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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
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Writer Officina
Autore: Nicoletta Latteri
Titolo: Il segreto di Penumbra
Genere Romanzo
Lettori 3484 30 56
Il segreto di Penumbra
Il racconto del giullare.

Da questa collina verdeggiante guardo le foglie tremolare come tamburelli al flebile respiro della brezza e mi torna in mente il soave suono dei flauti, dei liuti, della mia amata arpa, spensierato sottofondo delle corti principesche.
Vorrei potere chiudere gli occhi e abbandonarmi ai miei bei ricordi di giullare, purtroppo ogni volta che lo faccio, irrompe il fragore scellerato dei campi di battaglia, lo sguardo spietato dei condottieri con i pugni insanguinati stretti sulle spade ed è inutile negarlo, io ero tra loro, con le mani sporche del mio stesso sangue, incapace di placare l'odio.
A quest'ora i fianchi della collina si tingono d'oro e i tanti fiori che li ricoprono assumono tinte calde, chinano il capo come a volersi baciare. Sento il loro profumo abbracciarmi, ma non è che un'illusione... nel mio cuore nevica.
Così, come in risposta ad un muto richiamo, ogni sera torno a sedermi sotto questa gigantesca quercia, rivolto a nord con l'animo proteso verso i confini del nostro mondo, verso il funesto Niflar, il Paese delle Nebbie che divide il Mondo degli Uomini dal Mondo dei Morti.
Guardo in lontananza, aspettando di vedere la bruma scivolare fina tra i boschi e venirmi incontro, cercando me, figlio del Paese delle Nebbie. Ballavo, ma il mio cuore era dominato dalla nebbia non c'era piacere umano che potesse dissolverla, allontanarla da me. Già, perché all'epoca non volevo ammettere nemmeno la mia natura elfica e non umana.
Alcune evanescenti saghe ci identificano con gli Elfi Neri, ma nelle notti d'inverno, quando la bruma arriva a sfiorare le cime scure degli abeti, il vento canta il nostro antico nome: eravamo i Nibelunghi, adesso siamo pochi errabondi senza terra con un passato che altro non è che una confusa leggenda, persa nella stessa leggenda.
Ed io, solitario principe di una stirpe maledetta che fu artefice della propria tragedia, detentrice di allettanti tesori che tante rovine generarono, cosa spero di potere intravedere nascosto dietro la nebbia, un amore disperato? I miei crimini? La ribellione estrema?
O è piuttosto il ricordo di quella tragica mattina in cui gli uomini e i loro alleati giunsero così vicini alla fine da potere intravedere la furia dell'Inferno attraverso quelle maledette porte che si stavano aprendo?
Ricordo, che giacevo nel fango imbevuto di sangue e l'alba non giungeva. Sopra di me nere ali di corvo, tante da nascondere il cielo. Dalla mia bocca non potevano più uscire parole, affogavo nel mio stesso sangue. E mentre il giullare moriva, il mio cuore batteva forte, non gridava più di dolore, la libertà l'aveva portato via con sé.
Forse vi sto raccontando questa storia, perché penso che sia giunto il momento di tornare indietro nella parte più buia del mio passato e confrontarmi con ciò che maggiormente temo: me stesso. Riaprirò cicatrici che il tempo non ha potuto sigillare e il cuore non ha saputo fuggire.
Sembrerebbe non avere senso, ciò nonostante solo così, forse, riuscirò a ritrovare la mia anima di giullare persa nelle nebbie dell'odio, essa stessa flebile ombra, nebbia tra le nebbie.
Avrei voluto essere un poeta per potere inchiodare le parole alle note, fermarle nel tempo e trasformare questa storia un canto infinito ripetuto da ogni nuova generazione; ma non sono che un assassino, incapace di comporre versi, so solo cantare quelli degli altri, pertanto dovrò limitarmi a narrare i fatti come si farebbe con un amico. Ancora una volta le parole saranno mio strumento e arma, messaggere della mia essenza più intima che è sempre stata un'anima di giullare.
Questa, però, non è solo la mia storia, io sono solo uno dei tanti che gli avvenimenti travolgono senza lasciare quasi traccia; personaggi secondari che nei canti dei bardi vengono ricordati in una sola drammatica strofa lunga un arpeggio, quanto basta per lasciare i bambini a bocca aperta e inumidire gli occhi delle dame.

Il messaggio

Fu proprio il vecchio Gilduin, che mi precedette nel ruolo di custode di questo santuario, il primo a capire che stava per accadere qualcosa di grave.
Il santuario non fu eretto da mano umana, bensì da un prodigio della natura che fece nascere le imponenti querce ai bordi della collina in corrispondenza dei punti cardinali, creando un luogo di rara magia, che col tempo fu chiamato Santuario delle Quattro Querce.
L'Antico Popolo, che abitava queste terre prima di noi, veniva qua per adorare questi giganteschi alberi come divinità, veri baluardi viventi contro l'azione malvagia dei demoni, li chiamavano i Germogli di Yggdrasill. L'albero della vita che regge i nove mondi, asse del nostro universo. Non escludo però che questo luogo possa essere ben più antico, alcuni dicono risalga al tempo dei costruttori dei cerchi di pietre, un popolo di cui abbiamo perfino dimenticato il nome. Altri ancora, lo riconducono agli stessi Vani, gli Dei.
Le Querce Sacre ormai sono le uniche custodi della verità.
Qui è come se tutti gli esseri viventi, comprese le piante, avessero un'anima che reagisce agli avvenimenti del Mondo degli Uomini, cambiando colore, specie vegetale e intensità, secondo ciò che turba o allieta la nostra grande Madre Terra. Perciò quello che altrove sono le stagioni, qui sono le vicende del mondo.
La carica di custode è di grande prestigio ed è molto ambita dai venerandi saggi, perché ricoprirla significa essere a diretto contatto con la Madre Terra ed i suoi più intimi segreti. È un compito nel quale durante i secoli si sono avvicendati alcuni tra i più illustri vati, è molto arduo da ottenere poiché è elettivo, ma non sono gli uomini a scegliere, bensì il santuario stesso ricoprendosi di gigli bianchi quando il prescelto lo calpesta. Per gli ambiziosi è quindi perfettamente inutile affannarsi per ottenerlo, è irraggiungibile alla vanità umana.
Il vecchio Gilduin non era mai stato ambizioso, era un puro di cuore e amava sinceramente il suo incarico e il santuario.

Seduto davanti alla casa del custode seminascosta tra le gigantesche radici della quercia Sud, il saggio Gilduin stava fumando placidamente la lunga pipa e si godeva la mattina guardando da lontano i contadini recarsi alla fiera lungo il sentiero in fondo alla valle.
Era un po' pensieroso. Negli ultimi giorni sul prato erano più volte spuntate delle misteriose rose bianche, appena aveva cercato di toccarle, si erano dolcemente chiuse ed erano svanite nel nulla. Era un evento anomalo e lo aveva incuriosito.
Stava ancora rimuginando sul fenomeno, quando inaspettatamente vide l'intera collina coprirsi di rose, però questa volta erano rosse come il sangue. Sorpreso, emise un lungo sbuffo di fumo, era molto raro che un unico genere di fiori coprisse l'intera collina per giunta di quel colore.
Prese a soffiare un vento caldo, fastidioso, che seccava la gola. Gilduin mise via la pipa e si alzò, non gli piaceva per niente: il vento si era levato improvviso, insieme alle rose.
Impensierito, si diresse alla quercia Ovest che nel tronco cavo celava una piccola sorgente d'acqua incantata, forse lì avrebbe trovato qualcosa che lo potesse aiutare a capire.
Il tragitto era breve, ma ebbe difficoltà a percorrerlo, i ramoscelli spinosi s'impigliavano nelle vesti facendolo incespicare. Strappando via i vestiti dai rovi, Gilduin sempre più preoccupato arrivò alla quercia.
Entrato nel tronco cavo, finalmente al riparo dal vento, scoprì con sgomento che la sorgente era rossa di sangue, restò impietrito davanti a quello scenario rivoltante. Si chinò e annusò il liquido pastoso, era realmente sangue, gli venne la pelle d'oca.
Che cosa poteva avere mutato l'acqua sorgiva in sangue? Percosse con forza il suolo col lungo bastone pronunciando un contro incantesimo, ma non cambiò niente, se avesse usato un comune manico di scopa, avrebbe sortito lo stesso effetto. Aveva l'impressione che la sua magia fosse del tutto impotente di fronte a quello scempio.
Con che cosa aveva a che fare? Una domanda che lo inquietava più dello stesso sangue.
Brandendo il bastone, si chinò sulla sorgente nelle cui acque così spesso aveva spiato gli avvenimenti del mondo. Non riuscì nemmeno a vedere la propria immagine riflessa, difficile specchiarsi nel sangue, se si ha il cuore puro, però percepì una voce. Un urlo distorto dalla lontananza, ripetuto più volte.
- Uhtfloga, Uhtfloga - .
Era la lontana eco della voce di un demone che ruggiva nelle buie profondità della terra. Proseguiva biascicando un oscuro indovinello.
- Volavit volucer sine plumis, sedit in arbore sine foliis... conscendit illam sine pedibus, assavit illum sine igne... - .
In che modo le forze demoniache potevano essere riuscite a contaminare il santuario al punto da infiltrarsi nella sorgente incantata e farla rimbombare delle loro voci?
Attese trattenendo il respiro. La voce riprese più indistinta, lontana.
- Nox iam appetit... redit... - più chiaramente riuscì a distinguere - ... occidere... Cignum - e tremò quando sentì dire.
- Nocte intermissa est... - .
La notte stava tornando. Temette il peggio, che inesorabile giunse pochi secondi dopo.
- ... septae vergae fractae sunt... - .
Gli si gelò il sangue nelle vene. Le sette verghe spezzate, non poteva essere.
Fece un passo indietro, il bastone stava per cadergli di mano. I sette sigilli erano stati infranti liberando la notte, c'era solo da sperare che non fosse vero. Il ritorno di quel Male antico non era possibile, era stato sconfitto talmente tanti secoli addietro da essere stato dimenticato, solo pochi tra i vati più sapienti ne erano ancora a conoscenza e diversi tra loro erano persino convinti che si trattasse di un mito.
Legenda o realtà, se le sette verghe d'oro fossero state davvero spezzate, il Male avrebbe ripreso al fluire nel Mondo degli Uomini spinto dall'antico serpente di nuovo libero.
L'angoscia si fece largo nel suo cuore. Non era possibile spezzare le sette verghe, per riuscirci avrebbero dovuto disporre di una forza straordinaria. Ma chi erano?
Si chinò sulla pozza gridando.
- Chi siete! - .
