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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Alessandra Nucida
Titolo: La notte dell'assassino
Genere Thriller Psicologico
Lettori 4190 49 65
La notte dell'assassino
15 dicembre 1998, ore 17.

Maria era seduta in quel bar da un'ora. Ma non si decideva ad alzarsi e ad andarsene.
Il bar era semivuoto. Forse per questo nessuno l'aveva ancora invitata a lasciare il suo posto.
Ogni tanto si avvicinava un cameriere per chiederle se desiderasse qualcos'altro.
Lei faceva un cenno negativo con la testa senza nemmeno sollevare lo sguardo.
Aveva gli occhi fissi su quella tazzina di caffè, che aveva ordinato un'ora fa. Ormai era diventato freddo e lei non ne aveva bevuto nemmeno un sorso.
Era troppo stanca per fare qualsiasi cosa.
Poteva solo fissare la tazzina. Era bianca, poggiata su un piattino bianco ed il caffè aveva smesso di fumare già da un pezzo. Ma lei non aveva voglia di avvicinarlo alle labbra.
Continuava a tenere il gomito di un braccio sul tavolino e la testa poggiata sulla mano chiusa quasi a pugno.
Perfino la testa le sembrava troppo pesante.
Ogni tanto il rumore della porta del bar che si apriva e poi si chiudeva con un pesante tonfo la faceva sobbalzare. Entravano dei clienti. Ma lei non aveva neppure voglia di sentire quel che dicevano.
Sembravano troppo allegri in confronto a quello che era il suo stato d'animo in quel momento e quel continuo scambio di battute col barista la infastidiva.
Continuava a pensare, ma aveva troppi pensieri che le ruotavano in testa vorticosamente. Credeva di impazzire.
Improvvisamente si accorse che le mancava l'aria, si sentiva soffocare, quasi come se qualcuno le stringesse la gola, o se avesse un peso che le schiacciava il cuore. E lei non riusciva a liberarsene.
Il cuore le batteva fortissimo, se lo sentiva quasi in gola. Non poteva respirare. Si sentiva venir meno.
Si aggrappò con tutte le sue forze al tavolino per non cadere a terra.
Ma cadde ugualmente.
I camerieri, accorsi all'udire il tonfo, provarono a rianimarla.
La sentirono pronunciare frasi sconnesse, parole senza senso e si chiesero se fosse il caso di chiamare un'ambulanza.
Ma lei d'un tratto s'alzò da terra e, barcollando, si diresse verso l'uscita.
Se ne andò così, senza dire niente a nessuno.
Prese a camminare a passi lenti, trascinando a fatica le gambe, che le sembravano pesanti come macigni.
Aveva lo sguardo fisso davanti a sé, gli occhi sbarrati, e camminava senza seguire una direzione precisa.
Percorreva il marciapiede della lunga via che si apriva di fronte a lei andando sempre avanti, come se una forza la spingesse in quella direzione.
Non voltava mai la testa né da un lato, né dall'altro. Teneva una mano aperta sulla fronte quasi a volersela reggere, come se sentisse ancora il peso dei suoi pensieri.
I passanti che la incrociavano si spostavano di lato, quasi atterriti dalla vista di quella donna, che aveva un che di folle nello sguardo, nell'aspetto e nei movimenti.
Lei continuava ad andare avanti, percorrendo il centro del marciapiede, senza guardare nessuno e sempre con la stessa andatura pesante e dondolante.
Improvvisamente, si fermò, prese fiato, si voltò a destra, si fermò sopra le strisce, guardava la strada come se volesse attraversare, ma non si decideva. Iniziò ad avanzare lentamente per raggiungere il marciapiede opposto. Sembrava non passassero macchine, quindi lei incominciò ad avanzare più velocemente.
Di colpo un'auto parcheggiata parallelamente al marciapiede partì, prendendo sempre più velocità. La urtò violentemente.
Lei cadde a terra, riversa sull'asfalto.
