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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Writer Officina
Autore: Dama Berkana
Titolo: Le Isole di Smeraldo
Genere Fantasy
Lettori 3710 54 67
Le Isole di Smeraldo
Guaisce il vento, nella culla delle gemme.

Smeraldo Maggiore,
Isola di Éire.

Le radici schizzarono fuori dal terreno. E con loro, gocce di sangue. Non aveva alcuna importanza che lei fosse una Druidessa, la natura non l'avrebbe ascoltata. Non in quel momento. Tutto ciò che poteva fare, era correre. Doveva trovare le sue Sorelle, doveva rifugiarsi dagli Scudi.
O chi le dava la caccia l'avrebbe presa.
Si tuffò nel torrente, ignorando le ferite brucianti. Bracciata dopo bracciata, la sponda opposta si fece sempre più vicina. Ma anche il suo inseguitore. Era proprio dietro di lei, lo sentiva avanzare tra il fogliame. In un istante, sarebbe emerso dal bosco e lei sarebbe stata esposta ancora una volta al suo potere.
E sarebbe morta.
La sua unica speranza era uscire dall'acqua prima che lui arrivasse.
I piccoli cristalli colorati del fondale le raschiarono i piedi nudi, provocando nuovi tagli. La Druidessa gemette, ma non si fermò. Nuotò fino a sentire i muscoli delle braccia e delle gambe farsi rigidi. Con un ultimo sforzo, riuscì a spingersi fuori dal torrente e ricadere sull'erba morbida. Era senza fiato, non c'era parte del corpo che non le dolesse e una profonda stanchezza iniziò a invaderla. Gli occhi le si offuscarono e divennero pesanti, mentre la mente minacciava di scivolare nell'oblio. Fu sul punto di cedere, di riposare.
Ma poi, lo udì.
Si tirò su a fatica, puntellandosi sui gomiti, e scrutò con terrore crescente la sponda che si era lasciata alle spalle. Sapeva che chi la stava inseguendo sarebbe spuntato a breve proprio lì, ma credeva che la distanza che aveva guadagnato le fosse sufficiente per sfuggirgli e chiedere aiuto.
Si sbagliò.
Non solo lui era già arrivato, ma stava piegando l'acqua affinché lo facesse passare senza ostacolarlo. La Druidessa non aveva mai visto nulla del genere e venne travolta dal panico. Né le sue Sorelle, né le Sacre Depositarie erano capaci di domare gli elementi in quel modo. Eppure non stava sognando, non era un incubo quello che aveva dinnanzi, anche se era difficile convincersi del contrario. Le lacerazioni sulla sua pelle, però, non lasciavano spazio a dubbi. Era tutto vero.
Un raggio di sole vermiglio trafisse la cupola vegetale dell'Isola, illuminando con il suo bagliore morente la gola della donna. La penombra di Éire, rischiarata dalle migliaia di gemme che ne tappezzavano l'ambiente, aveva sempre affascinato la Druidessa. Tuttavia, trovandosi in balia di colui che voleva toglierle la vita, le era apparsa inquietante, persino malvagia. Avrebbe preferito godere della luce naturale piuttosto che perdersi in quei tenui scintillii. Eppure, quando il rosso raggio dell'imbrunire si era posato su di lei, ne aveva avuto paura. Il suo colore, troppo simile al sangue che le macchiava il corpetto di fiori, sembrò volerle far intendere che non aveva scampo. E, dopotutto, più il torrente rispondeva docilmente agli ordini dell'individuo che l'aveva presa di mira, più la Druidessa si convinceva che fosse così.
Le pulsazioni della donna accelerarono, nonostante fossero già al limite della sopportazione. Il cuore minacciò di esploderle, mentre l'angoscia le serrava la gola e le bloccava gli arti. Era inutile spostarsi, inutile scappare ancora. Il suo nemico era troppo forte per lei e per chiunque altro. Solo la superiorità numerica le aveva fatto credere che arrivare in tempo dagli Scudi e dalle sue Sorelle sarebbe servito a qualcosa. Ma la natura sembrava rispondere solo a lui, come se il dono che tutti possedevano svanisse in sua presenza. Come se lui lo risucchiasse. Che a combatterlo ci fosse stata una Druidessa o che ce ne fossero state cento, non sarebbe cambiato nulla. Lui avrebbe comunque avuto la meglio.
Il vento guaì, piegando i rami più sottili dei pioppi e lasciando filtrare altri bagliori vermigli. Essi vennero giù come pioggia insanguinata, dipingendo la fine imminente della donna. Lei non riusciva a distogliere lo sguardo dal suo inseguitore, pregando che non la facesse soffrire troppo e che le facesse esalare l'ultimo respiro in fretta. Aveva smesso di pensare alla vita, al desiderio di trascorrere ancora un altro giorno insieme ai suoi cari. Vedeva solo la morte, a un passo da lei. Se avesse continuato a fuggire, probabilmente non avrebbe fatto altro che condannare al suo stesso destino tutti coloro a cui avrebbe chiesto aiuto.
Doveva arrendersi.
Strinse i pugni sull'erba verde, cercando di placare i tremori. Si rifiutava di chiudere gli occhi. Era certa che, se lo avesse fatto, la sua immaginazione si sarebbe ricoperta di un terrore maggiore di quello che l'attendeva nella realtà. Non voleva rendere la sua fine peggiore di quanto già non fosse.
La morte avanzò lenta verso di lei. Non c'era premura che animava i suoi gesti, né bramosia che infiammava il suo sguardo. Era come se ciò che stesse per fare non fosse importante, quantomeno per lei. Come se si trattasse semplicemente di qualcosa che andava fatto, senza trarne un personale beneficio. Ed era proprio quello ad atterrire la Druidessa.
Non il briciolo di un'emozione palpitava nel suo assalitore.
Sembrava realmente l'incarnazione della morte, giunta a reclamare la sua anima per adempiere al proprio compito. Non aveva motivo di gioirne o di mostrarsi dispiaciuta. Era il suo scopo, la sua ragione d'esistere. Nient'altro.
L'ultima goccia d'acqua ricadde nel letto del torrente, amalgamandosi nuovamente con le altre. L'inseguitore della donna fu a un passo da lei, e la squadrò con indifferenza. Alzò le braccia e mosse le dita, preparandosi a strapparle via l'essenza vitale. Lei rannicchiò le gambe e iniziò a singhiozzare, ma rimase immobile. Il suo ultimo pensiero andò alla Luna, alla dolce Signora che la presiedeva. Si lasciò cullare dal senso di pace che Arianrhod trasmetteva le rare volte in cui poteva scendere sulla Terra, ma che continuava a veleggiare negli animi del popolo anche dopo la sua dipartita. Immaginò che ci fosse il bagliore della Ruota d'Argento a sfiorarla in quel momento, perché per quanto amasse il Sole, era di notte che si sentiva più protetta.
E fu proprio la notte che arrivò.
Buia, fitta. E senza Luna.
Il vento aveva continuato a gemere ed era diventato impetuoso. Così, le chiome degli alberi dello Smeraldo Maggiore, che sempre schermivano la luce esterna, erano state scosse furiosamente e avevano lasciato passare l'oscurità notturna. Per la prima volta, la Druidessa fu grata del fatto che non ci fosse il bagliore lunare a toccarla. Perché, grazie all'improvviso cambio di luce, il suo inseguitore venne disorientato.
L'ambiente si colorò di nero. Le giade e i lapislazzuli erano più radi nel punto in cui si trovavano i due, e la loro luminosità non era sufficiente a battere le tenebre che erano giunte. In cambio, una potente fiamma si riaccese nel cuore della Druidessa e rischiarò il suo animo. Una che credeva non avesse più motivo di alimentare.
La fiamma della speranza.
Il giorno e la notte si erano scambiati di posto con un rapido passo di danza, regalando alla donna uno spiraglio di salvezza. Era un segno, una risposta alla sua preghiera. Ignorarlo sarebbe stato da stolti e da ingrati. E lei non avrebbe gettato via un'occasione del genere.
Approfittando della confusione del suo nemico, la Druidessa si rialzò velocemente e si gettò a capofitto nel bosco. Animata da rinnovata energia, correva con più grinta di prima. Si sentiva fiduciosa, e le lacrime che le gocciolavano dal viso non erano più nutrite dalla paura. Erano figlie del sollievo. Scivolavano giù, fino a toccare il suolo. E più cadevano, più la donna si sentiva leggera. Il timore, l'ansia, il panico. Tutto colava a picco insieme al pianto della Druidessa. Non aveva perso il senno, sapeva che le capacità del suo inseguitore restavano difficili da contrastare. Eppure, quell'improvviso vantaggio che aveva ottenuto la portava a credere nuovamente che la superiorità numerica potesse riuscire a schiacciarlo. Schierargli contro gli Scudi di Éire, valorosi guerrieri, e le sue Consorelle, potenti incantatrici, avrebbe sortito l'effetto sperato.
Ne era certa.
L'Isola Maggiore era immensa, ma la Druidessa aveva corso moltissimo. Doveva essere in procinto di trovare il Santuario, ormai. Era già da un po' che aveva smesso di sentire i passi frenetici dietro di lei. Non che s'illudesse che il suo assalitore avesse rinunciato a ghermirla. Tuttavia, era sicura di averlo seminato. Almeno per il momento.
Piegò le gambe e vi appoggiò i palmi delle mani sopra. Era esausta. Dalle ferite continuava a colarle il sangue, che in alcuni punti si era raggrumato e le tirava la pelle. Non avrebbe retto ancora per molto, ma, non appena avesse ripreso fiato, si sarebbe sforzata di proseguire, arrivando così da chi poteva soccorrerla. Aveva solo bisogno di un istante per placare il suo cuore e far smettere di bruciare i suoi polmoni.
Si asciugò le lacrime con i polpastrelli e si stropicciò gli occhi. Tra la spossatezza e il pianto, la vista le si era appannata. Durante la fuga nella vegetazione, tutto ciò che aveva visto intorno a sé erano chiazze colorate. Le era stato impossibile mettere a fuoco l'ambiente, anche se le zone che aveva superato erano ricoperte di gemme e cristalli luminosi. La radura in cui si trovava in quel frangente non era da meno, eppure la Druidessa continuava a vederci male.
Sfregò le palpebre con più vigore, e non appena le riaprì si sentì sollevata. I contorni delle piante, dei sassi, dei rami. Adesso riusciva a distinguerli nettamente. C'erano le punte dei rubini, gli intarsi degli zaffiri, le venature del legno. E gli occhi della morte.
La donna spalancò la bocca per urlare, ma solo un gemito soffocato le uscì dal palato. Si portò subito le mani alla gola e la trovò traboccante di sangue. Cadde sulle ginocchia, mentre la vita le scivolava via dal corpo. Non resse a lungo in quella posizione e si accasciò al suolo, in mezzo all'erba verde e alle gemme luccicanti. Alzò le iridi e le puntò sulla figura del suo inseguitore.
Alla fine era riuscito a prenderla. Si trattava davvero della morte, dunque. Solo da lei era impossibile sfuggire. Solo lei arrivava in silenzio e ti portava via tutto, guardandoti senza provare alcuna emozione. Era inutile lottare contro la morte, perché il suo potere non aveva eguali. Un giorno, forse, la luce capace di dissipare quell'oscurità avrebbe fatto la sua comparsa e l'avrebbe battuta. Ma, se mai ciò fosse accaduto, la Druidessa non sarebbe stata lì ad assistere. E, temeva, nemmeno tutti gli altri.
La morte si chinò su di lei, evitando la pozza di sangue che si era formata. Allungò un arto nella sua direzione e lasciò cadere qualcosa al suo fianco. L'ultima cosa che la donna osservò prima di spirare fu proprio quella. Era piccola, brillante, rotonda. Era qualcosa che aveva già visto, ma che non capiva perché le fosse stata posta vicino.
Era una perla di rugiada.

La Lancia del Sole

Quindici anni dopo,
Isole di Smeraldo.

Lugh guardò giù. I suoi occhi d'ambra catturarono i riverberi che l'oceano regalava all'alba. Quando le sue onde turchesi s'infrangevano sulle coste dei Cinque Smeraldi ne veniva fuori una pioggia estatica. Volare sopra tanta meraviglia era un privilegio che solo in pochi avevano. E nessuno tra quelli era mortale.
I lunghi capelli dorati del Dio danzavano sulle note del vento, così come le piume che gli ricoprivano parte della fronte e del capo. Uguali a quelle d'oro della mastodontica Aquila su cui Lugh era adagiato, brillavano e accompagnavano il sorgere del Sole. Lentamente, l'astro del giorno si alzava dal mare, riversando scie di luce in ogni direzione. Il primo a percepire quei tocchi scintillanti era proprio l'oceano, seguito dalla sua sponda opposta: la volta celeste. Nel momento in cui cielo e acqua univano la loro luminosità, ecco che i raggi dell'alba giungevano sulla terraferma, su quel magnifico complesso di Isole. Rischiaravano la sabbia, le rocce, i fiumi, le foreste. Le giungle, i cristalli, i sacri Templi.
