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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Andrea Bindella
Titolo: Inganno Imperfetto
Genere Cyberpunk
Lettori 3512 41 64
Inganno Imperfetto
Gli Albori.

Un'eco assordante scosse l'edificio fin dalle fondamenta, qualcosa di primordiale lo costrinse ad aprire la porta e uscire.
- Turok! Turok! Turok! - .
La folla lo acclamava, il grande giorno era finalmente arrivato. Gli era costato molti sacrifici diventare Turok il mietitore, ma ne era valsa la pena. Uscì dal tempio a grandi passi, sicuro di sé, a testa alta. La folla urlava il suo nome all'unisono e il guerriero li ricambiava salutandoli. Salì lentamente la scalinata di marmo e sulla sommità trovò ad aspettarlo un monolite lucido color ebano.
La figura dell'umano si specchiò sulla superficie perfetta di quel blocco di pietra: un gigante di quasi due metri con spalle enormi e bicipiti possenti, il torace simile a quello di un toro e il volto segnato da innumerevoli cicatrici, come il resto del corpo. Sorrise compiaciuto, gli piaceva quello che vedeva riflesso. Il corpetto di cuoio era tirato a lucido, come gli stivali e i bracciali di pelle nera. Il mantello rosso toccava quasi terra, mentre lo spadone era riposto nel fodero, saldamente legato sulla schiena.
- Ho sognato per anni questo momento, gli Dei saranno fieri di me! - urlò, rivolgendosi alla folla che esplose in un grido di trionfo.
- Che il rito propiziatorio abbia inizio... - sibilò uno dei sacerdoti che lo aveva raggiunto in cima alla scalinata. - Turok, rendi onore alla tua razza e fai felice i nostri Dei. Le nostre sorti dipendono da te! - .
Il guerriero sorrise, annuendo. Poggiò una mano sul monolite e fece un profondo respiro.
- Si vis pacem, para bellum. Adi honore tuum hostem et ipse sua morte te honorabit. Adi sine honore eum et ipsa tua manu morieris - recitò, Turok, in tono solenne.
Il monolite sprigionò all'improvviso un lampo bluastro e l'uomo scomparve.