Il suo fiato smosse l'acqua contaminata dal sangue ma niente più. Non c'era nessuno ad ascoltare la sua voce. Si alzò, doveva andare a consultare i libri alla ricerca di un qualche indizio.
Il vento era ancora caldo, gli soffiò in faccia i petali delle rose ormai appassiti. D'istinto Gilduin pensò che la voce dei demoni le avesse seccate, distruggendone la bellezza per ridurle a semplici rovi. I demoni odiano qualsiasi cosa bella vi sia al mondo.
Con lo stomaco stretto dalla preoccupazione, scese il sentiero che, girando intorno alla quercia a Sud, portava alla casetta del guardiano annidata sotto le radici.
Una piccola, ma accogliente dimora, scavata per metà nella morbida terra della collina, solo un breve tratto di tetto coperto di erba sporgeva all'esterno.
Trovò la porta spalancata dal vento che buttava per aria fogli di carta, erbe mediche e ogni altra cosa potesse sollevare. Gilduin sbatté nervoso la porta e si fermò all'ingresso aspettando che tutto ciò che volava si posasse.
La casa era nella penombra, le piccole finestre e i vetri della porta non erano sufficienti per illuminare il vano. L'unico fascio di luce più intenso proveniva dal lucernario al centro del soffitto che illuminava il tavolo ricolmo di libri, come un altare.
La libreria non era molto grande, non c'era molto spazio tra le radici della quercia, conteneva tuttavia piccoli tesori, testi unici di preziosa fattura. Purtroppo, come Gilduin aveva immaginato, il Male che cercava era più antico dei suoi libri, troppo lontano nel tempo, diecimila anni o forse più.
Un male antico di cui aveva sentito parlare mentre fuori imperversa la tempesta, alla stregua delle storie di fantasmi. Sapeva cosa cercare.
A quei tempi la Notte, passata al Male, era quasi riuscita a soggiogare il Mondo degli Uomini e solo dopo una lunga e sanguinosa guerra i Vati del Grande Raduno, guidati dal mitico Syntram il Giusto, erano riusciti ad avere la meglio. Dopo la vittoria avevano costretto l'ultimo Signore della Notte a rifugiarsi nella fortezza di Nachtfels, il luogo più oscuro della Notte, dove lo rinchiusero in attesa che la morte facesse il suo dovere. Vale a dire, ciò che loro non avevano avuto la forza di fare.
Il Signore della Notte doveva essere morto da tempo, come era possibile che potesse tornare a minacciare il Midgard?
Andò alla libreria e prese un contenitore cilindrico di pelle rossa decorato in oro, conteneva la carta geografica del Midgard regalatagli da Re Aaron il Saggio, disegnata dal vate Coelfrid di Basum basandosi su diverse mappe opera di elfi e nani. Un pezzo unico per quanto riguardava la precisione e la ricchezza di particolari.
Srotolò la pergamena sul tavolo e la studiò con attenzione, con l'indice seguì lentamente il precorso delle coste settentrionali. Il mare finiva con una linea giallastra sbiadita oltre la quale nessuno osava andare, nemmeno i pescatori nonostante la pescosità di quelle acque. Lì vivevano creature antiche e affamate, lo stesso mare era divoratore, protetto da un potente incantesimo, frutto della loro magia.
I membri del suo ordine all'epoca avevano usato ben sette verghe d'oro provenienti dal sacro scettro di Wotan stesso e poteri magici oggi inimmaginabili per rendere inaccessibile quel tratto di mare al confine tra due mondi, nasconderlo nella notte eterna e sigillarlo per sempre.
Una scritta, posta oltre la linea gialla, recitava Obnos Ler, il Mare della Paura.
Quella carta era così preziosa, perché conteneva informazioni segrete per chi sapeva dove e come guardare. La seconda “O” di Obnos era sbagliata, un nominativo al posto di un genitivo. Gilduin prese la lente d'ingrandimento e la studiò con attenzione, al suo interno c'era qualcosa di simile a una macchia.
- Eccola, Nachtfels, la tana di quei maledetti - .
Aveva trovato la posizione. Un luogo difficile da raggiungere. Lasciate le bianche spiagge di Hällen, c'era solo il mare ostile e un cielo nuvolo, senza stelle da seguire per raggiungere la meta. Un viaggio molto pericoloso.
Scrutò pensieroso la carta e le terre lontane che vi erano disegnate. Chi erano i demoni che parlavano con tale disinvoltura di un male così antico?
Non gli era possibile identificare i demoni di cui aveva sentito solo la voce, però sapeva che raramente questi riescono a resistere alla tentazione di rivelare il proprio nome, troppo orgogliosi del Male fatto. Se li aveva sentiti lui, probabilmente anche loro potevano sentirlo.
Chiuse i libri, doveva tornare alla fonte incantata e costringere i demoni a parlare.
Uscito, rimase di sasso: gli alberi avevano perso tutte le foglie, non c'era più un filo d'erba su tutta la collina. Era come se la morte contenuta in quella voce malefica avesse impregnato le radici delle Querce Sacre.
Qualcosa stava nascostamente avvelenando il nostro mondo e le Querce Sacre l'avevano assorbito.
Il vento adesso sollevava solo steli secchi e lambiva i sassi. A memoria d'uomo non si era verificato niente di simile. La natura sembrava moribonda.
Quello era un infausto presagio di morte, se non proprio la morte stessa. Per la prima volta in vita sua, Gilduin si fece prendere dal panico, si agirò angosciato tra i rovi secchi, pregando, urlando formule magiche e percuotendo il suolo col bastone. Usò tutti gli artifici a lui noti per salvare questo luogo sacro, ma non servì a nulla.
Con gli occhi pieni di lacrime si guardò intorno, non c'era niente che potesse far rifiorire la collina sacra, qualcosa stava avvelenando la natura, contro un male così profondo, la magia non poteva nulla. I suoi tentativi infruttuosi avevano richiamato una tempesta, adesso cupe nubi vorticavano sopra di lui, segno del suo grande potere e al tempo stesso triste presagio di quanto si stava preparando.
La collina era stata trasformata in un'altura scarna, sembrava che la vita non l'avesse mai lambita.
Alcune ore dopo, quando Gilduin era ormai prossimo alla rassegnazione, il fenomeno della voce si ripeté.
La seconda volta, però non fu un urlo, ma un impercettibile sussurro che canterellava l'antico indovinello.
- Volavit volucer sine plumis, sedit in arbore sine foliis.... Conscendit illam sine pedibus, assavit illum sine igne... - e poi ripeté tutto di nuovo.
Gilduin si precipitò verso la fonte urlando.
- Chi sei? - .
L'indovinello si ripeté e un timido balbettio aggiunse.
- Penumbra - .
Al vecchio vate sembrò quasi di cogliere una lontana risatina, poi tutto si dissolse nel silenzio, non ebbe il tempo di fare altre domande.
Il vento soffiò via la tempesta. La collina si ricoprì di nuovo d'erba e fiori, gli alberi germogliarono drizzando le maestose chiome al cielo, gli uccelli ripresero a cinguettare e svolazzare giocosi come se non fosse successo niente.
La natura risplendeva superba e spavalda, mostrando all'uomo ciò che non è in grado di capire.
Il vecchio Gilduin stremato e confuso per un attimo credette di avere sognato, ma non era così, si era trattato di un avvenimento reale che si era protratto per diverse ore.
All'epoca egli stesso non seppe interpretare correttamente i fatti. Secondo me, il più saggio dei vati morì senza averli compresi del tutto e, per quanto mi riguarda, forse fu meglio così.
Penso che il suo cuore fosse troppo turbato dal sangue che sgorgava dalla terra e dalla spaventosa voce del demone, per capire che la chiave del mistero era in quel timido balbettio che seguì: era la giovane voce di Penumbra, il drago.
Per fortuna, almeno, capì che doveva intervenire tempestivamente e così convocò d'urgenza il Grande Raduno dei Vati nell'antica foresta sacra di Drivium. Mandò i piccioni ai quattro angoli della terra per avvertire i membri del Grande Raduno sparsi nelle contee e nei regni più lontani. Egli stesso partì subito alla ricerca del prode principe Randolf di Sonnholm che, come altre volte, l'avrebbe aiutato nell'impresa.
Erano diretti in un luogo spaventoso, lontano, fuori dai confini del Midgard, oscuro quanto mitologico, dove si diceva andasse a riposare la dea della luna.
Come aveva scritto nel messaggio inviato agli altri vati.
- Dopo diecimila anni la Notte si sta svegliando - .
Lungo la strada fu raggiunto da una notizia singolare: alcuni abitanti delle lontane isole di Kajahil raccontavano d'avere visto numerosi draghi volare intorno alle Montagne dei Corni dei Demoni, quasi a formare degli stormi. Gilduin non aveva tempo da perdere, perciò liquidò frettolosamente l'accaduto come poco rilevante, attribuendo l'assembramento di draghi alla probabile morte del vecchio Tages che da tempo immemorabile si annidava tra quelle rocce.
Questo fu, probabilmente, il primo errore che commise, poiché le cose non stavano esattamente come aveva pensato; d'altronde chi avrebbe potuto immaginare una realtà che non apparteneva agli uomini... bensì ai draghi.

***

I Corni dei Demoni, posti oltre il mare all'estremo nord del Midgard, vengono chiamati così perché sono dei massicci rocciosi di materiale friabile, molto alti e scoscesi, che sembrano due corni puntati verso il cielo bianco, irraggiungibili agli uomini e da sempre gradito rifugio dei draghi.
Da diversi giorni i draghi ripetevano quella strana danza, volteggiando intorno alla seconda cima, giungevano da ogni dove, pur essendo creature di notevoli dimensioni, visti da lontano e in rapporto all'altezza delle vette, potevano davvero sembrare stormi d'uccelli.
Tra gli ultimi arrivò un possente drago dalla pelle scura e le scaglie lucenti, le ali ricoperte di pelle forte ma leggera come il suo volo. Pochi battiti furono sufficienti affinché la possente apertura alare lo facesse librare tra le correnti.
Sorvolò la cima più in alto degli altri, poi discese con una dolce planata verso l'apertura della caverna posta in prossimità della cima. Con gli artigli posteriori si aggrappò ai bordi del precipizio e cautamente sbirciò all'interno.
L'antro era saturo di fumo in lieve e costante movimento per via del fiato dei draghi. Le pareti erano lucide e il suolo, ricoperto d'oro, scintillava a ogni respiro infuocato.
“Amico che ascolti, Adranos, ti ho chiamato, vieni stiamo aspettando te” disse una voce affaticata.
Timoroso, Adranos entrò, fece un elegante movimento col lungo collo in segno di riverenza e posò la testa al suolo.
