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Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Writer Officina
Autore: Marco Valeriani
Titolo: I Girasoli
Genere Romanzo Storico
Lettori 3699 38 56
I Girasoli
Ada non vedeva nulla di male a frugare nei cassetti della nonna.

Gli oggetti più belli erano nascosti dietro allo scialle nero coi fiori in cotone.
Spostato un pacchetto di lettere sgualcite, notò il piccolo quadernetto ancora lucido nella sua copertina di pelle nera. Un taccuino dall'aspetto consumato, appartenuto a chissà chi. A quattordici anni la curiosità viaggia rapida e iniziò a fantasticare.

Fu parecchio stupita nel notare, nella parte alta, a sinistra del frontespizio, il nome di un uomo del quale non aveva mai sentito parlare: Caporale Adamo Bacchini di fu Domenico e di fu Rosa Angelini, anni 25, soldato del 55° Fanteria Brigata Marche, nato ad Agello il 17 luglio 1892. Morto per malattia (etisia) il 13 luglio 1918 a Sprottau. Sepolto nel cimitero di guerra italiano a Wroclaw (Polonia).

Sentiva la testa formicolare. Uno dopo l'altro si affacciavano mille interrogativi. Possibile, pronunciò a bassa voce, che in casa la storia del sol- dato non fosse stata raccontata neppure una volta? I nonni forse ne parlavano quando lei era in camera, ormai addormentata. O quando gironzo- lava fuori, nell'aia, a rincorrere galline e conigli. Il giorno dopo, rassicurò se stessa, si sarebbe chiusa in soffitta e avrebbe iniziato a leggere.

- Sì, farò proprio così. Non dirò nulla, nemmeno a Paolo - .

Ah, che soddisfazione! Finalmente qualcosa di suo, soltanto suo, da non condividere con i cugini; due antipatici mocciosi dalla puzzetta sotto al naso.

Perfettini, vestiti alla moda e neanche una sbucciatura sulle ginocchia e nemmeno un graffio sulla faccia.

Dalla cucina iniziavano a salire, via via più forti, le voci degli zii e più in lontananza le pareva di sentire il rumore dell'auto del nonno. Il taccuino andava riposto.

- Altrimenti passerò un bel guaio e sapranno del mio segreto. Devo stare attenta! - .

Quella notte Ada non riusciva a prendere sonno. Nel buio della stanza si ostinava a cercare qualche frammento che la potesse aiutare a riconoscere Adamo.

Vicino al camino della cucina erano appese delle fotografie, alcune molto vecchie. La ricerca andava perfezionata. Prima di rinchiudersi in soffitta, certa di non essere disturbata, avrebbe dato un'altra occhiata a quegli scatti incorniciati con tanta cura e sotto ai quali, d'estate, qualcuno posava un mazzo di fiori gialli: i girasoli.

Il mattino seguente, Ada si vestì in fretta. Arraffò due fichi dal tavolo e in un baleno salì al piano superiore per riaprire il cassetto dell'armadio. La scatola era al suo posto e così il taccuino.

Le mani le sudavano.

Da quel giorno per lei iniziava un viaggio all'incontrario. A poco a poco avrebbe ripercorso a ritroso la vita del soldato italiano morto nel lager tedesco.

Nella fretta dimenticò d'osservare più da vicino le fotografie sistemate in bell'ordine accanto al camino. L'emozione, giunta al culmine, pretendeva risposte.

Ripeteva, mimandone i gesti, il nome del fante e nel farlo si accorse del foglietto a quadretti scritto ad inchiostro rosso. L'inconfondibile calligrafia della nonna tondeggiava con la solita chiarezza. Sul foglietto proprio al centro aveva ricopiato:

Adamo Bacchini era mio nonno. Il trisnonno di Ada, mia unica nipote. In paese l'avevano dato disperso alla fine del 1917, vittima a Caporetto. La mamma non si rassegnava all'idea di saperlo morto e convinta fosse ancora in vita si era messa alla ricerca del figlio tra i malati degli ospedali di Ancona e Bologna. Nei manicomi in cui stavano rinchiusi gli “scemi di guerra”.

Adamo uscì miracolato dalla battaglia dell'Isonzo. Si nascose nel bosco, tra i cadaveri accatastati, nella speranza che i commilitoni lo recuperassero. Due giorni più tardi, completamente esausto, lo catturarono i tedeschi e divenne prigioniero di guerra. Destinato al lager di Sprottau, nella Slesia, quella che oggi è la Polonia.

A casa nostra, della Grande Guerra non si discuteva volentieri. Il fronte era stato per tutti qualcosa di remoto e quei giovanissimi soldati riapparivano solo di tanto in tanto come evanescenti fantasmi. Perduti nel martirio che nessuno osava spiegare.

Adamo fu arruolato per sfortuna. Giudicato rivedibile già due volte. Pareva destinato a scampare al massacro che costò la vita a Michele, Alberto e Mario i tre compagni d'infanzia polverizzati dalle granate. La chiamata alle armi arrivò a gelargli il sangue in una caldissima serata nel settembre del 1914.

Lacrime, pianti, urla. Il povero ragazzo, una fragile spiga di grano, faceva tenerezza. I grandi occhi marroni imploravano Dio affinché gli fosse concesso di rimanere a vivere lì. La paura gli attraversava i muscoli! La pelle, tesa allo spasmo, scricchiolava procurandogli fitte acute all'addome e alle gambe.

Dal paese alla stazione della città a dorso d'asino. E poi dalla città alla grande città sul treno carico di facce spaventate a morte. Adolescenti impietriti dentro striminzite divise grigioverdi.

Adamo se ne stava seduto in disparte; in un angolino, il più freddo, della vettura 24. Sapeva bene cosa l'aspettava. Conosceva a memoria i racconti e la notte sognava demoni scatenati nutrirsi delle carcasse dei fanti esplosi per aria.

