascita su un passaporto. Tuttavia, questo terremoto mi ha richiamato all'ordine. Difficile da ignorare. Giornali, televisione, non ho potuto evitare la notizia. Ho sperato che tutti i membri della mia famiglia potessero essere finalmente morti, tranne mia sorella, ovviamente. Non valeva la pena che vivessero, visto che mi avevano abbandonata. Ho pregato che il Paese venisse inghiottito, affondato nella terra e spazzato via dalle carte geografiche. Visto che la mia religione è la scienza cartesiana, non mi pongo il problema. La scienza mi conforta, non mi deluderà mai. Mi dispiace di aver avuto questi pensieri. Mia madre deve soffrire molto ogni giorno pensando ai bambini che non ha cresciuto. Proprio come mio padre naturale, senza dubbio...
E poi, l'ho vista su quello schermo, sorridente, e tutti i miei sentimenti sepolti sono tornati in superficie. Posso ignorarla ancora?

I miei colleghi e il mio capo mi guardano, in attesa di una mia reazione. Scrutano ogni mio minimo movimento, devono prendermi per una pazza. Finisco per parlare:
— Sì, ehm, effettivamente non vi ho detto niente. Sono così, non mi piace vantarmi. Vengo dal Nepal, la mia famiglia è ancora lì. Sono andata a trovarla e poi, quando è successo... Insomma, volevo aiutare. Un sacco di emozioni. Probabilmente non potete capire fino a che punto. Anzi, penso di tornare a casa, non mi sento bene. Rivedere immagini come quelle...
Suona così falso. Non sono una brava attrice.
— Prenditi qualche giorno... Il tuo posto di lavoro rimane, puoi tornare...

Ho lasciato questo edificio per la prima volta con una sensazione di leggerezza. Loro credono veramente che sia io a fare questo genere di cose. Sono una persona eccezionale. Stasera a casa, i miei compagni di lavoro diranno ai propri familiari che una loro collega è un'eroina, che accorcia le vacanze per salvare vite. Questa ragazza sono io... beh, potrebbe essere. Vago per le strade di Strasburgo, cammino lungo i marciapiedi e arrivo nel centro della città. Da piazza Kléber ci sono solo poche centinaia di metri per raggiungere la stazione. Senza nemmeno accorgermene mi trovo sul treno per Colmar. Mando un messaggio a mia madre chiedendole di venire a prendermi tra mezz'ora. Lavora con mio padre nel loro agriturismo. A quest'ora è abbastanza tranquillo, gli escursionisti sono tutti in passeggiata. Può assentarsi senza problemi.
Il viaggio si svolge a grande velocità, sono completamente persa nei miei pensieri. Quando una voce annuncia l'arrivo alla stazione, faccio un salto. Mi sento altrove. Scendo i gradini del treno e mi ritrovo sulla banchina. Vedo mia madre che mi aspetta con un gran sorriso. Mi getto tra le sue braccia e inizio a piangere. La stringo forte. Lei mi dice che è qui, che ora andrà tutto bene.
Sono seduta sul sedile del passeggero dell'auto, e saliamo verso le alture. Di curva in curva, avanziamo verso la casa di famiglia. Mio padre è in piedi sotto il portico e guarda il veicolo parcheggiare. I campanacci intorno al collo delle mucche suonano e mi ricordano quanto mi senta bene in questo ambiente. Mi precipito verso di lui e gli appoggio la testa contro il petto. Mi accarezza i capelli e mi accompagna verso l'interno. Entrambi sapevano che questo momento prima o poi sarebbe arrivato, che la loro bambina avrebbe avuto per la prima volta il cuore spezzato.
— Chacha, gli uomini sono tutti dei mascalzoni, Louis non ti merita.
— Ehi, io sono qui, stai attenta a quello che dici! —scherza papà—. Chantal, tua madre ha ragione, gli uomini sono tutti dei gran mascalzoni.
— Non ne dubito. Non sono venuta per questo. E con Louis va tutto molto bene.
— Oops. Non abbiamo nulla contro di lui.
— Tanto meglio, perché non ho ancora previsto di lasciarlo.
— Cosa succede, Chacha? Cosa ti preoccupa, tesoro?
Chantal, Chacha, mi chiamano così. Eppure il mio vero nome è tutt'altro: Sunita.