Rischiaravano Falias, Gorias, Murias, Finias, Éire.
L'intero Smeraldo. Ed era proprio in una delle sue terre che il Dio si stava dirigendo.
- Plana sul mio tesoro, Saraid - , sussurrò all'Aquila, - Il picco di Finias ci chiama. -
Le grandi pupille dell'animale puntarono sull'alto spuntone roccioso che s'innalzava al centro dell'Isola del Sud. Scivolando da una corrente all'altra, Saraid scese lungo quella direzione, mentre Lugh assaporava la libertà del volo. Mollò la presa dal piumaggio dell'Aquila e distese le braccia mimandone l'apertura alare. Anche lui ne aveva una. Era più ampia di quella di Saraid, degna della stazza divina che aveva avuto un tempo. Ma, così come le sue reali dimensioni si erano ridotte, lo stesso era avvenuto ai suoi poteri. Non avrebbe potuto aprire le sue ali sulla Terra. A stento ci riusciva sul Sole, dove si limitava a planare. Volare senza il supporto della sua Aquila era un ricordo lontano, ormai.
Saraid trovò una corrente particolarmente favorevole e vi si gettò subito a capofitto. Il Dio ritirò le braccia per non perdere l'equilibrio e chiuse le palpebre. Poteva percepire chiaramente le pulsazioni del suo tesoro, adesso. Più si avvicinava, più aumentavano. Dietro gli occhi serrati riusciva a vederlo, a perdersi negli scoppiettii che la sua fiamma dorata produceva.
Doveva farlo. Doveva sentirlo, scorgerlo, percepirlo, prima di giungere al suo cospetto. Non sarebbe stato in grado di resistere al suo richiamo, altrimenti. Era arduo non cedere alla tentazione di riunirsi con una parte di se stesso.
L'Aquila rallentò la sua discesa, tirando fuori gli artigli per ottenere una presa migliore sul terreno. Lugh capì che erano giunti a destinazione e schiuse le palpebre. Non fu il cambio di velocità di Saraid a renderlo conscio dell'arrivo sul picco. Furono i sussurri che il suo tesoro gli trasmetteva dall'interno del Tempio del Fuoco.
La grande struttura semitrasparente e circolare occupava la maggior parte dello spazio sullo spuntone di Finias. Grazie alle sue pareti limpide, lastricate di Cristallo di Rocca lunare, i raggi del Sole l'attraversavano senza problemi. Convogliavano tutti sulla cima della scala a chiocciola di pietra fusa con la palma più alta fra tutte. Lì, solenne e maestosa, dominava Lei. Avvolta e protetta da rosse fiamme, mentre sulla sua punta ne vibrava una d'oro, era stupenda. Era Colei verso cui Lugh sempre correva. Era la Sléa Bùa, la Lancia del Sole. Il suo tesoro.
Il Dio saltò giù dal dorso dell'Aquila, producendo un tintinnio metallico con le placche della armatura color ambra che indossava e che ricopriva quasi per intero la sua pelle mulatta. Carezzò il becco liscio e affilato di Saraid e s'incamminò verso il Tempio. A quell'ora lo spuntone dell'Isola era deserto, per questo era il momento che Lugh preferiva per recarvisi. Nessun Túatha De Danann saliva fin lassù all'alba, ci volevano parecchi minuti per percorrere il sentiero interno alla roccia del picco. Le dimore della progenie mortale di sua madre, la Grande Dea Dana, si trovavano tutte giù, nella giungla inferiore di Finias. Se il Dio voleva trascorrere un po' di tempo vicino al suo tesoro senza brusii di sottofondo, l'alba era il frangente ideale.
Quando Lugh attraversò la soglia d'ingresso della struttura che custodiva la sua Lancia, un intenso profumo di frutta gli s'insinuò nelle narici, facendolo sorridere. La giungla in miniatura che cresceva nel Tempio era la sua favorita. I piccoli banani tingevano di giallo i sentieri, mentre la fragranza dei datteri aromatizzava l'aria. I pappagalli lo osservavano curiosi, al contrario dei serpenti, che strisciavano con indifferenza ai suoi piedi. Ciò che amava particolarmente, però, era l'esigua quantità di gemme e cristalli. Finias era l'Isola che contava meno la presenza di quegli elementi e lui non poteva che esserne lieto. Apprezzava la loro bellezza, come tutti, ma non gradiva che illuminassero l'ambiente più del Sole. Soprattutto se l'ambiente in questione gli apparteneva.
Dopo aver oltrepassato una zona in cui le felci erano particolarmente fitte, finalmente si ritrovò a pochi passi dalla scala a chiocciola. Le sue iridi ambrate s'intrecciarono con le lingue di fuoco che ardevano sulla lama della Sléa Bùa e un sospiro fuggì dalle sue labbra.
- Bentrovato, Radioso. -
La timida voce di Semia echeggiò tra le chiare pareti del luogo, venendo amplificata. Lugh si sforzò di staccare gli occhi dalla Lancia e ruotare il capo verso di lei. La Druidessa Depositaria aveva le mani unite sul ventre e le spalle leggermente incurvate in avanti. Teneva lo sguardo a metà tra le iridi del Dio e il suo mento. Era abituata a vederlo, dato che si recava al Tempio quasi ogni giorno e lei non poteva allontanarsi da quella struttura. Eppure, si sentiva sempre in soggezione quando gli rivolgeva la parola, come se si trattasse della prima volta.
Era una divinità, come poteva discutere con lui normalmente?
Anche se, a dirla tutta, non parlava in maniera tranquilla nemmeno con i suoi fratelli mortali.
- Serena alba a voi, Semia - , chinò il capo in segno di rispetto, nonostante la carica della donna fosse nettamente inferiore alla sua, - Mia sorella ha riscontrato problemi durante la notte? -
- Affatto - , si affrettò a rispondere, - La Dea Arianrhod ha rischiarato il nostro mondo con il suo solito tocco d'argento, anche se lei non era fisicamente qui. -
- No, certo... - , il sorriso di cortesia che si era affacciato sul viso di Lugh s'incupì, - La Luna non era piena, non poteva venire personalmente. -
Un silenzio, scomodo e imbarazzante per la Depositaria, scese su di loro. Aveva sbagliato a sottolineare l'impossibilità della discesa della Signora della Ruota d'Argento. Tutti sapevano quanto il Dio sognasse che sua sorella diventasse forte abbastanza per recarsi sulla Terra quando voleva, e non solo nelle notti di plenilunio.
Semia si morse il labbro inferiore e aprì nuovamente la bocca, mentre sbuffi di fumo bianco s'innalzavano dai lembi della sua veste arancione. Crepitavano sempre, generando minute nebbioline. In quel frangente, però, la donna avrebbe voluto esserne inghiottita del tutto, così da nascondersi.
- I Túatha arriveranno a momenti, Radioso - , la Druidessa si portò una ciocca bionda dei suoi lunghi capelli sul busto, giocandoci nervosamente con le dita, - Forse dovreste salire in cima prima di allora. I più giovani sanno essere parecchio rumorosi. -
- Avete ragione - , la tristezza volò via dai suoi bei lineamenti, venendo sostituita dalla gioia per il prossimo contatto con il suo tesoro, - Non mi attarderò oltre. -
Con un cenno di commiato, salutò Semia e salì i gradini che conducevano alla Sléa Bùa. La donna buttò fuori l'aria che aveva trattenuto e si rilassò. Un raggio di luce mattutina colpì la scheggia di smeraldo incastonata nel diadema dorato che la Depositaria portava adagiato sul capo. Lei vi portò una mano sopra e passò i polpastrelli sulle stecche che dipartivano da esso. Il suo gioiello ricordava il Sole nascente, un semicerchio d'oro con altrettante linee scintillanti sopra. Al centro, quel frammento di cristallo indicava il legame che tutto in quei territori aveva con l'energia dello Smeraldo. Energia dalla quale Druidesse, Scudi e, in generale, Túatha traevano il potere necessario per esercitare i loro doni.
La Depositaria drizzò la schiena, cercando di assumere una postura degna del ruolo che ricopriva. Lei e le sue Sorelle erano la diretta emanazione della volontà della Grande Dana sulla Terra. Si assicuravano che nessuno si avvicinasse ai quattro tesori sacri che gli Dei avevano affidato al popolo, e si accertavano che i mistici Protettori non venissero disturbati. Si trattava di creature incredibili, e anche se nessuno, a parte le divinità e le Druidesse, sapeva come fossero fatti o riuscisse a vederli, toccava alle Depositarie controllarli. Non perché avessero bisogno di aiuto, ma per prevenire che i Túatha si facessero molto male accostandosi incautamente a loro.
A breve, i primi popolani avrebbero fatto capolino sul picco di Finias, pronti per bearsi di una nuova giornata nel loro paradiso terrestre. Semia guardò istintivamente in direzione della Lancia, pensando al fatto che Lugh non avrebbe avuto più di una manciata di minuti per stare con la Sléa Bùa prima che il chiacchiericcio dei Túatha sbocciasse. Ma, un attimo dopo averlo fatto, fu costretta a puntare gli occhi altrove. La sua sbadataggine le aveva fatto dimenticare quanto Lugh risplendesse al fianco di quel tesoro. La luce color oro che il Dio emanava solitamente era tenue, ma accanto alla sua Lancia era impossibile da scrutare con occhi mortali. Il movimento che fece per evitare di restare accecata, tuttavia, le permise di notare che stava arrivando qualcuno.
Il popolo è già qui? – si chiese stranita.
La chioma castana che emerse dalla vegetazione esotica, però, le fece capire che non si trattava di un popolano qualunque. L'uomo sul cui volto cresceva una leggera barba incedeva con passo allegro ma posato. Il busto eretto, i muscoli tonici, la mano sempre poggiata sull'elsa della spada milese. Era uno degli Scudi di Éire. Ed era anche il più conosciuto e apprezzato.
- Scudo Pw... - , l'uomo si portò un dito alle labbra per farle intendere di restare in silenzio, e lei troncò immediatamente la frase che stava per pronunciare. Le lanciò un sorriso affabile e malandrino e tirò dritto, superandola. Semia non aggiunse altro e decise di uscire dal Tempio, lasciando soli quei due.
Lugh si era inginocchiato di fronte alla Sléa Bùa, in una sorta di rituale sacro. Era rimasto nella stessa posizione per tutto il tempo, ma, poco prima che lo Scudo salisse la rampa di scale, si era rialzato. Fissava con ardore il fuoco dorato che crepitava sulla lama della Lancia, lasciando che i ricordi esondassero nella sua mente.
Vedeva il Cosmo buio e tetro, sostituito da una luce immensa e splendida. Rimembrava i suoi poteri divini che pompavano formidabili nelle vene, rilasciando una scarica di energia ineguagliabile. E poi, le forze che venivano meno. La Luna che nasceva da un briciolo solare, un frammento di caos che veniva risparmiato. Una risata agghiacciante...
Il flusso di memorie si spezzò bruscamente. Lo Scudo gli era giunto alle spalle senza che se ne rendesse conto, troppo concentrato sul passato, e gli aveva gettato un braccio intorno al collo. Lugh sussultò e per poco non fece ruzzolare entrambi giù dalle scale. Non appena le sue iridi d'ambra incontrarono il volto dell'uomo al suo fianco, però, lo spavento si tramutò in felicità. E anche in un pizzico di divertimento.
- Pwyll! - , dovette trattenersi per non scoppiargli a ridere in faccia. Lo Scudo lo stava abbracciando con un sorriso stampato sul viso, ma teneva gli occhi serrati per l'eccesiva luce emanata dal Dio. Era buffo vederlo così, - Mi hai spaventato. Avrei potuto scaraventarti là sotto, non dovresti avvicinarti quando sono tanto assorto. -
- No, non dovrei avvicinarmi quando sei così luminoso - , girò la testa dalla parte opposta al punto in cui stava Lugh e sgranò gli occhi, cercando di farli riabituare a un bagliore normale, - Per il Padre di tutti, mio Sole, sei troppo splendente! Pur tenendo le palpebre serrate stavo per diventare cieco. -
A quel punto, il Dio non riuscì più a trattenersi e si lasciò andare a una risata cristallina. Il suo timbro di voce, a differenza di quello caldo dell'amico, era più squillante e giovanile. Sembrava quasi quello di un ragazzo, più che di un uomo. O di un individuo millenario.
