Roberto Vetrugno

Roberto Vetrugno (Lecce 1975) è professore associato di Linguistica Italiana presso l’Università per Stranieri di Perugia. Ha insegnato all’Università di Pavia e di Torun, in Polonia, ed è stato visiting professor presso l'Università di Tripoli. Studia i carteggi rinascimentali e ha curato con altri l’edizione dell’epistolario di Baldassarre Castiglione (Einaudi 2016). Nel 2019 il suo primo romanzo, una spy story, si intitola Tripoli (Unicopli); è appena uscito per Vallecchi il secondo, Umiliati "Storie incredibili di uomini e di separazioni", di cui si possono trovare alcune anticipazioni su sito “Le parole e le cose” e sulla rivista "l'Immaginazione"

 

Tripoli, bel suol d'amore cantava nel 1911, avvolta nella sola bandiera, Gea della Garisenda all'inizio della guerra italo-turca. Oggi Alberto, giovane ricercatore in attesa, come molti, d'un inserimento nella struttura accademica, accetta l'incarico di docente di lingua italiana all'Università di Tripoli. Ma il mondo che si troverà davanti ha ben poco di letterario: davanti a sé Alberto troverà invece un teatro allucinante di criminali e spie, dove parole come Stato evaporano prima ancora d'essere pronunciate, dove nulla è come appare e, soprattutto, come sarà poche ore dopo; dove chi ti abbraccia e ti ospita stasera ti punterà un kalashnikov alla tempia domani mattina. Una corsa dentro un incubo senza fine in cerca di un giornalista scomparso, un fantasma svanito nella luce del Sahara.

Umiliati. Dopo una violenta lite con la moglie, Alberto vuole separarsi e si rifugia in pieno inverno a Otranto, in una casa sul mare. Va a trovare un amico, il professore: appena lo informa delle sue intenzioni, il professore gli mostra un misterioso trattato rinascimentale, Anteros, sive contra amorem, che illustra i rischi mortali dell'amore. Poi insieme a due vecchi amici convocati apposta, decide di togliere ogni dubbio dalla testa di Alberto e gli racconta la storia tragicomica degli Umiliati, una squadretta di calcio formata da mariti integralmente umiliati dalle mogli. Alberto ascolta, è confuso, torna nella sua solitudine per riflettere. Ma un fatto di cronaca lo sconvolge: un padre ha ucciso i figli perché la moglie gli ha chiesto la separazione, poi si è ammazzato lanciandosi da un ponte. Alberto decide di andare al funerale dell'assassino, per cercare di capire quel gesto maledetto. Per comprendere fino in fondo quanto male può fare l'amore coniugale.

Abel Wakaam: Ciao Roberto, il tuo nuovo libro comincia con una citazione di Marcel Jouhandeau, tratta da Cronache maritali: "Era così vera la mia grandezza, così pura, così alta, così inespugnabile. Ero una fortezza, e non sono più che una città aperta occupata dal nemico". Puoi spiegarmi il perché di questa scelta?

Roberto Vetrugno: Jouhandeau è uno scrittore poco noto ma straordinario (che io associo a una serie di autori fondamentali, perché ambigui: De Maistre, Sacher-Masoch, Leon Bloy, Bernanos, Celine e altri fino a Houellebecq): ha una prosa eccellente e nel libro che cito ha mostrato tutta la potenza devastatrice dell'amore coniugale; le sofferenze, le meschinità, la debolezza dell'uomo che detesta sua moglie ma non ne può fare a meno (perché i ricordi dei tempi felici, cui dedica il "sequel" sono troppo radicati in lui); è ambiguo e a me piace la letteratura ambigua, non quella limpida, chiara. L'amore è un sentimento ambiguo, meraviglioso e pericoloso, perciò ci piace e ci piace andare fino in fondo, toccare il fondo a causa sua, e ciò può servire. Le pagine del grande scrittore francese sono amare e comiche, mostrano uno stato di dipendenza che può essere dipendenza tossica. Sì, di amore ci si può intossicare e non è facile disintossicarsi. Troppo potente come sentimento, noi troppo deboli. Per quello la mitologia ha generato Anteros, per tenere a bada il fratello Eros, dio capriccioso, micidiale. Nelle prime pagine cito un trattato rinascimentale dedicato proprio a questo dio poco noto ma molto utile: "Anteros, sive contra amorem" (MIlano, 1496).