Racconto loro del reportage, di mia sorella e della proposta del mio capo, non senza un leggero senso di colpa. Dopotutto, mi sono fatta passare per un'altra e non ho provato a rivelare la verità.
— Chantal, è ora che tu vada —mi consiglia mio padre.
— Non hai mai voluto farlo con noi, ma potrebbe essere un segno. Hai un indizio, puoi trovarla.
— Un indizio? Non abbiamo niente! Sappiamo solo che era una volontaria per un'associazione umanitaria e che si trovava nelle vicinanze di Kathmandu due giorni fa.
— Beh, è comunque più di quanto abbiamo trovato negli ultimi anni —sussurra mio padre a mia madre.
So che i miei genitori hanno sempre cercato di raccogliere sue informazioni. Me l'hanno già detto. Quando ero piccola, avevo scritto un elenco con i dettagli che conoscevo di lei. Sono tornata nella mia stanza da ragazza per rovistare nell'ultimo cassetto alla ricerca della scatola, quella che è ben sepolta sotto le pile di magliette troppo strette, quella che non osiamo aprire per paura di essere delusi dal contenuto.

Ecco la famosa lista:
Mia sorella :
• Nome: Roshani
• Cognome: Sherpa
• Data di nascita: 25.05.1990
• Luogo di nascita: Ospedale di Patan, Kathmandou
• Primogenita
• Origine/casta : Sherpa della regione di Khumbu non lontano dal monte Everest
• Luogo di residenza per i primi due anni: Orfanotrofio di Patan, Katmandou

Nella scatola c'è anche il mio braccialetto di nascita, è così che abbiamo saputo in quale ospedale siamo nate e il nostro cognome: Sherpa. È il più diffuso in tutto il paese e in più è quello della casta. È inutile dire che questa informazione non ci serve un granché. Una bambola di stoffa con il nome di mia sorella ricamato su di essa ha trovato rifugio in questa scatola nel corso degli anni. Ne ha vissuti di dolori, mi ha confortato migliaia di volte ma poi sono entrata in una fase in cui il semplice fatto di vederla mi era insopportabile. L'ho messa da parte e non l'ho più stretta a me per molto tempo.
I miei genitori avevano scritto una lettera da consegnare a Roshani. Se un giorno avesse voluto sapere dove abitavo e se avesse voluto contattarmi, l'avrebbe potuto fare. Il messaggio è all'orfanotrofio da anni. In ogni caso, se Roshani l'ha letto e l'ha preso con sé, nessuno ci ha informato. Non ha neanche provato a raggiungermi. A volte mi chiedo se si ricorda di me. Sono nata per seconda, dovrei essere la più fragile di noi due. Forse non ha nemmeno sofferto della nostra separazione e si è dimenticata di me velocemente.
Mia madre mi raggiunge nella mia stanza.
— Chacha, ascolta, dobbiamo guardare quel video. Tuo padre guarda così tante serie poliziesche e legge così tanti thriller, che sicuramente vedrà molti dettagli che a noi potrebbero sfuggire.
— Volete giocare ai detective o cosa? Non c'è niente in quel video.
— Accendi su YouTube e decideremo noi —mi risponde con aria davvero determinata.
— Perché?
— Anche lei è della nostra famiglia e ti manca. Deve entrare nella tua vita. Con Internet, Twitter e tutte quelle cose lì, potrai trovarla.
—Ve lo faccio vedere, ma non aspettatevi grandi cose.
Mio padre estrae il suo taccuino e inizia ad analizzare il video. Annota qualsiasi informazione ritenga importante, poi redige un piano di attacco.
Chiamare l'associazione per cui lavora Roshani. Si tratta di - Help International - . Nel video si può intravedere il logo sul gilet giallo di mia sorella. Mio padre è molto orgoglioso di aver notato questo dettaglio. Forse hanno il suo indirizzo e potrebbero essere in grado di comunicare con lei.
Contattare l'emittente televisiva e la giornalista per sapere come ha incontrato Roshani e se ha i suoi recapiti.