Non si alzò più.

15 dicembre 2018, ore 19.

L'assassino si stava preparando a colpire di nuovo.
Per diversi anni aveva smesso di uccidere, non perché la considerasse un'azione immorale, ma semplicemente perché non ne sentiva la necessità.
Poi quel desiderio era tornato più e più volte. Lo sentiva mentre lo attraversava tutto, lo faceva fremere, lo faceva sentire vivo. Doveva dare sfogo al suo istinto. Ecco perché aveva ricominciato.
Lui era il famoso killer dei barboni, eh sì, era diventato davvero famoso. Da quando aveva ripreso ad uccidere quegli sporchi esseri inutili, tutti i giornali parlavano di lui.
Tutti lo temevano, ma nessuno conosceva la sua vera identità. E così lui poteva andare avanti con la sua doppia vita, professionista rispettato di giorno, spietato assassino di notte.
Non tutte le notti ovviamente, ma almeno un paio di volte a settimana doveva farlo assolutamente! Era una necessità vitale!
Mentre si preparava pensò a lui. Lo aveva visto qualche giorno prima per caso, sarebbe stata la sua prossima vittima. Era anche lui una preda facile. Non avrebbe opposto resistenza.
Lo avrebbe riconosciuto?
In ogni caso la sua morte non avrebbe destato sospetti, sarebbe stato solo un altro barbone morto, uno come tanti altri.
Uno come tutti gli altri.
Ce l'avrebbe fatta anche questa volta. Nessuno avrebbe sospettato di lui. Era troppo intelligente ed era superiore agli altri. Si sentiva forte e potente come un dio. Lui aveva il potere di togliere la vita e riusciva a farlo benissimo.
Alcune vite non meritavano di esistere. Erano inutili. Lui faceva solo il loro bene togliendole di mezzo. Questa era la verità e il mondo doveva accettarlo.
Mentre si preparava fissò l'orologio. Era ancora troppo presto per agire. Poteva prendersela con calma.
Era sabato sera, i negozi stavano per chiudere, le persone si affrettavano a fare gli ultimi acquisti, le vie del centro erano illuminate dagli addobbi e dalle luci di Natale.
Giovani e meno giovani iniziavano ad affollare i pub e le pizzerie, le strade erano intasate per il traffico di chi tornava a casa e di chi usciva per la cena.
Di lì a poco non ci sarebbe stato più nessuno per le strade, tutti si sarebbero chiusi in casa o nei locali e la piccola città di Temi sarebbe ritornata ad essere di nuovo tranquilla. Sarebbe stato quello il momento perfetto per agire indisturbato.
Guardò fuori dalla finestra. Il buio aveva già avvolto completamente la città, la temperatura si era abbassata di diversi gradi e sembrava stesse per avverarsi quello che le previsioni del tempo avevano dato come, se non sicuro al cento per cento, almeno molto probabile: una nevicata.
Il cielo sembrava quasi bianco, l'atmosfera sembrava sospesa, quasi surreale.
Era la serata perfetta per un omicidio.

Gianni camminava già da un po', si trascinava con le sue gambe pesanti e la sua andatura dondolante, respirando a fatica, ansimando.
Guardava davanti a sé ma gli sembrava di non vedere nessuno. Aveva lo sguardo fisso, vuoto e mugugnava qualcosa di incomprensibile tra i denti.
Stringeva la sua bottiglia vuota in mano e la faceva ondeggiare dal suo lato destro.
Stava cercando di ricordare da quanto aveva iniziato a camminare, ma gli sembrava di avere la mente annebbiata, di non riuscire a connettere e di non ricordare molto.
Ogni tanto si guardava intorno, gli sembrava che ci fosse qualcuno che, come un'ombra indistinta, gli passasse accanto, ma non riusciva a distinguere nessuno. Aveva la vista un po' sfuocata.
Allora provò a sfregarsi gli occhi e a stringerli un po' per vedere meglio. Niente! Ancora ombre!