- Ti sarebbe bastato aspettare - , riuscì a dire dopo un colpo di tosse con cui tornò serio, - Rifulgo così tanto solo se sono accanto alla mia Lancia, lo sai. O se sono appena sceso dal Sole. Insomma, proprio come adesso. Non era il momento ideale per rivolgere lo sguardo verso di me. -
- Saggia osservazione. Peccato che non potessi aspettare, dato che tra poco inizierà il Gran Concilio. -
Vedendo che l'amico non riusciva proprio a girarsi verso di lui, Lugh lo invitò a malincuore a scendere giù e ad allontanarsi, dunque, dalla Sléa Bùa. Pwyll era l'unico a cui era concesso avvicinarsi a quel tesoro, ma aveva poca importanza, visto che la maggior parte delle volte lo faceva in compagnia del Dio. In quelle circostanze i bagliori di Lugh e della Lancia erano talmente forti che finiva per non vedere niente. Che avesse avuto il permesso di stare lì o meno non faceva differenza per il suo sguardo, incapacitato di bearsi di quel privilegio.
I due scesero velocemente i gradini, l'uno per evitare di cedere alla tentazione di risalire, l'altro per tirare un sospiro di sollievo. Non appena furono sufficientemente lontani dal tesoro, la divinità riprese il discorso che avevano interrotto.
- Temevi che mi fossi dimenticato che la riunione si sarebbe tenuta questa mattina a Falias? -
- No, temevo che la vicinanza con la Sléa Bùa ti facesse perdere la cognizione del tempo - , sentenziò con una scrollata di spalle.
- Non posso darti torto - , si grattò la nuca con imbarazzo, - C'era Semia, però. Anche lei prenderà parte al Concilio. Mi avrebbe avvisato lei. -
- E tu credi davvero che avrebbe osato interrompere il tuo rituale sacro? -
Lugh indirizzò lo sguardo verso l'esterno, dove la Depositaria stava camminando nervosamente avanti e indietro nell'attesa della riunione. Non appena lei vide che la stava guardando, si bloccò sul posto in una posizione rigida. Sembrava indecisa se continuare a muoversi o se tentare di capire perché il Dio la stesse osservando.
- Chissà - , si rivolse nuovamente verso l'amico, - Non aveva molta scelta, d'altronde. O interrompeva me, o accettava gli sguardi indispettiti delle altre divinità causati dal mio ritardo. -
- Povera Semia - , ridacchiò Pwyll, - Menomale che sono giunto io in suo soccorso! -
- Sì, lei è stata fortunata - , un sorriso malizioso sorse sulle labbra di Lugh, - Ma non so se lo stesso si possa dire di te. Abbiamo una sola via a disposizione per arrivare su Falias in tempo. Ci hai pensato quando hai deciso di venire qui anziché recarti sull'Isola dell'Ovest? -
La confusione si dipinse sui lineamenti dello Scudo, che corrugò la fronte.
- Beh, io pensavo di usare i ponti di radici. -
- Oh andiamo, Pwyll. L'alba è sorta già da un po', impiegheremmo ore attraverso quel sentiero - , lo spinse all'esterno del Tempio, dove i Túatha si erano ormai messi al lavoro, - È da diversi mesi che riesci a evitarla, ma oggi non avrai altra scelta. -
Si fermarono all'ombra di una palma, e il Dio fischiò. Non appena lo Scudo udì quel suono, si rese finalmente conto di cosa si stava parlando Lugh. Guardò allarmato il volto dell'amico, ma lui, di rimando, gli sorrise soddisfatto. Fu in quell'istante che Saraid sbucò dalla vegetazione e accostò il becco aguzzo al suo padrone, sbattendo le enormi ali.
- Forza, Pwyll. È tempo di volare. -

Verde Smeraldo

Un refolo di vento caldo, tipico delle correnti dell'Isola del Sud, solleticò la barba di Pwyll. Con le braccia incrociate sul petto e la schiena poggiata al tronco della palma, fissava le pupille di Saraid. E lo stesso faceva lei. Sembravano due figure incise nella pietra, destinate a scrutarsi per l'eternità alla ricerca della fiducia reciproca. Non un battito di ciglia, né un'artigliata al terreno. Nessuno dei due si muoveva. Solo Lugh spezzava quell'immobile incanto, voltandosi sorridente prima verso l'uno e poi verso l'altra.
Dopo qualche minuto, lo Scudo alzò le spalle, sciolse le braccia lungo i fianchi e si sfregò le mani con espressione convinta.
- Bene, mio Sole. Direi che quest'oggi farete a meno di me al Gran Concilio - , si voltò e fece per incamminarsi lungo il sentiero che conduceva ai piani inferiori di Finias, ma Lugh lo bloccò subito.
- Oh su, coraggio! - , gli strinse le spalle con vigore, - Sei lo Scudo più forte e temerario fra tutti e arretri davanti a Saraid? -
- Arretro perché non ci tengo a essere il primo Túatha che dopo decenni non muore di vecchiaia - , spiegò senza scomporsi, - Non è questione di paura, ma di buonsenso. La vita sullo Smeraldo è sublime, perché turbarla con la mia rovinosa caduta dalla tua Aquila? -
- Non cadrai. -
- Mio Sole, ti ringrazio per la fiducia, ma solo gli Dei possono avvicinarsi agli Animali Sacri. E Saraid, in particolare, si lascia sfiorare esclusivamente da te - , la indicò con un cenno del capo, mentre lei sembrava poco interessata alla loro discussione, - Non sarebbe lieta di lasciarmi salire sul suo dorso. Quindi grazie, ma preferisco andare a piedi. Anzi, credo proprio di riuscire a sgattaiolare nel tempio di Falias senza che nessuno mi veda - , rimuginò mentre l'idea si faceva strada nella sua mente, - Sì, sono certo che nessuno si accorgerà che arriverò in ritardo. D'accordo, è deciso, farò così. Ci vediamo dopo, mio Sole. -
Pwyll cercò di staccarsi dalla presa di Lugh ma non ci riuscì. Sbuffò esasperato e puntò gli occhi in quelli divertiti di Lugh. Alzò un sopracciglio e lo squadrò con impazienza.
- Non posso tirarmi indietro, vero? -
- Assolutamente no. -
Per qualche secondo, lo Scudo mantenne un'espressione severa e offesa. Ben presto, però, una risata scappò dalla sua bocca e le sue labbra s'incurvarono verso l'alto. Gli era impossibile fingersi indispettito davanti alla gioia del Dio solare.
- Oh beh, che il Padre potente vegli su di me. -
Lugh lo abbracciò, ridendo anche lui, e gli diede una pacca sulle spalle.
- Vedrai che mi pregherai per lasciarti volare con Saraid ogni giorno! -
- Sicuramente - , si lasciò condurre vicino all'animale, - Almeno fino a che lei non deciderà di gettarmi in mare. -
Il Dio ignorò la sua ultima frase e lo incitò ad accostarsi all'Aquila. Saraid sembrava essersi nuovamente interessata allo scambio di battute tra quei due, e aveva stirato il collo per capire meglio cosa stesse accadendo. La sua connessione con Lugh le faceva sentire i suoi stessi sentimenti, quindi percepì subito la spensieratezza e la felicità che stavano animando il suo padrone. Quando vide lo Scudo posizionarsi di fianco a lei e protendere una mano verso il suo capo, puntò le pupille verticali sul Dio. Notò che era lui che stava spiegando all'uomo cosa fare. Sembrava non avere dubbi su ciò che gli stava dicendo, eppure, dal canto suo, Saraid non aveva chiara l'intenzione di quei due.
- Carezzale la testa, così potrai stabilire un contatto con lei - , l'entusiasmo era palpabile nella voce della divinità.
- Ma lo vedi come ci guarda? - , mormorò trattenendo una risata, - Secondo me ritiene che abbiamo perso la ragione. Si vede che è confusa dalla mia vicinanza. -
- A breve capirà - , asserì mentre le lanciava un'occhiata d'intesa, che però Saraid non afferrò.
- O deciderà di cambiare padrone perché quello che ha ora non è più affidabile. -
- Smettila di parlare, Pwyll - , gettò gli occhi al cielo senza smettere di sorridere, - Poggia quella mano sulle sue piume una volta per tutte! -
- Va bene, va bene - , avanzando cautamente, ma con decisione, lo Scudo sfiorò finalmente la testa dell'animale. A differenza di quanto si fosse immaginato, lei non si ritirò o lo attaccò. Sembrava solo incuriosita.
- Ora mi credi? - , disse più a se stesso che all'amico. Data la confusione dipinta sul volto di Saraid, aveva temuto anche lui che qualcosa andasse storto, - Adesso accarezzala con entrambe le mani e poggia la tua fronte sulla sua. -
Pwyll aveva mille battute e frasi ironiche nella mente, ma rimase zitto. Era talmente vicino all'Aquila da sentirne il calore e l'odore. Se avesse sbagliato mossa in quel frangente, avrebbe potuto tranquillamente perdere un occhio. Il becco affilato a un palmo dal suo naso lo presagiva.
Alzò il braccio sinistro e con delicatezza poggiò le dita sul piumaggio. Assicuratosi che quell'ennesimo gesto non avesse turbato la creatura sacra, si decise a seguire le istruzioni di Lugh. Chinò il capo verso Saraid e con estrema lentezza lo fece toccare con il suo. Un tremito scosse l'Aquila, e sia il Dio che lo Scudo si prepararono al peggio. Tuttavia, a parte quel sussulto, non avvenne nient'altro.
- Ci siamo! - , Lugh quasi urlò dalla gioia e si affrettò ad avvicinarsi, mettendo la sua mano sopra quella dell'amico, - Questa era la fase più pericolosa. Ora possiamo passare a quella divertente. -
- Come sarebbe a dire “la più pericolosa”? - , sgranò gli occhi, ma il Dio non rispose e si spostò verso il dorso dell'animale, - Mio Sole, non avevi detto che non avrei corso pericoli? -
- Sì, sì - , gli fece cenno di avvicinarsi, - Sei sano e salvo, no? Perfetto, quindi non hai corso pericoli. Avanti, vieni qui e saltiamo su, altrimenti faremo davvero tardi alla riunione. -
Pwyll lasciò perdere qualsiasi protesta e fece come gli era stato detto. Nel frattempo, Lugh si era già seduto sul dorso dell'Aquila e lo attendeva. Non appena lo Scudo fu nel punto ottimale per salire in groppa a Saraid, la divinità solare si fletté in avanti e lo afferrò per le spalle, tirandolo su. A primo impatto, la creatura sacra si divincolò, ma quella ritrosia durò solo un istante. Infatti, subito dopo si acquietò e Lugh fu certo che avrebbero potuto volare sereni.
- Sei pronto? -
- Ha importanza se dico di no? -
Entrambi scoppiarono a ridere, e quando Pwyll si ancorò saldamente alle placche metalliche dell'armatura del Dio, questi diede all'Aquila l'ordine di spiccare il volo. Con un forte slancio, Saraid si portò a diversi metri da terra, mentre le sue enormi ali tagliavano l'aria e le permettevano di restare sospesa. Battito dopo battito, si alzò sempre più in alto, finché i Túatha sul picco di Finias non divennero nient'altro che minuscoli puntini in movimento.
I massicci spostamenti d'aria provocati dall'Aquila e il rapido innalzarsi tra le correnti avevano costretto lo Scudo a strizzare gli occhi. Non riusciva a tenerli aperti senza che grosse lacrime gli annebbiassero la vista. Dalla fessura tra le sue palpebre vedeva che Lugh non faticava affatto e teneva gli occhi spalancati. Lui giungeva sempre in volo sulla Terra, era naturale che vi fosse avvezzo, ma Pwyll stentava a credere che l'abitudine fosse sufficiente per non lacrimare.
- Non è magnifica la vista da quassù? - , il Dio dovette parlare a voce alta per farsi udire in mezzo al fragore del vento.
- Oh lo sarebbe, ne sono convinto, se solo riuscissi a tenere le palpebre aperte come le tue - , avrebbe voluto strofinarsi gli occhi per cercare di scrutarsi meglio intorno, ma non osava mollare la presa sull'amico.
Lugh ruotò il capo verso lo Scudo e si rese conto della difficoltà in cui si trovava. Lasciò andare il piumaggio dell'Aquila e girò per tre quarti anche il busto, mentre Pwyll seguiva i suoi spostamenti con le dita per evitare di perdere la presa.
- Ti tengo io, tu proteggiti gli occhi - , lo afferrò come meglio poteva, - Saraid adesso volerà più pacata, così potrai bearti della splendida visione che hai attorno. -
Lo Scudo attese di sentire l'animale sacro mitigare il suo volo prima di portarsi i palmi delle mani ai lati del viso. Schiacciò le gambe quanto più possibile ai fianchi dell'Aquila e, non appena si sentì pronto e stabile, schiuse le palpebre. La prima cosa che vide fu il volto gaio della divinità solare. I suoi capelli dorati ballavano, per nulla scompigliati, e sembravano a tutti gli effetti un'estensione dei raggi dell'astro diurno.