Dinanzi a lui, adagiato su un gigantesco cumulo d'oro, giaceva Tages, il più anziano dei draghi, ormai incapace di muoversi. Il corpo, deformato dalla vita e dalle malattie, era di colore grigio chiaro con chiazze verdognole, le scaglie d'osso che l'avevano coperto sembravano impietrite, gli artigli spezzati dalla vecchiaia, non aveva nemmeno la forza di aprire gli occhi.
Adranos col corpo prostrato alzò e riabbassò più volte il capo, come in una danza di corteggiamento tra cigni; accanto aveva altri quattro draghi che fecero altrettanto per poi ritirarsi in riverente silenzio nell'attesa che Tages parlasse.
“Grande è l'inquietudine. I nostri hanno percepito l'accaduto, sono turbati a causa di ciò che gli stolti uomini stanno per fare, ancora una volta... troppo stupidi per capire“.
Tutti ascoltavano la sua voce senza parole che parlava al cuore. Tages sbirciò Adranos attraverso gli occhi semichiusi.
“Infine anche tu l'indomabile, sei venuto”.
Adranos ritrasse il capo in segno di rispetto, ma ebbe l'ardire di dire quel che era causa di tanta agitazione.
“Gli uomini stanno distruggendo il mondo. Creano orrori su orrori. La nostra grande Madre Terra è in lutto. La ferita è mortale”.
Il vecchio drago socchiuse gli occhi.
“Fiutammo il pericolo levarsi in notti lontane e lo sconfiggemmo. Sapevamo del suo ritorno, da molto aspettavamo, memori del Male arrecato. Decidemmo di annientarlo per sempre e attendemmo, le menti unite, protese verso la nascita di una nuova scintilla: il Figlio di Dieci. Ho udito da lontano i suoi primi palpiti e il mio stanco cuore ha esultato, al suo vagito la mia vecchia anima ha ripreso a volare. Noi anziani abbiamo scelto il suo nome: sarà Penumbra, perché tra luce e tenebre volerà, immune a entrambe per riportarci ciò che è stato rubato dagli stolti uomini. Nostra Madre ci offre una possibilità. La nascita di Penumbra è giunta adesso come voluto dalla nostra antica vendetta”.
Alitò una pallida nube di fumo verso Adranos, che chiese.
“Perché chiamare la stirpe segreta? Il loro potere è incontrollabile come il vento”.
Lo sguardo del vecchio Tages divenne più intenso.
“Tu dici il vero, è il vento incandescente che precede l'arrivo dell'incendio divoratore e giunge ovunque persino tra le invalicabili mura di Duboglastos dun, dove palpita il cuore che deve tacere. Tu sarai il suo tutore, maestro e ombra, in questo loro...” indicò con gli occhi gli altri presenti
“Ti aiuteranno. In caso di pericolo verremo in vostro soccorso”.
Sputò fuoco retrocedendo la testa, lasciando per un attimo trapelare la potenza che doveva avere avuto in gioventù. Riprese fiato e proseguì.
“La fine degli uomini ha avuto inizio; se Penumbra dovesse fallire e gli uomini conservare un altro strumento di distruzione... faremo ribollire le viscere della terra. Le ceneri dei vulcani offuscheranno il sole. Pioverà fuoco e le loro città arderanno. La terra gelata si spezzerà, si aprirà come fauce famelica. Faremo salire le acque degli oceani, annegheremo le pianure. Infine come uragano e tempesta scenderemo dalle nostre montagne e seguendo il nauseante odore della loro carne putrida annienteremo i superstiti, col veleno e le malattie li decimeremo e infine col fuoco purificatore li finiremo. Dalle loro ceneri rinascerà una nuova Madre incontaminata, senza più figli maledetti” abbassò di nuovo la testa e stanco riprese.
“A noi, non è lecito commettere lo stesso errore degli uomini: non possiamo interferire con la Natura. Per questo è necessario mandare avanti Penumbra, affinché liberi gli uomini dalla loro stessa follia”.
Guardò i cinque prescelti che aveva dinanzi: Adranos l'indomabile per il quale batteva il suo vecchio cuore; Moros, il possente, dal corpo verde scuro che da solo poteva sostituire un esercito di draghi; Nyx silenziosa e nera come un serpente, nell'impresa avrebbe portato le inseparabili e letali figlie, Lachesis, Atropos e Klotho; Eneo, nervosa e famelica, che a stento riusciva a tenere fermo il guizzante corpo bronzeo dai mille riflessi metallici delle armi in battaglia ed infine Erebos anch'egli scuro, ma incorporeo, come l'oltretomba da cui proveniva, era difficile capire dove avesse inizio o fine.
Tages chiuse gli occhi e con un sottile alito di fuoco li congedò.

***


La Vecchia Osteria

Nel frattempo in un misterioso mondo molto lontano e diverso dal nostro, in un luogo chiamato Normandia era una bellissima giornata di primavera inondata di sole e traboccante di fiori.
Una scattante Mercedes decappottabile grigio argento risaliva spedita la stradina che si snodava serpeggiando lungo il fianco della collina tra graziosi villini bifamiliari.
La vettura si fermò in fondo alla strada senza uscita davanti ad un pittoresco edificio che sembrava sopportare con stoica rassegnazione il peso dei secoli. Abeti altrettanto vecchi gli facevano ombra, proteggendolo dal vento freddo proveniente dal vicino mare che si apriva immenso oltre il dorso della collina.
Era una romantica dimora d'altri tempi, si distingueva dalle circostanti villette di nuova costruzione per le forme irregolari marcate dai massicci blocchi di pietra e per il pesante tetto di paglia. Gli infissi erano stati verniciati di blu accesso, quasi a volere imporre un tono di modernità al vecchio edificio mantenendo l'estetica al passo con i tempi.
Accanto al cancelletto d'entrata, seminascosta da grossi cespugli di rododendro in fiore, era stata fissata la vecchia insegna di una locanda sulla quale si riconosceva a malapena un veliero sbiadito con accanto un invitante boccale di birra; in passato aveva invitato i passanti ad entrare, adesso era stata declassata a qualcosa di simile ad un nano da giardino.
Dalla macchina scese un'elegante ragazza con indosso un attillato tailleur azzurro che evidenziava più del dovuto il fisico prorompente. I riccioli biondi risplendettero un attimo al freddo sole primaverile prima di scomparire all'interno dell'abitazione.
- Buongiorno Sophie! Desirée è di sopra - salutò il suo arrivo una voce posata che sembrava provenire dal lato opposto della casa.
La ragazza si fermò sorpresa al centro dell'ampio vano che in passato era stato una locanda e oltre al vecchio bancone, ne conservava ancora il fascino. Assaporò per un attimo l'aroma di cera d'api misto a tabacco, tentando di capire dove fosse la padrona di casa e come avesse fatto a vederla, poi, senza dare ulteriore peso alla questione, si limitò a rispondere al saluto e salì in fretta i ripidi gradini che portavano al piano superiore, dove rimbombavano le note di Knocking on the heaven's door nella versione dei Guns'N Roses.
Giunta a metà corridoio, aprì una massiccia porta cigolante e d'un tratto l'intero scenario intriso di rassicurante romanticismo scomparve, nascosto da un imponente schieramento di computer disposti su una larga scrivania che prendeva tutta la parete di fronte, illuminata da grandi finestre che si affacciavano sulla valle sottostante. Da quella posizione, non si vedevano i tetti delle villette nuove, lo sguardo poteva spaziare libero sui boschi antistanti, mostrando un panorama che non doveva essere cambiato molto negli ultimi secoli.
Davanti ad un grande schermo, sedeva una ragazza dalla folta chioma scura disordinatamente raccolta sulla nuca. Aveva una bellezza acqua e sapone, non era prorompente come l'amica. I lineamenti erano delicati e regolari, si sarebbe detto un volto comune, se non fosse stato per gli straordinari occhi grigio-blu dalla luce intensa, sui quali le ciglia lunghe gettavano un'intrigante ombra. Alta, vestiva con semplicità, vecchi jeans e un maglioncino slabbrato viola.
Le due ragazze erano amiche da tempo, si erano conosciute a scuola di danza, dove erano state mandate, Desirée per ingentilire i modi da maschiaccio e Sophie per semplice convenzione sociale. Una aveva scelto danza classica, l'altra moderna.
Sophie, però, ben presto si era resa conto che il detto “Il tempo è denaro” non era solo un modo di dire, ma la pura realtà e la danza le era sembrata, oltre che una perdita di tempo, anche di denaro.
Così, ancora prima di raggiungere la maggiore età, aveva concentrato i suoi interessi sull'azienda di famiglia: una banca. Promettendosi di diventare uno dei più giovani banchieri che la sua famiglia avesse sfornato negli ultimi tre secoli di attività. Lasciando la danza era subito aumentata di qualche chilo, ma era cresciuto in modo esponenziale anche il conto in banca.
In modo simile aveva smesso anche Desirée, probabilmente influenzata dall'amica. Il distacco era stato più graduale, era cominciato con l'esclusione dal saggio di fine anno perché troppo alta, per consolarla il nonno l'aveva portata con sé per mare, risvegliando tutt'altri interessi.
Un giorno infine, si era accorta che c'erano cose più affascinanti come la fisica e l'ingegneria navale e così accadde che l'armonia dell'universo prendesse il posto degli accordi musicali e gli scritti di fisica finirono col sostituire Tchaikovsky e le eteree nuvole di tulle che l'avevano accompagnata fino ad allora.
Del comune sogno della danza non era rimasta che una foto in bianco e nero in cui Desirée non sembrava nemmeno lei e non a caso era stata appesa dalla madre.
A Sophie quella foto piaceva molto, perché le ricordava una frase detta dall'amica in uno dei tanti momenti di malumore: “Come ragazza ti affacci al mondo in punta di piedi con abiti candidi, poi, però ti accorgi che devi comprarti gli scarponi chiodati e prendere il mondo a calci in culo, se vuoi sopravvivere”.
Condivideva a pieno quell'impostazione, anche se agli scarponi preferiva uno stuolo di avvocati strapagati: fanno più danno.
Probabilmente, entrambe non erano riuscite a perdonare al mondo di averle fatte smettere di danzare.
Là accanto faceva bella mostra di sé un poster di Johnny Depp nei Pirati dei Caraibi, aveva sempre avuto buoni gusti in fatto di uomini.
- Ciao Desirée. Guarda: ho il calendario completo degli avvenimenti culturali dell'estate! - proruppe Sophie, l'altra si alzò con un radioso sorriso e l'abbracciò.
- Ciao Sophie, ti spiace se finisco un attimo? - .
- No, figurati! Io intanto inserisco i miei impegni sociali, così sapete fin dall'inizio qual è la mia disponibilità - .
- Si vede che stiamo invecchiando, diventa sempre più difficile fare coincidere il nostro tempo libero, siamo donne impegnate ormai -
- Quale vecchiaia? Io sono sempre stata socialmente molto impegnata fin da bambina - .