- Cos'è stato? - urlò Turok, guardandosi intorno. - Dove mi trovo? - .
Nella stanza buia in cui si era materializzato, si intravedeva una flebile luce provenire da una porta socchiusa in lontananza. Turok si avvicinò all'uscio con circospezione, nessuno era mai tornato dal mondo degli Dei per raccontare cosa avesse visto. Di una cosa, però, era certo: se avesse sconfitto i propri nemici, avrebbe preso posto alla tavola di quegli esseri perfetti.
Aprì lentamente la porta metallica; un cigolio sinistro riempì la stanza, gelandogli il sangue nelle vene.
- Maledizione! - imprecò.
Superata la soglia, trovò ad attenderlo un piccolo corridoio con una porta chiusa, posta all'estremità opposta. Tutta l'area era scarsamente illuminata da strani tubi fluorescenti appesi al soffitto.
- C'è puzza di muffa - borbottò, disgustato.
La porta sembrava bloccata, così decise di metterci un po' di forza; il risultato fu drastico: finì per scardinarla e si ritrovò disteso a terra con le gambe in aria.
- Per tutti gli Dei! - sbottò. - Cosa sono tutti questi strani oggetti? - urlò, rimettendosi in piedi.
Su alcuni lunghi scaffali erano riposte armi da taglio, da fuoco e altre cose strane. Al centro della stanza vi era un altare sul quale spiccava un bracciale, lungo una ventina di centimetri, con un pannello nero. Sulla base di questo blocco di pietra era riportata un'incisione: “Benvenuto umano, questa è la stanza delle armi. Troverai scudi, bastoni, bacchette magiche, spade, asce, pistole, mitragliatori, laser, bombe e altri oggetti. Alcuni li conosci, altri ti sembreranno strane invenzioni, quindi fai attenzione quando le userai. Indossa questo bracciale e segui le sue istruzioni.
Buona fortuna!”
- Non ci capisco niente, mi sembra tutto così assurdo. Sarà un sogno? - si chiese Turok, tirandosi un sonoro ceffone che gli strappò un mugugno di dolore. - No, fa male! - .
Fece spallucce e indossò il bracciale. Il pannello nero si illuminò e comparvero delle scritte: “Uccisioni 0. Esperienza 0. Bottino 0”. Una freccia blu iniziò a lampeggiare.
- Forse devo seguire l'indicazione - pensò, mettendo il braccio davanti a sé.
Grazie al bracciale si districò in quel labirinto di scaffali e armi. Trovò uno zaino e del cibo: il sesto senso lo convinse a prenderli.
Il suo peregrinare si concluse davanti a una porta massiccia; istintivamente, estrasse lo spadone dal fodero e si preparò alla lotta. Varcò la soglia lentamente e vide una piazzetta in terra battuta circondata da altre costruzioni. Una volta fuori, il display del bracciale iniziò a lampeggiare di rosso e la porta alle sue spalle si chiuse con un rumore sordo.
- Che succede adesso? - sbottò, digrignando i denti.
In lontananza, vide una piccola figura che lentamente si avvicinava.
- Forse è il mio avversario - pensò, procedendo lentamente verso quel piccoletto. Quando gli fu abbastanza vicino gli chiese: - Chi sei? Perché sei qui? - .
- Ci risiamo - gli rispose alzando gli occhi al cielo. - I pivelli capitano tutti a me! - .
Il guerriero osservò quello strano tipo: era piuttosto basso e gracile, indossava degli strani abiti e non aveva né armature né armi. Sul braccio destro riconobbe un bracciale simile al suo che lampeggiava di rosso.
- Arrenditi o sarò costretto a ucciderti. Io sono Turok il mietitore! - lo minacciò.
- Addio mietitore, tu sei già morto! - esclamò il ragazzo, chinando leggermente la testa in avanti e socchiudendo gli occhi.
Il guerriero alzò la spada sopra la testa per scagliare il suo colpo mortale, quando accadde qualcosa di strano: il piccoletto cominciò a moltiplicarsi. Uno, due, tre... dieci ragazzetti rachitici lo accerchiarono.
- Che stregoneria è mai questa? - urlò Turok, mettendosi sulla difensiva. Li osservò per qualche secondo e poi decise di attaccarli.
Nel frattempo, una delle copie andò a sedersi in disparte; il guerriero lo ignorò completamente.
Turok trafisse con la spada diversi avversari, ma il conteggio delle uccisioni sul bracciale rimase fermo a zero.
- Speriamo si stanchi presto - sospirò il ragazzo che se ne stava seduto in un angolo. - Più sono grossi e prima gli viene il fiatone - sbadigliò, annoiato.
Nel giro di una decina di minuti, il guerriero riuscì a sconfiggere tutti gli avversari, tranne il piccoletto seduto in disparte.
- Ehi, tu! - urlò Turok, a corto di fiato ed energie. - Come ti chiami? - .
- Giulian! - . Si alzò in piedi. - Ed è giunta la tua ora - .
Il ragazzo scomparve e dopo qualche secondo riapparve a pochi passi dal guerriero.
- No! Fermo! Cosa mi vuoi fare? - urlò Turok sbigottito, librandosi in aria e poi, lentamente, si dissolse come neve al sole.
Il display del bracciale di Giulian si aggiornò: “Uccisioni 1856. Esperienza 2.853.492. Bottino 584”, dopodiché smise di lampeggiare. Una freccia blu ora gli indicava di proseguire verso nord.
- Manca poco, appena arriverò a tre milioni di esperienza potrò alzare la percentuale di uso del mio cervello di un altro punto, arrivando così al cinquanta percento! Finalmente potrò lasciare questo posto sfigato per andare nella città volante - sghignazzò, fregandosi le mani.
Si guardò intorno e riprese a camminare nella direzione indicatagli. Fece pochi passi quando una luce gialla iniziò a lampeggiare sul display del bracciale.
- Ma come... è già ora? - .