Abel Wakaam: "Devo fuggire, devo stare solo, non voglio mai più avere a che fare con le donne, non voglio neppure fare sesso, voglio bere fino a perdere i sensi, devastarmi come si fa quando perdi tutto, quando il fallimento è radicale. Sono pericoloso, per me, per gli altri, per lei". Come si arriva a questo punto?

Roberto Vetrugno: Chi ama veramente, soprattutto in età giovanile, vive un'esperienza unica, meravigliosa, di gioia totale, ci si sente quasi delle divinità. Amare, unirsi, fare sesso in diversi modi e posizioni variabili, giocare, piacersi organicamente, generare figli (non è affatto obbligatorio, anzi), vivere insieme, condividere tutto, avere vicino per anni una persona che ci guarda con gli occhi pieni di ammore... ecco tutto questo ha un prezzo, ha un lato oscuro: la materia oscura dell'amore che non si vede quando ami, ma è in agguato, ti aspetta al varco. Questo varco è il momento in cui nella coppia, dopo un certo numero di anni, ci si allontana, per varie ragioni ed è anche fisiologico: si entra nel dubbio, nel dolore, freddo o caldo, invisibile o distruttivo, "krisis", rigenerazione. Il protagonista, Alberto, vive la fine del suo amore in maniera distruttiva, ha paura del male che ha dentro, quel male è l'antimateria della materia amore. Esplode e ti fai del male, stai male e a volte puoi anche avere paura di fare del male. Non hai il tempo di elaborare e non puoi nasconderti. Chi continua a vivere relazioni senza amare è un codardo, guarda solo alla sua sopravvivenza e diventa meschino. Non possiamo pensare all'amore solo come a un sentimento positivo, troppo facile, sarebbe fasullo; forse nulla nella nostra realtà, che generiamo noi stessi, è solo positivo in fondo, tutto può degenerare perché siamo tutti, più o meno, dei degenerati.

Abel Wakaam: Ed è a questo punto che si ha bisogno di confidarsi con un amico, un professore sessantenne che "ha una figlia ma non una moglie". È il suo stato di single che lo rende capace di comprenderti?

Roberto Vetrugno: Sì, anche, ma non solo, è un amico e non è poco: il libro racconta storie di uomini umiliati, le loro vicende sono narrate dal professore e da due suoi amici: il tema dell'amicizia percorre tutto il libro attraverso queste riflessioni tra uomini, tra maschi contemporanei adulti, che hanno imparato a difendersi dalle grinfie dell'amore coniugale quando diventa stantio. L'amicizia poi nel mondo classico, e quindi anche durante l'Umanesimo e il Rinascimento, era un sentimento o meglio un valore fondamentale più importante dell'amore, era una sorta di amore senza possesso e non violento, costruttivo, morale. Il Romanticismo dell'Ottocento, che proviene da una cultura nordica, non classica né umanistica, ha generato il mito dell'amore a tutti i costi, il trionfo di Giulietta e Romeo, poveracci, ma anche un po' esaltati; nella novella del Bandello, geniale novelliere del primo cinquecento, da cui nasce la trama nota a tutti, Romeo inizialmente era cotto per una donna che però lo ignora, lo umilia; ma lui vuole amare a tutti i costi... incontra Giulietta danzando ma diventerà una danza mortifera. Tornando all'amicizia, fa benissimo parlare con un amico delle proprie pene d'amore, dei propri rapporti coniugali, delle proprie frustrazioni sentimentali e sessuali. Ed è quello che fanno i tre personaggi con il protagonista, lo fanno ragionare e soprattutto sdrammatizzano, sanno riderci sopra ai casi drammatici della vita di coppia. E con gli amici si ride, l'armonia del sorriso rinascimentale in opposizione alla tensione drammatica, patetica, dell'amore romantico.

Abel Wakaam: In tutta questa "euforia" tra maschi, che fine fanno le donne? Su quale gradino vengono riposte prima di essere prese di nuovo in considerazione?