Gli aveva chiesto tante volte di provare a solcare insieme i cieli di quella zona del mondo. Pwyll aveva sempre rifiutato, non gli sembrava possibile che Saraid acconsentisse a quella trasgressione.
Un Túatha che montava una creatura divina?
Dèi come Manannan Mac Llyr lo avrebbero trovato un sacrilegio. Eppure, data la mansuetudine che stava dimostrando, l'Aquila non appariva affatto d'accordo col ragionamento del Signore dei mari. Probabilmente, però, se ci fosse stato qualsiasi altro popolano al posto dello Scudo, le cose sarebbero andate diversamente.
- Smettila di fissarmi e guarda in basso - , lo richiamò il Dio.
- Certo che quando sei a tuo agio tiri fuori tutte le parole che normalmente tieni per te - , sogghignò, - Dov'è finito il mio amico taciturno? -
Le iridi d'ambra della divinità scintillarono con intensità e le piume sulla sua fronte sembrarono pronte per lasciarsi andare alle correnti.
- Sta volando libero. -
Un sorriso colmo di tenerezza allargò ancor più le labbra dell'uomo. Lugh portava addosso il peso dell'intero Cosmo, erano davvero pochi i frangenti in cui riusciva a rilassarsi. E quello era uno di essi.
Pwyll spostò il capo alla sua sinistra, inclinandolo appena. Si stava finalmente abituando a quell'incredibile situazione. Adesso non lacrimava più e riusciva perfettamente a vedere le onde turchesi che fluttuavano pacate a centinaia di metri sotto di lui. Era stranissimo posare lo sguardo su di loro da quella prospettiva. Quando volse la testa verso destra, però, la stranezza venne immediatamente sostituita da un'incontenibile estasi. Spalancò la bocca e sgranò gli occhi, incapace di contenersi.
Uno, due, tre, quattro, cinque.
Cinque erano le Isole che ospitavano il suo popolo. E cinque se ne trovavano esattamente sotto di lui. Ma per quanto risultassero incantevoli se ammirate dal basso, non erano minimamente paragonabili alla magnificenza che dimostravano da lassù. Pwyll aveva sempre supposto che prendessero il nome di “Smeraldo” perché quella era la tipologia di cristallo più diffusa in ciascuna.
Dovette ricredersi.
Dall'alto dei cieli, dal dorso di Saraid, si aveva l'impressione di bearsi della vista dello smeraldo più grande e lucente del mondo. La forma di ognuna di quelle terre ricordava le sfaccettature di quel genere di pietra preziosa e il colore non faceva altro che esaltarne l'idea. Erano verdissime.
Verde Smeraldo.
- Mio Sole? - , sussurrò con un nodo alla gola per l'emozione.
- Dimmi, Pwyll. -
- La tua offerta di volare ancora insieme è sempre valida? -
Lugh rise di nuovo e seguì con gli occhi ciò che l'amico stava osservando.
- Sarà valida per tutte le volte che vorrai! -
Un riverbero solare diverso da quello che aveva pizzicato l'armatura del Dio fino ad allora lo indusse a ricordare il vero motivo per cui si trovavano sul dorso di Saraid. Si stava facendo tardi.
Senza avvisare lo Scudo, Lugh comandò mentalmente all'Aquila di planare su Falias. Le chiese di procedere delicatamente, così da non destabilizzare Pwyll. Lei seguì fedelmente l'ordine impartitole e dopo qualche minuto il grande lago dell'Isola dell'Ovest apparve a poca distanza dai loro piedi.
- Atterreremo lì - , indicò una zolla che emergeva dall'acqua, poco distante dal Tempio della Terra e dalle case che fluttuavano sulla superficie cristallina.
- Sono pronto a inzupparmi gli stivali - , incurvò un angolo della bocca con fare sarcastico. D'un tratto, notò una chiazza scura con la coda dell'occhio, - Ehi, mio Sole, guarda un po' laggiù. A quanto pare non siamo gli unici a essere giunti in volo. -
Un corvo poco più piccolo di Saraid stava scendendo in picchiata non molto lontano da dove si stavano adagiando loro. Giunse al loro fianco proprio mentre Lugh aiutava Pwyll a scendere dall'Aquila. Non appena il volatile scuro toccò il suolo si trasformò in un'affascinante divinità dai lunghi capelli neri, folti e ribelli. Era di una bellezza sovraumana, ma per via della sua espressione altezzosa non suscitava alcun interesse né nel Dio solare né nello Scudo.
- Che vergogna - , cominciò la Dea, - Insudiciare il piumaggio sacro del tuo animale con un mero mortale. Solo tu avresti potuto fare una cosa simile, cucciolo del Dagda. -
- Salute anche a te, Morrigan - , Lugh cercò di mantenere la calma, mentre l'amico gli stringeva il braccio per tranquillizzarlo.
- Mia Signora - , l'uomo le fece un inchino e le indicò il Tempio di pietra, - Il Gran Concilio attende tutti noi. Durante il suo svolgimento Saraid avrà tutto il tempo di purificare le sue piume con l'acqua del lago. Per nostra fortuna, la pulizia del corpo è più semplice da attuare rispetto a quella della mente. -
Il Dio strabuzzò gli occhi, stupito dalla tranquillità con cui l'amico aveva osato insultare, non tanto velatamente, la seconda divinità della guerra. Prima che lei potesse comprendere a pieno il senso di quelle parole, afferrò il polso dello Scudo e lo trascinò via.
- Non indugiamo oltre - , la chiamò Lugh affinché li raggiungesse e non rimuginasse sulla frase di Pwyll, - Mac Llyr ti starà già aspettando dentro, no? -
- Oh no, lui oggi non verrà - , finalmente si decise a incamminarsi anche lei. Sembrava che puntare l'attenzione sul Signore dei mari avesse sortito l'effetto sperato.
- Come? - , si sorprese Lugh, - E perché mai? -
- Vediamo, lasciami pensare - , la Dea si portò un dito sul mento, fingendo di riflettere, - Oh, giusto! Forse perché si tratta dell'ennesima riunione in cui il rappresentante di ciascuna fazione dice che sullo Smeraldo va tutto bene? Forse perché finiremo per parlare dell'ottimo raccolto, dell'aspettativa di vita dei Túatha che si allunga sempre più e di quanto siano bravi nell'uso del dono? - , sbuffò infastidita, - Oh, cucciolo del Dagda, credimi, non lo biasimo per non essere venuto. -
Lugh s'irrigidì. Non sopportava la sufficienza con cui lei e Mac Llyr si occupavano delle questioni delle Isole. La perfezione che regnava su quelle terre era frutto di un duro lavoro, di un delicato equilibrio. Se la progenie mortale di Dana viveva senza pericoli, serena e priva di morti accidentali, era tutto merito dell'attenzione che lui, e altri Dei che potevano realmente definirsi tali, ponevano in quei luoghi.
- Avete ragione, mia Signora - , fu Pwyll a parlare, - È proprio una vera noia. Anche io avrei preferito non venire e recarmi, invece, dalla mia bella Depositaria Esra. Sapete, giù, nel Tempio dell'Acqua, i rumori si attutiscono. Possiamo fare tutto ciò che vogliamo senza che nessuno senta nulla - , lei lo guardò turbata, - Sì, insomma, possiamo baciarci, oppure... -
- Basta, per l'Abisso! - , sbottò Morrigan, - Sentire come si accoppiano i mortali mi dà il voltastomaco - , accelerò il passo ed entrò per prima nel Tempio di Falias, distanziandosi da quei due.
Lugh lanciò un'occhiata divertita e al contempo sconvolta all'amico, che scrollò le spalle.
- Che c'è? Sono riuscito a sbarazzarci della sua lingua velenosa, no? -
- Oh, Pwyll - , ridacchiò, - Non so proprio come farei senza di te! -

Il Gran Concilio

I lunghi steli di giunco grattavano le vesti dello Scudo mentre si faceva strada verso il Tempio. L'acqua aveva già reso fradicie le sue calzature, ma sapeva che una volta asciutte sarebbero state ancora utilizzabili. Gli abiti, invece, avrebbero dovuto essere ricreati dalle mani esperte delle Druidesse se fossero stati strappati dalle piante. Non che fosse un problema per loro, erano ben liete di aiutare la comunità, a maggior ragione se si trattava di uno dei guerrieri di Éire. Era Pwyll che preferiva evitare. L'ultima volta che una delle Consorelle gli aveva preso le misure per realizzare la divisa da Scudo lo aveva guardato con eccessiva malizia.
Un rumore poco rassicurante per il guerriero lo spinse a fermarsi. Si scrutò il fianco e notò che un rametto si era impigliato e stava per lacerare il morbido tessuto. Imprecò e cercò di staccarselo di dosso senza allargare troppo lo strappo. Lugh si accorse del rallentamento e si voltò con aria interrogativa.
- Tutto bene? -
Pwyll gettò una rapida occhiata all'amico e vide che la sua armatura ambrata splendeva come al solito. Non una goccia d'acqua, non un graffio.
- Non è che ne avresti una anche per me? -
- Come? - , il Dio inarcò le sopracciglia.
- La tua armatura, mio Sole - , riprese ad armeggiare con il ramo emerso dalla folta vegetazione che circondava il Tempio della Terra, - Mi servirebbe proprio. -
Lugh sbuffò con un mezzo sorriso e lo raggiunse.
- Sei nato a Gorias, l'Isola dell'Aria. Perché non usi il dono per liberarti di quell'arbusto? -
- Non mi piace usare i miei poteri per sciocchezze personali - , la presa della pianta sembrava essersi allentata, - La forza del dono viene dallo Smeraldo. Non credo che gli farebbe piacere se io prendessi parte della sua energia per liberarmi da un rametto. -
- Lo Smeraldo è suddito e padrone, amico mio. Vi culla tanto quanto voi Túatha cullate lui - , gli mise una mano sulla spalla, - Non si adirerà con te oggi se tu saprai ricompensarlo domani. -
Pwyll lo osservò e vide la serietà nel suo sguardo. Lugh ci teneva davvero tanto a quelle Isole e alla progenie mortale di Dana. Ogni volta che si toccavano argomenti del genere, svaniva la spensieratezza e compariva il senso del dovere in lui.
- Lo dici perché stiamo facendo tardi alla riunione? -
Ancora una volta, la simpatia dello Scudo riuscì a tirare fuori dalle labbra della divinità una risata spontanea.
- Beh sì, anche per quello - , ammise.
- Allora per stavolta farò un'eccezione - , sospirò l'uomo, mentre iniziava a richiamare il dono sulla punta delle dita. Dal colletto semi aperto della sua casacca s'intravedeva il sinuoso simbolo che i Túatha chiamavano “nodo”. Era una Triplice Spirale che brillava quando i popolani traevano energia dallo Smeraldo. Non appena il potere dell'aria fuoriuscì dai polpastrelli di Pwyll, il Triskell sulla sua pelle s'illuminò. Sotto il tocco gentile del vento, il ramo indietreggiò e finalmente lasciò libero lo Scudo.
- È un vero peccato che il mio dono non arrivi a plasmare intere correnti - , meditò, - Sarebbe stato molto più facile volare, poco fa! -
- Te la sei cavata comunque benissimo - , disse il Dio mentre affrettava il passo verso la struttura di pietra in cui tutti li attendevano.
- Adulatore - , lo seguì a ruota ed entrarono nel Tempio nello stesso momento.
Lisce e levigate dall'acqua del lago, le rocce che componevano quel posto sacro scintillavano vivaci. Nonostante la mole, erano adagiate le une sulle altre con tanta naturalezza da apparire più leggere di una piuma. Costituivano le altissime pareti dentro cui era custodito uno dei quattro tesori affidati dalle divinità ai Túatha de Danann. Custodivano il tesoro di Teutates, primo Dio della guerra. Proteggevano la Lia Fài, la Pietra del Destino. Ed era proprio intorno a essa che i membri del Gran Concilio erano riuniti.
- Scudo Pwyll, Radioso Lugh, vi diamo il benvenuto. -
Lunghe trecce castane, portamento fiero e una veste ricoperta da scaglie di fini strati rocciosi adagiata sul corpo. Úscia, la Depositaria del Tempio di Falias, teneva le mani sui fianchi e sembrava perfettamente a suo agio in mezzo agli Dei. I grossi pendenti che le dondolavano dalle orecchie imitavano la forma della Lia Fài e al loro centro era incastonato un frammento di smeraldo.