L'altra le lanciò un'occhiata di sincera commiserazione, ripensando alle scorribande giovanili e alla totale libertà di cui aveva goduto. Era stata un maschiaccio e in qualche modo si vedeva ancora, per questo precisò con un certo orgoglio.
- Io invece sono sempre riuscita a scansare gli impegni. L'unica cosa che non sono riuscita ad evitare è stata la scuola. Impari presto che non si può avere tutto nella vita - .
L'attenzione di Sophie fu attirata da qualcos'altro.
- Tesoro, che hai fatto ai capelli? -
- Niente, un esperimento venuto un po' male - minimizzò l'altra.
Sophie preferì non approfondire.
- Ti piace questo smalto? È in tinta con l'abito, esattamente due tonalità più chiare, un capolavoro - .
Desirée diede un'occhiata di sfuggita allo smalto, sorridendo in segno d'assenso e a bassa voce, continuando a fare scorrere le dita sulla tastiera, si complimentò.
- Bel colore, mi piace. Gli smaltini blu mi sono finiti, devo ricomprarli. Quest'anno ci sono delle tonalità violacee favolose - intanto con aria leggermente contrariata guardava il monitor.
Sophie, distratta da una rivista d'alta moda, si sdraiò comodamente sul letto di Desirée.
- Qualcosa non va? Ti ho fatto sbagliare? - .
- No, no, tu non c'entri. È tutta la mattina che si comporta in modo sospetto - .
- Se continui a crackare programmi ovunque, prima o poi ti ritrovi con un bel virus tipo AIDS o una bella denuncia, a seconda della sfiga. Quelli della Finanza però in genere sono carini, almeno ci sarebbe un lato positivo nella cosa - rifletté un attimo, era più probabile che la finanza un giorno potesse presentarsi alla sua porta, scosse la testa, meglio la moda del fisco.
- Questo programma l'ho fatto io, cioè l'ho modificato: è un open source. Comunque, non è questo il problema, quello che mi fa stranire è che i dati elaborati corrispondono solo in parte a quello che avevo previsto, cosa che non riesco a capire e quando io non riesco a capire una cosa ... divento nervosa - .
- Non ti sprecare a spiegarmela. Non ho mai capito niente d'ingegneria. Gli unici calcoli che mi riescono sono quelli connessi al denaro, in particolar modo quello che mi entra in tasca. Ti ho detto che sono riuscita ad accalappiare Jean - Claude? - .
Desirée si era alzata e, sporgendosi sopra la scrivania, guardava dall'ampia finestra.
- Bello! Stanno arrivando Gaby e Falstaff! - poi voltandosi verso Sophie, s'informò incuriosita.
- Come hai fatto a strappare il bamboccio a quell'oca di Ester? - .
- Io sono una persona sportiva, tutto qui. Lei invece non è altro che un'oca possessiva, il ché significa che con una rivale del genere non mi sono divertita più di tanto - mise un po' il broncio, il ché divertì l'amica.
- Che c'è, hai cambiato sport e sei passata da seduttrice a ruba- ragazzi? - .
- Mi annoiavo, e poi è veramente carino, quasi quanto il tuo ultimo passatempo che è stato silurato, come dici tu. Tesoro, dovresti avere più pazienza, bisogna curare una relazione o perlomeno fare finta di farlo. Certo che oggi giorno pubblicano straccetti importabili, poi tutte queste stronzette anoressiche che si credono belle! Inguardabili, la morte che veste l'ultima moda. Alle volte ci si meraviglia che abbiano ancora gli occhi nelle orbite, effettivamente queste più che occhi sono orbite - .
- Ma, per favore! Era un doppiogiochista traditore, pieno di problemi inventati, adesso va dicendo che gli ho spezzato il cuore, mollusco - .
Sophie scoppiò in una risata argentina e chiuse finalmente la rivista, che in qualche modo non l'aveva soddisfatta.
- Come? Non l'hai aiutato a ritrovare la gioia di vivere e a superare le sue angosce e problemi esistenziali con la tua abnegazione? Grazie al vostro amore avreste potuto superare tutti gli ostacoli e le vicissitudini di questo cattivo e crudele mondo ed essere felici. Tesoro, non sei andata dove ti porta il cuore? Angelo del focolare che fai, non svolazzi? - e portandosi al cuore la rivista che teneva ancora in mano, mimò i modi delle ragazzine.
- Oh! Mi ha guardata! - poi riassumendo l'aria distaccata che la contraddistingueva, riaprì la rivista, i gioielli non erano male, specie quelli più costosi.
Desirée non poté fare a meno di scoppiare a ridere nell'assistere a quella sceneggiata.
- Arrivano - .
La porta si spalancò di colpo e un vivacissimo terrier gigante schizzò all'interno saltando sul letto tra le braccia di Sophie, mentre la sua padroncina si fermava sulla soglia esclamando.
- Ciao a tutti! Dal luccichio peccaminoso negli occhi di Sophie desumo che state parlando di ragazzi - .
Era minuta e i capelli corti rosso fuoco sembravano fatti apposta per marcare il carattere impertinente, caso mai la T-shirt con la scritta “Fuck the system” non fosse stata sufficiente. Conosceva Desirée da sempre, già i loro nonni erano stati grandi amici. Due lupi di mare che avevano avuto come ultimo discendente una ragazza, probabilmente era stato il loro ascendente a renderle una più ribelle dell'altra.
Gaby attese per un attimo una risposta da Sophie, ancora intenta a sottrarsi alle effusioni d'affetto di Falstaff, poi poggiò a terra lo zaino multicolore e dopo avere abbracciato Desirée, andò a sedersi su una sedia girevole là accanto. Desirée senza perdere tempo le comunicò la novità.
- Lei ha un nuovo ragazzo, quello di Ester - .
- Ester chi? - .
- L'oca che vorrebbe essere d'alta società. Non eravate nella stessa classe? - Sophie era riuscita a bloccare il cane col gomito.
- Uh sì, ma quella più che un'oca è una serpe, non faceva altro che copiare da me, poi andava in giro raccontando che se non fosse stato per la sua magnifica generosità, sarei stata bocciata. Come l'ho odiata. Mi fa piacere sapere che sei riuscita a fregarle il fidanzatino di sempre, anche se mi sembra un po' fessacchiotto. In ogni caso, grande Sophie! -
Sophie fu sorpresa da quella reazione.
- Come mai, ce l'hai tanto con lei? È una banale poveraccia - .
- Adesso! Avresti dovuto vederla a scuola, ha persino litigato con Desirée - .
Desirée alzò le spalle con sufficienza, non era difficile litigare con lei, spiegò.
- Mi aveva dato della cafona - .
- Ordinaria senza prospettive, ti ha definito e non per seminare zizzania, ma continua a dirlo - .
- La storia del motorino ha a che fare con lei? - s'informò Sophie.
- Sì, sai - Gaby s'interruppe un attimo per schiarirsi la voce e nascondere l'imbarazzo che quel ricordo le provocava. - Nell'adolescenza si fanno facilmente brutti errori e io ho avuto una breve fase piccolo borghese di cui mi vergogno profondamente. Dunque, a scuola c'erano diverse tipe che facevano capo a Ester. Io all'epoca ero molto affascinata dalla sua combriccola e le chiesi di diventare amiche - .
Sophie alzò le spalle a significare che la cosa sembrava del tutto normale. Desirée le fece cenno di aspettare la fine del racconto e infatti.
- Mi dissero che per diventare dei loro dovevo perdere almeno cinque chili e vestire firmato, caso mai potessi permettermelo - .
Sophie strabuzzò gli occhi, tra le tre lei era la più formosa e bisognosa di perdere chili, volendo, ma Gaby era uno scricciolo.
- A quel punto sono rinsavita. Mi sono resa conto che stavo tradendo i nobili ideali dei miei padri ... - .
- Il comunismo, partigiani - s'intromise Desirée per chiarire la situazione.
- E questo solo per diventare amica di quattro stronzette snob che si scaricano la personalità da internet, ed essere accettata dai loro amichetti borghesi cerebrolesi. L'amicizia è tutt'altra cosa e quelle patetiche stronze non erano nemmeno in grado d'immaginare cosa sia l'amicizia. Gli amici si aiutano, non si deridono - dovette inspirare profondamente per domare la rabbia che ancora le covava dentro.
- Che vi credete, mica si diventa stronzi da un giorno all'altro, c'è chi comincia da piccolo. Quelle erano prove generali di futura discriminazione sociale - s'intromise ancora Desirée riprendendo a scrivere al PC.
- No, è che al mondo ci sono molti più servi di quanti voi crediate, e quelle erano serve che giocavano a fare le padrone. Comunque Gaby, come hai risolto la questione? - tagliò corto Sophie.
- Ho pensato che, se i miei non si erano piegati di fronte alla dittatura del nazismo e lo avevano combattuto, io dovevo lottare contro la tirannia della prevaricazione e dell'esclusione sociale borghese del neo-capitalismo. Lei voleva distruggere la mia personalità, io le ho dato fuoco al motorino. O meglio, ci stavo provando, perché non è così facile come potrebbe sembrare, per fortuna è arrivata lei e mi ha aiutata. Un botto fantastico! - .
- Aiuto sempre gli amici e poi i giochetti col fuoco mi sono sempre riusciti bene. Peccati di gioventù, era prima di diventare tranquilla e amorevole - commentò orgogliosa Desirée e con un sorriso malizioso aggiunse - D'altronde mio nonno era riuscito a incendiare l'Atlantico - .
Gaby la fulminò con lo sguardo e diede di nascosto un calcio alla sedia spingendola concentrarsi sul computer. Sophie alzò il nasino raffinato da banchiere.
- Non è che avete dato troppa importanza a quelle quattro sceme per arrivare a compromettervi? - .
Sophie aveva sempre disprezzato gli arrampicatori sociali, gente disposta a tutto e senza un briciolo di morale, non che i banchieri ne avessero di più, ma era diverso, quella era guerra e poi un banchiere non si vende, compra gli altri.
- Nooo - le risposero in coro.
- Pochissimi hanno sospettato di noi. Tengo a precisare che il mio era un esperimento di antropologia e il suo di fisica, senza alcuna finalità malevola. Siamo state magnanime, se avessimo voluto farle del male, l'avremmo sputtanata, rovinandole la posizione sociale, sua unica ragione di vita, invece ci siamo limitate a dare fuoco al motorino - .
Gaby era seria, invece Desirée se la rideva.
- Siamo tanto due brave ragazze... dal cuore d'oro - .
In effetti Sophie notò che avevano messo su un'espressione angelica, per di più credibile.
- Ragazze, vi adoro - .
Gaby, vedendo che c'erano eventi del loro passato che Sophie ignorava, suggerì.
