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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Aligi Pezzatini & Simone Gambineri
Titolo: Il Divoratore
Genere Fantasy
Lettori 3498 72 74
Il Divoratore
- Dannazione! - imprecò Artemisia con rabbia, mentre gettava a terra il medaglione che stringeva in mano, mandandolo in mille pezzi.
Era in piedi nella grande Sala del Trono, il cui soffitto di cristallo blu lasciava passare i raggi dei soli, entrambi alti nel cielo, attraverso i punti di diversi colori che rappresentavano le costellazioni della volta notturna.
- Odio questo posto maledetto! - Rincarò voltandosi verso la grande porta massiccia di legno, leggermente socchiusa, dietro di lei.
Il suo compagno sollevò lo sguardo dai frammenti del medaglione, poi fissò lo scheletro che sedeva sul grande trono sospeso.
- Rimani pure in silenzio a contemplare il nostro fallimento, Grandar. Forse, la permanenza in questo luogo così ameno riscalderà quel pezzo di ghiaccio che hai al posto del cuore! -
Chiamato in causa, l'afferrò per una spalla, costringendola a girarsi. La corta mantella nera che Artemisia indossava svolazzò per un breve istante, facendole cadere il cappuccio calato sulla testa e rivelandone così i corti capelli rossi, dalle sfumature dorate verso le punte. Con un gesto di stizza del braccio, Artemisia spinse via la mano del compagno e si rimise il cappuccio.
- Il tuo cuore infuocato non durerà più del mio se ti lasci pervadere in questo modo dalle emozioni. Impara dal fallimento, così da non commettere altri errori. -
Gli occhi di Artemisia, dall'iride rossa e dalla pupilla a fessura verticale, fissarono quelli di Grandar, della stessa forma ma azzurri, l'una sostenendo lo sguardo dell'altro.
- Solo se avremo agito senza ragionare, falliremo davvero - aggiunse Grandar quasi in un sussurro.
- Allora resta qui a ragionare da solo! - Sbottò Artemisia girandosi di scatto per poi incamminarsi verso la porta. La spalancò con violenza, tanto da farla sbattere contro il muro di pietra, e uscì.
Grandar scosse il capo e tornò a guardare il Trono Celeste, mantenuto in sospensione da tre enormi fronde che scendevano da altrettanti grossi fori nel soffitto di cristallo, tre come le lune di Esperia. Il legno nodoso, di cui era costituito, aveva ancora la sua perfetta integrità, come se fosse stato intagliato il giorno prima. Da alcuni nodi spuntavano dei boccioli, ma nessuno di essi era sbocciato.
Artemisia era sicura che la chiave fosse proprio lì, pensò fissandoli. Invece la tua potenza rimane ancora inaccessibile. Fece un amaro sospiro. Qual è il tuo segreto, maledetto Trono?
Indugiò con lo sguardo sullo scheletro che vi sedeva sopra. Un'improvvisa folata di vento entrò dalla porta spalancata, investendo con forza il trono: le ossa si polverizzarono.
Grandar sollevò la mano destra e sussurrò:
- Salute a te, Vortan. -
Nel frattempo, Artemisia si era seduta sul prato antistante il Tempio della Vita, con lo sguardo sconsolato perso nel vuoto. Una volta, la vista degli splendidi edifici della Città d'Argento, che si stagliavano imponenti intorno a lei a poca distanza, aveva l'effetto di calmarla, ma ora quelle costruzioni avevano perso tutto il loro glorioso fascino, immerse in un silenzio poco naturale. Stava ripensando a ciò che era successo al Trono, e non riusciva a capire quale fosse stato il loro errore. Non c'era nessuna logica nel loro fallimento.
Un rumore di passi dietro di lei interruppe i suoi pensieri. Artemisia riconobbe subito chi fosse, quindi disse, con una punta di fastidio:
- Non ora, Akarion. Non voglio essere consolata dalla tua forbita eloquenza. -
Come se non avesse sentito, il nuovo arrivato le girò intorno, si fermò davanti a lei e si inginocchiò in modo che i loro visi fossero alla stessa altezza.
- Non devi crucciarti in tal guisa, Artemisia - le replicò Akarion con un tono quasi gentile, senza rinunciare alle sue parole ricercate. - Questo secondo smacco ci ha palesato come la strada intrapresa sia stata fallace. Verso altre soluzioni dovremo rivolgere il nostro sguardo, in particolare a quella che anche tu ben conosci, benché finora l'abbiamo intenzionalmente evitata. -
La femmina fissò con rabbia i suoi occhi argentati dalla pupilla a fessura leggermente dilatata, strappò un fiore che le spuntava accanto alla gamba e glielo mostrò. Diverse parti presentavano un colore e una consistenza rugginosa e, dopo meno di dieci secondi, il fusto iniziò a sfaldarsi come se fosse stato completamente marcio.
- Come sempre le tue parole sono giuste e sagge - commentò Artemisia, pacata anche se i suoi occhi non erano affatto sereni. - Spero che ci rimanga il tempo per trovare la nuova soluzione, prima che questo mondo divori anche noi! - 
Le antiche rovine

Cinque persone, armate di potenti torce elettriche, stavano perlustrando le antiche rovine, che erano state rinvenute in un'ampia caverna sotto la catena rocciosa nota come Denti del Gigante, e che avrebbero potuto rappresentare un'importante scoperta per tutta Esperia.
L'aria della grotta sotterranea era immobile ma fresca, nonostante il leggero odore di pietra e di polvere stantia che irritava un po'. Raggiungere quel sito era stato relativamente facile: non c'era stato alcun bisogno di strisciare lungo passaggi angusti o di attraversare scivolosi strapiombi, perché esistevano già gallerie e passerelle costruite dagli antichi abitanti di quel luogo. Ovviamente non tutte erano in buone condizioni ed era stato necessario irrobustirne alcune, ma nel complesso il viaggio sotterraneo era stato agevole.
Altea Eburnis era in piedi davanti ai resti di un muro diroccato, e stava fissando gli strani simboli rotondeggianti lì presenti. La sua figura snella si stagliava nella luce della torcia riflessa dal muro incredibilmente bianco.
Estrasse dalla tasca dei pantaloni il taccuino e si sedette per terra, a gambe incrociate. Tenendo la torcia sopra la spalla, che sollevò per bloccare la pila alla base del collo, chinò la testa per dare un'occhiata agli appunti, soffiando via dalla fronte un ciuffo ribelle che le era caduto davanti agli occhi castani.
- Se davvero volevate proteggere questo luogo dagli estranei, perché mai vi siete dati da fare a costruire gallerie e passerelle? - Mormorò la ventisettenne con la sua voce allegra e squillante, mentre girava i fogli del quaderno. - Sono certa che la risposta sia qui da qualche parte... -
Uno degli uomini che erano con lei le si avvicinò e commentò:
- Sapevo che alla fine ti saresti interessata più ai tuoi ruderi che a me! -
Altea sollevò lo sguardo dagli appunti e vide a pochi passi da lei Trevan Londis. Era alto e asciutto, con gli occhi azzurri e i capelli corti neri a caschetto.
- Geloso? Non hai di che preoccuparti: non sanno baciare bene come te! -
L'uomo si accigliò.
- Non sono certo che sapere di essere meglio di un rudere possa essere un complimento... -
L'archeologa si rialzò in piedi e gli diede un bacio sulla bocca:
- Sei più convinto, adesso, che sia un complimento sincero? - Gli chiese in un languido sussurro.
- Forse dovresti riprovare per convincermi meglio! -
- Stupido! - Esclamò dandogli un colpetto sul braccio. Poi, fingendosi un po' più seria, aggiunse: - Ma tu, da bravo ingegnere capo, non dovevi occuparti di controllare che queste rovine non ci crollino addosso? -
Trevan si avvicinò al muro che Altea stava studiando e lo colpì con la mano. Si sollevò in aria un po' di polvere, ma nel complesso la struttura resse.