La strada davanti a sé gli appariva lunga e buia, illuminata a tratti da qualche fioco lampione, inframmezzato da qualche albero spoglio. I rami secchi e neri come scheletri nell'oscurità della notte diventavano più inquietanti.
La strada gli sembrava troppo vuota, eppure gli pareva di sentire ogni tanto il rumore di qualche auto, ma anche in questo caso gli sembravano solo delle ombre, forse frutto della sua immaginazione. Ombre sui marciapiedi, ombre sulla strada, solo ombre dappertutto.
Anche i negozi avevano le saracinesche chiuse. Tutto chiuso, sbarrato, e nessuno a cui chiedere aiuto, con cui parlare. Gli sembrava una città morta!
C'era troppo silenzio: se le forme erano ombre, il rumore era un'illusione. Il silenzio che sentiva rimbombare dentro di sé sembrava farlo impazzire, gli metteva angoscia, lo deprimeva.
Gianni ebbe allora un'idea, che si accese nella sua mente come un lampo: avrebbe potuto avvicinarsi a una vetrina, lanciarle contro la sua bottiglia vuota, fare suonare qualche allarme.
Pensò che avrebbe anche potuto far suonare gli allarmi delle auto parcheggiate ai lati della strada.
Sarebbe stato bello far suonare tutti gli allarmi contemporaneamente, tutti con suoni e rumori diversi, alcuni più piano altri più forte, a ritmo diverso... una vera e propria sinfonia! Immaginò di sentire suonare un'orchestra.
Pensò che se ci fosse stato lì qualche amico e qualche signora avrebbero anche potuto ballare, un liscio per esempio.
Gianni chiuse gli occhi, li riaprì, ora vedeva la strada animata, tante coppie che ballavano un valzer ruotando tutte intorno.
Gli sembrava di essere ad una festa! Iniziò a sorridere, il cuore gli si era scaldato!
Gli tornarono alla mente vecchi ricordi, erano passati tanti anni, sua moglie gli sorrideva e lo invitava a ballare, lo prendeva sotto braccio e lo portava in mezzo alla pista.
Non era un ricordo... era tutto reale, o almeno sembrava reale... Maria era lì, con il suo vestito rosso con i volant, con i suoi ricci castani e gli occhi azzurri. Ed era così bella! Finalmente poteva abbracciarla di nuovo!
Avrebbe ballato con lei, disse a se stesso. E così cominciò a ruotare a passi di danza.
- Piano, Maria, non sono più così agile - , disse con voce tremolante a sua moglie.
- Lasciati portare dalla musica - , le rispose lei, rassicurandolo con un sorriso.
- Si, va bene, mi lascerò portare dalla musica - .
Sorrise. Chiuse gli occhi, con Maria tra le sue braccia si sentiva al sicuro. Sembrava tutto così bello!
Ma, proprio per questo, aveva paura che durasse poco. Temeva che Maria lo abbandonasse un'altra volta.
Ripensò a tutto il tempo che era passato e non riusciva a ricordare quanto tempo fosse trascorso dall'ultima volta che aveva visto sua moglie.
- Dove sei stata Maria per tutto questo tempo - ? le chiese mentre la afferrava da un braccio e la guardava fissa negli occhi. - Non ti trovavo più, ti ho cercata per tanto tempo... Sei sparita, sei andata via senza dirmi niente, mi hai abbandonato! Senza di te mi sono sentito inutile, la mia vita non aveva più senso - .
Gianni sentiva la sua voce sempre più fioca e quasi morirgli in gola, aveva voglia di piangere, ma non voleva che sua moglie lo vedesse singhiozzare.
Ad un tratto gli venne alla mente un nuovo ricordo: - Eri immobile su quel lettino, che hai fatto - ?
Le lacrime ora gli bagnavano la faccia, il cuore gli si riempì di nuovo di dolore, mentre vedeva l'immagine di Maria farsi sempre più piccola e sparire nel vuoto.