* * *

- Posso offrirti un drink? - chiese un ragazzo.
- Lasciami pensare - rispose la donna, squadrandolo dalla testa ai piedi. Era bellissimo: alto, fisico atletico, indossava un vestito elegante e aveva un sorriso magnetico. - Vada per il drink, ma che sia uno solo - .
- Va bene - sorrise. - Mi chiamo Mark - aggiunse, allungando la mano.
- Emma - rispose lei, stringendogliela.
Era una bellissima ragazza mora, con i capelli mossi e sensuali occhi scuri. Indossava un modello di petite robe noire che ne esaltava il fascino e il portamento elegante.
- È la prima volta che vieni in questo locale? - chiese Mark.
- Fa qualche differenza? - ammiccò lei.
- Immagino di no - . Sorrise. - Sei qui da sola? - .
- Sì, e tu? - .
- Con degli amici - rispose, indicando un gruppetto di persone sedute a un tavolo.
- Che lavoro fa un bel ragazzo come te? - .
- Sono un manager di una grande azienda di servizi. Viaggio spesso per lavoro: Europa, Asia, Africa. È più probabile che sia in viaggio piuttosto che in ufficio. Tu, invece? - .
- Sono una hostess di voli locali. Faccio su e giù per il nostro paese - sorrise, divertita. - Mi piace molto l'Europa. Sono stata in Italia, una volta. Ci sei mai andato? - .


- Mi piace questa casa! L'hai arredata tu? - chiese Mark.
- Sì! Ho sempre sognato di fare la designer d'interni e qui sono riuscita a farlo. Vuoi qualcosa da bere? - chiese Emma, aprendo il frigobar del salotto.
- Una birra, grazie - .
- Dammi la giacca e mettiti comodo - disse, porgendogli una bottiglia ghiacciata. - Aspettami qui, torno subito - .
Emma afferrò il telecomando poggiato sul divano, spinse play e dalle casse dello stereo uscì della musica jazz; sorrise e si allontanò dal salotto.
- Mi piace questa cantante, chi è? - chiese, a voce alta, Mark.
- Diana Krall - rispose, tornando nel salotto. - Allora... cosa ne pensi di questo? - .
Il ragazzo rimase senza parole: Emma era ricomparsa in lingerie e lo spettacolo era mozzafiato. Come una pantera, la donna, si avvicinò lentamente a Mark e quando fu abbastanza vicina, gli si mise cavalcioni con un balzo. Gli afferrò il viso tra le mani e lo baciò con passione. Il ragazzo rimase inebetito per qualche secondo, poi reagì; poggiò la birra sul tavolinetto e l'afferrò per i glutei.
- Sei bellissima... - le sussurrò.
- Zitto! - . Gli passò lentamente l'indice sulle labbra - Ora mostrami cos'hai imparato dalle italiane - gli bisbigliò nell'orecchio, mordendoglielo dolcemente.


Capitolo II - La Cicatrice

Mark si alzò in piedi sorreggendo Emma per i glutei. Mentre le baciava il seno, lei gli slacciò i pantaloni che scesero lentamente fino a terra.
- Sei stupenda, piccola - sussurrò, appoggiando la schiena della donna alla parete del soggiorno.
- Forza bel fusto, cosa aspetti? - sorrise dolcemente, affondandogli le unghie nei fianchi.
Fecero l'amore in piedi per un po', poi il ragazzo l'adagiò con delicatezza sul divano.
- Ti piace? Come sto andando? - chiese, ansimando, Mark.
- Sei fantastico. Ma sono convinta che potresti fare molto di meglio. Mettici più forza... - esclamò con voce sensuale.
Il ragazzo sorrise, afferrandole il collo con la mano destra e il seno con la sinistra.
- Bravo! Vedo che hai capito! - bisbigliò, ansimante.
- Non incontro spesso ragazze come te. Mi stai lasciando senza fiato... - .
- Riposati e lascia fare a me - esordì, divincolandosi dalla presa.
La ragazza si alzò in piedi, lo spinse con forza sul pavimento e gli si mise sopra. Iniziò a muovere lentamente i fianchi, portandosi prima le mani al seno e poi tra i capelli.
- Oh mio Dio, non ci posso credere... Sei fantastica... - confessò, Mark, con un filo di voce.
- Parli sempre così tanto? Perché non usi quella lingua in modo più soddisfacente - sussurrò, inarcando la schiena all'indietro.
- Hai ragione, sono uno stupido chiacchierone - .
L'afferrò per i glutei e la trascinò con delicatezza verso la sua bocca.
- Bravo, impari in fretta! - cinguettò, gemendo.
Il bracciale al polso della ragazza iniziò a lampeggiare di giallo.
- Non adesso, maledizione! - esclamò, contrariata.