All'arrivo a Treviso vide scendere dal treno Amerigo, il figlio del fornaio su a San Clemente. Le donne da marito se lo litigavano. Bello, aitante, robusto come un bue. Il duro lavoro nel forno non sembrava averlo indebolito. L'uniforme gli stringeva un poco sul torace, all'altezza dei taschini.

Da lì in poi la calligrafia delle nonna lasciava posto alle parole del fante. Vergate con la matita blu nella minuta di una lettera indirizzata alla madre, mamma Rosa.

***

Cara madre vi scrivo poche righe sistemato al Comando a Treviso. Il viaggio è stato incerto e piuttosto faticoso. In treno ammassati l'uno all'altro abbiamo ingannato a carte le ore della tratta. Poca cosa a dire la verità. Ciò che più impressiona sono i nostri volti spenti, gli sguardi paralizzati dalla tristezza e da una strana malinconia. Non ci dicono ancora niente. Non sappiamo nulla della prima destinazione. Qui fa caldo e il berretto d'ordinanza mi dà fastidio. Ho ritrovato pure Amerigo, il figlio del fornaio. Ci siamo salutati con la promessa di discorrere più a lungo una volta giunti in stazione. Siamo tanti, tantissimi. Sapete, sui carri la puzza della paura si spande veloce. E sarà ancora peggio una volta scesi a terra. Amerigo dice che vinceremo la guerra e potremo tornare alle mille occupazioni. Dice che ci ringrazieranno. Che diventeremo degli eroi. Che tutti, proprio tutti, ci rispetteranno. Dovrò davvero sparare contro altri uomini? Uccidere chi è come me? Togliergli la vita premendo il grilletto e scaricargli addosso un intero fucile solo perché parla un'altra lingua e ha i capelli di un colore diverso dal mio? La maggior parte di noi è nata e cresciuta in campagna. Non abbiamo alcuna dimestichezza con le armi e la guerra è qualcosa che non ci appartiene. Lasciata la stazione, alcune donne si sono fatte incontro. Portavano abiti scuri, il fazzoletto nero legato sotto il mento. Una si è avvicinata proprio a me. Mi ha preso la testa fra le mani e ha iniziato a carezzarmi. Con le dita ha toccato il naso, la fronte, le guance e la bocca. Cercava qualcuno. Forse le ricordavo il figlio. Ho provato una pena infinita. Ho avvertito un tuffo al cuore, l'ho sentito precipitare dentro la pancia. La donna ha voluto regalarci un po' di pane e del formaggio, il poco che aveva. Fatevi leggere la mia lettera dal parroco. Vi darò notizie fra sette giorni e non abbiate pena per me. Sapete bene che sono capace di cavarmela. I vostri insegnamenti, le vostre parole, colme d'amore, sono ben saldi nella mia mente. Vi abbraccio e bacio forte. Vostro affezionato figlio Adamo. Treviso, settembre 1914.

A mio nonno Adamo, tornava ad annotare nonna Angela, del rispetto degli altri importava un accidenti. Bastava cavarci gli zampetti e riprendere la strada del casolare. Meglio ancora tutti interi. E non senza un braccio o una gamba com'era accaduto a Quinto, azzoppato dalla guerra italo-turca.

Me lo vedo proprio lo spavaldo Amerigo spolverarsi la mantella appoggiata sulle spalle, sistemare meglio il cappello e prendere sotto braccio Adamo per un'ultima bevuta assieme.

***

- Adamo Bacchini, mio trisnonno? - . Ada non se ne capacitava. Neanche immaginava esistessero i trisnonni.

***

Dolcissima madre, l'ordine è arrivato! Siamo esausti dopo un anno difficile. La trincea è un putrido bagno di melma e sangue. Ho perduto il conto dei compagni dispersi. Li ho sentiti agonizzare per ore, imprigionati nel filo spinato, incapaci di sottrarsi ai grovigli del ferro arrugginito. Alcuni li hanno addirittura raccolti a brandelli. Nessuna pietà gli è stata riservata. Nessuna tregua può riaccendere speranza della vita! Come dimenticare simili carneficine che trafiggono le palpebre? Il dispaccio è arrivato ieri sera sul tardi. Partiamo verso Taranto. Raggiungeremo in nave l'Albania. Cosa c'entriamo noi italiani con l'Albania? L'ho chiesto più volte al Capitano. La risposta è stata che noi italiani andremo a dar soccorso all'esercito serbo. Diamine, come se qualcuno potesse sta- re peggio! Saremo a Valona ai primi di febbraio e poi dal porto marceremo incontro alle truppe diventate amiche. Ho ricevuto il vostro pacco, mamma adorata. Grazie del sapone, del pettine e del tabacco. Vi stringo tanto e vi bacio sulla guancia. Portate i saluti al caro babbo. Vostro affezionatissimo figlio Adamo. Zona di guerra, 20 gennaio 1916.

Un'altra lettera. Ada aveva tra le mani un'altra lettera del suo dolcissimo, misero fante. Un'altra lettera che nonna Ada era riuscita a strappare all'oblìo e che adesso riappariva lì, tra le paginette avorio del taccuino, fissando i pochi attimi di riposo del giovane soldato. Preoccupato di dar conto della sua salute tanto da raccontare tutto d'un fiato quell'interminabile calvario, l'immi- nente disfacimento umano. A quale destino andava incontro un ragazzo poco più che ventenne? Per un attimo, Ada provò ad immaginarlo il fante Adamo Bacchini. Provò a pensarlo giovinetto, identico ai ragazzi che conosceva. Le tornarono in mente le fotografie appese sopra il camino.
Marco Valeriani
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