Cercò di fermarla e di tenerla stretta a sé, ma fu tutto inutile.
Gli sembrò improvvisamente di sbattere a qualcosa o a qualcuno, fece un passo falso, cadde, gli faceva male la caviglia, urlò dal dolore, soprattutto dal dolore di aver perso di nuovo Maria.
Rimase a terra ancora un po', con la testa penzolante sul petto, gli occhi pieni di lacrime, se li asciugò con la manica della giacca.
La guardò, era logora e sporca. Maria non avrebbe approvato, ci aveva sempre tenuto che fosse in ordine e pulito e vestito bene. Doveva andare a cambiarsi subito.
- Metterò quel vestito che avevo comprato per i venticinque anni di matrimonio. Che ne pensi? Era bello vero, Maria - ?
Gli sembrò che sua moglie annuisse.
Si tirò su a fatica, il dolore era ancora lancinante, doveva fare leva sull'altra gamba, fooorza su. Era in piedi!
Ora iniziava il difficile, gli toccava camminare, doveva arrivare a casa. In quel momento faceva fatica a ricordare, qual era la direzione giusta?
Doveva essere quella verso cui stava andando prima! Ma quale?
Ci pensò un po'.
Guardò davanti e dietro di sé, si girò su sé stesso. Poi iniziò a muoversi, si trascinava a fatica.
Trascinava la sua gamba, gli sembrava di zoppicare.
La caviglia gli faceva davvero male, pensò di sedersi un po' e distendere la gamba, sperando che così smettesse di torturarlo.
Si sedette sul gradino di un negozio, si appoggiò alla saracinesca con la schiena e allungò la gamba dolorante sul marciapiede.
Aspettava, stringendo più forte la sua bottiglia, che il tempo passasse e che il dolore passasse e anche che qualcuno passasse ad aiutarlo.
Ma in quel gioco di ombre e di rumori soffusi gli sembrava di non vedere nessuno, nemmeno un cane che gli leccasse la ferita o il collo della bottiglia.

Giacomo si sistemò la cravatta e si diede un'ultima occhiata allo specchio. Tra i folti capelli neri gli sembrava di scorgere qualche filo bianco in più e qualche rughetta ai lati degli occhi.
Ma Giacomo non inseguiva l'eterna giovinezza, anzi.
Aveva trentotto anni e ci teneva ad apparire maturo e pieno di esperienza.
L'aspetto troppo giovanile, aveva osservato in questi anni di praticantato e di attività nello studio, non aiuta nel lavoro. Nessuno ti prende mai troppo sul serio e tutti ti sottovalutano sempre, preferendo dare incarichi di responsabilità a colleghi più anziani. Quindi apparire con qualche anno in più sarebbe stato di certo un vantaggio per la sua carriera. Persino i clienti si fidano di più di un avvocato più anziano che di uno appena laureato.
Mentre rifletteva su questo, si sistemò un ciuffo ribelle e si posizionò gli occhiali sul naso. Gli davano un'aria più professionale.
Nel complesso era soddisfatto del suo aspetto. Il vestito Hugo Boss che aveva acquistato gli stava proprio bene. Era valsa la pena di spendere tutti quei soldi. Avrebbe fatto un figurone.
Diede un bacio a Mauro che, seduto sulla poltrona della camera da letto, lo aveva guardato vestirsi.
- Stai bene, sembri un gran figo, sono un po' geloso... non è che pensi di tradirmi con qualche collega o cliente - ? chiese Mauro, tenendo la bocca imbronciata per attirare la sua attenzione.
Giacomo gli lanciò uno sguardo malizioso che però non servì a chiarirgli i dubbi.
Quindi Mauro si alzò, abbracciandolo da dietro. Ma Giacomo si divincolò, ridendo.
- Devi proprio andare quindi? Non puoi dire di no? Potremmo uscire insieme per una volta - ! propose Mauro pieno di speranza.