- Come vedi, cara la mia archeologa capo, non c'è alcun rischio di crollo. -
- Allora perché eri dietro di me? - lo riprese Altea mettendo le mani sui fianchi. - Stavi ammirando il mio bel posteriore? -
Le sorrise:
- Non nego che indulgerei molto volentieri ad assistere a quello spettacolo, ma in realtà mi ha mandato tuo fratello: dice che c'è qualcosa che dovresti vedere. -
Subito Altea ripose il taccuino nella tasca dei pantaloni, afferrò la mano di Trevan e se lo trascinò letteralmente dietro.
- Forza! - Esclamò eccitata per la notizia. - Andiamo a vedere cosa ha trovato! -
Attraversarono quasi di corsa metà di quella caverna buia, rischiando un paio di volte di finire contro un muro, per raggiungere il fascio di luce indicante la posizione del fratello di Altea, Abel, che era a capo della sicurezza della spedizione.
Quando lo ebbero raggiunto, l'uomo era in piedi e puntava la torcia verso quella che sembrava una porta, però piazzata sul pavimento. Abel era alto e muscoloso, con gli occhi ambra e i capelli castani pettinati all'indietro; indossava la divisa da ufficiale del corpo speciale militare; alla cintura portava una pistola e un grosso coltello da combattimento.
- Cos'hai trovato? - gli chiese subito Altea, affiancandosi a lui.
- Quella. Ti sembra che possa servire a qualcosa una porta di pietra sul pavimento? -
- Sicuro che sia davvero una porta? - gli domandò ancora lei, avvicinandosi lentamente all'oggetto. - Cioè, sei sicuro che non sia solo un battente caduto? -
- Ho provato a spostarla, ma non si è mossa e non sono riuscito nemmeno a sollevarla. Inoltre la serratura sembra bloccata. -
- Vuoi dire che l'hai toccata? - riprese Altea, mentre si inginocchiava accanto a quella bizzarra struttura e iniziava a esaminarla con attenzione.
- Sì, scusa, avrei dovuto chiamarti prima di farlo, ma non sembrava qualcosa di importante... -
L'archeologa, però, non lo stava più ascoltando: era completamente presa da quello strano manufatto di pietra. Ad una prima occhiata, aveva tutto l'aspetto di una porta, benché di pietra, con addirittura una maniglia e una serratura, sempre di pietra. Tuttavia, il fatto che fosse adagiato per terra faceva pensare ad una specie di botola messa lì per chiudere l'accesso ad un'altra sala al piano inferiore. Certamente tutto l'insieme aveva un che di bizzarro, soprattutto quello che era tracciato sulla sua superficie. Ad una estremità erano scolpiti i dischi dei due soli, Cianus e Aurus, riconoscibili perché al loro interno erano ancora presenti tracce del colore della loro luce: azzurra quella di Cianus, e gialla quella di Aurus. All'altra estremità della porta erano incisi i dischi delle tre lune, uno dentro l'altro: Gigas, la più grande, più del doppio delle altre due messe insieme; Faros, grande meno della metà della precedente, ma più luminosa; Parvis, molto più piccola delle altre due e spesso visibile in cielo come un'ombra davanti a Gigas. Al centro della porta era scolpito un cerchio, che palesemente doveva rappresentare il mondo, al cui interno compariva un trono argentato.
- Sulla superficie di questa porta, sono stati rappresentati i principali corpi celesti - commentò Altea, più per se stessa che per i presenti. - Cianus è disegnato con lo stesso diametro di Aurus, cosa che si verifica al solstizio d'inverno, quando cioè è più lontano da noi e il suo calore è meno forte. Anche le tre lune sono disegnate in una configurazione particolare, cioè quando si trovano una davanti all'altra, anche se in realtà Faros non si vede nel cielo perché è dietro Gigas. Infine, al centro di tutto, c'è il nostro mondo... Ovviamente si tratta di una rappresentazione figurata, perché sappiamo di non essere al centro dell'universo... -
Trevan la interruppe:
- Sei sicura che a quel tempo lo sapessero? Si parla di almeno cinquecento anni fa, secondo i tuoi studi preliminari... -
- Il concetto che non siamo al centro dell'universo risale ad oltre duemila anni fa, alla mitica Epoca Dorata quando il nostro mondo era rigoglioso e splendido, e non esistevano aridi deserti come quello in cui ci troviamo. Ci sono numerose evidenze storiche di questo, sia nei ritrovamenti archeologici, sia nei testi che raccontano di quel lontano passato. - Altea si voltò di scatto verso di lui e lo rimproverò: - Tu sei un ingegnere e io la storica: credi forse di saperne più di me? -
Trevan fece subito cenno di no con la testa, allontanandosi leggermente da lei: conosceva molto bene la fidanzata e sapeva che non amava affatto essere contraddetta nel proprio lavoro, al punto di diventare veramente intrattabile se le sue idee venivano messe in dubbio. Non aveva immaginato che quella domanda, per lui del tutto innocente, l'avrebbe irritata così tanto.
Altea tornò a guardare la porta, muovendo la torcia in modo da illuminarne la superficie secondo angolazioni differenti. Poi riprese a parlare in tono tranquillo, come se non fosse mai stata interrotta:
- Al centro del cerchio è inciso un trono argentato, rappresentazione della Città d'Argento, da cui una volta, secondo le leggende, veniva irradiata sul nostro mondo la benevolente fecondità degli Astrali... -
D'un tratto, venne interrotta dalla voce di uno dei due soldati sotto il comando di Abel, che stava richiamando l'attenzione dei compagni.
- Che succede? - gridò l'archeologa, anticipando sia il fratello sia il fidanzato, mentre s'incamminava in direzione della voce del soldato.
- Qui c'è una specie di colonna con parecchi simboli celesti... -
Altea si mise a correre verso di lui, prendendo di sorpresa Abel e Trevan, che la seguirono quando ormai era già arrivata.
L'archeologa rimase letteralmente estasiata. Quella che il soldato aveva chiamato colonna era in realtà un piccolo obelisco, alto circa due metri; ciascuna delle sue quattro facce era piena di iscrizioni e di simboli di soli, lune e stelle. Altea si mise ad osservare con minuziosa attenzione la facciata che aveva di fronte, proprio nel momento in cui giungevano Abel e Trevan.
Il soldato, che era rimasto in piedi con la torcia rivolta verso la struttura, guardò il suo superiore in attesa di ordini.
- Ha toccato la colonna, sergente Devralis? - gli chiese Abel. Prima che l'altro potesse rispondere, Altea intervenne ad alta voce, senza distogliere lo sguardo dalle iscrizioni:
- Non è una colonna, ma un obelisco! -
Trevan alzò brevemente gli occhi al cielo: a volte la puntigliosità della sua fidanzata era esasperante.