— Il quartiere che si vede sullo schermo è quello del centro di Kathmandu con la sua famosa piazza piena di templi: Durbar Square. Un'altra informazione importante: Roshani parla inglese. Questo renderà più facile comunicare. I suoi capelli sono lunghi come i tuoi. Sembra che abbia la stessa statura. Mangia a sufficienza, non è denutrita. Si è offerta volontaria, quindi è una brava persona. È molto abbronzata e deve trascorrere il suo tempo in vacanza o comunque all'aria aperta. A meno che non sia la polvere dalle macerie...
— Quindi chiami tu la sua associazione e il canale TV? —interrompo mio padre.
— Sì.

Impossibile contattare Help International, anche se abbiamo provato con diversi numeri di telefono. Le linee sono sempre occupate. Imperterrito, mio padre continua a telefonare in base alla sua lista. Dopo essere stato messo in attesa per più di venti minuti, questa è la prima risposta che riesce a procurarsi: la rete televisiva non rilascia questo tipo di informazioni. Protegge le sue fonti e bla-bla. Sapevo che questa indagine non ci avrebbe portato a nulla. E poi - tuo padre guarda tutti gli episodi della Signora in Giallo in televisione e conosce tutte le tecniche investigative - . Quante chiacchiere!

Ho passato una brutta notte. Mi giravo e rigiravo. Nei miei sogni mia sorella era in pericolo. Non ho smesso di sognarla neanche un attimo. L'ho salvata dalle grinfie dei ladri, dall'annegamento, l'ho tenuta quando stava per cadere in un precipizio. Mi sento stanca, spossata, sfinita. Ho bisogno di riposo e voglio stare dai miei genitori, solo per vedere come vanno le cose. Scendo le scale e mi dirigo verso la sala per la colazione, già animata dagli escursionisti nonostante l'ora mattutina. I miei genitori sono impegnati a preparare il caffè e a servire gli ospiti. Amano il loro lavoro. È una vera passione per loro. Vivere in mezzo alla natura, prendersi cura dei propri animali e avere contatti con l'esterno attraverso i turisti. Godono di una magnifica vista sul Petit Ballon, con le sue verdi colline. Si respira l'odore delle mucche e dell'erba appena tagliata. Provo un senso di libertà, lontana dagli uffici che, col passare del tempo, sembrano una prigione.
Avrei potuto scegliere una vita come la loro. D'altra parte, la più grande preoccupazione di mio padre è sapere chi prenderà il controllo dell'agriturismo quando non sarà più in grado di occuparsene. Ha messo una croce su di me il giorno in cui ho ottenuto il dottorato e ripete, a chiunque voglia sentire, che sua figlia aspira a grandi cose.
Lascio lavorare i miei genitori e mi preparo dei toast al burro. Con un piatto in una mano e nell'altra una tazza di caffè, mi siedo a un tavolo di legno davanti alla casa. Adoro fare colazione fuori, all'aria aperta. Permette di raccogliere le proprie idee. Sono ad una svolta della mia vita. Non sono felice già da qualche tempo. Non sopporto più il mio lavoro. A mezzogiorno, quando sono alla mensa, mentre mangio con i miei colleghi più per obbligo che per desiderio, a volte fisso il cartello - uscita di emergenza - . Quel piccoletto che scappa a tutta velocità da un luogo di sventura per salvarsi la pelle... sogno di essere come lui e scappare a gambe levate senza mai voltarmi. Sappiamo cosa lasciamo, ma non sappiamo cosa troveremo. Questo è il mio problema, sono ben lungi dall'essere una grande avventuriera. Grande, sì. Avventuriera, no.