- Grazie Úscia, vedo che ci siamo tutti - , o quasi – pensò.
- Sì, tutti coloro che attendevamo - , la donna seguì la sua stessa riflessione.
- Fantastico. Possiamo procedere? - , il tono infastidito di Morrigan strideva in mezzo alla pace che permeava quell'ambiente sacro.
- Certamente - , la Depositaria non badò alla sua impazienza e si accostò lentamente alla Pietra del Destino. Mormorò qualcosa sottovoce e le pietre del Tempio vibrarono. Il suo smeraldo brillò e la lucentezza delle rocce aumentò notevolmente. Il tutto avvenne nel giro di un secondo; subito dopo, ogni cosa era tornata alla normalità.
I venti Scudi e le sedici Druidesse presenti ammirarono stregati quel fenomeno, mentre le divinità non mossero un muscolo. I Túatha restavano sempre a bocca aperta davanti alla manifestazione dei Protettori, anche quando non potevano vederli. Per gli Dei era diverso. Li rispettavano, conoscevano la loro vera forza e, in parte, li temevano per quello. Ma il motivo per cui non si meravigliavano davanti a loro era perché non riuscivano a non pensare al patto che avevano stipulato. Avevano dovuto cedere quattro tesori, quattro parti di loro, affinché essi proteggessero la progenie di Dana mentre il mondo era ancora troppo instabile. Le divinità non potevano muoversi liberamente dai loro Regni alla Terra, e i Túatha avevano costantemente bisogno di essere vegliati. I Protettori lo avrebbero fatto, ma solo a quelle condizioni. Condizioni a causa delle quali gli Dei non riuscivano a non soffrire.
- Sorella Esra, Sorella Mórfi, Sorella Semia - , invocò la Druidessa toccando la Lia Fài, - Mi sentite? -
Un riverbero echeggiò tra le pareti, partendo dalla Pietra sacra. Prima confuso e indistinto, poi via via più comprensibile, finché divenne chiaramente la voce delle tre Depositarie richiamate.
- Ti sentiamo, Úscia - , il tono serio di Esra sovrastò quello delle altre due, mentre le labbra di Pwyll si piegavano all'insù udendo la sua amata.
- Allora dichiaro il Gran Concilio ufficialmente iniziato. -
Lugh si era accostato a una delle divinità minori presenti, lungi da voler avere Morrigan vicino. Lui amava quelle riunioni, riusciva a sentirsi utile in quei frangenti. Sapere che la vita nelle Isole trascorreva serena era motivo di orgoglio per lui e, soprattutto, lo aiutava a non pensare alle sue mancanze. Ai suoi poteri ridotti all'osso, alla costante attenzione che doveva rivolgere alle tenebre per evitare che prendessero il sopravvento. E al senso di impotenza che gli schiacciava il petto. Se avesse avuto Morrigan accanto, invece, avrebbe riflettuto proprio su tutto quello. Si sarebbe premurata lei di fargli puntare lì l'attenzione. E poi si sarebbe lamentata costantemente della durata del Concilio, facendolo innervosire.
No, avere lei o Manannan Mac Llyr vicino nel corso delle riunioni era decisamente da evitare.
- Scudi di Éire - , cominciò la Depositaria di Falias, - Fate rapporto sul vostro operato. -
Gli uomini si scambiarono occhiate d'intesa fra loro. Un istante dopo, fu Pwyll a farsi avanti e parlare a nome della sua fazione.
- Noi Scudi della branca guerriera abbiamo monitorato come sempre Isole, Druidesse e Depositarie - , spiegò pronunciando le parole meccanicamente, avendole ripetute già infinite volte, - Non è avvenuto nessun evento degno di nota da essere riportato in questa sede. Per quanto concerne gli apprendisti più giovani, ne sono entrati diversi tra le nostre fila nell'ultimo mese. Li stiamo addestrando nell'arte della difesa, ma sono perlopiù interessati al supporto della comunità. Non credo che avremo nuovi guerrieri fra loro. -
- Grazie, Scudo Pwyll - , Úscia chinò il capo e lo stesso fece lui, tornando al fianco dei suoi compagni, - È il vostro turno, Druidesse. Aggiornateci sull'allenamento delle nuove Sorelle al Santuario. -
Argomento dopo argomento, le tematiche che venivano toccate a ogni Concilio vennero trattate. I minuti divennero ore e, per la centesima volta da quando quel genere di riunione era stata creata, non un problema emerse dalla vita sullo Smeraldo. Gli sbadigli di Morrigan erano ormai diventati un tutt'uno con il rumore d'ambiente che caratterizzava il Tempio della Terra, ed erano direttamente proporzionali alla crescita della gioia nel cuore di Lugh. La guerra che gli invasori Milesi portarono sulle Isole, decenni addietro, aveva sfregiato il volto perfetto di quei paradisi. Subito dopo la sua conclusione, il primo Gran Concilio era stato indetto, affinché Scudi, Druidesse e Dei discutessero insieme sull'accaduto e prestassero soccorso al popolo. Col tempo, ogni difficoltà sembrava essere stata superata del tutto e tale riunione era diventata più un'abitudine che una vera necessità. Ed era proprio ciò a rendere felice il Dio del Sole.
Più la riunione era noiosa, più significava che non c'erano pericoli nello Smeraldo.
- Il figlio maggiore ha richiesto una nuova dimora per questa ragione - , la voce di una giovane Druidessa riportò Lugh al presente, - La zona in cui sorge la casa della sua famiglia non è sufficientemente ampia da permetterci di allargarne le pareti. Con la nascita del fratello minore è impossibile per loro continuare a vivere tutti insieme. -
- D'accordo Sorella - , Úscia conduceva con maestria lo svolgimento del Concilio, non dava mai segni di stanchezza o impazienza per la sua conclusione, - Dato che stiamo parlando dell'Isola di Gorias, sarà Mórfi a legare l'anima del ragazzo alla sua nuova dimora. Mentre la sua creazione toccherà a te. Il dono di quel Túatha è connesso all'aria, e tu ti sei esercitata molto nel dominio di quell'elemento. Ti senti pronta per prendere una porzione dell'energia del ragazzo e modellarla per dar vita alla sua casa? -
La ragazza tentennò. Si trattava di una pratica molto delicata, e sebbene l'avesse provata diverse volte, non l'aveva mai concretizzata sul serio. Le abitazioni dello Smeraldo erano salde e robuste, fuse con lo spirito vitale dei suoi proprietari, ed era quasi impossibile che qualcosa potesse distruggerle. Ma durante il loro processo creativo erano estremamente fragili.
- Ecco... Io... - , farfugliò.
- Oh povera piccola, non ti reputi all'altezza? -
Tutti si voltarono verso Morrigan, che appariva finalmente divertita e interessata a ciò che stava accadendo intorno a lei.
- Stiamo parlando di un compito arduo per una giovane come te - , continuò, mentre Lugh iniziava a preoccuparsi. Non capiva a cosa mirasse con il suo discorso, - Sono necessari anni e anni di allenamento, non è affatto semplice. Se credi di non farcela non è una tua colpa - , si finse comprensiva, ma poi le sue labbra s'incurvarono malignamente, - La madre di Pwyll era una delle Druidesse più abili a modellare le case. Sarebbe stata perfetta per questo incarico... Peccato che sia morta. -
Un pesante silenzio piombò nel Tempio. La mascella dello Scudo si contrasse e gli occhi del Dio del Sole s'infiammarono. La divinità dai capelli corvini cercò di contenersi, ma era ovvio quanto fosse soddisfatta della reazione dei due. Si passò un dito tra le ciocche scure e ruotò gli occhi.
- Pensandoci bene, però, si sarebbe potuto rivelare pericoloso persino per lei - , la Dea non era intenzionata a tacere, - Plasmare la dimora sarebbe stato un gioco per bambini mortali per tua madre, non è così, caro Scudo? - , l'offesa che le aveva arrecato ore addietro, fuori dal luogo sacro, non era passata inosservata come Lugh aveva sperato, e ora lei si stava prendendo la rivincita, - Quello che mi lascia in dubbio è... - , incrociò le braccia e sorrise beffarda, - Cosa sarebbe successo se un animale impazzito si fosse piazzato sul suo cammino? -
Quello era troppo.
Pwyll si conficcò le unghie nei palmi delle mani per non reagire. Lugh, per contro, non si fece scrupoli e la sua collera esplose. In due falcate arrivò da Morrigan e l'afferrò per il colletto della lunga veste nera che indossava. Lei non vacillò nemmeno per un momento.
- Rimangiati subito ciò che hai detto - , le sibilò a un palmo dal naso.
- Perché t'infervori tanto, cucciolo del Dagda? - , replicò sfidandolo con lo sguardo, - Riflettevo solo su quello che è accaduto anni fa. Sì, sai, sulla stupida morte di alcune Druidesse per colpa della fauna fuori controllo - , sogghignò, - La diretta emanazione della volontà di Dana che perde la vita anzitempo in Isole paradisiache come queste. Che sciagura! -
Lugh strinse ancora più forte il tessuto e digrignò i denti. L'aria divenne asfissiante e un intenso calore iniziò a sprigionarsi dal Dio.
- Ora hai superato il limite, Morrigan - , dai palmi delle mani fuoriuscirono piccole lingue di fuoco che cominciarono a bruciacchiare la veste scura, - Se non hai intenzione di scusarti ti costringerò io a farlo. -
- Non è necessario. -
La voce sicura di Pwyll costrinse il Signore del Fuoco a voltare il capo. Il suo amico non aveva più una postura contratta, sembrava sereno. Si era avvicinato alle due divinità e se ne stava fermo dietro di loro a pochi passi di distanza.
- Pwyll, lei... -
- Come ho già detto, mio Sole, non è necessario che la Dea Morrigan chieda perdono - , lo interruppe lui, - Ha solo esposto una sua riflessione. Nulla più - , si rivolse alla donna tronfia, - Mi trovate d'accordo con voi, tra l'altro. Mia madre Alena era la migliore nella modellazione delle abitazioni dei Túatha, ma non era altrettanto ferrata nella gestione della fauna. D'altronde, nessuno è perfetto, no? - , sottolineò l'ultima frase fissando la Dea dritto nelle pupille.
Calò nuovamente il silenzio, e stavolta fu Esra a spezzarlo.
- Sorella Úscia, ritieni che la Druidessa che hai scelto sia capace di adempiere il lavoro assegnatole? -
- Ovviamente. Non l'avrei proposto, altrimenti. -
- Bene - , la voce della Depositaria dell'Acqua risuonò talmente forte da sembrare che fosse fisicamente presente, - Allora sarà lei a svolgere l'incarico. E con questo, credo che possiamo dichiarare concluso il Gran Concilio. -
Úscia si guardò attorno. Nessuno sembrava voler aggiungere altro. L'imbarazzo tra i presenti era palpabile. Lugh stringeva ancora il colletto della veste nera, ma i suoi muscoli si erano afflosciati sotto il tocco gentile di Pwyll, che gli aveva poggiato una mano sul braccio.
- Direi di sì - , sentenziò, infine, - Dichiaro il Gran Concilio di quest'oggi terminato. Grazie a tutti della partecipazione. -
La Depositaria della Terra sfiorò la Lia Fài come aveva fatto all'inizio della riunione. Lo smeraldo dei suoi pendenti scintillò e un tremito scosse nuovamente il Tempio. Come conseguenza, le voci delle altre sue Consorelle sparirono. Il collegamento era stato interrotto e il Protettore vegliava nuovamente sulla Pietra del Destino. Scudi e Druidesse defluirono rapidi fuori dalla struttura, così come gli Dei minori che avevano assistito al tutto. Rimasero solo Pwyll, Lugh, Morrigan e Úscia.
- Hai intenzione di restarmi appiccicato addosso ancora per molto, cucciolo del Dagda? -
Quella frase fu come uno schiaffo per lui. Si allontanò subito, disgustato da tanta vicinanza. Avrebbe voluto vomitarle addosso insulti, rimproveri, persino maledizioni. Ma avrebbe solo peggiorato le cose. Dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo per non scagliarsi contro di lei, che lo scrutava ancora con ilarità. Con un cenno salutò la Depositaria di Falias e indicò a Pwyll l'uscita. Questi non se lo fece ripetere due volte. Rivolse un caloroso sorriso a Úscia, uno decisamente più pacato a Morrigan, e poi se ne andò. Un istante prima di raggiungerlo, Lugh tornò sui propri passi e si accostò alla Dea, bisbigliandole all'orecchio.