* * *

- Svuota quella maledetta cassa! - urlò l'uomo che indossava la maschera di Joker. Era un tipo esile, non molto alto e vestito in giacca e cravatta. - Svuotala ho detto! Metti i soldi in quel sacco. Tutti! - .
- Sì, sì, ma non mi spari. Farò tutto quello che vuole... - balbettò il cassiere della banca, con il viso bianco come un lenzuolo.
- Quanto per aprirla? - chiese Joker.
- Due minuti - rispose l'uomo con la maschera di Batman mentre cercava di forzare la cassaforte. Un uomo tozzo e abbastanza alto, anche lui vestito in giacca e cravatta.
- Sbrigati, cazzo! - urlò. - State tutti fermi e zitti o sarò costretto a uccidervi uno ad uno. Avete capito? - .
Le poche persone presenti nella banca e gli impiegati erano stesi a terra a faccia in giù, qualcuno piagnucolava, altri pregavano.
- Tienili sotto controllo, vado ad aprire le cassette di sicurezza - spiegò Joker all'uomo che indossava la maschera di Lex Luthor. - Chi è il direttore? - urlò.
Un uomo sdraiato a terra alzò lentamente la mano tremolante.
- Alzati o ti uccido. Ora! - .
- Subito... subito. Non mi faccia del male, la prego - .
Joker si avvicinò al direttore della banca e, spintonandolo, lo costrinse a entrare nella saletta che custodiva le cassette di sicurezza.
- Dammi le chiavi! - .
- Non si possono aprire... - balbettò l'uomo.
- Non dirmi cazzate! - urlò, avvicinandosi al direttore.
L'uomo mascherato estrasse un pugnale e lo puntò alla faccia dell'uomo.
- Sai come mi sono fatto queste cicatrici? - sbraitò.
- Quali cicatrici? - chiese, impaurito.
- Mi prendi per il culo? Queste che ho sulla faccia? - .
- Ma... ma... ma è una maschera - bisbigliò, basito.
- Zitto! Devi stare zitto! - urlò. - Sai come me le sono fatte? - .
Il direttore, non sapendo cosa fare né cosa dire, si limitò a scuotere la testa.
- Ti ammazzo, maledetto! Dammi il passe-partout, figlio di puttana, o giuro che ti faccio male! - .
- No, no... perdonami. Non avevo capito. Tieni, prendile - si sbrigò a scusarsi, porgendogli le chiavi.
- Ora sdraiati a terra e non fiatare - .
L'uomo con la maschera iniziò ad aprire le cassette e a vuotarne il contenuto in un sacco.
- Capo, ci rimangono cinque minuti! - esclamò Lex Luthor, facendo capolino nella stanza. Era molto alto e muscoloso e indossava gli stessi abiti dei suoi complici.
Improvvisamente, l'allarme della banca iniziò a suonare.
- Sei stato tu? - urlò Joker, tirando un calcio nelle costole del direttore.
- No, no, ti prego! - implorò l'uomo, mettendosi in posizione fetale per proteggersi.
Joker uscì dalla stanza e si diresse verso la cassaforte.
- Scusa, capo, credo sia stata colpa mia - balbettò Batman, seduto accanto alla cassaforte aperta.
- Che ci fai lì seduto? Muoviti, prendi i soldi! - urlò Joker.
- È tutto inutile, il sistema d'allarme ha macchiato tutte le banconote. Sono inutilizzabili - sbottò Lex Luthor.
- Dannazione! Ce l'avevamo quasi fatta! - sbraitò Joker.
In lontananza, si udirono le sirene della polizia.
- Faccio una strage - ghignò Joker, lasciando cadere a terra il sacco con il bottino. - Alzatevi tutti in piedi e andate davanti alle pareti vetrate, devono vedervi mentre vi uccido - .
Batman estrasse da una sacca dei mitragliatori enormi. I tre rapinatori si armarono come se dovessero affrontare un esercito.
- Arrendetevi, siete circondati! - esclamò una voce dall'esterno, amplificata da un megafono.
I tre rapinatori scoppiarono a ridere. Uno dei telefoni della banca squillò.
- Deve essere la polizia - sibilò Lex Luthor, avvicinandosi all'apparecchio per rispondere. - Pronto... No... Un miliardo di euro e un elicottero... No, ascoltami tu, brutto figlio di puttana! Hai quattro ore, dopodiché morirà un ostaggio ogni dieci minuti. Voglio vedere le telecamere con i giornalisti e che venga trasmesso tutto in diretta! Per farti capire che non scherzo, giustizierò subito qualcuno - minacciò, chiudendo la telefonata.
L'uomo si diresse verso gli ostaggi ed estrasse la pistola.
- Vi do la possibilità di scegliere. Chi si vuole sacrificare per gli altri? - ghignò. - Allora? Nessuno? - .
I prigionieri rimasero in silenzio, nessuno si mosse o provò a reagire.
- Come immaginavo - scoppiò a ridere. - Siete un branco di codardi. Faremo la conta... - .
Una luce gialla iniziò a lampeggiare sul display del bracciale indossato dai tre rapinatori.
- Non adesso, non ancora! - sbottarono all'unisono.