Nel mio profondo, sono convinta che sia giunto il momento di andare in Nepal. Il tempo stringe, Roshani potrebbe non rimanere a lungo a Kathmandu. I miei genitori hanno ragione. Posso provare a indagare sul posto per trovarla, ma il mio obiettivo principale è sapere chi sono. Ne discuterò con loro quando saranno meno occupati. Devo avvisare Louis. Deve essere rimasto sorpreso di non aver avuto mie notizie. Tuttavia, se fosse stato preoccupato, avrebbe cercato di chiamarmi. Abbiamo l'abitudine di telefonarci ogni sera dopo il telegiornale delle venti. Prendo di tasca il cellulare e chiedo a Siri di chiamare Louis per me.
— Chacha cosa succede? Non mi hai chiamato ieri.
— Sono a casa dei miei genitori.
— Stanno bene?
— Sì, sì.
Sento già che vi state addormentando. Ho riassunto a Louis gli eventi di ieri. Non ha reagito come mi aspettavo:
— Ma dai, Chantal. Non lascerai il tuo lavoro per andare laggiù? Hai fatto di tutto per arrivare a questo livello e vuoi rinunciare a tutto, solo per un video?!
— Non darò le dimissioni, mi prenderei solo un congedo solidale o sabbatico.
— Nella tua azienda, ti dimenticheranno. Nessuno è insostituibile. Hai preso in considerazione tutti i rischi professionali?
— Louis, io vivacchio. Non sono felice. Te l'ho già detto. Manca qualcosa nella mia vita ed è lei. Sapevamo entrambi che questo giorno sarebbe arrivato. Anche i miei genitori ne erano consapevoli. Qualunque cosa io faccia, mi sosterranno. Perché non tu? Ecco cosa succede a chiedere la tua opinione...
— Ti sosterrei se fossi convinto della fondatezza del tuo progetto. Per il momento mi sembra solo un capriccio.
Rimango senza parole. Ma, d'altra parte, cos'altro potevo aspettarmi? Lui funziona come me. Razionalità è il suo secondo nome. Nessuna parola esce dalla mia bocca. Dentro di me sto fremendo. Non mi crede capace di abbandonare temporaneamente la mia vita tranquilla? Quali sono i rischi? Un mese, due mesi senza lavorare? Niente mi costringe a rimanere là. Se non mi trovo bene, posso sempre rientrare.
— Louis, due minuti fa non avevo ancora preso definitivamente la mia decisione. Mi hai appena spinto tu in quella direzione. Non sono di certo un'avventuriera, non ho quasi mai lasciato la Francia da quando sono arrivata. Ma questo è un caso di forza maggiore. Non ti chiedo certo di accompagnarmi.
— Fortunatamente. Devo prepararmi per andare al lavoro. Pensaci attentamente, ne riparliamo stasera.
Sono sconvolta. Speravo che Louis mi dicesse: - Oh, ma Chantal, è un progetto bellissimo, vengo con te - . Semplicemente perché ho paura. Sì, ho paura. Vorrei qualcuno che mi tenesse la mano quando troverò mia sorella. Non sono abituata agli aeroporti, riempire una borsa per andare lontano non è il mio punto di forza, non ho quasi mai praticato l'inglese, tranne guardando le mie serie preferite e leggendo romanzetti rosa o articoli scientifici. Sarò sola.