- Hai infranto la regola principale dello Smeraldo, Morrigan - , la collera era a stento tenuta a bada, - Niente liti, né screzi nelle Isole. La pace qui regna solo grazie a ciò. Abbiamo estirpato i mali del mondo esterno con fatica e impegno, cerchiamo di non far sgorgare mai sentimenti negativi nel cuore dei Túatha per evitare che quei mali arrivino. E chiunque minacci quella quiete, chiunque tenti di portare quella negatività, non è ben accetto. -
- Stai cercando di dirmi che dovrei andarmene? - , finalmente si adirò anche lei, - Mi stai cacciando, cucciolo del Dagda? -
- No, Morrigan. Non ne ho il potere - , si allontanò da lei, - Vorrei solo che la Lia Fài non si limitasse a gridare il nome delle nuove Depositarie. Vorrei che nominasse anche gli Dei che meritano di essere chiamati tali. -

La Stella oscurata

Erano trascorsi diversi giorni ormai dal Gran Concilio, eppure Lugh non riusciva a togliersi di dosso il fastidio che Morrigan gli aveva lasciato sulla pelle e dentro al cuore. Il suo comportamento era stato abominevole, ma sapeva che non sarebbe stata punita. La sua vicinanza con il temuto e rispettato primo Dio della guerra Teutates e con Manannan Mac Llyr la ponevano in una posizione di rilievo. E poi, salvo gravissime circostanze, Dagda e Dana non infliggevano mai castighi agli Dei. La fragilità dei loro poteri era già motivo sufficiente di preoccupazione per il Padre e la Madre di tutti, non serviva aggiungere screzi interni per peggiorare le cose.
Fortunatamente, Pwyll sembrava essersi ripreso in fretta da quell'orribile stoccata che la seconda divinità della guerra gli aveva inferto. Se così non fosse stato, Lugh avrebbe punito personalmente quella insolente. La morte di Alena e delle altre Druidesse, avvenuta quindici anni addietro, era stata taciuta ai Túatha. Gli unici mortali che ne erano a conoscenza erano gli Scudi, le Consorelle e le Depositarie. Tirare fuori l'argomento era assolutamente vietato, anche in loro presenza. Si era trattato di un evento inspiegabile, e sebbene sembrasse che la causa dei decessi fosse stata legata alla fauna impazzita, nessuno credeva realmente a quella versione dei fatti. Lugh per primo aveva voluto indagare sull'accaduto, ma non era riuscito a scoprire nulla. Così, alla fine, si era dovuto arrendere e dare per buona quella giustificazione. Ciò non toglieva che il popolo non avrebbe dovuto essere informato. Il rischio che si seminasse il panico era troppo alto.
Il Dio del Sole rimuginava sulla questione, mentre planava giù dal suo astro divino in groppa a Saraid. L'alba era magnifica, quel giorno, e sembrava volerlo rasserenare. Tuttavia, lui non ne era proprio capace. Sapeva quanto Pwyll avesse sofferto per la scomparsa della madre e vederlo triste era l'ultima cosa che desiderava. L'unico sollievo che riusciva a trovare in tutta quella storia era che Morrigan non amava gironzolare tra i Túatha come faceva lui. No, lei detestava i mortali. Sarebbe passato un bel po' di tempo prima che la rivedesse.
L'Aquila dorata si era lasciata cullare dalle correnti mattutine, mentre il suo padrone si perdeva nei propri pensieri. L'irrequietezza di Lugh, però, la fece smettere velocemente di giocare con il vento. Si allontanò dallo Smeraldo Maggiore che stava sorvolando, per dirigersi verso una delle quattro Isole Minori. Più piccole, ma altrettanto importanti. Ad un tratto, però, si mostrò stranamente indecisa. Nonostante sapesse bene dove la divinità desiderasse andare, sembrava titubante. Si mise a girare in tondo, come se non sentisse più il richiamo del tesoro del Fuoco.
- Coraggio Saraid, Finias è proprio laggiù - , cercò di guidarla il Dio, - concentrati sulle pulsazioni della Sléa Bùa. -
Le pupille verticali dell'animale puntarono sullo sperone roccioso su cui si ergeva il Tempio. Lì, era lì che dormiva il tesoro di Lugh. Ed era lì che doveva andare, come sempre. Eppure, c'era qualcosa di nuovo nell'aria. Il vento le stava parlando, le sussurrava rabbia e delusione. Le sussurrava dolore. Morte.
Saraid emise un verso acuto, come se fosse stata brutalmente ferita, e subito si gettò in picchiata verso Murias, l'Isola del Nord, totalmente opposta rispetto a quella in cui doveva giungere il Dio. Lugh fu sul punto di perdere la presa, ma fece appena in tempo a reggersi e accompagnare il volo forsennato della sua amica.
- Quale alba si affaccia nella dimora di Esra? - , si chiese turbato e stranito dal comportamento del volatile, - Azzurra o scarlatta? Mi auguro non sia successo nulla di brutto... -
Eppure, più i due si avvicinavano all'insediamento di Murias, più Lugh capiva che sperare era vano. Una calca di gente era disposta intorno a una delle dimore scavate nella roccia, caratteristiche di quell'insediamento. Stavano tutti fermi, mentre una figura inconfondibile si faceva strada fra loro per arrivare laddove l'attenzione dei presenti era puntata.
- Esra! - , la chiamò il Dio, mentre ormai poche spanne dividevano l'aria su cui stava volando dal terreno su cui si sarebbe poggiato con Saraid.
La donna dai mossi capelli chiari come il ghiaccio alzò la testa verso di lui e, in un coro di voci e stupore, fecero lo stesso tutti gli altri Túatha. Fu un attimo, ma bastò perché succedesse il peggio.
- Sei un codardo! - , gridò uno dei due uomini intorno ai quali si era riunita la massa, - Hai creato questo scompiglio per niente. Credevi davvero di poter essere superiore a me? Alla fine sei e resti sempre e solo un vigliacco. Uno stupido viglia... -
Si udì un terribile frastuono, come se l'intera cava su più strati in cui sorgeva Murias fosse improvvisamente implosa. Tutti puntarono nuovamente l'attenzione verso i due e ciò che videro fu agghiacciante. Il corpo dell'uomo che stava urlando si era fuso con la parete rocciosa, morendo sul colpo. A stento si riconoscevano i suoi arti umani, che fuoriuscivano in alcuni punti dalla tomba che era stata appena creata per lui. Lugh, che nel frattempo era sceso da Saraid, rimase disgustato da quella vista, ma ciò che lo fece rabbrividire fu altro. Fu l'emozione dipinta sul volto del Túatha che aveva agito.
Odio.
Un immenso odio che non lasciava spazio a dubbi: l'intenzione di uccidere quell'uomo era dentro di lui sin dal principio. Non era stato un incidente.
- Allontanatevi, per favore - , la gentile ma perentoria voce di Esra sortì l'effetto di un imprescindibile ordine nelle menti degli astanti, che si scansarono subito per farla avanzare.
A ogni passo che la Druidessa compiva, si poteva notare il mare verde e azzurro, che grattava gli strapiombi dello Smeraldo, agitarsi sul suo lungo abito. Intessuto con le particelle di quelle acque, non seminava nessuna traccia umida dietro di sé, ed era sufficiente a far intendere il ruolo della donna. Era lei la Depositaria del Tempio dell'Acqua.
- Figlio di Dana - , esordì non appena fu prossima all'assassino, - la tua anima è pura, il tuo cuore è buono. Arawn non ti avrà con sé. Non dargli motivo perché sia così. Avvicinati a me e lascia che lavi via il tuo errore. -
- Errore? - , replicò l'uomo con uno strano timbro di voce, - Quale errore, Sacra Druidessa? Ho solo fatto giustizia. -
Mormorii sommessi iniziarono a diffondersi tra i presenti, mentre Lugh diveniva sempre più inquieto. Quell'uomo aveva ragione. Non c'era stato nessun errore. E, tantomeno, nessun rimpianto.
- Dite che Arawn non mi avrà? - , sghignazzò follemente, mentre si avvicinava al punto in cui giaceva ciò che restava del corpo del Túatha appena ucciso, - Spero che quella in errore siate voi, allora. Perché andare dal Dio che prenderà in custodia l'anima di quest'uomo per l'eternità è esattamente ciò che voglio. Così osserverò il suo tormento con i miei stessi occhi... Per sempre. -
Lugh ed Esra scattarono nello stesso momento, ma non furono abbastanza rapidi da impedirgli di compiere l'irreparabile. Il Túatha mosse velocemente le mani, ordinando alla roccia dietro di lui di schizzare fuori. Con un orribile suono, essa si conficcò dritta nel suo cuore, strappandogli via il suo ultimo ma soddisfatto respiro.
E poi, fu silenzio.
Si udiva solo il lento e perpetuo suono dell'acqua della piccola cascata che scorreva all'interno di Murias. Quel filo marino scendeva dall'apertura posta in alto, nell'estremità dell'insediamento, e piombava giù fino alle viscere dell'Isola. Gli astanti erano troppo confusi per capire come reagire.
Saraid poggiò il becco sulla schiena di Lugh, spingendolo leggermente in avanti e invitandolo a fare qualcosa. Era il Dio della Luce, non poteva lasciare i figli di Dana in balia delle tenebre in un momento simile. Doveva rassicurarli, doveva giustificare l'accaduto e, in particolare, doveva condurli lontano da lì.
Ma come fare, se lui stesso non aveva idea di ciò che era appena successo?
Fu Esra ad aprire la bocca per spezzare quell'inquietante silenzio, ma la richiuse prima di emettere anche un solo suono. Non appena vide vorticare davanti a lei una nube di oscurità, fu sul punto di creare uno scudo d'acqua per proteggere tutti da quello che poteva essere un nemico. Tuttavia, non arrivò mai a generarlo e ne fu ben lieta. Avrebbe fatto la figura della sciocca, o peggio, se non si fosse fermata in tempo. Era passato così tanto dall'ultima volta che Hafgan venisse a reclamare delle anime dannate che quando si materializzò sotto forma di nube oscura non lo riconobbe subito.
Fattezze da uomo, ma buio al posto della carne, Hafgan era impossibile da individuare di notte. E nonostante fosse appena l'alba su Murias quando fece la sua comparsa, era facilmente scambiabile per l'ombra di uno dei presenti piuttosto che per una figura a sé stante. L'unico elemento che lo faceva emergere e distinguere dalle comuni proiezioni di buio, erano i suoi occhi. Due stelle nel più oscuro dei cieli notturni.
Hafgan, silenzioso come il più flebile dei sospiri, si avvicinò ai due corpi privi di vita nella roccia e sfiorò i loro petti. Subito, attratte da quelle dita, le loro anime si staccarono e fluttuarono intorno al Portatore dei Dannati. Senza perdere altro tempo, Hafgan le afferrò e se le caricò sulle spalle, sparendo con la stessa rapidità con cui era arrivato.
- Cos'era quella creatura, mamma? - , fu la voce spaventata di un bambino a mandare in frantumi una volta per tutte il mutismo che era sceso su Murias.
Tutti si voltarono verso Esra e Lugh, in attesa di una spiegazione. Erano passati tanti anni dall'ultima volta che un Túatha aveva visto il Portatore all'opera.
- Era Hafgan, figli di Dana. -
Una voce squillante e profonda, allegra come se fosse il giorno più bello di tutti, rispose al dubbio dei presenti. Proveniva dal punto in cui scorreva la piccola cascata dell'insediamento e, sebbene non avesse ancora fatto del tutto chiarezza sull'accaduto, era bastato il suo tono a rasserenare i presenti.
- Era il più fedele servitore di Arawn, vostro Dio dell'oltretomba, nonché delle anime dannate - , continuò vivacemente, - Ma non avete nulla da temere. Il fatto che non l'aveste mai visto prima vi fa ben intendere che non interviene spesso nelle nostre Isole. -
Ora la voce si era fatta più vicina e colui a cui apparteneva era sceso giù dall'acqua camminandovi sopra. Manannan Mac Llyr, il Dio del mare, se ne stava con le possenti braccia tatuate incrociate sul petto e osservava il popolo con un sorriso sulle labbra. I lunghi capelli neri erano gettati dietro la schiena e gli occhi di ghiaccio scrutavano la scena intorno a lui con serenità.
- La vita nello Smeraldo è perfetta, lo sapete. È scritto sulla vostra pelle, nei vostri cuori e dentro alle vostre risa. E quando succedono incidenti come questo, beh... - , alzò le spalle come se stesse spiegando una nozione ovvia, - Non fanno altro che mettere in evidenza quanto normalmente la bellezza delle nostre terre sia sublime! Non crucciatevi oltre e continuate a curare la natura che tanto ci dà e tanto si prende. -
Con molta lentezza, i Túatha iniziarono a disperdersi, tornando alle loro dimore scolpite sui fianchi della roccia o dirigendosi verso l'esterno di Murias. Molti sembravano già aver dimenticato l'orribile situazione a cui avevano assistito, ma sul volto di altri serpeggiavano il dubbio e il timore.