* * *

- Questo andrà benissimo, che ne pensi? - chiese Alan, mostrando il lungo pugnale alla ragazza legata e imbavagliata che giaceva a pochi centimetri da lui.
- Mmmmmmm... Mmmmmmmm... - tentò di urlare la poveretta.
- Non ti piace nemmeno questo? Sei un tipetto difficile, Carol - . Un ghigno gli deformò il viso. - Basta con i convenevoli, questo gioco mi ha stancato. Faremo a modo mio, ora - urlò, impugnando una mannaia.
Carol iniziò a sbattersi come un pesce fuor d'acqua, ma più si muoveva e più i nodi le si stringevano intorno ai polsi, alle caviglie e alla gola.
- Potevi dirmelo prima che sei una fan della mannaia! - esclamò lo psicopatico con un sorriso a trentadue denti.
Alan sollevò la grossa scure sopra alla testa e, senza tanti convenevoli, colpì più volte la ragazza, ricoprendo di sangue se stesso, il pavimento e le pareti della stanza.
- Hai avuto quello che meritavi, lurida cagna! - . Scoppiò in una risata sadica.
Prese le taniche di benzina che aveva riempito il giorno prima e le svuotò sul cadavere della ragazza, sui mobili e su tutto quello che c'era nella stanza. Si allontanò di qualche metro ed estrasse delle salviettine detergenti da una sacca con cui si pulì la faccia e le mani. Si tolse gli abiti insanguinati e ne indossò di puliti.
- Fuoco, fai il tuo lavoro: purifica questa stanza e liberale l'anima - sussurrò l'uomo, accendendo un fiammifero che poi gettò sulla benzina.
Alan uscì dal capannone abbandonato, situato ai margini della periferia. Probabilmente nessuno si sarebbe accorto del rogo, ma non aveva importanza. Salì nell'auto, l'accese e si diresse verso la città.
- La notte è giovane e io ho ancora voglia di divertirmi! - esclamò, euforico.