Quando i ritardatari salgono le scale per andare a prepararsi nella loro camera, i miei genitori sparecchiano i tavoli. Colgo l'occasione per chiedere il loro consiglio. Mio padre mi spiega che il modo migliore per volare rapidamente in Nepal è quello di essere assunti dall'associazione umanitaria con cui ha lavorato mia sorella, altrimenti sarà difficile entrare con un visto turistico. Guardiamo insieme su Internet il modulo di iscrizione. Sono sicuramente qualificata e ho studiato, ma nulla mi aiuterà per le posizioni offerte.
— Chacha, scriveremo che parli fluentemente il Nepalese. Aumenterà le tue possibilità di essere scelta.
— Eh già, così mi farò smascherare subito!
— Sei nata lì. Non si faranno domande. Immagino che tu abbia ancora qualche giorno prima che accetteranno la tua candidatura.
— Però dobbiamo trovare delle vere competenze. Posso comunque provare a rivedere le mie poche nozioni di nepalese prima della partenza, seguire corsi intensivi...
— Hai già lavorato per delle associazioni di beneficenza? Fai del volontario?
— Lo sapresti...
— Non posso scrivere la verità e dire che mia figlia ha competenze umane limitate.
— Grazie. Apprezzo il complimento Dobbiamo solo dire che lavoro come tua dipendente durante il fine settimana, quindi sono in contatto con i clienti tutto il giorno e che tengo dei corsi di sostegno ai bambini svantaggiati della periferia.
— Molto bene. Diremo anche che sei sportiva, cartesiana, che sai elaborare dei progetti, che pensi in modo strutturato, che guidi un team di ricercatori, che puoi redigere delle relazioni. Questa cosa di saper redigere relazioni è un'ideona, a tutti piacciono le relazioni. La tua nuova passione sarà quella di ristrutturare vecchie baracche e tu te ne intendi di edilizia.
— Va bene, ti lascio riempire questo modulo da solo. Ho la sensazione di avere molto da fare. Per il nepalese non parto da zero... ma per l'edilizia... è un altro paio di maniche.

Dopo una bella doccia, mi siedo di nuovo fuori. Ho ritrovato nella stanza di quando ero bambina i libri che i miei genitori mi avevano regalato. Li appoggio sul tavolo di legno. Sfoglio - Le mie prime parole in nepalese - e riscopro - Impara il nepalese divertendoti - ... Quando ho lasciato il mio paese, capivo la lingua. Probabilmente balbettavo solo poche parole e costruivo delle frasi semplici. Tuttavia questa lingua deve essere sepolta da qualche parte nel mio cervello. E poi, in seguito, ho dovuto imparare a riconoscere la scrittura e a leggere, un po' forzata dai miei genitori. Leggo ad alta voce i nomi trascritti foneticamente e inizio a ricordare questa musicalità propria delle mie radici. Mi rendo conto che avrei dovuto farlo molto prima. A poco a poco, alcuni sentimenti repressi riemergono in me. Ricordo il giorno in cui siamo state separate, il dolore che ho provato. All'improvviso mi viene paura. E se Roshani non volesse che entri di nuovo nella sua vita? Lei non ha avuto bisogno di me negli ultimi anni. E se mi respingesse? Chiudo il libro con un colpo secco. Lei non mi ha dimenticato, non è possibile. Lei mi sta aspettando. In un modo o nell'altro, devo scoprirlo.