Abel fece cenno al soldato di non considerare l'interruzione e quest'ultimo rispose:
- No, signore. La co... L'obelisco era ricoperto con uno strano telo che lo rendeva praticamente invisibile. L'ho rimosso e, quando ho visto di cosa si trattava, ho subito richiamato la vostra attenzione. -
- Invisibile? - Ripeté Abel improvvisamente interessato, guardandosi intorno. - Dove ha messo quel telo, sergente? -
- Ecco, in realtà non era proprio invisibile, ma era mimetizzato con l'ambiente circostante. Avevo notato della polvere che sembrava sospesa a mezz'aria e mi sono avvicinato. Ho allungato la mano e ho toccato qualcosa che non vedevo. Ho sentito la consistenza di un tessuto, ma, prima ancora che potessi afferrarlo, si è ridotto in brandelli e poi è apparsa quella struttura... -
Trevan soffocò un'imprecazione, guardando con rammarico la polvere in terra che era stata quel telo. Dato che che Abel e il Sergente si erano voltati di scatto verso di lui, tossì e spiegò loro, con un certo imbarazzo:
- Doveva essere un reperto di tecnologia perduta che sfruttava chissà quale proprietà della materia. - Sospirò dispiaciuto. - È un peccato che continuiamo a scoprire oggetti che non abbiamo più, né possiamo più ricostruire... e sempre più spesso questi oggetti si rivelano ormai inutilizzabili... Per un ingegnere è frustrante constatare che la nostra civiltà sta lentamente, ma inesorabilmente, regredendo... -
Altea si girò verso di loro ed esclamò:
- È per questo che è sempre più importante studiare la storia antica! -
Trevan scosse la testa sconsolato:
- Purtroppo i giovani di oggi non la pensano allo stesso modo... -
- Allora non lamentiamoci se il mondo va sempre peggio. -
Abel decise che quella discussione era inutile ai loro scopi e intervenne, serio:
- Hai forse scoperto qualcosa, Altea? -
- Credo di sì e mi serve solo il tuo coltello! -
Abel abbassò lo sguardo verso il proprio fianco e pose una mano sul manico del pugnale da combattimento.
- A cosa ti serve? - le chiese, visibilmente dispiaciuto di doversene separare anche se per poco tempo.
L'archeologa indicò un punto al centro dell'obelisco e rispose:
- Una volta doveva esserci una leva o qualcosa di simile in quella posizione. - Si rivolse a Trevan e commentò scherzosamente: - Purtroppo la maledizione della tecnologia continua a perseguitarci, vero? - Tornò a guardare suo fratello e riprese: - Se non ricordo male il regalo che ti feci quattro anni fa, la lama di quel coltello dovrebbe entrare perfettamente nella fessura sulla parete dell'obelisco. Se è così, so come fare per aprire quella strana porta orizzontale! -
A malincuore, Abel si sfilò il pugnale dalla custodia e glielo porse, tenendolo dalla parte della lama.
- Fa' attenzione: è molto affilato - si premurò, forse più preoccupato per il coltello che per la sorella.
Altea non ci fece caso, prese il pugnale, tornò verso l'obelisco e si fermò davanti alla parete rivolta verso la porta in terra.
- Trevan, illuminami qui per favore. Abel, puoi fare un po' di luce sulla parete dall'altra parte dell'obelisco? - Disse indicandogliela con la punta del coltello. L'ufficiale fece cenno al Sergente di seguire le sue istruzioni, ma Altea non aveva ancora finito: - Qualcuno può controllare la porta per terra? -
Una voce dalla parte opposta della grotta intervenne:
- Ci vado io, signore! -
Era l'altro soldato agli ordini di Abel.
- Molto bene, sergente Sevanis - concordò il superiore, - prenda posizione. - Il fascio di luce proveniente dalla torcia del soldato che si trovava all'altra estremità della caverna si spostò immediatamente verso la zona designata.
Altea diede un'ultima occhiata alle quattro pareti dell'obelisco che aveva davanti. Quella che dava direttamente sulla parete della grotta era piena di iscrizioni che l'archeologa aveva rapidamente valutato come un resoconto delle orbite dei cinque principali corpi celesti. Il pannello a destra non era molto chiaro: sembrava trattare di strane creature malvagie e invisibili che provocavano distruzioni, forse una metafora per le malattie provocate da batteri o da virus. Nel pannello a sinistra, invece, veniva fatto cenno a creature che vivevano nelle profondità della terra, lontane dalla luce, ma gran parte del testo necessitava di uno studio più approfondito per essere tradotto: lo avrebbe fatto con più calma nei giorni seguenti. Infine, nel pannello rivolto verso la porta a terra, c'era quella che Altea aveva interpretato come la chiave d'accesso: in alto erano rappresentati i due soli, uno accanto all'altro, con Cianus grande il doppio di Aurus; al centro era simboleggiato il mondo, con al centro una sottile fessura verticale; in basso erano rappresentate le tre lune, disposte secondo la loro distanza dal pianeta: prima Parvis, poi Gigas e infine Faros.
Abel, Trevan e il Sergente avevano seguito in silenzio il giro di Altea intorno all'obelisco, in trepidante attesa di vederla ancora una volta seguire una di quelle eccezionali intuizioni che l'avevano resa molto famosa nell'ambiente accademico.
L'archeologa si mise in bocca l'impugnatura della torcia elettrica e afferrò con entrambe le mani il pugnale di Abel. Illuminando il centro della rappresentazione del mondo, sollevò il coltello e lo avvicinò alla fessura centrale. Dopo un profondo sospiro, Altea infilò con decisione il pugnale dentro l'apertura.
I simboli circolari dei soli e delle lune scattarono improvvisamente fuori dal piano del pannello di circa tre centimetri, senza alcun supporto che li sostenesse da dietro: erano praticamente sospesi a mezz'aria. I tre uomini dietro di lei sobbalzarono per la sorpresa. Altea sorrise soddisfatta, tanto da rischiare di far cadere la torcia che aveva in bocca.
- Stupefacente! - commentò Trevan in un sussurro meravigliato.
L'archeologa lasciò andare l'elsa del pugnale, riprese con una mano la torcia e chiese a gran voce:
- Ci sono stati dei segnali particolari dalla porta? -
Il sergente Sevanis gridò la risposta:
- No, nessun segnale! -
Abel e Trevan rimasero un po' delusi nel sentire quelle parole, ma Altea sogghignò e disse, con voce forte:
- Continui a guardare, Sergente! -
Quindi portò la mano libera sul simbolo di Parvis, lo afferrò e lo spostò sopra a quello di Gigas; poi prese il simbolo di Faros e lo portò a fianco di quello di Gigas, per poi spingerlo leggermente verso il piano dell'obelisco, sistemandolo infine sotto al grande disco di Gigas.
In quel preciso istante, il sergente Sevanis gridò:
- I simboli delle tre lune si sono illuminati! -
Altea si lasciò scappare un “Sì!” pieno di soddisfazione, poi afferrò con le dita i bordi del simbolo di Cianus e strinse leggermente la presa: fu sollevata quando il cerchio rappresentante il grande sole azzurro iniziò a restringersi. Non appena ebbe raggiunto le stesse dimensioni del cerchio rappresentante il sole giallo Aurus, si bloccò e subito il sergente Sevanis gridò:
- Si sono accesi anche i due soli! -
Altea afferrò di nuovo l'elsa del pugnale e lo ruotò di novanta gradi verso destra, quindi ne ritrasse la lama. Tutto il pannello dell'obelisco si mosse di scatto verso l'interno, rientrando di un paio di centimetri. Di nuovo si sentì la voce del sergente Sevanis, questa volta molto più concitata:
- La porta si sta muovendo! Venite subito qui! -
A quelle parole, Altea, Abel, Trevan e il sergente Devralis lo raggiunsero di corsa. Quando arrivarono, la porta era aperta e lasciava intravedere delle scale che scendevano nell'oscurità.
- Entriamo! - Disse Abel quasi come se fosse una cosa normale.
I due sergenti e Trevan esitarono, incapaci di provare lo stesso desiderio di Abel di addentrarsi in quel luogo ancora più sotto terra.