- Senti Desirée, hai mai fatto vedere a Sophie le foto di quando eri Punk? - .
Sophie scosse decisa la testa facendo volare per l'aria i suoi curatissimi riccioli biondi, imitata con più garbo da Desirée che si limitò a spiegare.
- Mi davo una bella ripulita prima di andare a danza, erano fatti miei quello che ero, non avrebbero capito - aprì un cassetto traendone una foto che porse senza troppo entusiasmo a Sophie.
- E tu quale saresti? - domandò lei non riuscendo a riconoscere l'amica tra i tre truci individui raffigurati sulla foto, poi la individuò sotto il pesante trucco sbavato: era quella col tutù nero che sembrava avere incontrato un gatto impazzito. Esclamò.
- Quella col tutù - .
Gaby scoppiò a ridere, stava per dire qualcosa, ma un grido di Desirée interruppe la conversazione.
- Un virus! Te l'avevo detto - esclamò Sophie scattando a sedere per vedere cosa stesse accadendo.
Dal monitor era scomparso tutto e al centro lampeggiava una strana scritta rossa.
“Uhtfloga”.
Desirée fissava a denti stretti con estremo odio lo schermo, quasi stesse ringhiando.
- Ditemi che non è vero! - . L'incidente sembrava avere strappato Desirée dal suo consueto torpore.
- Il bello di questi giochetti, è che più uno tenta di eliminarli, più gli facilita l'ingresso in altri sistemi. Pensa Desirée, molto probabilmente in quest'istante si sta diffondendo a incredibile velocità, distruggendo tutti i dati della memoria centrale, vale a dire il tuo faticoso lavoro. Il frutto dei tuoi lunghi ed estenuanti studi e tutto il resto possibile e immaginabile - commentò con fare melodrammatico Sophie portandosi le mani al voluminoso petto, ma si vide fulminare dall'amica con un'occhiataccia.
- Hai finito? Maledizione, non si spegne - con rabbia premette l'interruttore, senza ottenere alcun risultato. - Si è bloccato - constatò seccata - Gaby stacca la presa, è vicina a te - .
- Non credo che risolverai molto spegnendo, dato che è apparso sullo schermo, molto probabilmente il virus ha già infettato il disco fisso - osservò Sophie divenuta infine seria.
- Gaby, quanto ci metti a staccare quella maledetta presa? - imprecò Desirée.
- Veramente... io ho già staccato tutto quello che si poteva staccare, anche la radio - .
Desirée non le credette, si chinò sotto il tavolo per controllare, poi fissò stupita le altre due.
- Dite, vi risulta che sia stato inventato un virus capace di fare funzionare un computer senza corrente? - .
- No, ma riuscendo a trasporre questa caratteristica su un programma normale si potrebbero fare soldi a palate. Un computer che funziona senza corrente è semplicemente fantastico - esclamò Sophie venendo ad appurare di persona.
- Bellissimo! -
- Non riesci a pensare ad altro che ai soldi? -
- Desy, sei sicura che in questa confusione non ci sia ancora una qualche presa inserita? - domandò perplessa Gaby.
- Credi che non sappia nemmeno quante prese ci sono nella mia stanza? Qualcuno sa che cavolo significa quella maledetta parola, almeno la smettesse di lampeggiare! Mi snerva maledizione! - .
- Tesoro, il fatto che ti sia arrabbiata non giustifica un linguaggio simile, né tanto meno la perdita dell'autocontrollo - le fece garbatamente notare Sophie, sempre molto padrona di sé.
- Se ha toccato il programma e i dati, sono sei mesi di lavoro che vanno a farsi fottere. Posso ricominciare a scrivere la tesi da capo, non so se mi sono spiegata. E tanto per capirci, in una circostanza simile io non mi modero per niente e uso il peggior linguaggio da caserma che esiste. Chiaro? -
- Cerchiamo, invece, di capire che cosa sta succedendo - suggerì Sophie tentando di tranquillizzarla e risolvere la situazione, così Desirée si risedette al computer brontolando.
- Assurdo, devo mettermi a un computer che in teoria dovrebbe essere spento. Che faccio? - .
- Non saprei, prova a digitare di nuovo la parola - .
- E' questo, il cosetto per fare parlare il computer? - e senza attendere una risposta, Gaby premette l'interruttore degli altoparlanti, il computer prese a ripetere con voce metallica e distorta la parola.
Desirée inserì la strana parola e subito con gran sollievo delle ragazze, la scritta scomparve e lo schermo divenne completamente nero.
- Perché continua a ripetere quella parola invece di starsi zitto, ora che è sparito tutto? - domandò giustamente Gaby alle altre due che scrutavano sospettose il monitor, dove intanto erano apparsi due piccoli puntini rossi che andavano ingrandendosi.
Il computer aveva smesso di sillabare la strana parola, adesso formulava intere frasi con voce meno elettronica e artefatta e sempre più possente.
I punti continuavano a ingrandirsi assumendo l'aspetto di due occhi rossi che fissavano intensamente le ragazze. Gli occhi erano molto realistici, recavano con sé una viva intelligenza, seminascosti dal manto di un uomo incappucciato che stringeva tra le mani un bastone nodoso, continuavano ad avvicinarsi, tanto che infine lo schermo non poté contenerne che uno solo, mostrando una pupilla verticale e pelle di serpente. La voce non aveva più niente d'elettronico, era divenuta rauca, gutturale, talmente alta da rimbombare per tutta la stanza facendo vibrare i vetri.
Falstaff con maggiore prontezza di tutti scappò dalla stanza.
Le ragazze fecero per seguirlo, ma Desirée cadde dalla sedia e Sophie e Gaby inciamparono l'una sull'altra.
Così com'era venuto, scomparve tutto, lasciandole attonite e immobili a fissare il monitor spento.
La prima a riprendersi fu proprio Sophie che riassettandosi i riccioli, farfugliò.
- Che diavolo era? - .
- Sarà solo un modo di dire, ma temo che tu ci sia andata vicino - disse con un filo di voce Gaby, cercando d'alzarsi - Ho sentito dire, che ultimamente le sette di magia nera si servono d'internet per i loro sortilegi, forse qualcuno si è sbagliato e l'anima di qualche dannato è venuta a trovare noi, invece che la medium - .
Osservazione che non piacque per niente a Sophie, troppo razionale per sopportare simili ipotesi.
- Adesso ci sarebbero persino i fantasmi nel computer? Se trovo l'idiota che ci ha fatto questo scherzetto, giuro che lo rovino per sette generazioni a venire - .
- Che fai Desirée, lo riaccendi? - domandò spaventata Gaby.
- Certo, altrimenti come scopriamo chi è stato a farci questo scherzo del cavolo? - .
- Aspettate, ascoltatemi un attimo - insistette ancora scossa Gaby, alzando senza rendersene conto la voce - Non è il caso di prendere l'accaduto troppo alla leggera, non dimenticatevi che il computer era spento. Non si è trattato di uno scherzo, là dentro c'era davvero qualcosa e forse c'è ancora - .
- Che accidenti vuoi che faccia altrimenti, devo fare esorcizzare il computer? - Desirée era nervosa, pronta a scattare come una molla. Sembrò rendersi conto del proprio stato, perciò fece un profondo respiro per riprendersi.
- Assurdo - disse infine.
- Dai! Ora va di nuovo - esclamò Sophie entusiasta, aveva già dimenticato la paura.
- Voi state giocando col fuoco. Il computer era spento, non vi basta?! - .
- No! - le risposero in coro, frattanto Desirée digitava nuovamente la strana parola senza ottenere alcuna reazione.
- Non succede più niente - notò quasi delusa Sophie, difatti, nonostante i vari tentativi non apparve nulla sullo schermo, il computer assolveva le usuali funzioni in modo ineccepibile. Desirée aprì e chiuse velocemente una serie di file e finestre per controllare che fosse tutto a posto, lo era.
- No, non c'è più niente. Strano, non si è mai visto un virus che va e viene. Se non altro, il cervellone sembra non avere subito danni. Forse è meglio che andiamo a mangiarci qualcosa e cerchiamo di capire cosa è successo - concluse Desirée spegnendo definitivamente il computer - Lasciamolo riposare un po' - .
Scesero in soggiorno e si lasciarono cadere sulle poltrone, fiaccate dallo spavento che stavano abilmente nascondendo a se stesse. Era preferibile discutere la questione davanti ad una cioccolata calda e qualche fetta di torta sfidando con indomito coraggio calorie, diete e demoni vari.
Sophie scelse il divano, che occupò interamente allungando le belle gambe, stava per lamentarsi della copertina di pelliccia spelacchiata poggiata sullo schienale, ma all'ultimo momento si rese conto che si trattava di Pirata, il gattone violento di Desirée che dormiva imperturbato come sempre. Per ogni evenienza preferì sistemarsi fuori dalla portata degli artigli.
- C'è chi legge nel fondo di caffè - borbottò a mezza voce Gaby, guardando preoccupata la propria tazza.
Sophie, sorseggiando la cioccolata, le fece garbatamente notare.
- Tesoro, non mi sembra molto razionale - .
Desirée allungò le gambe sulla poltrona che le stava di fronte, spiegando.
- Qualche giorno fa, sono venuti a trovarmi due amici per confrontare alcuni dati, ho dovuto lasciarli da soli per un certo tempo. Uno di loro ha la mania dell'elettronica, perciò non è da escludere che possano avere installato da qualche parte un semplice dispositivo capace di supplire per alcuni istanti alla mancanza d'energia. In fin dei conti non si è trattato che di qualche secondo. Tra l'altro, uno di loro non molto tempo fa è stato vittima di uno dei miei machiavellici scherzetti - .
- Davvero? - Gaby era sollevata.
Desirée annuì con un sorriso forzato, dal volto traspariva stanchezza. Le ore passate davanti al computer avevano lasciato il segno.
Il ritorno della ragione e della calma piacquero a Sophie, che si ricordò il motivo della sua visita.
- A proposito, stavo quasi dimenticando di dirvi che sono stata invitata a un'altra di quelle feste eleganti che a voi non piacciono. Mi hanno chiesto di portare qualche amica. Sono quasi tutti giovani manager, quindi mancano le donne - . Per Sophie c'erano cose più importanti al mondo che presunti fantasmi nel computer.
- Sophie, sai che non è il tipo di società che ci piace, inoltre all'ultima festa del genere, dove ti abbiamo accompagnata, c'erano da mangiare soltanto microscopiche schifezzuole molto chic ed io sono rimasta letteralmente a digiuno. Non ho molta simpatia per l'alta cucina e tanto meno per l'alta società - le spiegò Gaby ancora un po' offesa mettendo il broncio.
- Le aragoste non erano male, e poi c'erano anche le ostriche - obiettò Sophie, cercando di salvare il prestigio della festa.