- Stasera proprio no, è un evento importante, sai, verrà quel pezzo grosso di cui ti avevo parlato e andremo a cena insieme... -
Mauro sbuffò indispettito, tante volte sembrava che Giacomo tenesse più al lavoro che a lui...
- Perché non mi porti mai? – provò ad insistere – Non è che ti vergogni di me? Perché mi consideri uno spiantato? E pensi che ti farei sfigurare tra tutta quella gente ricca e di successo con la puzza sotto al naso... -
- Non fare il broncio, ti chiamo dopo, lo sai che è grazie al mio lavoro e ai pezzi grossi che incontro che possiamo permetterci questo appartamento e i vestiti e i ristoranti di lusso - .
- Non c'è bisogno che me lo ricordi ogni giorno - rispose Mauro, cercando di non farsi vedere troppo risentito.
Gli dava molto fastidio sentirsi ripetere fin troppe volte che era grazie al lavoro di Giacomo che facevano la bella vita.
Non sopportava di essere considerato un mantenuto. In fondo lui lavorava, ma non era colpa sua se lo pagavano poco.
Collaborava da circa quattro anni con un quotidiano locale e non sembrava avessero intenzione di assumerlo.
- In Italia si legge poco, si vendono pochi giornali - erano le classiche scuse che gli rifilava il suo direttore ogni volta che lui provava a chiedere un miglioramento della sua posizione economica, o anche un praticantato che, oltre a consentirgli una retribuzione maggiore, gli avrebbe permesso di accedere all'esame di giornalista professionista cui lui aspirava da anni. Intanto aveva deciso di provare anche come free lance o con quotidiani on line.
Prima o poi ce l'avrebbe fatta e sarebbe riuscito a dimostrare a Giacomo e a tutti i loro amici che lui non era un inutile mantenuto, incapace di provvedere da solo a se stesso.
Sarebbe diventato presto un giornalista di successo e allora tutti avrebbero smesso di guardarlo con quell'aria di commiserazione con cui lo guardavano sempre.
In fondo aveva ancora ventiquattro anni, quattordici meno di Giacomo. E in quattordici anni ne potevano succedere di cose...
Già si immaginava giornalista di successo e direttore di giornale, con tanti aspiranti collaboratori che gli leccavano il culo per avere un praticantato. Ma lui lo avrebbe dato solo ai ragazzi più carini e disponibili... sarebbe rimasto un bel figo anche a trentotto anni con quei suoi lunghi capelli neri, che teneva sempre sciolti e perfettamente piastrati, e gli occhi azzurri.
Mentre sognava tutte queste cose ad occhi aperti, non si era accorto che Giacomo era già uscito di casa.
Entrò in cucina e si preparò un panino che addentò con rabbia e divorò in pochi minuti.
- Vedremo chi manterrà chi - ! disse a voce alta come se in casa ci fosse qualcun altro ad ascoltarlo. - Devo solo riuscire a trovare uno scoop. Potrei rivendermelo a varie testate giornalistiche, ma anche televisive e on line. Se cominceranno a conoscermi, mi offriranno varie proposte di lavoro e allora poi sarò io a poter scegliere dove lavorare e a che prezzo - .

Temi è una ridente cittadina situata in una valle e circondata dalle colline. Ha un clima abbastanza mite, di solito. In questo periodo, invece è piuttosto freddo.

Sara si interruppe un attimo, per guardare fuori dalla finestra. A lei l'inverno non piaceva affatto. Preferiva di gran lunga la primavera e l'estate con le giornate lunghe e calde che la invitavano ad uscire, anzi a non tornare mai a casa.
L'inverno la intristiva e poi non sopportava il freddo.
Tra un po' si sarebbe dovuta preparare per uscire. Per fortuna lei e le sue amiche si sarebbero incontrate al bar, al solito baretto al lato della piazza in cui andavano spesso ultimamente. Avrebbero bevuto qualcosa e spettegolato un po'. C'erano delle novità interessanti, le avevano già anticipato, e lei non vedeva l'ora di sapere di cosa si trattasse.