Durante la pausa pranzo aiuto i miei genitori a servire i clienti. Tutti hanno ordinato il menu tradizionale della regione. Gli allettanti profumi della zuppa, della torta salata di questa valle e del formaggio di Munster mi riempiono le narici. Gli ospiti sono di buon umore e brindano col Riesling. Una volta terminato il pranzo, distribuiamo le ultime parti della torta di mirtilli e andiamo a mangiare a nostra volta.
— Mi è mancato venire qui.
— Sei sempre la benvenuta, Chacha.
— Vi voglio ringraziare per il vostro supporto.
— Ma figurati, siamo qui per questo.
— Perché mi avete scelta? Perché mi avete adottata?
— La verità è che non ti abbiamo scelta, abbiamo preso quello che c'era.
Mio padre riceve una gomitata nelle costole da mia madre. Scoppiamo a ridere tutti e tre.
— La cosa più importante non è il motivo per cui ti abbiamo scelta, ma perché ti abbiamo tenuta. E apri bene le orecchie, perché adesso te lo dico. I quindici giorni per restituire la merce difettosa... era un'utopia! Nessun servizio clienti per bambini frignoni! —insiste mio padre.
— Quello che papà sta cercando di dirti è che non ti cambieremmo per nulla al mondo e che dal giorno in cui ti abbiamo incontrata, hai illuminato la nostra esistenza.
— Lacrime di emozione mi scorrono lungo le guance —proclamo io. Le asciugo con il dorso della mano ed esco teatralmente dalla stanza, facendo roteare il mio vestito di taffetà. Vedono la mia ombra allontanarsi gradualmente da loro e la nebbia addensarsi.
— Nostra figlia è strana con i suoi voli pindarici —dice mio padre.
— Quello che sta cercando di dirti sotto forma di descrizione letteraria è che sente la stessa cosa e non vuole lasciar trasparire le sue emozioni. È così che dicono nei tuoi romanzi, vero Chacha?
— Questo è il titolo di un libro che dovrei scrivere: - Mia madre e l'arte di decodificare i sentimenti - . Comunque, sul serio, sapete che mi state spingendo a fare un viaggio che potrebbe non servire a niente?
— Giovane Padawan , troverai il riposo della tua anima.
— - Mio padre, questo geek - : titolo del mio secondo best-seller.
— Il tuo YodaPapà non deridere dovrai, ma fare le valigie comincerai. Però prima, il tuo capo informerai. I tuoi genitori amerai e i loro nomi sul tuo testamento scriverai, nel caso sotto una valanga in Himalaya resterai.
— Grazie, papà, grazie. Si è capito a cosa ti riferisci, ma così diventa inquietante.
— Non parlarmi così, sono tuo padre.
E sta a lui riprodurre il suono del respiro nel casco come Dart Fener in Star Wars. Mio padre è un tipo originale. Nella regione, è noto per la sua lunghissima barba, che ricorda il mago Gandalf del Signore degli Anelli o addirittura il personaggio di Silente in Harry Potter. È soprannominato - il bardo - , ma probabilmente si riferisce a qualcosa di meno glorioso. Il suo potere si rivela dopo l'assunzione di qualche bicchiere. Canta delle arie d'opera, in modo talmente stonato da risvegliare i morti.
Mia madre, invece, è un'energica donnina dal cuore enorme. Vede solo il bene intorno a lei e a volte è molto ingenua. Il numero di clienti che usano la tecnica del portafoglio dimenticato non si conta più sulle dita di una mano. Il suo credo è arrabbiarsi solo per eventi per cui vale la pena. Ha raggiunto un tale livello di resistenza allo stress... con diversi anni di yoga e meditazione. Io non riesco ancora a essere così quando guido la mia R5 vintage . Gli insulti escono dalla mia bocca contro coloro che non rispettano il codice della strada. Insomma... moderatamente, non vorrei che uno dei conducenti mi sentisse e venisse a chiedermi conto. Se mio padre si evolve nel mondo di Star Wars, l'universo di mia madre è piuttosto quello della Disney. Tuttavia è ancora necessario nasconderle i genitori che muoiono all'inizio del film, le streghe cattive, i fusi avvelenati e le mele non molto fresche.
Come sono riusciti questi due esseri a crescere una bambina come me? A loro difesa, sembra che l'educazione si giochi durante i primi due anni di vita del bambino. Io non li ho passati con loro... Tuttavia, devo ammettere che ho molti tratti dei loro caratteri. Ad esempio, sono ingenua come mia madre, e non vedo il male anche se è davanti ai miei occhi. Da parte di mio padre, ho questo lato originale che all'inizio non si nota se non ci si prende la briga di conoscermi.
Sophie Rouzier
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