- Sei sicuro? Tutte le altre scritte presenti in questo luogo mettono in guardia dall'accedere a ciò che è custodito qua sotto... -
Abel guardò la sorella negli occhi e usò con scaltrezza argomenti che sapeva bene avrebbero sicuramente smontato le sue obiezioni:
- E allora perché saremmo venuti qui? Vuoi tornare indietro proprio ora che abbiamo aperto quella porta? Vuoi lasciare che sia qualcun altro dei tuoi colleghi più anziani a prendersi l'onore della gloria di questa scoperta? -
Era riuscito a pungolare l'orgoglio dell'archeologa, che subito si avvicinò al primo gradino, rivolgendo il fascio di luce della torcia verso l'apertura buia. Non riuscì a scorgere nulla, se non la prima ventina di scalini.
Nel vedere la sua improvvisa determinazione, Trevan le si avvicinò e le chiese, senza riuscire a nascondere la sua ansia:
- Vuoi davvero scendere là sotto? -
Altea non si voltò, ma continuò a fissare l'oscurità oltre la soglia.
- Non siamo venuti qui solo per aprire la porta a qualcun altro - rispose decisa, ripensando alle parole del fratello. - Tocca a noi scoprire cosa si celi là sotto! -
Trevan sospirò: sapeva di non poter fare nulla contro la sua testardaggine. Altre volte aveva provato ad affrontarla e aveva perso. Si voltò indietro e vide Abel avvicinarsi: per un attimo sperò che riuscisse a farla desistere dalla sua idea, ma disse solo:
- Mi puoi restituire il pugnale? -
Altea si girò verso di lui e glielo porse.
- Trattalo bene. Come hai potuto notare, per qualche strano motivo la sua lama non perde mai il filo. Se lo sapesse quello che l'ha infilato in una cassa nel magazzino dei reperti inutili, si mangerebbe le mani fino ai gomiti per essersi fatto sfuggire la scoperta di un oggetto della tecnologia perduta ancora funzionante! -
Abel si rigirò il pugnale tra le mani, poi le chiese:
- Come sapevi che ti sarebbe servito per aprire questa porta? -
Altea indicò la base della lama: da una parte c'erano due piccoli cerchi, dei quali uno un po' più grande, mentre dall'altra i cerchi erano tre, di diversa grandezza. Abel sembrò meravigliato, come se li notasse per la prima volta.
- Quando lo trovai nella cassa del magazzino, non capii il senso dei simboli dei soli e delle lune incisi su quella lama, però mi piacevano, e comunque il pugnale mi era sembrato un regalo perfetto per il tuo trentesimo compleanno, considerando anche il tuo lavoro nell'esercito. Quando ho visto i simboli sulla porta, disposti esattamente come lo erano sul tuo pugnale, ho capito che non era un caso se noi due eravamo qui insieme: per una volta gli Astrali ci avevano assistiti! -
- Gli Astrali non esistono. - Commentò Abel, scettico, mentre rimetteva il coltello nella custodia.
- Astrali, fato, fortuna, dio: chiunque sia stato o comunque lo si voglia chiamare... -
- Coincidenza - replicò lui in tono calmo.
Altea sbuffò e scosse la testa. - Con te non si può proprio parlare di questi argomenti: sei proprio un classico soldato miscredente! -
Per cercare di calmare la situazione, Trevan provò a cambiare argomento facendo notare un particolare che sembrava sfuggito a tutti:
- Scusa, Altea, ma, se la porta si è aperta dall'obelisco, perché aveva una maniglia e una serratura? -
L'archeologa reputò piuttosto intelligente quella domanda, e questo le ricordò una volta di più perché quell'uomo le piacesse così tanto. Si voltò verso di lui e gli rispose:
- Mi piacerebbe risponderti che lo so per certo, invece posso fare solo supposizioni. - Rimase qualche secondo in silenzio per raccogliere le idee, poi riprese: - Potrebbe essere un modo alternativo per aprire la porta avendo la chiave giusta da inserire nella serratura... oppure potrebbe essere una trappola per chi non conosce il luogo: vedendo la serratura, qualcuno che non sa dell'obelisco potrebbe pensare che serva per aprire la porta; ciò avrebbe magari fatto scattare una trappola che avrebbe provocato il crollo della grotta, seppellendo tutto una volta per tutte. -
- Non mi piace affatto la seconda ipotesi - commentò Trevan con un brivido, ricordando che Abel aveva detto di avere provato ad aprire la porta girando la maniglia. Stava per continuare, ma venne interrotto bruscamente proprio dall'ufficiale:
- Basta parlare: abbiamo già perso fin troppo tempo! Entriamo e vediamo cosa sia custodito là sotto di così importante da essere protetto con tutti questi antichi meccanismi e trappole! -
- In effetti, sono proprio curiosa di sapere cosa c'è là sotto - commentò Altea eccitata.
- Io, invece, ne farei volentieri a meno - si lamentò Trevan; poi però le si avvicinò e le pose una mano sulla spalla aggiungendo: - ma non sia mai che ti lasci andare da sola! -
Altea si voltò verso di lui e gli sorrise, appoggiando la propria mano sulla sua.
- Andiamo - gli disse piano.
Trevan annuì e le si affiancò mentre scendevano insieme il primo gradino nell'oscurità. Abel lanciò una rapida occhiata ai due soldati e fece loro cenno di seguirli. Questi annuirono, mentre l'ufficiale seguiva la sorella.
L'ambiente sotterraneo era completamente immerso nel silenzio e nell'oscurità. La luce delle torce elettriche sembrava meno intensa, tanto da illuminare solo con difficoltà oltre i dieci metri, cosa che rendeva impossibile vedere cosa ci fosse in fondo alle scale.
Dopo cinque minuti di una lenta e apparentemente interminabile discesa nelle tenebre, Trevan sussurrò:
- Siete sicuri di avere cambiato le batterie prima di entrare nella caverna? -
- Non c'entrano niente le batterie. - Ribatté Abel, sempre a bassa voce. - Dev'esserci qualcosa qui sotto che attenua la potenza di alcuni dispositivi tecnologici. -
- Potrebbe essere - concordò Altea, anche lei sussurrando. - Forse in fondo alle scale troveremo una risposta. -
- Sempre che ci sia un fondo... - bofonchiò Trevan, un po' demoralizzato.
- Non essere il solito pessimista - lo riprese lei, sempre concentrata a guardare al limite del fascio di luce. - Non può esistere un edificio senza un basamento solido, dovresti saperlo: sei un ingegnere, no? -
Trevan sospirò e aggiunse piano, con un tono ironico:
- Se per una volta ti dovessi sbagliare, vorrei avere il tempo di dirti: “Te l'avevo detto!” -
Altea soffocò una risata: il fascio di luce proveniente dalla torcia che teneva in mano tremò in senso verticale. Mentre la luce illuminava sotto il piano delle scale, qualcosa nell'oscurità luccicò.
Subito l'archeologa si fermò, per poi dire, in tono serio:
- Forse ci siamo! -
Ripresero la discesa e, dopo altri sette gradini, tutti cominciarono finalmente a vedere il pavimento di quell'oscuro e tetro piano sotterraneo. Trevan e i due Sergenti accolsero quella vista con un sospiro di sollievo; tuttavia, giunti all'ultimo scalino, una strana sensazione di inquietudine colpì tutti i presenti quando notarono che tutto il pavimento brillava alla luce delle loro torce.
- Ma che cavolo...? - imprecò Trevan allibito.
- Adesso che facciamo? - Chiese il sergente Sevanis, senza rivolgersi a qualcuno in particolare.
Colta dalla curiosità, Altea si accovacciò sull'ultimo gradino. Mosse la torcia secondo varie angolazioni sul pavimento e osservò come il riflesso della luce cambiasse. Dopo qualche prova, capì che la pietra del suolo era permeata da un sottilissimo strato di rugiada. Mosse la torcia intorno a sé per vedere se ci fosse nelle vicinanze una sorgente o un corso d'acqua che potesse spiegare tutta quell'umidità, ma non vide nulla, come si aspettava, dato che non aveva sentito alcun gorgoglio.