Intanto però doveva sbrigarsi. Stava scrivendo una mail alla sua nuova amica di Bristol. Si erano conosciute da pochi mesi grazie ad una community cui partecipavano persone da tutto il mondo che volevano imparare a comunicare in una nuova lingua. Ognuno poteva scegliere una o più persone con cui fare amicizia, anche in base alle lingue che voleva studiare, e loro due erano diventate subito amiche.
Sara e Rosemary si erano rese conto fin da subito che avevano molto in comune e così avevano iniziato a scambiarsi mail, messaggi tramite WhatsApp e spesso anche videochiamate. Sara voleva migliorare a tutti i costi il suo inglese perché sperava di andare a lavorare in Inghilterra dopo la laurea.
Intanto, entrambe avevano deciso di incontrarsi e di trascorrere del tempo insieme: lei sarebbe andata a Bristol ad agosto dopo gli esami della sessione estiva, Rosemary invece l'avrebbe raggiunta a breve. Le aveva appena comunicato infatti che avrebbe trascorso da lei alcuni giorni e sarebbe arrivata in Italia il 27 dicembre.
Ecco perché Sara aveva colto l'occasione per descriverle la sua città nella mail che le stava scrivendo, per presentargliela prima che arrivasse. Così già sapeva cosa aspettarsi e non sarebbe rimasta delusa nel vedere quanto fosse piccola, rispetto alla sua.
Aveva controllato: Bristol aveva più di cinquecentomila abitanti, Temi solo cinquantamila, una bella differenza!
A Temi non ci si poteva perdere di certo, era tutto lì, il piccolo centro con i suoi bar, le pizzerie, i ristoranti, il corso Garibaldi con i negozi, la piazza Mazzini, le stradine laterali, la periferia che diventava sempre più grande e che fungeva un po' da zona dormitorio con i suoi palazzi e niente altro...
Insomma era tutto lì, a portata di mano, e se uscivi incontravi sempre le stesse persone, il che da una parte era rassicurante, ma dall'altra forse un po' noioso... nel senso che era difficile fare nuove amicizie e conoscere gente nuova, anche perché ognuno aveva il suo gruppo di amici già consolidato.
Lei invece avrebbe desiderato tanto conoscere ragazzi nuovi, soprattutto più grandi... quelli della sua età le sembravano così immaturi e infantili! E le sue relazioni non duravano più di un mese!
Si fermò un attimo a pensare...
Doveva scriverle che la sua città era noiosa? E che non succedeva mai niente? No, meglio di no. Questo non glielo avrebbe scritto. Magari avrebbe parlato dei grandi parchi che c'erano sia in centro che in periferia, dei monumenti, delle chiese, dei musei. Ah, c'erano anche un grande cinema e un bel teatro.
Non voleva che la sua amica si facesse un giudizio negativo sulla sua città e che all'ultimo momento decidesse di non venire.
Sara era molto contenta di conoscerla di persona finalmente. L'avrebbe presentata a tutti i suoi amici e l'avrebbe portata in giro con sé.
Entrambe si erano appena lasciate con il loro ragazzo e avevano bisogno di svagarsi un po' e di lasciarsi tutto alle spalle.
Riprese a scrivere la mail, doveva finirla assolutamente prima di uscire. Gliela aveva promessa e lei di sicuro la stava aspettando. Non voleva deluderla.
Il dilemma era: lasciarla in italiano o riscriverla in inglese?
Mah, per questa volta l'avrebbe lasciata in italiano, in fondo Rosemary doveva imparare l'italiano, giusto?
Al massimo, se poi non avesse capito qualche parola, gliela avrebbe tradotta in inglese. Domani però... ora doveva proprio farsi la doccia e prepararsi per uscire. Non voleva arrivare in ritardo come al solito.
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