Roberto Vetrugno: L’euforia che cogli è la meschinità dei maschi, il loro infantilismo, la loro debole faciloneria: in un particolare senso della parola, l’umiliato è chi si aspetta di vincere, di dominare e non ci riesce, si sente sconfitto e di più, umiliato (la parola circola infatti molto nei contesti sportivi, agonistici). L’uomo è stato dominatore, ha schiacciato la donna per secoli: il libro racconta uomini che subiscono, che non riescono ad amare e quindi si rifugiano nella mascolinità residuale, bonaria, da bar dello sport, forse politicamente scorretta ma mai offensiva; sfottere rispettosamente l’altro sesso è un gioco, lo fanno le donne e gli uomini giocando con i luoghi comuni, che sono indispensabili.
I maschi del libro sono pronti e forse contenti di dare il loro potere e il loro ruolo alle donne, anche il potere nel lavoro e l’alienazione che comporta: è come se non ne potesse più di dominare. Il maschio del mio libro non si porta più un animale dentro, quello della canzone di Battiato citata da Francesco Piccolo nel titolo di un suo bel romanzo; non vuole più essere in conflitto ma non vuole neppure essere rappresentato solo come un violento ottuso. La stampa e i social portano benefici fondamentali e demotici alla nostra società ma comportano anche delle semplificazioni, del massimalismo ideologico per cui a volte, solo a volte, si avverte un femminismo troppo aggressivo, come se tutti i maschi fossero violenti psicologicamente e fisicamente contro le donne. Il maschio del mio libro getta le armi, come il soldato di Archiloco e non vuole più questioni risolte dal punto di vista anatomico. E nemmeno linguistico, non si crea parità attraverso le forzature della sessualità e della grammatica

Abel Wakaam: Come si evince dal tuo libro, una separazione non umilia in modo eguale entrambe le parti e non è sempre il più debole a soccombere. Chi, oppure cosa, definisce la sorte dell'umiliato? Chi stabilisce l'orientamento del "pollice verso", un giudice, la custodia dei figli o che altro?

Roberto Vetrugno: Quando si litiga ferocemente in una coppia l’obiettivo è offendere e persino umiliare. Quando un amore va in crisi dopo molti anni in realtà non è facile individuare il debole e il forte, si diventa deboli e quindi aggressivi, violenti, offensivi, viene fuori il peggio di noi stessi. La fine dell’amore umilia in fondo entrambi, soffrono entrambi, si umiliano. Io ho voluto raccontare come alcuni uomini possono vivere questa aberrazione dei sentimenti, si potrebbe però fare la stessa cosa con storie di donne. Poi c’è la questione giudiziaria che è su un piano diverso e spero che un giorno non si debba passare più così facilmente dai giudici: i rapporti economici e affettivi sono mutati rispetto all’Italia del Novecento, i figli possono oggi avere supporto economico e affettivo dal padre e dalla madre in egual misura ma un certo numero di volte le ragioni delle madri prevalgono nelle valutazioni dei giudizi. La legislazione sta cambiando, ci sono proposte di modifiche, la legge si sta lentamente adeguando e lo deve fare nel rispetto di tutti. L’uomo non più patriarcale è anche un uomo più attento all’emotività, adora stare a contatto con i figli sin dalla loro nascita, gli piace giocare mentre la mia generazione ha avuto padri distanti nei primi anni dell’infanzia; giocare con i figli troppo piccoli o portare un passeggino erano visti come compiti delle donne. Tutto questo è finalmente svanito, è il momento di una nuova educazione all’amore coniugale anche per una separazione serena, non violenta, non conflittuale, non umiliante. Paritaria.

Abel Wakaam: Cosa pensi dei corsi di scrittura creativa e che consiglio daresti agli autori emergenti di Writer Officina?

Roberto Vetrugno: Non servono corsi di scrittura ma corsi di lettura, anzi di lentura: leggere lentamente, comprendere profondamente un testo, rileggerlo e leggere tanto, sempre e di tutto. Educare la propria capacità di lettura, questo è il mio consiglio: oggi siamo invasi da letture e scritture leggere, veloci, facili, frettolose, senza profondità. La scrittura creativa deve esprimere la complessità attraverso uno stile semplice, frutto di ritocchi che lo rendano chiaro, non semplificato, non segmentato, non tortuoso. Sconsiglio la ricercatezza nella scelta delle parole, un tipico atteggiamento degli aspiranti scrittori: levare, non aggiungere, rendere la prosa scorrevole è possibile attraverso la gestione della sintassi che si apprende smontando i testi che si leggono. Leggere ad alta voce, Leggere, leggere, leggere, poi provare a scrivere, piano, rileggersi molte volte e non avere pietà delle proprie parole; scrivere semplicemente e di qualunque cosa. Prendete la vostra vita e trasfiguratela, cercate e create storie. Trasformate questi cumuli di atrocità e di gioie. La realtà non basta, è noiosa, bisogno fondare mondi nuovi, prima nostri e poi un giorno di tutti: la vita senza letteratura, senza creatività è una vita povera, arida, fredda. Scrivere è un dovere morale dell'uomo. Se l'uomo scrive sopravvive.

 

Abel Wakaam

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