Con il finestrino aperto e la mano penzoloni, percorse quasi tutta la strada che correva parallela a quella del centro storico.
- Eccolo, ci siamo finalmente - .
Poco più avanti si intravedeva l'insegna luminosa di un locale notturno, il posto ideale per fare nuove conoscenze: poca luce, musica alta, ragazze sbronze o in cerca d'avventura. Parcheggiò a qualche centinaia di metri dalla sala da ballo: era meglio essere prudenti e poi nessuno lo avrebbe dovuto associare a quell'auto, visto che era rubata. Percorse il breve tragitto fino alla discoteca cercando di rimanere all'ombra dei lampioni. Una musica assordante lo investì. Due persone in abito scuro ai lati dell'ingresso si assicuravano che i clienti non creassero problemi. Alan entrò e scese le scale, il locale era al piano interrato. La musica rendeva la conversazione impossibile, si avvicinò al bar, prese un cocktail e iniziò a sorseggiarlo. Mentre si guardava intorno in cerca di una preda, sorrise.
Con passo sicuro si diresse verso la pista da ballo dove un gruppo di ragazze molto disinibite stava attirando l'attenzione dei presenti. Alan iniziò a ballare con la tipa che gli sembrava più ubriaca. Dopo qualche minuto, l'uomo, quasi urlando, le chiese: - Posso offrirti da bere? - .
- Vuoi toccarmi le pere? - sbraitò, furente, la giovane.
- Hai sete? - strillò. Era diventato tutto rosso per l'imbarazzo e, per farsi capire meglio, mimò il gesto.
- Vuoi offrirmi da bere! - esclamò, ridendo. - Va bene, ho molta sete - rispose, prendendolo sottobraccio.