- Che cos'è? - Chiese Trevan, che si era accucciato accanto a lei.
- Sembrerebbe acqua - rispose Altea, benché non del tutto convinta. - Ma è strano che sia sparsa dappertutto, senza una sorgente visibile... -
- Evidentemente, qui sotto scorre l'acqua che non si trova più in superficie nel deserto - intervenne Abel con una certa sicurezza. - Ma non possiamo lasciarci fermare da una sciocchezza simile a pochi passi da una grande scoperta! - Superò Altea e scese l'ultimo gradino, toccando il suolo umido.
Il solito incosciente! Pensò lei scuotendo la testa.
Vedendo che non gli accadeva niente, gli altri quattro compagni trassero un sonoro sospiro di sollievo e lo seguirono, mentre Trevan commentava:
- In effetti, se l'acqua fosse stata acida ci sarebbero stati i segni della corrosione sulla pietra... -
Altea preferì tenere per sé le altre ipotesi che le erano venute in mente sulla natura di quel liquido: come avrebbero reagito gli altri nel sentire che poteva essere avvelenato o, peggio, percorso da elettricità, considerando che quel luogo sembrava assorbire l'energia elettrica delle batterie delle torce? L'archeologa allontanò da sé quei pensieri macabri e si affrettò a seguire il fratello.
Stavano percorrendo un corridoio scavato nella roccia, largo e alto circa cinque metri, ma, mentre avanzavano, si resero conto di come la sua larghezza stesse diminuendo lentamente.
Dopo una decina di minuti, quando il corridoio si era ristretto di un paio di metri, Altea esclamò:
- Ecco, guardate: là in fondo sembra esserci una luce! -
Tutti scrutarono in fondo alla galleria sempre più stretta; in effetti intravidero una tenue luminescenza azzurra, ben diversa dalla luce bianca delle loro torce.
- Che cosa può generare luce nelle profondità di un deserto, e di quel colore, per giunta? - Si chiese Altea affascinata. - Non può essere altro che un manufatto di tecnologia perduta ancora funzionante! Diventeremo famosi! -
Con un tono un po' lugubre, Trevan aggiunse:
- Sempre che riusciamo a tornare in superficie... -
Altea sbuffò:
- Non essere sempre il solito disfattista, Trevan! A forza di scongiuri i due Sergenti avranno ormai le dita slogate! -
Nel sentirsi chiamare in causa in quel modo, i due soldati non riuscirono a trattenere un accenno di risata, che però fu sufficiente a rasserenare un po' tutto il gruppo.
Dopo un'altra decina di metri, tutti videro chiaramente che il corridoio si interrompeva e che iniziava una sala molto più ampia nonché, soprattutto, incredibilmente illuminata.
- Finalmente ci siamo! - Mormorò Altea in tono sognante, mentre ne varcava la soglia.
La grotta in cui entrarono non aveva affatto l'aspetto di una caverna naturale. Aveva una pianta pentagonale molto ampia e alta; le pareti spoglie erano formate da una strana pietra liscia e lucida che rifletteva e intensificava la luce azzurra diffusa dallo strano cristallo di forma icosaedrica che fluttuava sopra una struttura cubica di pietra nera e lucida, simile all'ossidiana. Quella vista lasciò tutti senza fiato, per la meraviglia e per lo stupore.
Tutti spensero le torce e le attaccarono al gancio della cintura; poi, per un lungo minuto si girarono intorno per osservare ogni cosa. In questo modo, poterono notare che l'effetto riflettente era dato in buona parte dal sottile strato di acqua che scorreva incessantemente sulla superficie delle pareti. Infine, tutti si girarono verso il cristallo luminoso e Trevan chiese, quasi in tono reverenziale:
- Che cos'è quello? È meraviglioso! -
Altea e Abel si avvicinarono fino a un passo dalla struttura cubica di pietra nera, mentre i due Sergenti si posizionarono vicino all'ingresso; Trevan, dopo qualche attimo di esitazione, si affiancò all'archeologa.
Il cubo aveva il lato di tre metri e il cristallo, del diametro di dieci centimetri, si trovava sospeso nell'aria, trenta centimetri sopra il centro della faccia superiore. Nonostante la sua luce azzurra fosse piuttosto intensa, fissarlo non dava alcun fastidio agli occhi, e si potevano distinguere chiaramente le venti facce triangolari in cui era suddivisa la superficie.
Abel e Trevan erano intenti ad osservare il cristallo, come se fossero stati ipnotizzati dalla sua luce, mentre la curiosità di Altea era stata attirata da una delle facce del cubo nero, su cui aveva notato diverse iscrizioni in lingua antica. La donna si concentrò su quelle righe di testo, seguendo con l'indice destro la parte che stava leggendo. Poi sbottò in un'esclamazione di sorpresa:
- Questa è una tomba! -
I quattro uomini sobbalzarono al suo grido e, mentre Trevan e i due soldati si incrociavano le dita sul cuore come scongiuro, Abel le chiese:
- Ne sei sicura? -
- Ci sono alcune parti che sono poco chiare e avrò bisogno di più tempo per studiarle, ma queste scritte fanno riferimento ad un importante nobile di cinquecentoquattordici anni fa che venne sepolto qui... ma non come un onore... Sembrerebbe più che sia stato messo qui per allontanarlo dal resto del mondo... Questo però ha poco senso: a cosa potrebbe servire un esilio postumo? -
- Forse era malato e molto contagioso... - ipotizzò Trevan, ma subito Altea lo interruppe:
- Se anche fosse stato così, perché spendere tempo e denaro per costruire una simile struttura di reclusione? Se fosse stato davvero un pericolo per la salute della gente, lo avrebbero bruciato, eliminando così qualunque tipo di contaminazione... e poi, quale sarebbe l'utilità di questo cristallo luminoso per un defunto? -
- Quelle iscrizioni non dicono nulla al riguardo? - Chiese Abel, insolitamente incuriosito.
Altea diede una rapida occhiata alle scritte della facciata che aveva davanti, poi passò a esaminare quella di destra. Dopo una trentina di secondi, gli rispose:
- Qui c'è scritto qualcosa riguardo a una scala... no, una porta in alto, nel cielo... O meglio, qualcosa, una parola che non conosco, che porta in alto nel cielo... Poi ci sono alcune frasi che non capisco... Ho bisogno degli appunti che ho lasciato al campo... - Passò ad osservare l'altra facciata a destra, quella opposta a dove si trovava suo fratello, e dopo una decina di secondi riprese: - Ecco, qui dice che la luce tiene lontano ciò che si nasconde nell'ombra... -
Il silenzio venne improvvisamente squarciato da tre forti colpi secchi, tre piccole ma intense esplosioni.
Altea gridò spaventata e istintivamente si tappò le orecchie con le mani. Con il cuore che le batteva all'impazzata, si voltò alla sua destra. Ciò che vide la colpì come un pugno nello stomaco: i due Sergenti vicino all'ingresso erano a terra, con la testa grondante di sangue che veniva lentamente trascinato via dalla corrente dell'acqua sul pavimento.
- Trevan? Abel? - Chiamò con voce tremante, mentre si spostava di lato per vedere cosa fosse successo al fidanzato e al fratello.
La testa di Trevan emerse dal bordo del cubo: era rivolta verso di lei, con gli occhi spalancati bloccati in un'ultima espressione di sorpresa e con un foro sanguinante al centro della fronte.
Altea gridò e corse verso di lui. Gli si inginocchiò al fianco, con le lacrime agli occhi, e appoggiò una mano tremante sul petto del suo amato.
Subito dopo, sentì uno scatto metallico dietro di lei.