- Se non se le fosse mangiate tutte Desirée... - .
Desirée sorrise al ricordo e domandò.
- Davvero sembro cafona? - .
- No tesoro, si vede che hai ricevuto un'ottima educazione che per ragione di quotidiana comodità non applichi. In ogni modo, non vi sembra di avere superato l'età in cui si va ai ricevimenti solo per mangiare? Che sta succedendo là fuori? - .
- Finché non s'ingrassa, perché no? Credo che sia Falstaff, che sta nuovamente infastidendo il cagnetto della signora Fayette - spiegò Desirée sbadigliando.
- Comunque, voi due in quegli ambienti piacete, non fanno altro che chiedere di voi - .
Desirée alzò incurante le spalle.
- Ho un gran bel sedere e gambe lunghe, ci mancherebbe... - .
Sophie reagì un po' infastidita a quell'osservazione prosaica e si rivolse a Gaby.
- C'è quel piccoletto tanto carino... che chiede sempre di te, Gaby - .
- Marcel - Gaby arricciò il nasino.
- Oltre che carino mi sembra anche simpatico, che ha che non va? A me piace - s'intromise Desirée.
- Ha una barca e non ha fatto altro che parlarne - .
- A lei da piccola mettevano una cassetta di pesce sotto i piedi e le facevano tenere il timone mentre gli altri lavoravano - spiegò Desirée, aggiungendo un po' di panna alla sua cioccolata calda.
- E tu naturalmente, non gli hai detto che vieni da una famiglia di pescatori. Sarebbe stato un buon argomento di conversazione. Forse è anche di sinistra. Che ne sai, se non ci parli - .
- Posso farvi notare che io sono l'unica ad avere un ragazzo fisso e per di più accettabile? - .
Sophie a questo punto tirò fuori l'asso nella manica e sventolò sotto il naso di Gaby il menu della serata. Gli occhi di Gaby corsero su e giù per il foglietto, senza sapere cosa fare.
L'abbaiare dei cani era diventato più intenso, si sentiva anche una donna strillare.
- Come la odio! - sbottò Gaby, mentre si precipitava fuori, evitando così di dovere rispondere a Sophie, la quale prontamente girò il foglio verso Desirée, che stava gridando.
- Lascia, forse lo ammazza! - .
Anche Desirée evitò di esprimersi sul menu, pur studiandolo con occhi famelici. Si strisciò stancamente indietro i capelli.
- Ho studiato troppo, penso che verrò, se non altro per fare qualcosa di diverso - .
Pirata decise finalmente di muoversi, saltò giù dal divano dirigendosi verso la porta. Erano anni che dava la caccia a quel cocker, prima o poi l'avrebbe trovato solo.
- Com'è che il tuo gatto è sempre di pessimo umore, che gli fai? - osservò Sophie vedendolo avviarsi verso la porta. Desirée rispose con un'alzata di spalla.
- Niente, è solo che in casa vorrebbe comandare lui, ma nessuno gli dà retta e questo lo manda in bestia, inoltre ha un harem di otto gatte da difendere, tutte seccature - .
Sophie ridacchiò.
- Okay, allora passo a prenderti - e con un sorriso aggiunse - Non mi soffiare gli uomini migliori però - .
Desirée sbuffò.
- Quelli non risvegliano il mio istinto di caccia, sono di una noia mortale - .
- Dai, che forse qualcuno decente c'è, se non altro non sono dei morti di fame, inoltre, anche se non lo vuoi ammettere, ti diverti. É solo che non sono come li vorresti tu - .
- Il punto è che sono molto convinti di sé stessi e questo mi dà fastidio. In questo sono d'accordo con Gaby - .
- Certo, perché tu sei convinta di essere meglio di loro o sbaglio? - .
Desirée arrossì, quella era un'imbarazzante verità. Sophie fu così gentile da non insistere su quel particolare, limitandosi a salutarla amabilmente andando via.
- Ciao cara, a stasera - .
Le aveva avvertite del ricevimento su facebook tre giorni prima, ottenendo risposte molto evasive. L'essere venuta di persona non aveva prodotto risultati migliori. Senza le sue amiche si annoiava e il nuovo ragazzo non era proponibile in quegli ambienti, per quanto carino era un parvenu e c'era il concreto pericolo che facesse qualche gaffe imbarazzante.
Da dietro l'angolo intanto giungevano, oltre all'abbaiare dei cani, anche le voci delle rispettive padrone.
Sembrava proprio che Gaby stesse sfogando lo spavento sulla vecchia e acida vicina di Desirée. Così, quando la lite terminò, la signora Fayette era più invelenita che mai. Probabilmente, però, d'ora in poi si sarebbe ben guardata dall'insultare gratuitamente la furia rossa che prima di andarsene, invece di farsi mordere a tradimento dalla sua adorata bestiola, le aveva sferrato un calcio sul muso.
Nel sentire il guaito del cagnaccio, Sophie accese il motore.
- Finalmente, che ci voleva - .
Pirata tornò indietro verso il divano, troppo trambusto per agire. La cosa lo mise di cattivo umore, tanto per cambiare.


Segreti in cantina

Era notte. Il verde delle foglie degli alberi era visibile solo intorno ai pochi lampioni che segnavano la strada, il resto era nascosto da una nebbiolina grigia.
Desirée camminava come sempre con passo felpato, assorta nei suoi pensieri. Nell'auricolare risuonavano possenti le note dell'allegretto della settima sinfonia di Beethoven, l'aiutavano a concentrarsi e a placare la rabbia.
Per tornare a casa non c'era bisogno di guardarsi intorno, bastava seguire la linea dei lampioni, dove finivano, iniziava la sua proprietà. All'epoca c'erano state questioni con i costruttori del complesso residenziale confinante, i quali per ripicca non avevano messo l'illuminazione nell'ultimo tratto di strada, vale a dire davanti a casa sua. Meglio, così la casa restava nascosta a sguardi indiscreti, come d'altronde era stato per secoli.
Era stata una serata a dir poco pessima.
Il posto non era male, l'attico di un nuovo albergo a cinque stelle con una terrazza panoramica mozzafiato, da lì si vedeva il suo paesino da un'angolatura inconsueta. Lo stava appunto fotografando, quando si erano avvicinati due individui, uno era un alto ufficiale della Marina a giudicare dal luccichio dell'uniforme, l'altro era un tipetto alquanto insignificante, che aveva esordito chiacchierando della bellezza del paesaggio.
Dato che non erano né simpatici, né avvenenti, lei aveva cercato di svignarsela con un paio di frasi di circostanza, ma con suo grande stupore si era vista bloccare il passo dall'ufficiale, che le aveva detto.
- Curioso che un paesino dimenticato da Dio e dagli uomini sia riuscito a riprendersi così in fretta dalle devastazioni della guerra - .
- Siamo pescatori, abituati a lavorare sodo e sputare sangue sulle nostre barche - aveva risposto lei senza nemmeno rendersi conto di quanto stava accadendo.
- Lei signorina sembra tutto tranne che un pescatore - .
- Che c'entra quello che sembro? Vengo da una famiglia di lupi di mare! - .
- Lupi sì, ma grigi - le avevano detto.
Quella frase continuava a risuonarle in testa come una cantilena malefica.
- Lupi grigi - .
Ciò che era successo dopo non le era ben chiaro, si era agitata e aveva perso il controllo della situazione.
Se ricordava bene, il piccoletto aveva cercato di scusarsi, sottolineando però che i loro non erano semplici sospetti e che, se la Marina e il Ministero degli Interni non procedevano con gli arresti, non significava che non fossero al corrente della cosa.
Lei era rimasta di sasso a fissare il piccoletto che continuava a parlare.
- La vedo un po' confusa signorina, deve capire che i tempi sono un po' cambiati, la situazione internazionale si sta complicando... Non vorrei spaventarla, ma altri vi stanno cercando. Al momento vi stiamo coprendo, stiamo agendo nel vostro interesse. Deve fidarsi di noi, come avrà capito, non abbiamo cattive intenzioni - .
- Ancora non capisco cosa volete. Io studio ingegneria navale e lì finisce il mio interesse per la navigazione. Deve esserci un malinteso... - .
- Certo signorina, è solo un grande malinteso, ciò nondimeno vorremmo essere sicuri che il malinteso batta bandiera francese e che faccia quello che vogliamo noi - .
Si era poi voltato verso il paesino, che scintillava come incantato, blaterando qualcosa su sospetti e prove. Non era stata a sentire, era andata via frastornata classificandoli come due stronzi che si sentono qualcuno spaventando le belle ragazze, i soliti frustrati sessuali.
Per prudenza era rimasta accanto al buffet in mezzo alla gente, ma non era servito a niente, poco dopo si era trovata di nuovo accanto l'ufficiale che le aveva bisbigliato all'orecchio.
- Mettete ancora il naso fuori dalla tana senza il nostro permesso e vi affondiamo. Vi faccio raggiungere il branco in fondo al mare. E dica ai suoi amici pescatori, che il mare può essere un posto maledettamente pericoloso per quei gusci d'uovo con cui navigano. Fine dei giochi signorina - e congedandosi l'aveva salutata con un derisorio.
- I miei ossequi - .
Lei aveva voluto posare la coppa di Champagne e si era accorta che la mano le tremava. Non riusciva a togliersi dalla mente l'immagine della propria mano che trema.
Aveva mandato un breve messaggio in codice a Gaby e aveva chiamato un taxi.
Adesso camminava al suono della musica di Beethoven, cercando di capire come avesse fatto a finire in un tale pasticcio, come se non avesse problemi a sufficienza.
Le luci delle case erano spente. La strada era immersa nel sonno.
Alzò lo sguardo alle cime degli alberi secolari dietro casa che facevano da sfondo ai suoi pensieri cupi, quei movimenti imponenti sembravano seguire il moto della musica di Beethoven.
Passò accanto ai rododendri ondeggianti sfiorandoli distrattamente con le dita e si avviò verso la porta di casa. Finalmente al sicuro in camera, gettò con rabbia la borsetta sul letto.
- Merda! - .
Passando davanti allo specchio, rimirò distrattamente la propria figura fasciata in un tubino nero, era ciò che avevano visto quei due.
Una leggera ruga segnò la fronte, troppi pensieri per una sola notte. Buttò le scarpe in un angolo e si scompigliò i capelli per liberarli dalla fastidiosa piega.
All'esterno l'ondeggiare lento degli alberi sembra seguire ancora l'audacia della musica di Beethoven, gettando lunghe ombre sulla sua scrivania.
“Fine dei giochi”, quella frase continuava a tornarle in mente, adesso nella sua stanza davanti al frusciare degli alberi le appariva insulsa, appartenente a un altro mondo.