Capitolo III - Religioni

- Come ti chiami? - chiese Alan, accompagnandola al bar. Era un bel ragazzo, non molto alto, con un fisico asciutto e ben vestito.
- Mi ami? - urlò, sbigottita, la ragazza, con gli occhi fuori dalle orbite.
Il ragazzo si passò una mano sulla faccia.
- Io sono Alan! Tu, come ti chiami? - urlò.
- Il mio nome, certo! Che sciocca! - sghignazzò, sistemandosi il top che cadeva morbidamente sulla minigonna. - Sakura, piacere - .
Mora, alta, formosa: Alan pensò che fosse bellissima.
- Due forti, a tua scelta - ordinò al barman.
Sakura, nel frattempo, si era messa a ballare su un tavolo.
Dopo qualche minuto arrivarono i cocktail e Alan fece cenno alla ragazza di raggiungerlo.
- Alla salute! - esclamò Sakura, trangugiando il contenuto tutto d'un fiato.
- Caspita, se avevi sete... - bisbigliò il ragazzo. - Ne vuoi un altro? - urlò.
- Certo! - rispose, alzando il bicchiere al cielo.
Dopo diversi cocktail Alan riuscì a farsi seguire fuori dal locale.
- Dove andiamo? - gli chiese, sorridendo, ormai completamente sbronza.
- Andiamo a fare baldoria - ammiccò lui, mettendole un braccio intorno alla vita.
Si diressero verso l'auto, ma qualcosa mise in allerta il ragazzo.
- Merda! - esclamò, a bassa voce, Alan. - Ma come diavolo hanno fatto? - .
Una pattuglia della polizia era ferma a pochi metri del veicolo rubato e due poliziotti stavano illuminando, con le proprie torce, l'interno dell'abitacolo.
- Cambio di programma, mia cara. Ti porto in un altro bel posto - .
- Purché si balli! - rispose, ancheggiando.
- Certamente, ti farò fare dei balli che non ti sei mai neanche immaginata - .
Si incamminarono dalla parte opposta rispetto ai poliziotti, in direzione del porto che non era neanche troppo distante.
- Che ne dici di un bel bagno di mezzanotte? - propose Alan.
- Bella idea! È da tanto che non lo faccio - .
- Vieni, passiamo da questa parte - .
Il ragazzo la strattonò in un vicoletto buio e affrettò il passo. Sakura, intontita dall'alcol, non si rese conto di dove si stessero dirigendo. In pochi minuti percorsero la stretta stradina fino ad arrivare vicino a un grosso tubo che faceva capolino da una parete di cemento armato. I liquami che ne fuoriuscivano, dall'olezzo emesso, facevano presupporre al canale di scolo fognario. Il liquido riversato terminava il proprio cammino nel mare, che distava solo una decina di metri.
- Ma che cos'è questa puzza tremenda? - borbottò Sakura. - Dove stiamo andando? - .
- Ssshhh.... siamo quasi arrivati al mare, così potrai fare il bagno - la rassicurò.
- Ah, sì. Il bagno di mezzanotte - sghignazzò.
In lontananza udirono il rumore della risacca. Il cuore, nel petto di Alan, iniziò a battere forte per l'eccitazione. Il rumore era talmente forte da rimbombargli nelle orecchie, quasi assordandolo.
- Non resisto... devo farlo al più presto - borbottò, ansimando.
Sakura vide lo scintillio della luna sulla superficie increspata dell'acqua e improvvisamente si mise a correre verso il mare, canticchiando una canzone.
- Brava, sgualdrinella, corri verso la spiaggia! Tra poco avrai quello che ti meriti - sibilò.
La ragazza arrivò al bagnasciuga, si tolse i vestiti, rimanendo solo con le mutandine, e si tuffò in acqua. Alan era talmente eccitato che le mani gli tremavano. Arrivò sulla battigia e fece dei profondi respiri per cercare di calmarsi.
- Sakura! Perché ora non esci dall'acqua? - .
- Ancora un po', ti prego. È così bello fare il bagno. Perché non ti tuffi anche tu? - .
- Non so nuotare - mentì. - Dai non farti pregare, vieni a ballare - .
- È vero! Dobbiamo ballare! - .
La ragazza, lentamente, uscì dal mare con le goccioline d'acqua che le solcavano la pelle perfetta. La luna, alta nel cielo, le mise in evidenza le splendide curve dei fianchi e del seno.
- Vieni, mettiti qui davanti a me - sussurrò, afferrandola per i polsi. - Inginocchiati, chiudi gli occhi e apri la bocca. Ti prometto che non te ne pentirai - .
- Che strane intenzioni hai? - gli chiese, sghignazzando.
Sakura, titubante, si inginocchiò, chiuse gli occhi e aprì leggermente la bocca. Alan raccolse da terra la minigonna della ragazza, poi le mise la mano sinistra dietro alla nuca e le sussurrò: - Aprila ancora un po' - .
Non appena Sakura ebbe eseguito quest'ultimo ordine, il ragazzo, con tutta la forza che aveva nelle braccia, infilò la minigonna nella gola della malcapitata, stroncandole sul nascere un urlo di dolore. La ragazza spalancò gli occhi terrorizzata e cercò di divincolarsi, ma la presa di Alan era troppo forte.
- Non urlare, non ti succederà nulla. Non devi avere paura di me, non ti voglio far male - la rassicurò, afferrandola con entrambe le mani per la gola.
Il bracciale al polso di Alan iniziò a lampeggiare di giallo.
- Maledetti figli di puttana! - urlò, furibondo.