Lentamente Altea si voltò e vide il fratello con la pistola puntata contro di lei. Gli occhi ambra di Abel erano glaciali, privi di ogni emozione.
- Perché? - Gli chiese con un grido disperato.
- Coincidenza - disse semplicemente Abel, con un tono inespressivo, poi premette il grilletto.
Altea sentì un acuto dolore al petto, proprio all'altezza del cuore, e perse le forze, cadendo a terra su un fianco.
Mentre sentiva il proprio respiro farsi sempre più pesante, vide il fratello che la scavalcava e accendeva la torcia elettrica. Poi, con la coda dell'occhio, Altea scorse nella mano del fratello qualcosa che sembrò allungarsi fino a raggiungere il cristallo luminescente. Un attimo dopo la sala piombò nell'oscurità, eccetto per il fascio di luce generato dalla pila di lui.
Infine, il buio la avvolse in un freddo abbraccio.

Uno strano risveglio

Altea aprì lentamente gli occhi e vide un soffitto bianco sopra di sé. Avvertiva uno strano formicolio alle braccia e alle gambe, e faceva fatica a muoversi. Sentiva una strana debolezza diffusa in tutto il corpo e aveva la mente annebbiata, come se si fosse svegliata all'improvviso dopo pochissime ore di sonno. Aveva un vago ricordo di avere avuto difficoltà a respirare, ma ora era tutto regolare.
Non ricordava bene cosa fosse accaduto, ma era certa che non avrebbe dovuto esserci tutta quella luce che le feriva gli occhi. Soprattutto, non avrebbe dovuto esserci quel soffitto bianco che non aveva mai visto. Non era quello del suo ufficio al Dipartimento di Storia dell'Università di Norcadia, perché non aveva l'intelaiatura metallica, né quello della sua casa: il soffitto della sua stanza era azzurro e lo aveva dipinto lei stessa due anni prima insieme a Trevan...
Capì di essere sdraiata su un letto. Girò la testa verso destra e vide una finestra con delle tende, da cui penetrava la luce del giorno. Poi si accorse di un'asta accanto al letto, da cui pendeva una bottiglia a testa in giù piena a metà di un liquido trasparente, con un piccolo tubicino che usciva dal tappo e che si dirigeva verso di lei.
Una flebo! Pensò con terrore, tanto che il cuore accelerò i battiti. Per gli Astrali, sono in un ospedale! Che cosa ci faccio qui? Come ci sono arrivata?
D'un tratto, sentì un rumore alla sua sinistra. Si voltò e vide una porta aperta e una giovane donna con indosso un camice celeste. I loro sguardi si incrociarono e l'infermiera tornò di corsa fuori dalla porta gridando che l'archeologa si era svegliata. Altea si sollevò a sedere sul letto e, dall'uscio rimasto aperto, intravide il profilo di un soldato sull'attenti.
Perché c'è una guardia fuori dalla porta? Si chiese confusa, ma non ebbe modo di pensare ad altro, perché l'infermiera rientrò insieme a una dottoressa, una donna di mezz'età che indossava un camice bianco.
Quest'ultima lanciò una rapida occhiata allo strumento diagnostico posto sopra la testiera del letto e vide che i tracciati del cuore e del respiro erano regolari. Solo in quel momento, Altea si rese conto di indossare la sua camicia da notte bianca e di avere dei sensori attaccati al petto, sopra e in mezzo ai seni. La dottoressa le si avvicinò: non la costrinse a sdraiarsi di nuovo, ma si limitò a esaminarle gli occhi, illuminandole le pupille con una piccola torcia presa da una tasca del camice. Poi fece cenno all'infermiera di controllare la flebo, infine chiese alla paziente, in un tono calmo e professionale:
- Si ricorda il suo nome? -
- Sì. Altea Eburnis. Lei invece chi è? -
- Va bene, basta così. Sa dove si trova? -
- Be', di sicuro in un ospedale - rispose Altea un po' confusa, guardandosi intorno. Notò sul tavolo appoggiato al muro di fronte a lei un vaso di fiori gialli con una busta indirizzata a lei appoggiata alla base. - Però non so in quale città... -
- D'accordo - riprese la dottoressa. - Qual è l'ultima cosa che ricorda? -
- Ma lei non risponde mai alle mie domande? -
La dottoressa fece un sorriso sincero.
- La sua reazione mostra che lei si è ripresa abbastanza bene. Ma ora, per favore, risponda alla mia domanda: qual è l'ultima cosa che ricorda? -
Altea tacque qualche secondo per concentrarsi; tuttavia, in quel momento entrò un uomo in divisa militare che, in un tono talmente alterato da far sobbalzare Altea, sbraitò:
- Non doveva cominciare l'interrogatorio da sola, dottoressa Belmis! La signorina Eburnis faceva parte di una spedizione finanziata dall'Esercito, e il protocollo per gli incidenti gravi e sospetti prevede che sia un ufficiale militare a fare le domande! -
La dottoressa sbuffò e si girò verso di lui.
Incidenti gravi e sospetti? Si chiese intanto Altea, sbigottita. Sono qui per un incidente? Cosa diamine mi è successo?
- Ha perfettamente ragione, tenente Neralis, ma non è colpa mia se la paziente si è svegliata adesso, e i miei protocolli medici prevedono che mi assicuri subito del suo stato di salute! -
L'ufficiale replicò recitandole il relativo paragrafo del regolamento militare, ma Altea non li stava più ascoltando, perché stava cercando di ricordarsi cosa le fosse accaduto. Purtroppo, gli ultimi ricordi che le affiorarono alla mente si riferivano ai preparativi per la discesa nella grotta sotterranea sotto i Denti del Gigante, preparativi che lei stessa aveva ultimati insieme al collega Vemo Lanris e a Trevan...
La sua concentrazione venne interrotta dalla voce baritonale del Tenente, che si era avvicinato a lei dalla parte opposta del letto rispetto alla dottoressa:
- Signorina Eburnis, mi ascolti bene: sono il tenente ispettore dell'Esercito Nucio Neralis, responsabile delle indagini sull'incidente della spedizione archeologica. Ora le farò qualche domanda e lei dovrà cercare di rispondere il più sinceramente possibile. - Si mise a cercare qualcosa nelle varie tasche della giacca militare, dunque proseguì: - Anzitutto, stia tranquilla: attualmente non c'è alcuna accusa nei suoi confronti, ma devo avvisarla che questa conversazione sarà registrata e verrà poi attentamente vagliata dal Comitato Militare d'Inchiesta. -
Estrasse da una delle tasche un piccolo dispositivo rettangolare nero di registrazione e lo depose sul letto accanto a lei.
Altea tossì imbarazzata, un po' per schiarirsi la voce e un po' per prendere tempo, poi sospirò e disse:
- Guardi, sinceramente non ricordo niente di quello che è successo. L'ultima cosa che rammento è la preparazione della discesa nel sottosuolo insieme al mio collega Vemo e all'ingegnere della spedizione, Trevan, cioè, l'ingegner Londis... -
Il Tenente, con un gesto di disappunto, si voltò verso la dottoressa Belmis e, senza mezzi termini, chiese:
- È possibile? -
- Con la mente non si scherza. La professoressa Eburnis è rimasta in coma per tre giorni a causa del trauma subito in seguito al crollo della caverna... Sinceramente, sarei meravigliata se non avesse riportato alcun tipo di conseguenza, come appunto un'amnesia... -
Altea era sbiancata nel sentire quelle parole.
- Tre giorni? - Chiese in un sussurro. - Crollo della caverna? - Poi, con voce più forte, aggiunse: - Sono stata in coma per tre giorni? Ma non è possibile... Cos'è successo? -
- Dovrebbe essere lei a dirlo a noi, signorina - puntualizzò il Tenente.