Lugh si avvicinò a grandi falcate verso Manannan, facendo ondeggiare le piume d'aquila che gli ornavano una parte del volto e del capo. Le placche dorate che gli coprivano il corpo asciutto e slanciato, tonico e muscoloso, scintillavano.
- Gran bel discorso, Manannan - , sentenziò con un'ironia per nulla celata.
- Abbassa la voce, ragazzo - , sussurrò il Dio del mare senza smettere di sorridere al popolo dello Smeraldo.
- Non sono un “ragazzo” - , s'infastidì, - Sarò anche più giovane di te, ma non mancarmi di rispetto. Ti ricordo che io... -
- Sì, sì. Sei il figlio diretto di Dana, della Grande Dea Madre - , Manannan scosse una mano come per cacciare via un fastidioso insetto, - Sei il Sole, la Stella Estiva, il proprietario del tesoro di Finias. Tutto molto bello, ragazzo - , a quel punto si girò verso di lui e il sorriso si spense, - Proprio perché sei questo, non devi mai dimenticare le regole che abbiamo stabilito qui. Niente guerre, niente screzi, né liti. Niente violenza sullo Smeraldo - , stava usando le stesse parole che lui aveva rivolto a Morrigan qualche giorno prima, ma lo stava facendo in un contesto sbagliato, - E dopo un assassinio del genere - , proseguì, - non puoi andare a seminare il panico o rischi di fomentare atti simili. No, devi mantenere la calma perché loro ti guardano e fanno ciò che gli dici tu. Se tu perdi il controllo lo fanno anche loro. E se sminuire una vicenda come questa serve a mantenere l'ordine, beh, tu lo fai. Sono stato chiaro? -
Lugh si morse la lingua, ingoiando le risposte che avrebbe voluto dare alla divinità. Mac Llyr e Morrigan erano molto amici, lei doveva avergli raccontato cos'era successo al Gran Concilio. E adesso il Signore dei mari stava cercando di rimetterlo al suo posto. Dopotutto, per quanto Lugh odiasse ammetterlo, quel Dio aveva in parte ragione. Non doveva perdere le staffe.
- Certo, Manannan. Ho capito - , rispose a denti stretti, - Però almeno tra di noi dovremmo indagare, capire il motivo... -
- Cosa c'è da capire? - , lo interruppe spazientito, - Una lite. È stata una semplice lite finita in tragedia. Non c'è nient'altro da capire, Lugh. Se hai davvero afferrato il senso delle mie parole, non andare oltre. -
Senza aspettare una replica, il Dio del mare si voltò e s'incamminò verso la cascata, lasciandosi risucchiare per tornare nel suo Regno sottomarino.
Esra, che aveva assistito alla discussione tra i due, abbastanza vicina da tenerli d'occhio e abbastanza distante da non risultare invadente, si avvicinò a Lugh. Lo vide sconsolato e adirato e fu sul punto di poggiargli una mano sulla spalla per confortarlo, ma si ritrasse subito. Nonostante fosse una delle quattro Druidesse Depositarie, non si prendeva comunque troppe libertà con una divinità.
- Radioso Lugh - , lo richiamò infine, - Forse ha davvero ragione il Signore dei mari. Forse si è trattato solo... -
- Non lo pensi davvero - , asserì con rabbia, spezzando la sua frase a metà, - Ti conosco, Esra. So che sei intelligente e che vedi molto più in là delle apparenze. Non è stato un incidente o una “semplice lite”. Non ci sono liti nello Smeraldo - , anche se Morrigan aveva cercato di fomentarne una.
Con un balzo repentino, il Dio del Sole saltò nuovamente sul dorso di Saraid, che si era già preparata per partire. L'Aquila spalancò le ali, smuovendo l'aria tutta intorno e facendo arretrare di un passo la Druidessa. Un istante dopo, si era alzata in volo insieme alla Stella Estiva.
- Devo parlare con Pwyll. -

All'ombra dei cristalli

La fitta vegetazione che ricopriva per intero la più grande Isola dello Smeraldo si faceva sempre più vicina. Saraid iniziò ad attenuare la propria velocità fino ad arrestarsi del tutto in prossimità della cima di un albero. L'animale s'inclinò leggermente su un fianco e Lugh scivolò sul ramo più vicino che ci fosse intorno a lui.
- Grazie amica mia, da qui proseguo da solo - , le strofinò affettuosamente il becco, - Torna pure sul Sole. La flora di Éire è impenetrabile dall'alto, sarebbe inutile per te volare a vuoto. Non so quanto tempo passerà prima che io lasci l'Isola. -
L'Aquila incurvò le ali, mostrando chiaramente quanto preferisse restare con lui piuttosto che far ritorno nella dimora divina da sola. Tuttavia, non perse altro tempo ed eseguì l'ordine impartito, spiccando il volo. Le ci vollero pochi istanti per diventare un puntino appena individuabile nel cielo per poi sparire del tutto in direzione del Sole. Il Dio aspettò fino a quando non la vide più, e solo allora si decise a scendere dall'albero su cui si era poggiato.
Ramo dopo ramo, Lugh si calò giù con l'agilità di uno scoiattolo. La rapidità sfruttata per arrivare alla base del tronco, però, non giovò alla sua vista, poiché non gli permise di abituarsi gradualmente alla differenza di luce che permeava Éire.
Con una cupola di foglie per cielo, l'Isola era costantemente in penombra. Che fosse giorno o notte, alba o tramonto, non faceva molta differenza lì. La luce del Sole, della Luna e delle stelle penetrava poco quella cortina naturale e non era lei a illuminare i sentieri del luogo.
Gemme, cristalli, pietre preziose.
Erano loro che, disseminati in ogni parte dell'Isola, dai rami degli alberi, agli steli dei fiori, fino ai piccoli corsi d'acqua, rischiaravano Éire di mille colori. Brillavano di luce propria, come un piccolo firmamento in Terra. Ciò avveniva anche nelle altre quattro terre, ma dato che il numero dei cristalli era notevolmente minore lì, i due astri fratelli restavano le principali fonti di luce.
Dopo un breve smarrimento iniziale, Lugh riuscì ad adattare la vista e a mettere a fuoco l'ambiente che lo circondava. La bellezza di Éire quasi gli fece dimenticare il motivo per cui era venuto lì. Fu il senso di malessere che gli si era attaccato addosso da quando aveva assistito alla morte di quei due uomini a ricordarglielo. Il Dio del Sole s'incamminò fra i sentieri di topazio senza indugiare oltre.
Quell'Isola era tra le principali su cui si recava il più delle volte, subito dopo Finias e Murias, ma era anche quella in cui riusciva a orientarsi con maggiore difficoltà. La presenza di tutte quelle gemme lo confondeva e gli impediva di prendere veri e propri punti di riferimento. La stessa mancanza dei raggi diretti del suo astro era uno dei fattori più importanti che non lo aiutava a orientarsi. Erano più le volte in cui doveva tornare sui propri passi che quelle in cui riusciva ad arrivare a destinazione al primo tentativo. E quella mattina non faceva eccezione.
Trascorse un tempo indefinibile prima che il Dio riuscisse a percepire un brusio umano in lontananza. Gli unici due insediamenti mortali su Éire erano l'accampamento degli Scudi e il Santuario delle Druidesse. L'uno a Nord, l'altro a Sud. Lugh sapeva di essere giunto in prossimità di uno dei due, ma non aveva idea di quale si trattasse. Non erano molte le opzioni che aveva a disposizione, ma considerata la sua fortuna negli spostamenti, non voleva cantare vittoria troppo presto.
E, infatti, fece bene a non farlo.
Una magnifica radura dentro cui enormi gemme superavano gli alberi in altezza si aprì di fronte a lui. Colonne di azzurrite delimitavano l'area, mentre mastodontici rubini e zaffiri erano adibiti a vere e proprie strutture. Incisioni d'ogni sorta decoravano le loro sfaccettate superfici, rendendo chiara la natura di quel luogo.
Lugh era finito al Santuario delle Druidesse.
- Proprio il posto che volevo raggiungere, non c'è che dire - , borbottò indispettito, prima di addentrarsi nell'insediamento.
Ghermito di donne dalle età più disparate, era uno spettacolo per gli occhi e per il cuore. Non appena ci si metteva piede dentro, la dolcezza e la serenità delle Druidesse si attaccava alla pelle. Era come sentirsi cullati dall'abbraccio di una madre. Vederle alle prese con i loro studi, con l'allenamento dei loro poteri e con l'insegnamento disciplinare delle più giovani, pompava grinta e gioia. Si aveva la sensazione che nulla potesse andare storto data la presenza di quelle donne sulla Terra. Tuttavia, Lugh aveva da poco avuto la conferma che ciò non corrispondeva al vero.
Il Dio si mantenne alle estremità dell'area, per non attirare l'attenzione. Non voleva disturbarle, né aveva voglia di soffermarsi a parlare, dato il suo stato d'animo. Eppure, sapeva che senza l'aiuto di una di loro non avrebbe mai trovato la strada giusta. Si sarebbe smarrito, per l'ennesima volta. E il tempo era prezioso più che mai, adesso. Non sapeva cosa avesse spinto quei due Túatha a litigare tanto cruentemente, ma era ben intenzionato a scoprirlo. Se quindici anni prima non aveva trovato spiegazione alle morti misteriose, ora non si sarebbe tirato indietro.
Passò vicino a un gruppo molto giovane di Druidesse riunite all'esterno di uno zaffiro. Erano tutte sedute su piccole e basse conche composte da radici intrecciate e tenevano lo sguardo fisso davanti a loro. Lì, ritta e composta, se ne stava una donna della stessa età di Esra. Con voce squillante, stava tenendo un'importante lezione alle sue allieve.
- Éire viene definita “Smeraldo Maggiore” perché costituisce il centro delle Isole a tutti gli effetti. Non si tratta solo di una questione geografica, ma di potere - , Lugh si fermò ad ascoltarla, - Il nostro Santuario e l'accampamento degli Scudi ospitano coloro che sono stati scelti dagli Dei per rispecchiarne il volere sulla Terra. Noi siamo la forza di Dana, mentre gli uomini sono il supporto che il Dagda dà alla Grande Dea - , la Stella Estiva conosceva bene quella storia, ma non si stancava mai di udirla, - Il popolo ci ascolta, e noi ascoltiamo lui. In uno scambio equo, esattamente come avviene per il dono che esercitiamo grazie all'energia che lo Smeraldo ci regala. Noi ci serviamo di lui e lui di noi. Tuttavia, il vero punto nevralgico dell'Isola su cui ci troviamo non è legato né alle Druidesse, né agli Scudi - , fu allora che il turbamento che era momentaneamente svanito da Lugh tornò. Sapeva cosa stava per dire la donna, - Il vero punto focale è legato ad Hafgan, Portatore dei dannati e Giudice delle anime. È il Cuore di Éire. La grotta posta esattamente al centro dell'Isola, collegamento verso l'oltretomba. -
Un lieve senso di angoscia serpeggiò sui delicati lineamenti delle giovani sedute. Li offuscò, e la Stella Estiva non le biasimò per questo. Quel luogo era pericoloso, tanto quanto colui che vi abitava.
- Se Éire è vietata ai Túatha che non appartengono al nostro Ordine o a quello degli Scudi, il Cuore è proibito per chiunque respiri - , continuò l'insegnante, - Addentrarsi là dentro significa rischiare di perdere per sempre il proprio spirito. Tranne nel caso in cui sia Hafgan in persona a condurvi un vivente. In quella circostanza, l'individuo in questione rimarrà per sempre sospeso tra la vita e la morte - , la Druidessa voltò appena il capo, ma sufficientemente per accorgersi del Dio poco più in là. Sgranò gli occhi, ma subito si riprese, e concluse, - Bene ragazze, per oggi la lezione è terminata. Ricordate di non avvicinarvi mai troppo alla dimora del Portatore. -
Non lo avrebbero fatto. Lugh poteva leggerlo chiaramente nei loro occhi spaventati. Lui stesso non vi si era mai accostato più del dovuto. E ne era ben lieto.
- Radioso - , l'insegnante si avvicinò di soppiatto per non farsi scorgere dalle ragazze. Sapeva come reagivano davanti alla divinità del Sole, - Siete venuto ad assistere alle mie spiegazioni? - , scherzò.
- A dir la verità mi sono perso, Lesley - , si passò una mano sul viso con fare esasperato.
- Lo immaginavo - , mormorò celando un sorriso, - Puntavate all'accampamento degli Scudi? - , chiese ad alta voce.