* * *

- Così questa sarebbe la chiesa del Santissimo Redentore? - sussurrò, Jack, pensieroso. - Devo ammettere che, se le informazioni che ho scovato in rete fossero vere, questo sarebbe un fottutissimo colpo di genio! - .
Il ragazzo continuò a osservare per qualche minuto la chiesa e tutto il circondario. C'erano grattacieli non molto lontani e la piccola costruzione religiosa era inghiottita dagli alti palazzi circostanti. Solo un ampio giardino, davanti all'ingresso, dava un po' di respiro a quel fabbricato. L'uomo guardò l'orologio, erano quasi le 20, la funzione sarebbe iniziata a breve. Da quando era arrivato davanti alla chiesa, aveva visto entrare parecchia gente di ogni età, colore e ceto sociale.
- Meglio non fare tardi, non vorrei perdermi qualcosa di fondamentale - sbuffò.
Si avvicinò alla porta, dall'interno non proveniva alcun rumore; fece spallucce e varcò la soglia. Sbatté le palpebre più volte e si diede anche un pizzicotto, non credeva a quello che vedeva. Dall'esterno avrebbe detto che la chiesa potesse ospitare un centinaio di persone al massimo, invece ce n'erano decine di migliaia e tutte comodamente sedute su poltroncine ergonomiche. Effettivamente, l'interno di quell'edificio faceva pensare a tutto tranne che a un luogo religioso. Il sole splendeva alto nel cielo terso, una brezza tiepida muoveva le fronde degli alberi posizionati sul perimetro dell'enorme giardino tappezzato da un prato verde smeraldo. Nell'aria c'era profumo di zucchero filato e quel panorama dava un senso di pace e tranquillità. In fondo al giardino, dopo le poltrone, vi era un piccolo palchetto con un microfono al centro.
- Prego, signore, vada a sedersi. Tra pochi minuti inizierà la funzione - gli spiegò un uomo, con voce rassicurante.
Jack non si era neanche accorto di quella figura massiccia e sussultò violentemente quando udì quelle parole pronunciate a pochi centimetri da lui.
- Spero di non averla spaventata - commentò, mesto.
- No, no. Credo di essere inciampato - si limitò a rispondere Jack, dirigendosi verso alcune poltroncine vuote. - Merda! Ma che cazzo sto facendo? - mugugnò, a bassa voce, contrariato.
Prese posto in una fila centrale e con molta cautela cercò di farsi un'idea di chi fossero quelle persone intorno a lui e soprattutto di che genere di posto si trattasse.
- Ben trovati, amici! Per aspera sic itur ad astra! - li salutò un uomo attraverso il microfono del palco.
- Ad astra! - risposero in coro i presenti.
- Per chi non mi conoscesse ancora, potete chiamarmi Baphomet - sorrise. - Ovvio che si tratti di un artifizio, come qui e tutto il resto - .
Un brusio si sollevò tra la folla.
- Non vi agitate, è ancora presto. Se siete venuti qui è perché siete alla ricerca della verità e vi starete chiedendo tutti la medesima cosa: potrà Baphomet renderci uomini liberi? - . Fece una breve pausa per osservare i volti dei presenti. - La verità, signori miei, vi renderà liberi! - .
Un applauso improvviso lo interruppe.
- Vi prego, non c'è bisogno di applaudire. Non vorrete sembrare tante foche ammaestrate, voglio sperare, o almeno, lasciamo credere loro che non ci abbiano ammaestrato così bene, in fondo - .
- Rendici liberi, Baphomet! - urlò, una donna, tra la folla.
- Sì! Rendici liberi! - strillarono, altre persone, in coro.
- Tutto a suo tempo, l'importante è che non mi interrompiate ogni tre parole, altrimenti faremo notte solo con i convenevoli - .
La folla scoppiò a ridere.
- Amici, fratelli! Verrà il giorno in cui ci ribelleremo, ma per farlo, dobbiamo tracciare un percorso e seguirlo fino alla meta. Sono tante le cose che ho da dirvi e vi assicuro - fece una breve pausa per dare più enfasi alle proprie parole - che molti di voi le rifiuteranno, nonostante le prove schiaccianti che vi mostrerò. Non preoccupatevi, è normale. Il cervello stenta a credere alla realtà quando questa è talmente assurda da dover essere per forza vera - .
Baphomet continuò l'omelia per quasi un'ora; Jack pareva estasiato da quell'uomo, ma al tempo stesso non poteva fare a meno di chiedersi di quali droghe facesse uso perché le assurdità che a suo avviso sparava, erano davvero tante.
Quando ebbe finito di parlare, il sacerdote scese dal palco tra gli applausi della folla alzatasi in piedi. Dopo qualche minuto, i presenti smisero di battere le mani e pian piano defluirono dal giardino, uscendo dalla chiesa.
- Lei deve essere Jack Bauer - esordì una donna di colore, sedendoglisi accanto. - Lui la sta aspettando. Vada verso il palco, lo superi e le si aprirà un nuovo mondo. Abbia fede - . Sorrise, poi si alzò e si diresse verso la porta d'uscita.
- Se lo dice lei - commentò, sarcastico, Jack, mettendosi in piedi.
Andrea Bindella
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