- Io... Io non ricordo... -
Il militare si girò di nuovo verso la dottoressa con un'espressione interrogativa e questa gli spiegò:
- Ci sono buone probabilità che ascoltare il racconto dell'accaduto possa aiutarla a recuperare la memoria... -
Neralis sospirò: per lui era più facile fare domande piuttosto che parlare di qualcosa.
- Molto bene: vorrà dire che le dirò rapidamente io cosa è successo, nella speranza che le torni in mente qualcosa. Sappiamo che lei faceva parte della spedizione scientifica dell'Università di Norcadia, cofinanziata dall'Esercito, in qualità di responsabile degli scavi archeologici. Secondo i rapporti dei suoi colleghi, le principali ricerche della spedizione non erano quelle archeologiche, che si sono aggiunte successivamente, bensì i rilevamenti biologici e geologici per studiare le cause dell'avanzamento del Grande Deserto. Circa due settimane fa, durante uno di questi rilevamenti è stata individuata una enorme cavità sotto il monte Cor-3, e gli strumenti hanno evidenziato la presenza di costruzioni umane. A quel punto, lei è stata chiamata per studiare quel ritrovamento, grazie alla sua specializzazione in storia antica e alle sue precedenti esperienze di lavoro in luoghi sotterranei. Con lei, si sono aggiunti alla spedizione alcuni elementi del Corpo Speciale, per via dell'aumentato grado di sicurezza dovuto alla potenziale importanza del ritrovamento... -
- Meno male che doveva essere breve - commentò la dottoressa, accomodatasi su una sedia presa dal fondo del letto.
Altea soffocò una risata, mentre il Tenente lanciava un'occhiataccia alla dottoressa e proseguiva come se non ci fosse stata alcuna interruzione:
- I rilevamenti preliminari avevano riportato la fragilità delle antiche gallerie che conducevano alle costruzioni ritrovate; inoltre geologi e ingegneri avevano sconsigliato di aprire nuovi accessi alternativi, perché avrebbero potuto provocare dei crolli e distruggere tutto il sito sotterraneo. Per questo venne deciso che solo un gruppo di cinque persone si sarebbe addentrato sotto terra: la capo archeologa, cioè lei, il capo ingegnere Trevan Londis, il capitano Abel Eburnis e i sergenti Nerio Devralis e Ostar Sevanis; i tre militari, oltre ad assolvere i consueti compiti di sicurezza, avrebbero svolto la funzione di manovalanza sotto la sua direzione. Qualche suo collega si era lamentato della scelta di limitare solo a un archeologo la rappresentanza scientifica nel gruppo, ma il colonnello Veramis aveva fatto notare che il capitano Eburnis aveva studiato biologia all'Accademia Militare, mentre il sergente Devralis si stava specializzando in ingegneria e il sergente Sevanis in medicina. - Il tenente Neralis scosse la testa con un sorriso sulle labbra e commentò: - Possibile che ci sia ancora gente che non abbia capito che non tutti i soldati sono degli energumeni senza cervello? -
Approfittando dell'interruzione, la dottoressa si schiarì la voce e intervenne:
- Tutto molto interessante, Tenente, ma, se il suo racconto è destinato a durare ancora un po', vado a prendere qualcosa per fare colazione... -
- Ho quasi finito - le ribatté lui, stizzito, quindi, dopo qualche secondo di pausa per recuperare la lucidità, riprese a raccontare:
- Tre giorni fa, esattamente all'alba, voi cinque vi siete addentrati nelle gallerie sotto il monte Cor-3. Gli spessi strati di roccia hanno impedito agli strumenti di comunicazione di funzionare, quindi nessuno sa cosa sia accaduto esattamente là sotto... -
- Perché? - chiese Altea con un leggero tremito nella voce. - Cos'è successo? -
Il Tenente stava per risponderle, quando nel corridoio si sentirono delle voci, in particolare di qualcuno che chiedeva di entrare nella stanza dell'archeologa. Altea intravide il soldato di guardia alla sua porta che bloccava una persona e la allontanava.
- Non potete impedirmi di entrare! - Gridò un uomo con veemenza. - La gente ha diritto di sapere cosa è successo nel deserto! Metà città è ancora senz'acqua dopo quell'esplosione ai Denti del Gigante! Se l'Esercito ha danneggiato la falda acquifera... -
Subito il tenente Neralis si scusò con Altea e si avviò verso la porta. Si fermò sull'uscio per bloccare ulteriormente l'accesso alla stanza e disse con tono deciso:
- Sa meglio di me, signor Vonardis, che non può avere alcun contatto con la superstite dell'incidente finché non saranno concluse le indagini preliminari. Questa è la terza volta che ci prova: non ce ne sarà un'altra. Le consiglio di andarsene con le buone e di non tornare, oppure sarò costretto a metterla agli arresti per intralcio alle indagini! -
La superstite dell'incidente? pensò Altea turbata. Io sola? Che ne è di Abel e di Trevan?
- D'accordo - fece, rassegnato e rabbioso, l'uomo mentre si staccava con uno strattone dalla presa della guardia, senza che però Altea riuscisse a vederlo. - Ma inoltrerò reclamo ai suoi superiori! - continuò.
- Ecco, bravo - ironizzò il Tenente. - Vada pure a fare reclamo... Ma vada via! -
Praticamente urlando le ultime parole, il militare chiuse la porta e tornò da Altea.
- Mi scusi per l'inconveniente - le disse in tono più calmo, interpretandone il silenzio non come preoccupazione ma come imbarazzo. - Certa gente non sa proprio stare al suo posto. - Il militare lanciò un'occhiata alla dottoressa, che aveva avuto l'accortezza di non scomporsi per l'accaduto, poi tornò a guardare Altea e riprese:
- Dunque, parlavamo dell'incidente. Per farla breve - e qui si voltò di scatto verso la dottoressa, che aveva alzato gli occhi al cielo, - alle ore undici e ventidue minuti del quindicesimo giorno del settimo mese dell'anno 2012 ETV, cioè tre giorni fa, c'è stato un enorme boato, poi tutto il monte Cor-3 è collassato su se stesso, distruggendo con ogni probabilità ogni costruzione antica che si trovava là sotto. Diversi detriti sono arrivati addirittura fino al campo della spedizione, che non era lì vicino, ma per fortuna nessuno è stato ferito. Tutti erano disperati per voi che eravate bloccati là sotto, ma ad un certo punto lei, e solo lei, è uscita dal cunicolo d'ingresso allestito dai vostri ingegneri per raggiungere l'antica rete di passaggi sotterranei. Lei non era in buone condizioni e i suoi vestiti erano tutti sporchi di sangue. Pochi secondi dopo essere uscita, secondo le testimonianze, lei è caduta a terra ed è svenuta, entrando in coma. I suoi colleghi l'hanno soccorsa e, vista la sua condizione, l'hanno portata qui in ospedale... - Tacque qualche istante, per dare più enfasi a ciò che avrebbe detto dopo: - Tuttavia, c'è un fatto che è veramente strano: le analisi dei nostri tecnici hanno rivelato che il sangue di cui il suo corpo e i suoi vestiti erano impregnati era il suo, eppure sul suo corpo non c'era alcuna ferita... Come è possibile questo? -
Altea era sbigottita: le era difficile credere alle parole del Tenente, ma non vedeva il motivo per cui avrebbe dovuto mentirle.
- Non so che dire. Ma cosa è successo a Trevan, ad Abel e agli altri due sergenti? Si sono salvati? -
Neralis scosse mestamente la testa.