In quell'istante qualcosa colpì i vetri, era Gaby che stava lanciando sassolini.
Si affacciò e le fece cenno d'aspettare. S'infilò velocemente dei lunghi calzettoni di lana, gli anfibi sempre pronti accanto al letto e mise la vecchia giacca di pelle nera a tre quarti.
Ci voleva ben altro che delle minacce per impedirle di prendere il mare. Aprì il cassetto della scrivania e dal doppio fondo tirò fuori la vecchia pistola d'ordinanza del nonno, una Luger P04, controllò che fosse carica, la mise in tasca e scese di corsa ad aprire all'amica.
Gaby aspettava ansiosa alla porta con indosso i soliti jeans e un pesante maglione slabbrato fatto a mano, per proteggersi dalla brezza notturna aveva attorcigliato al collo una coloratissima e lunghissima sciarpa.
- Ma che è successo? Mi hai fatto preoccupare - .
- Ci hanno scoperti - le disse a bassa voce chiudendo la porta dietro di sé.
- Scoperti? E come? - .
- Il come è irrilevante, l'hanno fatto - .
- Ma chi? - .
- Marina Militare e Ministero degli Interni - .
- Porca puttana! Siamo fottuti! Come l'hai saputo? - .
- Me l'hanno detto Gaby! Due stronzi si sono avvicinati alla festa e mi hanno detto che sospettano da sempre e adesso i giochi sono finiti. Se mettiamo ancora una volta il muso fuori ci affondano. Hai capito bene? Non hanno parlato d'arresto: ci affondano. Hanno anche detto che i nostri devono stare attenti con quei gusci d'uovo con cui vanno per mare - .
- Non c'è la speranza che tu possa avere capito male? - Gaby era bianca come un cadavere, la sua gente era in pericolo.
- No! - .
- E adesso cosa vuoi fare? - .
- Vado a controllare - .
- Non è pericoloso? Se ti hanno seguito? - .
- Non hanno bisogno di farlo, sanno benissimo dove abito, non credi? - .
- Calmati - l'afferrò per il braccio sperando di trattenerla.
- Cosa? - non si rese nemmeno conto d'avere alzato la voce.
- Ti rendi conto che ti stai facendo trascinare dal pathos del momento? Tuo nonno non l'avrebbe mai fatto - .
Stava per ribattere, ma in quel momento furono investite dai fasci di luce dei fari di una macchina.
- Oddio, sono qui - strillò Gaby.
- É Sophie, non lo vedi? - .
La Mercedes accostò.
- Che è successo, Desirée? Sei andata via senza dire niente - invece di rispondere, Desirée si precipitò verso Sophie chiedendole a bruciapelo.
- Tu ne sai niente? - .
- Tesoro, vedo che sei arrabbiata, ma vorrei farti notare che ti ho appena fatto la stessa domanda. È successo qualcosa? - si rivolse a Gaby che la guardava senza sapere che fare.
Desirée continuava a fissarla, infine disse.
- Lei non c'entra. Andiamo - e si voltò per andarsene.
- Cosa? - Gaby non riusciva a credere a quello che aveva sentito.
- Tanto ormai lo sanno quasi tutti, può saperlo anche lei che è nostra amica. Ti pare? - .
- Neanche per sogno. Sei pazza? - .
- Ancora non mi avete detto cosa è successo - .
- Ho subito pesanti minacce e mi girano le palle a elica - .
Sophie s'impettì, quello era il genere di cose che le piaceva, aveva avvocati molto esperti in materia. Gaby invece come in una partita di tennis girava la testa dall'una all'altra senza sapere che dire.
- Da chi? - .
- Dal governo - .
- Non hai pagato le tasse? - .
- Santo Cielo! È mai possibile che l'unico problema che riesci a concepire siano i soldi? Non esiste altro? - .
Sophie un po' imbarazzata non rispose, così Desirée si girò e si allontanò lungo il vialetto.
Girarono intorno alla casa, passando accanto al garage, che in passato era stato una rimessa per carrozze con annesso fienile.
Imponenti alberi frusciavano argentei sopra le loro teste. Arrivate in prossimità di alcuni grandi abeti, dove il viale si faceva più scuro e incerto, accesero le torce elettriche e si diressero verso l'interno del boschetto.
- Di preciso di cosa ti hanno minacciato? - .
- Te lo dico dopo, adesso sono troppo agitata. Per l'amor del cielo Gaby dille dove stiamo andando - .
Gaby invece sibilò.
- Tu non ci puoi venire vestita così - .
Sophie sollevò l'abito lungo mostrando le scarpe basse. Le fece un sorrisetto dispettoso e annodò su un fianco i lembi dell'abito, che in realtà servivano solo da contorno a due vertiginosi spacchi, allargò le braccia in segno di trionfo: così poteva andare ovunque.
Desirée intanto aveva raggiunto una piccola casetta di legno che fungeva da ripostiglio degli attrezzi, e stava tirando su una pesante botola dal pavimento, mettendo in vista delle strette scale.
- Ancora non mi avete detto, dove stiamo andando - protestò Sophie raggiungendola di corsa.
- Ho alcune cose da controllare e per quella strana voce di stamattina: ho un altro computer più potente - e aggiunse - L'ultimo chiuda che c'è corrente. Io di spifferi stasera ne ho presi più del dovuto e mi girano le palle. Comunque, come mai non eri col tuo nuovo ragazzo alla festa? - .
- Non potevo rischiare portandomelo dietro, dovevo parlare di alcune cose serie con dei finanzieri - .
- Non si sa comportare? - sembrava che Desirée si stesse calmando o almeno stava cercando di farlo.
- Non proprio, ma non è molto sveglio - .
Gaby esultò.
- Visto, che è come dico io: lei si mette con un cretino solo per fare la splendida e poi si lamenta - .
- Va bene, hai ragione, ma scendete che c'è corrente - .
- Non potevo sapere che è cretino - .
- No? Perché, uno che sta con una deficiente del genere, cosa può essere? - Gaby sapeva essere spietata.
- Poteva essere un ragazzo normale... - ma fu interrotta da una risata sguaiata di Desirée che da sottoterra aveva sentito tutto.
- Ok, me ne trovo un altro meno fesso - .
Sotto la botola si apriva una stretta galleria interamente scavata nella roccia e scarsamente illuminata da vecchie lampadine che penzolavano dalle pareti, fissate con chiodi arrugginiti.
Durante il tragitto Sophie non fece altro che giurare e rigiurare fedeltà e silenzio eterno, ottenendo in cambio da Gaby solo terribili minacce.
La galleria finiva in una biforcazione al lato della quale c'era un'apertura più chiara.
- Questo è il mio pozzo visto da metà altezza - spiegò Desirée, indicando in alto la bocca del pozzo dalla quale filtrava una pallida luce.
Desirée si calò per prima all'interno, poggiando i piedi su di un piccolo rialzo posto più in basso, scese aggrappandosi alle sporgenze della pietra e a dei perni di ferro inseriti tra i blocchi. Percorso un metro, con un salto scomparve all'interno di una stretta fessura, riapparendo poco dopo, per fare luce alle amiche.
Sophie, meno agile, superò il vuoto solo per un pelo, giunta nella seconda galleria ansimante per lo spavento e giustamente contrariata, sbottò.
- Mi volete dire per quale caspita di motivo sto rischiando la vita? - .
- Per conoscere il nostro segreto - .
Ripresero a camminare seguendo la galleria questa volta più ampia.
Desirée apriva la fila intonando rabbiosamente una canzonaccia pirata per sfogarsi, lasciando a Gaby l'ingrato compito di dare spiegazioni.
- Quindici uomini, quindici uomini sulla cassa del morto oh oh oh e una bottiglia di rum. Il vento e il diavolo l'han portata in porto. Oh oh oh e una bottiglia di rum - .
- Allora, cominciamo dall'inizio: si parla spesso dello sbarco in Normandia, ma raramente vi s'include anche l'operato eroico ed essenziale della Resistenza, senza il nostro lavoro qui non sarebbe riuscito a sbarcare nessuno. Ci fu un vero movimento popolare, tutto il paese era unito contro gli schifosi nazisti. Nei film questo è spesso messo in secondo piano, perché ormai si è imposta la glorificazione del sistema capitalistico americano; sono solo propaganda di sistema - .
- Guardami Gaby tesorino - la interruppe con voce ammaliante Sophie. - Io sono la personificazione del capitalismo e sono tanto felice - .
Desirée le interruppe.
- Non vi siete ancora scocciate delle vostre inutili dispute politiche? Non portano a niente - quando era arrabbiata, non sopportava niente e nessuno, tanto meno la politica.
- Tu piuttosto da che parte stai? - le domandò Sophie.
- Penso che le ideologie siano state inventate allo scopo di spingere dei poveri fessi a farsi ammazzare per fare arrivare al potere chi non ha fatto niente, insomma una colossale presa per il culo. In sintesi è da sfigati farsi dire dagli altri cosa pensare. E poi che significa da che parte stai? Perché, uno si deve per forza schierare? Che cosa è questa dittatura dello schieramento politico? - e riprese a cantare - Quindici uomini ... - .
- Hai ragione tu, niente politica altrimenti qui non si finisce più - concluse pragmaticamente Sophie.
- Allora, giacché non si può evitare, vengo al punto - continuò Gaby - Devi sapere che tra i sanguinari oppressori c'era anche il nonno di Desirée - .
Questo Sophie non se lo sarebbe mai aspettato.
- Come mai? Era un collaborazionista? - .
- No, non collaborazionista, nazista - corresse Gaby.
- Tedesco, non nazista. Sono due cose diverse, è come dire russo uguale comunista. Che c'entra? - strillò di rimando Desirée poco più avanti.
- Voi mi state facendo venire il mal di testa, da dove spunta questo nonno straniero? - intanto continuavano a scendere e Desirée, aveva preso a guardare con attenzione la parete sinistra.
- Dall'invasione tedesca, ma mi stai ascoltando? Comunque, aveva i suoi lati positivi. Sai alcuni ufficiali tedeschi per giustificare la guerra si nascondevano dietro il codice d'onore retaggio dei secoli passati, così pur essendo un nemico, riuscì a farsi rispettare. Non ho mai capito il perché, ma pare che il codice d'onore riesca a fare colpo su molti, persino sui nostri - .
- Hai presente il film “Caccia a Ottobre Rosso”? Qualcosa di simile - chiarì Desirée, che si era fermata vicino a un blocco di pietra e cercava di spingerlo, le pietre si mossero aprendo uno spazio sufficiente a farle passare. Ancora una volta Gaby sbarrò il passo a Sophie.
- Queste caverne nei secoli passati sono servite a pirati e contrabbandieri. Nei momenti di carestia da queste parti non restava altro da fare. Nessuno ha mai saputo che in questo trasognato paesino fu saltuariamente praticata la pirateria, per questo è molto importante che tu non dica niente di questi posti, ne va della rispettabilità della nostra storia - .