- Proprio così. Ma invece di andare a Nord ho camminato verso Sud... Pur rendendomene conto, però, non riesco a capire che direzione prendere da qui per trovarlo. -
- Quest'Isola è capricciosa - , ridacchiò, - Non è colpa vostra. -
- Ho i miei dubbi al riguardo, ma non importa - , si grattò il mento, - Potete indicarmi la via corretta? -
- Certo! State cercando quel bel fusto di Pwyll, non è vero? -
Lugh sgranò gli occhi e si strozzò con la saliva. L'amica di Esra non aveva peli sulla lingua.
- Oh scusate, scusate! Non volevo essere irrispettosa - , disse senza però smettere di ridere, - L'insediamento si trova da quella parte - , indicò alla loro sinistra, - Vi basterà andare sempre dritto. Incontrerete il Cuore e allora non dovrete fare altro che continuare lungo quel sentiero. Ci vorrà un po', ma se darete ascolto alle mie parole raggiungerete gli Scudi prima di sera. -
Me lo auguro – pensò la Stella Estiva, lasciandosi sfuggire un sospiro.
- Vi ringrazio. Che la luce di Dana illumini sempre il vostro cammino. -
- E il vostro, Radioso. -
I due si salutarono, con un cenno del capo da parte di Lugh e con un mezzo inchino da Lesley. Il Dio non perse altro tempo e si avviò subito verso la zona indicatagli. Cercò di mantenersi lungo lo stesso sentiero il più possibile, ma dovette svoltare qualche volta per via degli ostacoli naturali dell'Isola. Corsi d'acqua, cespugli troppo fitti, tronchi caduti. Quegli ultimi dovevano essere lì da poco, altrimenti le Druidesse li avrebbero già rimessi in piedi o tolti del tutto. Per una volta, Lugh era arrivato in anticipo in una zona di Éire e non era una buona notizia.
Dopo qualche ora passata nel ventre dello Smeraldo Maggiore, non una traccia dell'accampamento si mostrava all'orizzonte. Aveva superato il Cuore da un bel po', mantenendosi il più lontano possibile da esso. Avrebbe già dovuto imbattersi negli Scudi. Invece, il silenzio regnava sovrano. Non c'erano uomini nelle vicinanze.
- Che l'Abisso m'inghiotta se questo posto non è un labirinto - , bofonchiò spazientito mentre superava per la terza volta lo stesso gruppo di alberi, - Attraversare la giungla che precede l'ingresso a Finias è un gioco per bambini mortali in confronto... -
Quando il Dio si accorse di essere passato da quel punto per l'ennesima volta, si arrestò bruscamente. Infilò le dita di una mano fra le morbide piume che gli ornavano i capelli e chiuse gli occhi. Era chiaro che l'agitazione che aveva in corpo gli stava rendendo ancora più arduo un compito che già di suo gli portava via giornate intere. L'unico modo per evitare che calasse la notte e fosse obbligato a tornare sul Sole prima dell'arrivo di sua sorella Arianrhod era concentrarsi. Avrebbe dovuto aspettare l'indomani, a quel punto, ma la questione da affrontare era troppo urgente per essere rimandata. Eppure, più si sforzava di restare calmo, più cercava di ricordare il sentiero giusto da prendere, più si innervosiva.
Perché Pwyll doveva vivere proprio sull'Isola che tanto si prendeva gioco della luce naturale?
Lugh aprì di scatto le palpebre, sperando di ricevere l'intuizione giusta dopo aver fatto riposare la vista da quella visione caotica.
Niente. Forse si sentiva addirittura più confuso di prima.
- Oh potente Dagda, perché hai dotato tuo figlio di tanto intelletto ma di così poco senso dell'orientamento? - , domandò rassegnato alla foresta intorno a sé.
- Cosa ti porta a scomodare il Padre di tutti, mio Sole? - , domandò una voce calda, - Ti sei forse perso... di nuovo? -
Pwyll se ne stava seduto su un basso ramo poco distante dal Dio. Lo guardava con un mezzo sorriso, mentre i capelli che gli arrivavano alla base del collo ondeggiavano mossi da una lieve brezza.
- Direi piuttosto che sono appena giunto a destinazione - , esclamò tirando un sospiro di sollievo, - Stavo proprio cercando te, Pwyll. -
- Trafelato e alla ricerca di un mio consiglio... - , meditò, - Devo forse dedurre sia accaduto il peggio? -
- Due uomini sono morti, amico mio. O, per essere più precisi, sono stati uccisi. -
Udendo quelle parole, Pwyll balzò giù dal ramo e corrucciò lo sguardo. Annullò la distanza che lo separava dal Dio e si strinse nelle braccia.
- Uccisi? Com'è possibile? -
- Era ciò che speravo di scoprire venendo da te - , sbuffò, - Ma dalla tua reazione deduco tu non ne sappia nulla. -
- E perché mai avrei dovuto saperlo, mio Sole? -
- Per via del tuo occhio sempre vigile, Pwyll. Sei un attento osservatore, sai sempre tutto quello che succede qui nello Smeraldo. Speravo... - , le labbra formarono una triste piega, - Beh, forse aveva ragione Manannan, dopotutto. -
- Qualunque cosa abbia detto il Dio dei mari, sono certo che si sbagli - , sentenziò con convinzione.
- Hai appena affermato di non sapere nulla. -
- Ed è vero, ma una cosa la so sempre. Se Manannan Mac Llyr dice una cosa, tu credi all'esatto opposto. -
- Oh Pwyll, andiamo! - , il Dio della luce diede una vigorosa pacca sulla spalla al suo amico, scoppiando a ridere.
- Non sto scherzando! - , ma iniziò a ridere anche lui, smorzando la cupa aria che aveva iniziato ad aleggiare sullo Smeraldo da quella triste mattina.
Dopo essersi concessi lo spazio di un sorriso, i due tornarono seri e Pwyll fece segno a Lugh di seguirlo.
- Mio Sole, sai che sono sempre ben lieto di aiutarti e anche questa volta non sarò da meno. Andiamo a parlare con calma dell'accaduto, raccontami tutto e cerchiamo insieme una soluzione. -
- Grazie, amico mio. Sei l'unico Túatha con cui riesca a essere me stesso. Non saprei a chi altro chiedere per avere una visione terrena della situazione. -
- E non devi chiedere a nessun altro, infatti. Sai quanto ne resterei offeso? -
- Attento a non essere superbo, Pwyll. O Arawn ti vorrà per sé - , cercò di dire in tono serio, ma riuscendo ben poco a celare l'ironia.
- Non sono superbo, mio Lugh. Sono solo sincero! - , e prima che il Dio potesse spintonarlo di nuovo, indicò in fretta e furia verso una precisa direzione, - Oh guarda, siamo arrivati. -
Il sentiero che avevano percorso si allargò improvvisamente, andando a formare un enorme spazio dentro al quale diversi cristalli giganti fungevano da dimora per gli Scudi. Erano più piccoli di quelli che costituivano il Santuario delle Druidesse, ma altrettanto splendidi. Diversi uomini di tutte le età andavano avanti e indietro, mantenendosi costantemente impegnati. Chi tramite l'allenamento fisico, chi spiegando nozioni ai più giovani, chi riparando le crepe che si erano formate sulle superfici di alcune gemme.
- Non vi riposate mai voi abitanti di Éire, eh? - , rimuginò, avendo in mente anche le donne che aveva incontrato ore addietro.
Un ragazzino che stava correndo intorno all'accampamento sentì la frase pronunciata dal Dio nell'istante in cui gli passò accanto. Quasi ruzzolò nel tentativo di frenare bruscamente la sua andatura. Sgranò gli occhi e li puntò dritti in quelli di Lugh.
- La Stella Estiva è qui! - , disse euforico.
Tutti gli altri si voltarono all'unisono. Un lampo di stupore volò rapido nei loro occhi e, sebbene lo coprirono in fretta con un'aria più pacata, Lugh lo aveva comunque notato. Era sempre così, non c'era volta in cui i Túatha si mostrassero sereni alla vista di una divinità come lo erano con i loro simili. Ecco perché poteva contare solo sul parare sincero di Pwyll, l'unico che comunicasse con lui non come un fedele ma come un amico.
- Per di qua - , lo incitò l'uomo, iniziando a marciare verso la grande ametista che era la sua casa.
Lugh lo seguì silenziosamente senza guardarsi intorno. Non aveva voglia di regalare finti sorrisi quella mattina.
Non appena varcarono la soglia del cristallo violaceo, fu come se il Dio non avesse mai messo piede nell'insediamento. Tutti tornarono alle proprie mansioni e la tranquillità riprese a permeare l'Isola. Pwyll si sedette su una piccola panca dello stesso tipo di gemma che gli dava ospitalità nei momenti in cui non lasciava Éire e Lugh fece lo stesso.
- Dunque, mio Sole, sono tutto orecchie. -
- Sono scarse le mie informazioni, purtroppo. Tutto ciò che posso dirti è che Saraid ha avvertito qualcosa di strano mentre scendevo giù verso Finias. Non l'avevo mai vista tanto nervosa - , intrecciò le dita sulle gambe, - Invece di seguire il richiamo del mio tesoro si è diretta verso Murias e quando sono arrivato due uomini stavano litigando aspramente. In pochi secondi uno dei due ha tolto la vita all'altro e prima che io o Esra riuscissimo a fermarlo ha fatto lo stesso con sé... -
- Si è ucciso? - , quasi urlò, ma regolò il volume della voce appena in tempo, prima che fuori lo sentissero, - Eppure sapeva che così facendo sarebbe finito dritto fra i dannati! -
- Esatto. Ed è proprio quello il problema - , s'incurvò verso Pwyll e parlò ancora più piano di quanto non stesse già facendo, - Era ben lieto di finire nell'Abisso. -
L'uomo dai capelli castani scattò indietro, come se avesse appena ricevuto un pugno in faccia. Confusione e disgusto gli stropicciarono il viso e ci mise qualche istante prima di riuscire a replicare.
- Non ho mai sentito nulla di simile prima d'ora... Fra tutte le voci che mi sono arrivate alle orecchie, mai nessuno ha desiderato finire tra le grinfie di Arawn. Nemmeno per scherzo. -
- La vita sullo Smeraldo è perfetta, Pwyll. Non un solo Túatha avrebbe motivo di formulare un simile pensiero. O almeno, così dovrebbe essere. È ovvio, però, che qualcosa sia sfuggito al controllo degli Dei. -
- Eppure l'ultimo Gran Concilio si è tenuto solo pochi giorni fa - , ricordò lo Scudo, - Se ci fosse stato qualche problema sarebbe venuto fuori durante la riunione... -
Scese il silenzio per un po', mentre i due riflettevano sull'accaduto. Poi, all'improvviso, un ricordo balenò nello sguardo di entrambi. I loro occhi s'incontrarono ed ebbero la conferma che stavano pensando esattamente alla stessa cosa. Anzi, alla stessa persona.
Morrigan.
- La seconda divinità della guerra è l'unico scompiglio recente che mi viene in mente - , disse Pwyll per primo, - Ma le parole che ha pronunciato giorni addietro non mi sembrano collegabili con la tragedia che mi hai riportato. Mi ha insultato, è vero, ma lo ha fatto in risposta alla mia provocazione - , alzò le spalle, - Dubito che si sia messa a istigare Túatha gli uni contro gli altri senza una ragione. -
- No, sono d'accordo con te - , Lugh si afflosciò sulla panca, - A Morrigan non importa assolutamente nulla dei popolani. Per lei non sono altro che insignificanti moscerini - , aggiunse tristemente, - A differenza di Mac Llyr, che ama bearsi della loro venerazione. -
- Un momento. Hai menzionato Manannan anche prima. Era presente pure lui al momento delle due morti? -
- Più o meno - , sussurrò il Dio, - È giunto subito dopo il misfatto. Ha cercato di tranquillizzare tutti, sminuendo l'accaduto. E poi mi ha detto di restare al mio posto e non indagare oltre - , rise amaramente, - Credo che Morrigan gli abbia riferito ciò che è avvenuto al Gran Concilio, perché mi ha rinfacciato le mie stesse parole. -
- Il tuo posto... - , lo Scudo sembrava non aver udito l'ultima frase. Si era soffermato su qualcos'altro, - Beh, ti ha dato un saggio consiglio, allora. -
- Smettila di scherzare, Pwyll. Sii serio adesso, te ne prego. -
- Sono serissimo, mio Sole. Riflettici - , un raggiante sorriso si espanse sul suo volto, - Ti è stato detto di restare al tuo posto. Ebbene, in quanto Dio della luce non è forse tuo compito dissipare l'oscurità e far chiarezza laddove si manifestano le prime avvisaglie delle tenebre? -
A quel punto, il riso dell'uomo divenne contagioso e Lugh non poté fare a meno di ritrovare la grinta che quella nefasta mattina gli aveva portato via.
- E allora che luce sia. -
Dama Berkana
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