- Ancora non lo sappiamo. Gli scavi per raggiungere la grotta dove eravate sono ancora in corso, e ci vorrà un po' di tempo prima di arrivarci. - Il Tenente rimase qualche attimo soprappensiero, poi aggiunse: - Inoltre c'è un altro fatto strano: come è riuscita lei a salire in superficie se ogni passaggio era inagibile? -
Improvvisamente Altea spalancò gli occhi, sorpresa. La sua ombra si era rapidamente allungata fino ai piedi del letto, poi aveva raggiunto il muro davanti a lei, assumendo una vaga sembianza umanoide, che però non le assomigliava più di tanto.
Sia il Tenente, sia la dottoressa si allarmarono nel vedere la sua reazione, soprattutto perché il dispositivo sopra la testiera del letto aveva iniziato a rilevarne un'accelerazione del battito cardiaco.
La proiezione dell'ombra sul muro cominciò a prendere consistenza, e uscì dalla superficie della parete come se fosse una persona coperta da una specie di lunga cappa di colore grigio scuro aperta dalla cintola in giù, con le maniche che arrivavano all'altezza del gomito dove venivano sostituite da lunghi guanti artigliati marroni; un ampio cappuccio era calato sulla testa, e dall'insieme era chiaro che non vi fosse nessuno all'interno, come dimostrava la mancanza delle gambe nella parte aperta. In breve, davanti ad Altea c'era una cappa grigia vuota, sospesa a mezz'aria, che la stava osservando.
- Altea... - fu il profondo sussurro che percepì giungere da quell'assurda specie di ombra.
Urlò. Fu un grido carico di terrore e di angoscia. Sollevò una mano tremante per indicare ciò che era uscito dalla parete, cercando di mettere in guardia chi era con lei, ma né il Tenente né la dottoressa sembravano in grado di vedere qualcosa. Anzi, la dottoressa si affrettò a prendere una siringa dal piccolo astuccio di emergenza agganciato ai piedi del letto e le iniettò un sedativo per calmarla.
Mentre il sonno giungeva con la sua calma ristoratrice, Altea sentì la dottoressa rimproverare il militare, mettendolo in guardia dall'interrogarla di nuovo prima che l'archeologa fosse stata effettivamente pronta a sostenere un colloquio.
Un attimo prima di perdere i sensi, Altea percepì di nuovo quella voce bassa che le sussurrava:
- Finalmente sono fuori... -
Con un brivido gelido, la mente di Altea tornò a quando aveva sentito quella voce per la prima volta...


... Buio. Silenzio. Torpore.
Eppure, nonostante questo, in Altea non c'erano né calma, né tranquillità. C'erano rabbia, furore, angoscia.
La sua vita stava finendo per colpa di una violenza, di un'ingiustizia, di un tradimento.
E non era solo la sua vita a essere sul punto di terminare.
All'improvviso, aveva percepito qualcosa, come un tocco non nel corpo, ma nella mente, che aveva avuto un effetto davvero incredibile: era stato come se il tempo si fosse fermato.
Davanti a lei, l'oscurità si era mossa e si era ripiegata su se stessa, assumendo una strana forma, quella di una specie di cappa grigia scura e vuota. Anche se non vedeva gli occhi di quell'essere sotto il cappuccio calato su una testa inesistente, Altea aveva la netta sensazione che la stesse guardando, e anche molto intensamente.
Chi sei? aveva osato chiedere, quasi convinta che fosse Parvis, l'Astrale da cui prendeva nome la luna più piccola e che, secondo la tradizione, accompagnava le anime dei defunti alla Città d'Argento.
Ma la risposta non era stata quella che si era aspettata:
- Enàbram - aveva detto l'essere con una voce bassa e sussurrante, - colui che dimora nelle tenebre. -
Quella definizione, anche se leggermente diversa, le aveva fatto ricordare l'iscrizione che aveva letto sulla tomba, insieme a qualcos'altro che aveva dimenticato fino a quel momento.
Sei un Abissale? Gli aveva chiesto con un crescente terrore. Uno di coloro che gli Astrali esiliarono dai cieli?
- Esatto - aveva risposto l'essere con un tono seducente. - Ma, a differenza dei tuoi cari Astrali, io ti posso aiutare. -
Un accenno di speranza si era acceso in lei e gli aveva domandato subito:
Come?
- Se accetti di stringere un patto con me, io posso donarti nuova vita, oltre a nuove capacità che ti aiuteranno a vendicarti dei torti che ti sono stati fatti. -
E cosa vuoi in cambio? Gli aveva chiesto, giustamente dubbiosa.
- Concludere il patto comporta che io mi leghi a te, al tuo corpo e alla tua anima. Inoltre, grazie all'energia che scaturirà dal consolidamento del nostro legame, potrò portarci via da questo luogo, e così sarò libero di muovermi nel mondo della superficie, dove la luce del giorno non potrà più annientarmi. -
Nient'altro? Solo questo?
- La mia libertà da questo luogo oscuro in cambio della tua vita è solo l'inizio dell'accordo. Poi, quando vorrai anche nuove capacità, il prezzo sarà un pezzo della tua anima. Il costo può sembrare alto, ma i doni che ti elargirò saranno tuoi per sempre... e sono molte le cose che posso offrirti... -
Potrò chiederti qualunque cosa?
- Non esattamente, ma sappi che la capacità richiesta prevederà come prezzo una parte della tua anima, che dovrà essere il più possibile affine allo spirito della domanda. -
Altea aveva esitato. Non le era proprio ben chiaro quello strano discorso, tuttavia credeva d'averne afferrato appieno il concetto base:
Però, se perdo la mia anima, cioè me stessa, a cosa può servirmi il patto con te?
Enàbram aveva ribattuto, con un tono ancora più suadente:
- Davvero non desideri sapere perché tuo fratello ti abbia sparato? Non ti interessa più vendicarti per la morte di Trevan? Non vuoi sapere cosa si nascondesse in queste rovine, o se ci sono nuovi segreti celati altrove? Davvero vuoi che tutto finisca così, nell'oscurità dell'oblio? -
Altea era stata combattuta. Ciò che sapeva sugli Abissali, sulle loro pericolosità e inaffidabilità, la spingeva a rifiutare la sua offerta, ma questo avrebbe anche voluto dire che la sua vita sarebbe inesorabilmente finita in quell'istante, e dunque che non avrebbe mai potuto scoprire la verità su ciò che era successo.
- Non c'è più tempo, Altea - l'aveva spronata l'Abissale con un sussurro. - Non posso più trattenere la tua anima: devi decidere adesso. Accetti il patto con me? Accetti che io divenga il tuo Abissale e tu la mia Egida? -
Tutt'a un tratto, in Altea erano riaffiorati i sentimenti di rabbia e di dolore che aveva provato quando suo fratello le aveva sparato, quindi d'istinto la donna aveva esclamato:
D'accordo! Accetto il patto!
Una nuova forza l'aveva pervasa immediatamente e la vita era rientrata in lei.
- Il patto è concluso - la voce di Enàbram era risuonata nella mente di Altea...

... Riaprì gli occhi. La luce stava calando, segno che aveva dormito quasi tutto il giorno.
Si mise a sedere sul letto e si guardò intorno: era ancora nella stanza d'ospedale ed era sola. Sul tavolo di fronte al letto c'era ancora il vaso di fiori con la busta indirizzata a lei: ora Altea notò che sotto c'era il suo zaino.
La giovane avrebbe voluto approfittare della calma di quel luogo per rilassarsi, ma ora ricordava tutto quello che le era successo: la morte di Trevan, il tradimento di Abel, il patto con l'Abissale...
Era troppo da accettare in un unico istante e Altea, non potendo più resistere alla tensione, al dolore e alla rabbia, si coprì il viso con le mani, scoppiando in un pianto silenzioso.
Aligi Pezzatini & Simone Gambineri
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