- Non esageriamo, lo sanno tutti che queste coste erano luoghi malfamati - .
Gaby si limitò a una smorfia di disappunto e le premise di passare.
- Altre scale! Per chi mi hai preso? - .
Desirée era andata avanti e aveva acceso la luce. Le scale con i gradini dissestati proseguivano, ma la galleria a una decina di metri da loro finiva in un'ampia caverna.
Gaby aveva ripreso il racconto.
- Beh! È una storia molto romantica, volendo ... Il nonno di Desirée s'innamorò della nonna e il villaggio di ... - .
- Del nonno ufficiale gentiluomo presumo - volle concludere Sophie, ma Desirée, che le stava davanti, la corresse.
- No, non del nonno, di questo - indicando ciò che si trovava all'interno della caverna.
Sophie si voltò verso la luce, dapprima riuscì a prendere atto solo di una grossa massa grigia, ma quando la mise bene a fuoco, stentò a credere ai propri occhi, era incredula.
- Mio Dio! È pazzesco! - guardò meglio, per quanto potesse sembrare impossibile, aveva di fronte un sommergibile tedesco della seconda guerra mondiale in perfetto stato di conservazione che galleggiava placidamente ormeggiato nel piccolo porto sotterraneo. Prendeva sia in altezza, sia in lunghezza quasi tutta la grotta. Rispetto ai sottomarini moderni aveva uno scafo sottile e allungato che lo faceva apparire quasi elegante. Pur fermo e in evidente disarmo incuteva un inconscio e cupo timore. I grossi pezzi d'artiglieria che armavano la torretta erano ancora minacciosamente puntati verso l'alto, contro un nemico che aveva vinto la guerra e si era dimenticato di loro. Alle funi d'acciaio erano fissate delle strane bandiere: una francese, una tedesca e ben due grandi bandiere della pace, evidente sforzo di Gaby per bilanciare altri simboli molto negativi.
Le due amiche guardavano con occhioni innocenti, pieni d'orgoglio.
- Bello vero? - chiese a conferma Desirée, sembrava avere dimenticato la rabbia adesso che aveva verificato che era tutto a posto.
Sophie era ancora senza parole.
- Una mattina fu visto affiorare dalle gelide acque a causa di un guasto al sistema d'aerazione e fu subito amore - Gaby adesso era veramente orgogliosa di poterle mostrare il loro segreto.
- Ma come si fa? È un sommergibile nazista - .
Questo era inequivocabile date le grandi svastiche e croci bianco nere ben visibili sullo scafo insieme alla scritta U-933 la sigla del sommergibile.
- U-Boot - , la corresse Desirée - U-933, è un pezzo unico, appartiene al tipo VII/c 41, ma ha tante modifiche da essere quasi un c 42, il prototipo mai realizzato. Ha uno scafo doppio, in teoria potrebbe raggiungere i 400 m. di profondità, quasi come i sommergibili d'oggi. Ha una notevole capacità di fuoco di ben quattordici torpedo. Il motore diesel è stato un po' aggiornato, sai, andava troppo piano. Ed è questo, quello che volevano i due stronzi di stasera - scese saltellando verso il molo, dove prese una lunga tavola e la appoggiò al sottomarino per salirci.
Gaby intanto con un accenno d'imbarazzo tentava di giustificare il fatto.
- Devi capire Sophie: quelli erano tempi molto incerti, non si poteva sapere cosa sarebbe successo, pertanto era meglio stare in guardia e premunirsi contro il peggio. Qui nessuno ha restituito le armi dopo la guerra - .
- Hai finalmente capito, perché da queste parti nessuno vende casa? Hanno le cantine piene d'armi che non sanno più come fare sparire - strillò Desirée dal sottomarino, aggiungendo con vanto.
- La mia cantina è la più bella - e presa dall'entusiasmo, si mise a ballare facendo rimbombare cupamente l'acciaio dello scafo sotto gli anfibi.
Sophie, guardandosi intorno stupita, raggiunse il piccolo molo ingombro di bidoni e attrezzature varie coperte da grandi teloni incerati. Si fermò sbalordita a guardare l'U-Boot ancorato davanti a lei.
- Sono 67 metri di sottomarino, non è tanto, già all'epoca ce n'erano di più grandi, ma questo è micidiale - proseguì Desirée, adesso imitava Shakira, sbagliando però i passi come notò l'occhio esperto di Sophie.
- Dai sali - le gridò e scappò via insieme a Gaby.
Sophie, ancora poco convinta, passò con una certa prudenza sulla tavola e titubante mise piede sul sommergibile, si guardò intorno.
- È immenso, aspettatemi! - .
Le altre due si stavano già arrampicando sulla torretta, affrettò il passo e si trovò a passare accanto ai due pezzi d'artiglieria antiaerea che, visti da vicino, le sembrarono giganteschi. Ne urtò uno facendolo ruotare di poco, vedendoli così mobili, quasi fossero vivi, si spaventò e si precipitò dalle amiche. Le raggiunse all'interno del sommergibile, comodamente sedute ai posti di comando a sorseggiare cognac e chiacchierare tranquillamente, quasi fosse il salotto di casa.
- Incredibile... - .
Il sommergibile sembrava non essere mai stato abbandonato, era come se stesse aspettando l'equipaggio per salpare. Solo alcune parti in ottone lucidato a specchio e le spartane sedute di pelle lasciavano trasparire uno stile passato. Le apparecchiature erano in funzione e segnalavano una serie di dati a lei incomprensibili. Doveva essere stata apportata qualche modifica recente, come indicavano alcune apparecchiature evidentemente nuovissime e d'alta tecnologia.
- In pratica mio nonno si è trovato nella posizione di chi vince tutte le battaglie, ma qualcun altro perde la guerra - spiegò Desirée vedendola arrivare.
Sophie era ancora senza parole.
- Adesso capisco perché fai ingegneria navale e perché - rivolgendosi a Gaby - su di te, uno che ha una barca o uno yacht non riesce a fare colpo, se puoi guidare questo - .
- No, no, io ho bisogno di vedere le onde, il mare! - .
Sophie si volse verso Desirée, che la guardava attraverso l'oro del Cognac ondeggiante nella coppa.
- Sei tu il comandante - .
Desirée si limitò a un sorriso compiaciuto, allungò il braccio e tirò una cordicella, alle sue spalle scese una bandiera pirata. Sophie non seppe decidere se giudicarla una carnevalata o un'ammissione di colpa, di certo le sembrò di vedere Desirée sotto una nuova luce.
- Pare che quei due di stasera l'abbiano capito, è questo il problema - .
- È stato come in Caccia a Ottobre Rosso per l'appunto - precisò Gaby.
- Sì, ma se non ricordo male, Ottobre Rosso alla fine veniva consegnato agli americani - .
Desirée si rabbuiò, l'idea della consegna le dava l'orticaria, anche se non era stato detto esplicitamente, adesso le autorità stavano reclamando la consegna dell'U-Boot, non seppe più trattenersi.
- Che c'entra? I generali quelli che stanno per terra, com'è che si chiamano... non hanno mica restituito i carri armati, li hanno semplicemente lasciati in giro. Qui abbiamo fatto la stessa cosa - .
- Non puoi paragonare un U-Boot a un Panzer - .
- Perché no? Sono tutti e due d'acciaio - si chinò e da accanto al sedile prese la bottiglia di cognac e le riempì una coppa. Sophie prese il cognac riepilogando.
- Quindi, se ho ben capito, nel dopoguerra per sfuggire alla fame, questo paese si è dato al contrabbando e la locanda è servita da copertura. Adesso la cosa è uscita fuori e ti hanno minacciato di conseguenze legali - .
- No, peggio: hanno minacciato d'affondarmi, estendendo la minaccia a tutti i pescatori coinvolti. Le conseguenze legali non sono niente a confronto. Pare che ci siano anche altri che ci stanno dando la caccia - .
Gaby dovette sedersi, non parlava più.
- Che cosa intendi fare? -
- Per il momento niente, se avessero voluto arrestarci, lo avrebbero già fatto. Sembra che vogliano tenere la cosa segreta. Aspettiamo e continuiamo a vivere come sempre. Prima o poi doveva succedere, non è dal dopoguerra, sono secoli che va avanti questa storia - precisò Desirée con una punta d'orgoglio mista a rabbia, aggiungendo.
- C'è sempre stato bisogno d'arrotondare le entrate, certamente con un U-Boot la cosa riesce meglio - .
- Esatto, da quando esiste un potere centrale ladro e padrone che per inseguire interessi capitalisti impedisce il libero scambio di merci tra popoli amici e soffoca ogni forma di commercio solidale - . Gaby si era ripresa e cercava di nascondere l'emozione aggrappandosi agli ideali.
- Ragazze a costo di deludervi: il contrabbando non è commercio equo-solidale. É per questo che rischiate la galera, sempre se vi va bene - .
- Che cosa? Loro stanno firmando quei dannati patti transatlantici che in un solo colpo cancelleranno secoli di lotte per i diritti civili, anteponendo la voglia di quattro carogne di far soldi alla salute, ai diritti e alla sovranità nazionale dei popoli europei; e questo dopo tutto il sangue versato per secoli per ottenerli? E vorrebbero venire a rompere le scatole a me? Quelli devono essere processati per alto tradimento ai popoli europei - bevve un sorso di cognac e con un mezzo sorriso concluse - Come no, è solidale con noi stessi. Mi sembra più che giustificato. É amicizia tra popoli, come dice giustamente Gaby - .
- Desy tesoro, tu stai giocando col fuoco. Conoscendoti, non è che hai fatto qualcosa a quelli che ti stanno cercando? - vide un'ombra passare veloce sul volto dell'amica.
- No, però ripensandoci, mezz'anno fa ci siamo trovati nel bel mezzo di una situazione molto critica, come quella in cui è affondato il Kursk per capirci. Lei non c'era, aveva un esame. Siamo scesi più in basso possibile, abbiamo spento tutto e abbiamo aspettato che la situazione si calmasse. Temo che in quell'occasione possano averci intercettati. Purtroppo hanno tecnologie molto sofisticate oggi giorno. Per nostra fortuna, il governo francese sembra aver pensato che un sommergibile in più, per quanto vecchio, può sempre tornare utile e ci sta coprendo. Spero - .
- Noi non faremo mai male a nessuno, sai che siamo pacifiste -
Desirée le lanciò uno sguardo talmente eloquente, che Gaby presa dall'agitazione si alzò dicendo.
- Vuoi vedere il resto? - quelle erano cose che la spaventavano, non sopportava più la tensione. Sophie annuì e la seguì.
Nicoletta Latteri
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